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contropiano2

Il ruggito della ‘tigre celtica’ e le statistiche falsate

di Panofsky

Dimenticatevi la Cina, Singapore o le altre tigri asiatiche: esiste in Europa un’economia il cui prodotto interno lordo è cresciuto del 26.3 per cento nel corso del 2015.      

Si tratta della piccola Repubblica d’Irlanda: questa settimana l’ufficio statistico irlandese ha pubblicato le stime definitive sulla crescita del prodotto interno lordo rispetto all’anno scorso, riportando questo dato all’apparenza incredibile. Un tasso di crescita che triplica quelli ottenuti nel periodo che aveva fatto guadagnare all’Irlanda l’appellativo di “Tigre celtica”.

Qualche esperto ha calcolato che a questi tassi di crescita il PIL irlandese avrebbe presto superato quello cinese…

Il “Sole 24ore” riporta la notizia e ne approfitta per lodare il miracolo irlandese. Scrive infatti da Rold che “Dublino è una storia di successo. Il paese è uscito dal piano di aiuti nel 2014 e rappresenta per i creditori il migliore e più evidente caso di recupero di una nazione in crisi, che con riforme e politiche liberiste è riuscito velocemente a risalire la china e a tornare a crescere”.

Tutto bene quindi? Non tanto. Come lo stesso Da Rold è costretto ad ammettere gran parte di questa crescita deriva da spericolate operazioni di multinazionali straniere (in gran parte statunitensi), che si sono affrettate a registrare la propria sede operativa e i propri brevetti e proprietà intellettuali a Dublino per approfittare delle bassissime aliquote fiscali che le imprese devono pagare (intorno al 12.5 per cento). Questo ha ovviamente provocato un enorme aumento dello stock di capitale fisso dell’economia irlandese.

Aidan Regan, economista presso lo University College Dublin, ha detto che si tratta di “una farsa” e che “non c’è alcuna credibilità nelle statistiche nazionali irlandesi” mentre il Nobel Paul Krugman ha parlato di “economia dei lepracauni” (dal termine gaelico leipreachán, che indica i folletti della tradizione irlandese). La verità è che la “ripresa” è assai più debole di quanto ci dicano le statistiche falsate sul PIL irlandese. Avevamo scritto dell’alto tasso di emigrazione, dei prezzi delle case alle stelle, dei bassi salari e delle alte diseguaglianze. A conferma di questo arrivano le parole di Vincent Boland sul Financial Times: “se la ripresa esiste, è concentrata perlopiù a Dublino, e perfino lì principalmente nel settore degli investimenti esteri piuttosto che in imprese domestiche come quelle dei servizi, dell’agricoltura e delle PMI”. E prosegue “Enda Kenny, il primo ministro, ha perso la sua maggioranza parlamentare nelle elezioni di febbraio largamente perché la sua esortazione agli elettori irlandesi di “far continuare la ripresa” ha portato alla domanda: “quale ripresa?”.  Va poi ricordato che lo stesso ufficio statistico ha riportato che il PIL irlandese nel primo trimestre del 2016 è caduto del 2 per cento. Se questo dovesse accadere anche nel secondo trimestre – ha ricordato il direttore del centro di ricerca NERI – allora l’Irlanda sarebbe tecnicamente in recessione.

Vale la pena, infine, di sottolineare due punti. Il primo è che questa farsa contabile è avvenuta perché l’istituto di statistica irlandese si è limitato a seguire pedissequamente le regole autorizzate da Eurostat, l’autorità statistica europea. La cosa fa riflettere, se si pensa che sulla base di statistiche nazionali come il PIL si costruiscono rigide regole di bilancio come quelle previste dal Fiscal Compact.

Il secondo è che ancora una volta si mette in luce l’effetto distorsivo creato da un sistema di tassazione per le imprese come quello irlandese (ma lo stesso discorso si potrebbe fare per l’Olanda, dove ad esempio FIAT-FCA ha spostato la sua sede), sostanzialmente una competizione sleale. Fa sorridere che l’Unione Europea, pure così interventista nel caso delle legislazioni sul lavoro dei paesi membri, non abbia ancora preso una posizione dura a questo riguardo. Ma siamo certi che la recente nomina dell’ex capo della Commissione Europea Barroso a presidente di Goldman Sachs International, o il fatto che l’attuale presidente Jean Claude Juncker sia stato in passato premier del Lussemburgo (altro semi paradiso fiscale), non abbiano nulla a che fare con questo…

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