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Per la democrazia la forma non è la sostanza

di Pierluigi Fagan

Parliamo di democrazia, urtati dal dibattito Scalfari-Zagrebelsky. Il punto è questo: l’intera tradizione della filosofia politica occidentale, muove il pensiero intorno alle forme della decisione politica. Uno, Pochi, Molti ovvero la nota tripartizione di cui esistono forme “positive” e forme “negative”. Inoltre, c’è la constatazione di ciò che è ed è sempre o quasi sempre, stato, quasi che lo stato di fatto fosse anche ciò che dovrebbe essere. Le forme del potere della decisione politica però sono solo il riflesso dello stato della distribuzione della capacità di decisione politica. E’ quindi tautologia dire che siccome sono Pochi coloro che sono in grado di prendere la decisione politica sul bene comune, allora l’unica forma di decisione politica concepibile è che siano i Pochi a decidere il bene comune. Per giungere a tale determinazione, non è necessario smuovere l’intelletto, né la filosofia, basta un cultore della tradizione, un semplice conservatore, un sacerdote del “così è stato e sempre così sarà” che officia il rito di ubbidienza alle presunte leggi ferree della società umana.

Aristotele, non in Politica ma in Metafisica, affronta (insuperato) il problema della sostanza, la sostanza è “composto di materia e forma”. Noi, a proposito del dibattito tra Pochi e Molti (oligarchia – democrazia) parliamo solo della forma, dov’è la materia? La democrazia, la forma, non anticipa la materia, la democrazia si adagia sulla materia che trova. Se in qualsivoglia gruppo umano, le informazioni, le conoscenze, le capacità di espressione, sono assortite in maniera asimmetrica, quel gruppo umano prenderà una forma della decisione comune in modo asimmetrico.

Per avere democrazia non si può prendere una materia asimmetrica ed apporgli per decreto una forma simmetrica, il risultato sarà comunque asimmetrico per la gioia del sacerdote della ferrea legge. Per avere democrazia bisogna agire sulla materia.

Agire sulla materia significa distribuire informazione, conoscenza, capacità di espressione e di ragionamento. Atene classica aveva il teatro pubblico, Euripide ti emozionava, Aristofane ti faceva ridere amaro, discussioni continue per strada, voltavi l’angolo e ti ritrovavi Socrate che ti faceva scomode domande, i sofisti insegnavano a tutti (quasi) i trucchi dialettici, ci si vedeva una volta a settimana sulla Pnice a discutere tutto il giorno, ognuno aveva l’onere di entrare in contatto con qualche funzione pubblica e “sapeva” in cosa consisteva il bene comune anche perché controllato da tutti coloro con cui condivideva l’in comune. Purtroppo anche molti difensori teorici della democrazia, dimenticano che il democratico non ha traguardo nel discutere del potere con il potere ma con quel popolo che il potere lo subisce.

Il democratico dovrebbe sentirsi solo un funzionario dei Molti che ha per fine, l’emancipazione dei Molti, aiutare le persone a servirsi del proprio intelletto Purtroppo questo non produce fama, notorietà, cattedre, visibilità mediatica, “riconoscimento” da parte di quella società asimmetrica sempre pronta ad acclamare passivamente il suo oligarca intellettuale. La contraddizione dell’intellettuale democratico è questa, diventare uno dei Pochi che, celebrando i Molti, perpetua l’asimmetria.

Per uscire dalla contraddizione, l’intellettuale democratico dovrebbe rivolgersi ai Molti, parlando in modo comprensibile, offrendo conoscenza e sapere a tutti, scrivere per fonti di informazione o commento indipendenti (che cioè non siano in conflitto d’interessi con le oligarchie), partecipare a forme di scuola (sarebbe preferibile un altro termine poiché sarebbe preferibile una altro tipo di istituzione di scambio del sapere ma usiamo quello che c’è) orizzontali e popolari. Nella decisione in comune, la prima forma di uguaglianza a cui aspirare è l’uguaglianza informativa, conoscitiva, interpretativa e dialettica per disputarsi l’opinione. Sapere del bene comune, come ammoniva Rousseau, non è sommare i punti di vista del bene individuale ma condividere il sapere generale che riguarda il sistema di cui si è parte. Una qualche forma di democratici deve pre-esistere alla democrazia propriamente detta altrimenti la forma non incontra nessuna materia e com’è ovvio, poiché la forma non può creare la materia, rimane “formale” ovvero proprio il tipo di democrazia che abbiamo in Occidente da qualche decennio.

Come diceva l’elitista ex socialdemocratico poi fascista, Robert Michels: “le correnti democratiche nella storia sono come il battito continuo delle onde: si infrangono sempre contro uno scoglio, ma vengono incessantemente sostituite da altre”. E’ il senso profondo della giustizia umana che alimenta quelle onde. Il fatto che nelle poche migliaia di anni delle società complesse le onde non abbiano infranto lo scoglio non vuol dire che così sempre sarà. Come ben sanno coloro che vivono in riva al mare, nel lungo tempo è il moto dell’acqua a sagomare la costa, fino a che la materia non incontra la sua forma e riposa in pace, nella raggiunta sostanza.

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