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Man in the mirror

di Riccardo Achilli

E’ una canzone di Michael Jackson, ma non importa. E’ anche una immagine: l’uomo imprigionato in un gioco di specchi si illude di costruire una realtà, ma non fa altro che rimanere imprigionato dentro il riflesso della realtà esterna a lui. E’ un po’ un gioco di specchi dentro il quale rimane imprigionato il professor Varoufakis con la sua articolata proposta di disobbedienza civile ai trattati europei, che costituisce il suo movimento Diem 25.

 

La proposta di Varoufakis in pillole

Cerchiamo di capire meglio la proposta di Varoufakis. Il punto di partenza è condivisibile: l’Europa, a politiche economiche vigenti, si sta avvitando in una crisi che porterà alla disintegrazione dall’interno dell’area-euro, e l’entità strutturale della deflazione in atto non è tale da poter essere risolta con un po’ di flessibilità nelle leggi di stabilità (che non fa altro che spalmare l’austerità su un maggior numero di anni) e nemmeno, come dimostra il caso francese, con qualche punto di deficit in più. Occorre evitare questa nemesi, inducendo un ribaltamento radicale della direzione austeritaria e deflazionistica delle politiche inscritte nei trattati europei. Sin qui siamo d’accordo tutti. Ma come?

A suo dire è impossibile proporre una fuoriuscita concordata ed ordinata dall’euro, mediante meccanismi che preservino forme di cooperazione monetaria (ad esempio, un nuovo Sme, il sistema monetario europeo vigente prima dell’euro, o un euro del Nord e del Sud legati fra loro, come propone Stiglitz). L’argomento di questa impossibilità è peraltro bizzarro. Ci si aspetterebbe un argomento politico, legato alla irriducibilità dell’opinione pubblica tedesca nell’uscire da una moneta unica disegnata per diffondere il proprio modello economico in tutta Europa. L’argomento invece è economico. Non appena si diffondesse la percezione di un negoziato per un meccanismo di fuoriuscita ordinata, i mercati farebbero affluire giganteschi investimenti cautelativi in titoli del debito pubblico tedesco, abbandonando gli altri Stati membri. Per usare le parole di Varoufakis, “nel momento in cui diventasse noto che, che un ‘divorzio’ fosse oggetto di discussione, una valanga di denaro abbandonerebbe le banche dei Paesi destinati alla svalutazione, in direzione di Francoforte. A questo punto, le banche degli Stati membri in deficit collasserebbero”. D’altra parte, l’imposizione di rigide misure di controllo nazionale dei capitali provocherebbe la disintegrazione del mercato comune, oltre che dell’eurozona, ed a ruota l’eliminazione delle residue libertà di movimento di Schengen, riportandoci ai biechi nazionalismi autarchici novecenteschi.

 Pertanto, sempre seguendo il Nostro, siamo intrappolati dentro una gabbia senza via d’uscita. E dobbiamo fare di necessità virtù. Tramite una sorta di disobbedienza civile, possibilmente comune a più Paesi, varare leggi di stabilità in palese contrasto con i Trattati, imperniate sul deficit spending. Siccome ovviamente la Germania e i suoi satelliti reagirebbero con le varie misure previste dai trattati stessi (imposizione di multe pari ad una quota di Pil del Paese deviante, strette monetarie che soffocano il suo sistema bancario, congelamento del trasferimento dei fondi strutturali), accanto alla disobbedienza, occorrerebbe prevedere un piano di “deterrenza”, che scoraggi l’adozione di tali sanzioni. Da cosa sia composto questo piano non è dato sapere, sembra di capire che risieda nell’adozione di forme di moneta elettronica inizialmente denominata in euro, da fare circolare nel caso di strette monetarie da parte della Bce. Una cosa che, a dire di Varoufakis, avrebbe iniziato a preparare quando era Ministro, e che non poté attuare perché Tsipras glielo avrebbe proibito.

Il combinato disposto e coordinato a livello di diversi Piigs di disobbedienza e deterrenza, sarebbe sufficiente a piegare la Trojka, facendole accettare cambiamenti di direzione in senso espansivo delle politiche di bilancio. Però il Nostro è anche prudente. Non è che accantoni del tutto (et pour raison, come vedremo) l’ipotesi che tutto vada a carte quarantotto e si debba uscire dall’euro. Quindi occorre un terzo piano, il piano X, per l’uscita il più possibile ordinata dall’euro.

 

Perché la proposta di Diem25 non funziona

Questo il succo del suo pensiero. Che a giudizio del sottoscritto non funziona già a partire dalla premessa. L’ipotesi che vi sarebbe una fuga di capitali verso la Germania, non appena si iniziasse a pensare ad una soluzione concordata di fuoriuscita dall’euro, è puramente ipotetica e discutibile. Come del resto si sono rivelati puramente ipotetici i ragionamenti sulle fughe di capitali dalla Gran Bretagna dopo la Brexit: l’andamento della Borsa di Londra segnala che sta avvenendo esattamente il contrario! Proprio perché l’uscita sarebbe concordata, e prevederebbe il mantenimento di meccanismi di cooperazione monetaria, bancaria e finanziaria fra gli Stati membri, non c’è alcuna ragione per la quale i capitali dovrebbero fuggire dall’Italia o dalla Spagna in direzione di germaniche sponde. Se dopo l’euro si dovesse ragionare su un meccanismo di stabilità concordata dei tassi di cambio, gli investitori non dovrebbero temere effetti svalutativi. Se si tornasse verso un meccanismo simile all’euro, i tassi di cambio potrebbero oscillare solo entro un margine prestabilito. Il rischio di attacchi speculativi sulle parità centrali come quello del 1992, derivante essenzialmente da rilevanti differenziali nazionali nel tasso di inflazione, non esiste in una situazione come quella attuale, dove i tassi di inflazione nazionali sono tutti allineati asintoticamente attorno allo zero.  Eventuali controlli temporanei ai movimenti di capitale nella fase di transizione non comporterebbero alcun “tracollo del mercato comune”, come dimostrail fatto che Grecia e Cipro siano stati sottoposti a tali controlli, e la Ue continui tranquillamente ad esistere. E incidentalmente sarebbe anche il caso che da sinistra si iniziasse a rimettere in discussione il paradigma della libertà assoluta di movimento dei capitali, che è la base del dumping sociale a danno dei ceti popolari, che in teoria si dovrebbero rappresentare.

Piuttosto, rimanendo in tema di movimento dei capitali, ciò di cui ci si dovrebbe preoccupare è il deflusso di capitali dall’area-euro nel suo insieme che, dopo un miglioramento nel saldo fra ingressi ed uscite culminato nel 2013 con un risultato positivo, torna ad essere pesantemente negativo nel 2014-2015, quando la crisi europea inizia a manifestare i sintomi di una deflazione permanente. Ciò segnala come gli investitori ritirino i loro capitali da un’area economica caratterizzata da persistente crisi di domanda. Altro che funzione dell’euro di moneta di attrazione di investimenti! Con il tanto amato euro ci stiamo svuotando di investimenti. 

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