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Microfondazioni e macrosciocchezze

Da quando Robert Lucas espose la sua famosa “critica” ai modelli keynesiani, gli economisti si sono convinti che i modelli economici debbano essere necessariamente “microfondati”, cioè costruiti sulla base del comportamento dei singoli agenti economici. In realtà, presa di per sé, la critica di Lucas è un consiglio che chiunque dovrebbe accettare: i modelli macroeconomici dovrebbero tenere conto del fatto che, se accade qualcosa di nuovo, vi sarà una reazione del sistema economico che potrebbe assorbire o moltiplicare l’effetto dell’evento. In particolare, secondo Lucas, i modelli dovrebbero tenere conto della reazione del sistema economico agli interventi esterni dei policy makers. Non sono solo gli economisti mainstream a pensarlo: un esempio è la cosiddetta “legge di Goodhart”: se la banca centrale provasse a controllare direttamente un certo aggregato monetario, l’economia reagirebbe utilizzando altri mezzi di pagamento, rendendo la misura di quell’aggregato irrilevante e la politica inefficace.

Purtroppo molti economisti mainstream, su stimolo dello stesso Lucas, hanno utilizzato questo concetto per concludere che l’economia reagirà in modo tale da vanificare del tutto o in parte qualsiasi intervento del governo.  

Ad esempio l’equivalenza ricardiana afferma che lo stimolo fiscale in deficit è pressoché inutile perché fa aumentare il debito pubblico e il pubblico, spaventato per le tasse future, incomincerà a risparmiare, annullando l’effetto di stimolo (o per essere più precisi, rendendolo identico a quello che si avrebbe se lo stimolo fosse finanziato con l’aumento delle tasse invece che in deficit). Affermazione alla quale neppure Ricardo credeva e che non trova molti riscontri empirici, ma continuamente citata da tutti quelli che (e sono sempre meno, per fortuna) non credono all’efficacia delle politiche keynesiane. In realtà però nulla impedisce che la reazione del sistema economico si manifesti in direzione favorevole all’intervento del governo: ad esempio, gli imprenditori che vedono il governo investire e quindi la domanda aumentare, potrebbero essere indotti a fare altrettanto (innescando il cosiddetto crowding in).

Fin qui si tratta soprattutto di valutazione delle politiche. La critica di Lucas ha però prodotto un germe ben più insidioso a livello teorico: l’obbligo, per ogni modello, di avere delle microfondazioni. Vale a dire, ogni modello economico dovrebbe contenere al suo interno il comportamento microeconomico degli agenti. Da qui l’adozione dei cosiddetti “agenti rappresentativi” di cui parleremo tra un attimo.

E’ curioso che l’idea che i modelli “macro” debbano necessariamente essere microfondati non abbia alcun corrispettivo nelle scienze naturali, alle quali l’economia dice di volersi ispirare per rigore. In fisica abbiamo usato e continuiamo ad usare, con enorme successo, modelli che non hanno alcuna microfondazione, ma che studiano le leggi a livello esclusivamente macro. La gravitazione universale newtoniana, la relatività generale, le leggi di Ohm o quelle dei gas non spiegano come si comportano le singole particelle, ma come si comportano gli aggregati. E’ pur vero che i fisici si impegnano nel cercare di conciliare “micro” e “macro” (ad esempio cercando di trovare una teoria quantistica della gravità), ma non per questo considerano inservibili i modelli esclusivamente macro. Le scienze, insomma, vedono nelle “microfondazioni” un ulteriore passo in avanti nella conoscenza, non un prerequisito per dar senso ad un modello.

Ma c’è di peggio. I modelli “microfondati” della teoria economica mainstream non lo sono affatto, come lucidamente spiegato in un articolo del blog critical finance dell’economista Jo Michell. Torniamo così agli agenti rappresentativi. I modelli mainstream, spiega Michell, non contemplano milioni di agenti che interagiscono tra loro, ma un unico agente che rappresenta, ad esempio, tutti i consumatori. E’ un po’ come se, per studiare i gas, si immaginasse una sola particella in una scatola e, per di più, che tale particella fosse così grande da occupare l’intera scatola. Insomma, non c’è alcuna “microfondazione”, ma solo un elemento “micro” che viene gonfiato fino a farlo diventare “macro”. Con microfondazioni così è meglio tenersi i modelli non microfondati.

Michell punta su un esempio, quello delle formiche. Modelli che simulano il comportamento delle formiche alla ricerca di cibo sono molto comuni in informatica perché permettono di risolvere moltissimi problemi simili, come ad esempio individuare il percorso migliore per compiere un viaggio (il problema del commesso viaggiatore) o individuare i bordi degli oggetti in una fotografia. Questi modelli, o per meglio dire questi algoritmi, si basano non su un agente rappresentativo, di cui si suppongono certe caratteristiche per poi dire che l’intero formicaio si comporta in un certo modo, ma sulla simulazione delle interazioni tra un “agente-tipo” (la formica) e il successivo, o il più prossimo,  fino a costruire l’intero formicaio. Quel che accade è che il formicaio acquista comportamenti autonomi se preso nel suo insieme, diversi da quelli delle singole formiche. Insomma, delle “proprietà emergenti” (macro) che nessuna formica (micro) possiede, ma che appartengono solo all’intera comunità di formiche. Le interazioni sono così importanti che – entro certi limiti – possiamo anche mutare il comportamento dell’ “agente-tipo” senza influire sul comportamento complessivo del formicaio in modo sostanziale.

Modelli basati sull’interazione tra agenti aprono l’analisi dei sistemi a risultati anche molto differenti tra loro. Ad esempio, se un agente ha un comportamento inaspettato, in certe circostanze questo si propagherà nell’intero sistema, portando ad un risultato sub-ottimale oppure a fallire completamente l’obiettivo. Un esempio in economia sono i fallimenti a catena delle banche, che abbiamo visto all’opera nella crisi del 2007-2008. Oppure il sistema potrebbe, in altre circostanze, riuscire a riassorbire l’errore e raggiungere il risultato ottimale o discostarsene di poco.

Esistono nella teoria economica modelli basati sull’interazione tra agenti? Un esempio sono i cosiddetti Agent-based Models (ABM). In questi modelli gli agenti economici sono interconnessi tra loro, ad esempio attraverso i loro stati patrimoniali: la banca A è indebitata con la Banca B che è indebitata con la Banca C, ecc.: eventi catastrofici come i fallimenti a catena non sono una sfortuna indecifrabile, ma un fatto comprensibile, così come sono ben comprensibili gli eventi che permettono di interrompere la catena minimizzando l’effetto del singolo evento. Come nel caso del formicaio, poi, dall’interazione degli agenti “emergono” proprietà del sistema aggregato. Di questi modelli parleremo più approfonditamente in un apposito articolo.

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