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 linterferenza

I mercanti in fiera

Riccardo Achilli

Si disvela il giochino elettorale del Governo Renzi. Un giochino vecchio come il mondo. Si presenta una bozza di Ddl di stabilità piena di regali a tutte le categorie sociali: pensionati, dipendenti pubblici, disoccupati, imprese, famiglie. Una strategia totalmente insostenibile, dal momento che occorre ridurre dal 2,4% al 2,3% il rapporto deficit/PIL, in modo oltretutto unilaterale, perché, tramite la nota di aggiornamento al Def che diventa carta straccia, ci si era impegnati a far scendere tale quoziente fino al 2%. Un 2%, peraltro, che era già uno strappo alle regole europee, perché consentiva di spostare il pareggio strutturale di bilancio a dopo il 2019 (ed infatti ad Aprile scorso l’accordo con la Commissione, sancito dal Def, era di un rapporto dell’1,8%). Evidentemente, il governo basa l’intero impianto di questa manovra discutibile su una speranza di incremento del Pil superiore a ciò che oggi è dato osservare, e sulla benevolenza della Commissione Europea in termini di flessibilità per eventi straordinari (terremoto) e riforme. Flessibilità concessa, in realtà, per paura che una caduta referendaria del Governo Renzi apra ad una vittoria dei 5 Stelle.

Ma c’è un ma. Se le coperture possono essere garantite, la Commissione non vuole, e non può, aprire ad un deficit/PIL sostanzialmente identico a quello del 2016. Moscovici qualche giorno fa è stato chiaro su questo punto: “i numeri del Governo italiano non sono quelli che abbiamo in mente (…)ci sono comunque delle regole che vanno rispettate da tutti, affinché restino credibili. Vogliamo il pieno rispetto del Patto di stabilità”. Soprattutto visto che Francia e Germania entrano nella fase preelettorale, e sarebbe difficile per Hollande giustificare ai propri cittadini le misure di austerità, se l’Italia dovesse di fatto uscire dal patto di stabilità, così come per la Merkel giustificare concessioni agli italiani spendaccioni. Che creerebbero ovviamente un effetto-domino anche in Grecia, in Portogallo, ecc.

Non si vede quindi come la Commissione possa approvare in toto un simile ddl di stabilità, che è di fatto, la negazione completa del patto di stabilità. Il quadro macroeconomico programmatico sul quale poggia l’intera manovra è  farlocco, perché presuppone una crescita del PIL dell’1% nel 2017, contro tutte quante le stime di tutti gli istituti. Manca completamente una descrizione delle coperture per tutte le misure di taglio fiscale e di incremento della spesa pubblica contenute nello schema di provvedimento, atteso che dalla spending review ci si aspettano solo 3,3 miliardi, dalla centrale unica di committenza ne arriveranno 1,2, altri 1,6 arriveranno da una misteriosa riorganizzazione dei Fondi, e 6 miliardi dovrebbero arrivare da misure fiscali. 12,1 miliardi a fronte di circa 25 miliardi di nuovi interventi di maggiore spesa  o minore entrata. Senza contare i 15 miliardi necessari per disattivare le clausole di salvaguardia (aumento dell’Iva, ecc.).

Cosa succederà? Un giochino delle parti fra Bruxelles e Roma. La Commissione offrirà le coperture che mancano, tramite la flessibilità, ad alcune (ma ovviamente non tutte) le misure in deficit contenute nel ddl di stabilità, ma in cambio chiederà una maggiore riduzione del rapporto deficit/PIL, verso quel 2% previsto dalle nota di aggiornamento del Def. Di conseguenza, e con il beneplacito di Bruxelles, il Governo Renzi avvierà una ammuina infinita a beneficio degli elettori interni ed in vista del referendum, accreditandosi come l’amico degli italiani che vuole fare sviluppo contro i cattivi eurocrati dell’austerità (il messaggio che passerà sarà “fatemi rimanere in sella, che io sono il vostro difensore”). Una versione fiorentina del chiagni e fotti, che si tradurrà in un tira-e-molla fra Roma e Bruxelles su ogni singolo provvedimento in deficit contenuto nello schema di legge di stabilità, e che durerà fino a 5 Dicembre, cioè fino allo svolgimento del referendum costituzionale, in modo da mantenere negli elettori la speranza che le regalie promesse saranno effettivamente erogate.

Cinque minuti dopo la chiusura delle urne del referendum, quasi tutti gli specchietti per i gonzi fatti brillare davanti agli occhi degli italiani saranno prontamente fatti sparire, ed uscirà una manovra di stabilità sostanzialmente recessiva, secondo gli standard del patto di stabilità, totalmente diversa da quella presentata oggi.

Occorre dire agli italiani che questa manovra non è una cosa seria, che mancano le coperture, che è basata su un quadro macroeconomico taroccato, che la Commissione, alla fine, non la farà passare, e che alla fine, superato il giorno del referendum, si trasformerà in una nuova manovra recessiva, come quelle degli anni passati. Che simili manovre sono degli inganni di breve durata, e che con una eventuale vittoria del Sì al referendum un Governo più forte rispetto al controllo parlamentare potrebbe più facilmente produrre tali provvedimenti farlocchi ed elettoralistici, senza sanzione politica.

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