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manifesto

Un continente prigioniero nella soffocante gabbia dell’austerità

Benedetto Vecchi

Un volume di Pierre Dardot e Christian Laval sull’oligarchia politica europea

È un libro nato su un’emergenza politica, quella dovuta alla crisi dell’assetto istituzionale dell’Unione europa e dall’impossibilità di un ritorno alla sovranità nazionale come argine alle politiche di austerità. Pierre Dardot e Christian Laval vedono in questa crisi il sintomo di una strisciante Guerra alla democrazia, come recita il titolo di questo saggio – da oggi in libreria per DeriveApprodi (pp. 140, euro 15) – che può essere letto come appendice indispensabile alle tesi che i due filosofi francesi hanno sviluppato ne La nuova ragione del mondo e in Del comune, entrambi pubblicati da Deriveapprodi. In quei testi, Dardot e Laval mettevano al centro della loro riflessione l’emergere di una nuova forma delle relazioni sociali incardinate nella figura dell’individuo proprietario e in un rinnovato ruolo dello Stato nell’esercitare una governance sugli stili di vita contemporanei.

SAGGI AMBIZIOSI, dunque, che muovevano dalla convinzione che lo Stato più che dissolto dallo spirito del tempo, cambiava il suo ruolo attraverso un doppio movimento politico e istituzionale. Cedeva parte della sua sovranità a organismi internazionali, ma veniva legittimato da questi ultimi in quanto entità politica preposta al rispetto di compatibilità economiche e sociali definite in un altrove da quello dei parlamenti nazionali. Ciò non significava che lo stato nazionale non avesse una relativa autonomia nell’esercitare il potere su un dato territorio, ma che la sua fosse una sovranità di secondo grado rispetto quella sovranazionale, mentre veniva meno l’equilibrio – the balance of power per gli anglosassoni – tra potere legislativo, potere giudiziario e potere esecutivo che ha caratterizzato il Politico nella modernità. Nel neoliberismo il potere legislativo perde terreno (la crisi della democrazia rappresentativa ne è il simbolo più evidente), mentre il potere esecutivo e giudiziario ne acquistano, chiamati entrambi a garantire stabilità, non senza conflitti tra essi, e rispetto dei diktat delle politiche di austerità.

DARDOT E LAVAL si muovevano cioè in quella terra di mezzo rappresentata dalla biopolitica e dalla trasformazione del modo di produzione capitalistico velocemente liquidata dalla sinistra politica, divisa tra una nostalgia per le politiche keynesiane novecentesche e la subalternità dal dogma neoliberista del mercato come regolatore ottimale dei rapporti sociali.

La crisi del 2008 è stata salutata da molti studiosi, compagni di strada nella critica alle crescenti disuguaglianze sociali (Thomas Piketty e Jospeh Stiglitz), come inizio della fine del neoliberismo e dell’apertura di nuovi spazi politici per una inversione di tendenza non solo a livello locale, ma anche globale. In questo saggio Dardot e Laval contestano però tale tesi. Per i due filosofi francesi il neoliberismo si è radicalizzato e al tempo stesso rafforzato.

LE POLITICHE DI AUSTERITÀ è ormai mantra e dogma di ogni intervento sovranzionale e locale. Il pareggio di bilancio è stato imposto a livello europeo anche nelle costituzioni nazionali, mentre ad altre latitudini ci pensano organismi internazionali come il claudicante Wto, il sempreverde Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.

Quello che però Dardot e Laval hanno come obiettivo è di vedere come si manifesta la guerra alla democrazia. Con un parallelismo implicito viene evocata quel passaggio, quell’osmosi tra democrazia e oligarchia messi a fuoco secoli fa da Aristotele nella Politica.

Come è noto, Aristotele scrisse della trasformazione dal governo dei molti al governo dei pochi come deviazione, degrado della democrazia. Nel neoliberismo l’oligarchia, oltre a mantenere inalterati i rapporti di potere tra le classi, è la forma indispensabile per gestire l’emergenza sociale – aumento della povertà, ma anche aumento della diffusa e frammentaria conflittualità sociale, che assume spesso le forme di una guerra civile molecolare, usando qui la formula del poeta e intellettuale tedesco Hans Magnus Enzesberger per indicare la crescita di questa microconflittualità spesso violenta – che caratterizza il capitalismo contemporaneo. Non c’è però nessun invito a seguire sentieri che conducono nel nulla (l’evocazione al limite del reazionario della figura del popolo), ma di avventurarsi nel terreno inesplorato dell’immaginare forme inedite di democrazia radicale che abbiano al centro la riappropriazione di quel comune già espropriato dal capitale.

GUERRA ALLA DEMOCRAZIA si concentra ovviamente sull’Europa, le sue convulsioni e i suoi punti di crisi. L’umiliazione della Grecia, l’imposizione dell’austerità, l’incapacità di svolgere un ruolo rilevante negli equilibri di potere a livello globale, la guerra ai migranti con l’innalzamento di nuovo muri e frontiere per scongiurare una immaginaria invasione culturale islamica. E soprattutto la «guerra» contro il lavoro vivo, che ha nello smantellamento dei diritti sociali di cittadinanza l’ambìto trofeo del corporate power, come testimoniano la loi du travail francese, l’italiano Jobs Act, il famigerato Hartz IV tedesco e quella micidiale trappola burocratica del workfare messa su schermo da Ken Loach nel magistrale Io Daniel Blake.

UN SAGGIO PARTIGIANO dunque, questo di Dardot e Laval, da usare come antidoto a chi invoca populismi tinteggiati di rosso per «sovvertire la società del capitale». Meglio infatti inoltrarsi nel terreno della sperimentazione politica e sociale invece che indicare nel livore e nel risentimento di un indistinto esercito di ceto medio impoverito il punto di rottura del Beemoth neoliberista. Sarà una lunga marcia, certo, ma preferibile a scorciatoie che si rivelano solo vicoli ciechi della prassi teorica e politica

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