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dinamopress

Magari non vincerà

di Augusto Illuminati

Renzi, come Berlusconi, è bravo a vincere, non a governare . Meno spaccone del Cav negli annunci (ma sta migliorando), un filo più efficiente nel gestire, grazie agli avanzi del Pd. Durerà meno, si spera

L’impari confronto televisivo Renzi-Zagrebelsky (ma chi è “la mente” dei Comitati per il NO?) ha avuto il merito di mostrarci un Renzi impacciato nei confronti con arbitro e di farci meglio capire la sua strategia egemonica, quindi di suggerirne una contro-egemonica altrettanto spregiudicata.

Renzi adotta in pieno una logica populista, per cui si serve del referendum quale significante vuoto e contingente per tracciare una linea di divisione immaginaria fra il suo “popolo” plaudente e ansioso di cambiamento e un presunto nemico, impantanato nella conservazione dei privilegi di casta. Si fabbrica un popolo e un nemico nello stesso tempo.

Al significante vuoto si agganciano tutte le possibili catene di equivalenze, per rastrellare e comporre le domande. Annunci, perché non ci sono le risorse per finanziarle e perché devono restare inevase, intercambiabili, segni casuali di una generica volontà di fare, di muoversi, senza ordine di priorità e senza predisposizione di strumenti attuativi. Fare, fare, fare a cazzo. Casa Italia per la prevenzione anti-sismica, Ponte sullo Stretto, Alta velocità e linee per pendolari, taglio delle tasse, revisione di Equitalia, semplificare, togliere vincoli, costruire. Più le mance, legge di stabilità ed Europa permettendo, intanto via con le promesse: 500 € per i giovani maggiorenni nel 2016 (ancora non si son visti) e nel 2017, 40 € ai pensionati al minimo, sconti per l’anticipo pensionistico ai disoccupati, briciole ai poverissimi, scouting per 500 “geni” nei licei, rinnovo di qualche contratto. Se non ci riuscirà, sarà colpa della mancata flessibilità e della cattiva Merkel. Tutte chiacchiere per nascondere il deficit e per evitare una scelta politico-economica contro il pareggio di bilancio e la gabbia neoliberale dell’austerità.

L’idea renziana di fondo – ripetiamo – è mobilitare l’immaginario intorno al “nuovo”, costruendo nel contempo il fantoccio del “vecchio” che vuole frapporre ostacoli: i gufi, la burocrazia nazionale e la tecnocrazia europea, il Senato, la “casta” (ahah). “Se voti NO non cambia nulla” è il corollario alle mirabolanti promesse dello spot pubblicitario, che visualizza le menzogne della formula referendaria, con tanto di denuncia dei costi della politica e delle poltrone pescate a piene mani dal populismo più becero. Prima o poi arriveranno la sicurezza e i loschi migranti di colore, come in una campagna del Fertility Day. Sono gli effetti collaterali della “semplificazione”.

Cosa opponiamo a questo disegno? Ovviamente non tanto le argomentazioni dei costituzionalisti, che a Renzi j’arrimbalzano, ma un paio di cose che – ce l’ha ha ricordato Zagrebelsky – stanno nella costituzione materiale e in come viene cambiata. Pensiamo, in primo luogo, al combinato disposto riforma-Italicum, dove (art. 8) si stabilisce che «i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica», beninteso senza pregiudizio delle prerogative del Presidente della Repubblica. Cioè, la Costituzione non viene qui modificata, ma si introduce un vincolo politico sul leader più votato, un premierato di fatto, senza i contrappesi che di regola vengono affiancati al presidenzialismo. Il culto del capo è il complemento dell’ideologia del vincere e dell’uso plebiscitario del referendum. Decisivo è creare un nemico e quindi creare e compattare il proprio popolo intorno a un capo, senza fare prigionieri. Si preparano così le condizioni per un difficile futuro governo, che invece richiede mediazioni, compromessi, concertazione di interessi, formazione di élites diffuse e non di leadership ultra-personalizzate, pluralismo e partecipazione. La leggerezza con cui si prepara una legge elettorale ancora indeterminata, buona soltanto per tacitare la masochista “sinistra” Pd e per arginare il M5s (ma a volta i piani più astuti falliscono), dopo che sul nefando Italicum era stata posta addirittura la fiducia, la dice lunga sull’opportunismo sconsiderato di Renzi.

Governare, insomma, vuol dire gestire una costituzione materiale, senza illudersi che una semplice modifica delle regole formali possa ridurre la complessità e produrre stabilità (il secondo corretto rilievo di Zagrebelsky). È facile truccare un moto plebiscitario e vincere, molto più difficile farci qualcosa. In un sistema sociale ingarbugliato ed elettoralmente tripolare è una chimera semplificare con un ballottaggio e autoproclamandosi “il futuro”. Tanto che il cinico Napolitano parla già di una prospettiva di governi di coalizione, di tornare dal fallimentare “giglio magico” a una sperimentata oligarchia centrista. Concime per il raccolto pentastellato.

Ma il punto è che non vogliamo arrivare a constatare il marasma dopo la vittoria del SI’, vogliamo che prevalga il NO e che questo sconcio disegno populista abortisca sul nascere. Renzi va attaccato per l’inaffidabilità di fondo, per il fallimento delle sue “riforme” (dal #JobsAct alla #Buonascuola allo #SbloccaItalia), l’inconcludenza della sua improvvisata politica europea, la resa al TTIP. Dobbiamo attaccarlo per il neoliberismo, la demolizione di università, scuola e ricerca, i tagli della spesa e il centralismo velleitario, non per la deriva autoritaria. Tre esempi ultimi: sponsorizzare il Ponte e negare che sia una priorità a giorni alterni, annunciare una revisione della legge elettorale (quella che «tutto il mondo ci invidia») formulata dal Pd e dichiarare, subito dopo, che si aspettano proposte altrui, ammettere di aver sbagliato a drammatizzare e personalizzare e sbottare che in due mesi ci stiamo giocando i venti anni prossimi…

Vogliamo mobilitare le piazze, non (solo) i dibattiti accademici e i confronti mediatici, dare voce alla povertà vecchia e nuova oltre che ai garantiti, strutturare un altro popolo che non sia un pubblico da studio televisivo o un’orda online di cittadini legalitari. Dev’essere un NO sociale e costituente, non un semplice processo di mantenimento della Costituzione vigente. Rigettare la semplificazione e lo svuotamento istituzionale significa costruire la complessità di una domanda sociale più ricca e aggressiva, far giocare la pluralità dei luoghi e delle singolarità contro il mito dell’Uno e del Capo. Un finto capo, visto che a tirare i fili sono il burattinaio evergreen Napolitano e la banca JP Morgan, avanguardia dell’odio contro la democrazie e le costituzioni kelseniane post-belliche.

Se non ci riusciamo, rischiamo un futuro nero per tutti, perché perfino un’auspicabile sconfitta referendaria di Renzi non ci darà un'alternativa di sinistra o dal basso.

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