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La cura dell'umano

di Paolo Bartolini

Invito alla lettura di "Carl Gustav Jung. L'opera al rosso" (Feltrinelli, 2016) di Romano Màdera

Esce in questi giorni in libreria un volume interamente dedicato alla figura e al pensiero di Carl Gustav Jung. Il libro, intitolato appunto Carl Gustav Jung. L'opera al rosso, viene pubblicato nella collana Feltrinelli "Gli eredi" diretta da Massimo Recalcati. Il confronto con il padre simbolico è qui sostenuto dal filosofo e psicoanalista Romano Màdera (già autore nel 1998 di un altro studio monografico dedicato al maestro di Zurigo e ideatore di una terapia dell'esistenza che rinnova e trasfigura i contributi della psicoanalisi e delle pratiche filosofiche: l'analisi biografica a orientamento filosofico).

Questo lavoro illustra alcuni dei concetti chiave del pensiero junghiano - individuazione, simbolo, archetipi, tipi psicologici. - senza pretendere di offrire un quadro "oggettivo" delle innovazioni introdotte da Jung nella cultura e nelle clinica del Novecento. Màdera preferisce sondare il nesso che lega strettamente biografia e teoria, partendo dal lascito più misterioso e inquietante dello psichiatra zurighese, quel "Libro Rosso" che raccoglie visioni, pensieri e turbamenti emersi a ridosso della rottura con Sigmund Freud e nell'imminenza della Prima Guerra mondiale.

Con audacia Màdera ci offre una lettura di Jung che definiremmo "sapienziale", rendendo possibile - come già era stato per lo stesso Jung nei confronti del padre pastore, del padre della psicoanalisi Freud e del modello intellettuale Nietzsche - un superamento dialettico capace di conservare l'eredità ricevuta trasformandola e portandola a compimento. La tensione junghiana verso l'uomo indiviso, risultato mai scontato di una composizione progressiva dei conflitti e delle scissioni implicati nella sua originaria scindibilità psichica, ha preso la forma, nel tragitto esistenziale, teorico e professionale di Màdera, di un viaggio mitobiografico sviluppato al crocevia tra filosofia, psicologia del profondo, politica e spiritualità. La cura di Sé che l'autore propone è, in quest'ottica, una ripresa dell'eredità junghiana finalmente consapevole delle coordinate storiche tracciate dal capitalismo globale e capace di lasciarsi alle spalle tanto l'atomismo epistemologico della psicoanalisi classica quanto il distacco scientifico dalle vicende sociali e politiche del proprio tempo.

Leggendo i sette capitoli del libro ("Vietato imitare", "Critica dei padri e crisi del patriarcato", "La fine dell'eroe e il sacrificio dell'io", "L'ombra, la guerra, il capro espiatorio", "Dio è morto? Risposta a Nietzsche", "Clinica dell'individuazione", "Psicologia storico-biografica, filosofia come stile di vita e spiritualità laica") assistiamo non al riguardoso omaggio a un genio indiscusso dell'ultimo secolo ma a un confronto serrato, pieno di rispetto e quindi di sincerità, con chi ha intravisto, senza poterlo seguire fino in fondo, il crollo delle certezze moderne e il palesarsi di un'era di confusione collettiva e individuale senza precedenti. Il dialogo tra Màdera e Jung sprigiona dunque prospettive nuove che ci consentono di interrogare la nostra epoca segnata dalla coazione a ripetere dell'accumulazione economica "immaginando altrimenti" il futuro. Non si darà infatti alcuna trasformazione profonda della realtà condivisa senza una carica utopica capace di generare, nel medio e lungo periodo, una rivoluzione d'anima che sia culturale e soggettiva insieme.

Per concludere questo invito alla lettura del libro di Romano Màdera lascio volentieri la parola all'autore:

I processi sociali di atomizzazione e, al tempo stesso, i possibili processi di individuazione, generano i "tanti dèi" che, in un certo senso, erano stati previsti da Weber, e ai quali Hillman ha dato voce nella sua psicologia. Ma questo è solo un dato di fatto, un fenomeno che riflette, nella psiche e nei valori sociali, il regno effettuale del dio-capitale e dell'egotismo di massa, cioè della figura, adombrata senza poter essere vista, del Caos come supremo organizzatore-distruttore della interconnessione globale. Clinicamente ciò significa che ognuno ha il suo dio, alcuni lo sanno, altri ne sono servi inconsapevoli. Il dio unico è la risultante caotica che domina, come meccanismo inconsapevole e incontrollato, tutti gli agenti - in realtà "maschere di carattere", come le chiamava Marx, di un copione che credono proprio, ma non lo è, perché l'autore è il Nessuno formato dal cozzo atomistico di tutti. Uno dei compiti centrali, se non il compito fondamentale, di ogni cura dell'umano è quello di mettere a confronto cosciente il proprio dio e la propria esperienza, di interrogare assiduamente e senza sconti questa relazione, di vivere lo scontro e l'incontro del senso e dei suoi controsensi, per saggiare l'eventuale nascita di un senso superiore, capace di sostenere le richieste dell'esistenza (pp. 131-132).

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