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sinistra

La non satira antidemocratica di Charlie

di Davide Restano

Una pila di terremotati che forma una lasagna tricolore. La vignetta di Charlie Hebdo, come previsto, ha fatto il giro del web e non solo, ma questa volta l’opinione pubblica si è spaccata in due; per molti è una questione di coerenza, se diviene possibile ridicolizzare la religione lo stesso si deve poter fare dinanzi ad un disastro costato quasi 300 vite umane. E’ il “duro” prezzo della democrazia. Qualcuno però ci è rimasto male domandandosi come sia possibile ridere di eventi tragici come il terremoto che ha devastato il Centro Italia, anche quando di mezzo c’è la libertà d’espressione.

La questione è intricata se si pensa che proprio la libertà d’espressione oggi sembra non essere più un valore tra tanti ma il valore fondante la cosiddetta civiltà occidentale, un valore considerato assoluto (ab-solutus ovvero sciolto, svincolato da ogni cosa) persino di fronte a centinaia di famiglie che piangono i propri cari morti sotto le macerie e ad un intero paese che viene cancellato dalla faccia della terra. Perché la libertà d’espressione è la democrazia, Charlie è la satira, e la satira è la democrazia.

Viene da chiedersi come mai oggigiorno per essere sicura di sé la democrazia deve poter sghignazzare su ogni cosa, e come mai per sentirci liberi e democratici dobbiamo ridere di tutto.

Sarà perché la comicità ha i suoi tempi, in genere brevi, che la leggerezza è divenuta scelta obbligata o persino conveniente.

La superficialità infatti si dice con poche parole, e forse per questo sempre la spunta con l’intelligenza, così oggi per definire la democrazia di parole ne bastano solo tre: Charlie è Satira, Charlie è democrazia.

Ma sarà poi davvero così?

Je suis e altri slogan a parte una riflessione sulla satira può rivelare cose davvero interessanti.

Infatti si comincia a ridere già in età classica ove i satiri, creature mitologiche molto abili con il flauto, andavano in giro per l’Ellade a dar sfoggio della loro bravura. I satiri non erano delle creature propriamente umili e si narra che un giorno uno di loro sfidò il dio Apollo.

Dunque il satiro sfidava coloro che erano più forti di lui.

Da lì la satira come pratica “canzonatoria dei Potenti”, un’arte nobilissima per mezzo della quale a Roma Macrobio così rideva di Augusto:

Augusto era in giro per Roma quando notò un uomo nella folla che gli somigliava molto. Interessato dalla cosa gli chiese: “Sua madre è mai stata a servizio a palazzo?” “No vostra altezza” Rispose l’uomo “ Ma mio padre sì”.

Si pensi alla Commedia e alle stoccate umoristiche che in essa Dante riserva a Papa Bonifacio, oppure agli irriverenti manifesti con cui Pasquino usava imbrattare le porte della Santa Sede.

Da Aristofane al Bagaglino di Pippo Franco la satira ha sempre sparato dal basso verso l’alto.

Oggi bersaglio di scherno è il popolo, si è dunque invertita la rotta. Al popolo è stata sottratta l’arma con cui da sempre ha riso di re, principi e senatori, e attraverso la quale in ogni epoca ha potuto dis-sacrare il potere, precludendogli l’onnipotenza.

Va da sé che quando non è partorita dal popolo la satira non la si può considerare davvero democratica, e siccome abbiamo deciso che la satira è laddove c’è democrazia, per logica se rivolta contro il popolo la satira nega se stessa, non può più essere tale.

Ma al servizio di chi opera, oggi, la non satira?

Se i pochi oltraggiano liberamente i molti allora siamo nel più fondamentalista dei neoliberismi, che accade nella cultura o meglio, nella dimensione sovrastrutturale della cultura, come direbbe Marx. La libertà, compresa quella di ridere, quando diviene prerogativa del potere, mediatico e non, da strumento di difesa diviene strumento di offesa, e il diritto alle libertà non può più essere inquadrato a partire dai principi del vecchio liberalismo. Ai tempi di Locke infatti la rivendicazione di tale diritto avveniva in un contesto storico ove interlocutori e plurisecolari nemici erano i sostenitori dell’assolutismo monarchico. Oggi lungi dall’essere un diritto difensivo, la libertà è di fatto divenuta diritto d’assalto, da esercitarsi sulle masse non solo nel modo liberista di organizzare il lavoro, sfruttandole, ma anche nel mondo della cultura e del costume, oltraggiandole senza ritegno.

Ciò che rimane è un immaginario collettivo in cui tale sopruso lo si legge ormai come sacrosanto esercizio della libertà d’espressione, dimenticando che anche laddove ci si esprime mezzi e risorse restano fondamentali, e qualora solo una o poche categorie di persone possano disporne allora la libertà di cui tanti parlano è quella della volpe dentro il pollaio.

E su questo c’è proprio poco da ridere.

Comments

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Federico avvisati
Saturday, 17 September 2016 23:51
Grazie dottor Restano porterò la tua lezione ai mie allievi...
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