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coordinamenta

Lo stesso vento

di Elisabetta Teghil

La nostra storia e le sue derive. Di questo dovremmo parlare. Di fronte alla barbarie delle invocazioni di aiuto alle Istituzioni e alle sue articolazioni, il discorso di “Nonunadimeno” si presenta come totalmente altro rispetto alla stagione dei nostri sogni.

Un’iniziativa che tende ad annullare la possibilità che le donne, con il conflitto e la ribellione, non si pieghino rassegnate al dominio della società neoliberista e alla vittoria della merce. E’ la negazione della responsabilità della società attraverso le sue stesse istituzioni a partire dalla dissipazione della libertà e dell’esistenza degli individui che si va compiendo nella curva estrema di questo momento storico.

Chiamando fuori da ogni responsabilità il dominio nelle sue articolazioni, dato che si omette di nominare chi permette la materializzazione del dominio stesso, omissione che non è casuale visto che sono gli stessi che la manifestazione si propone di “sensibilizzare”, viene portata avanti una denuncia tanto generica quanto fuorviante e una modalità, invece, di sostanziale complicità,  mostrando al potere assoggettamento e facendo professione di abiura e di pentimento dei valori che hanno connotato le lotte femministe degli anni ’70.

Si dimentica che lo Stato possiede il monopolio della violenza,  la esercita attraverso la forza e la considera legittima.

Ci si può rivolgere allo Stato, quindi, per chiedere aiuto, solo e se si ritiene che tutto ciò sia legittimo e si trascina così il femminismo ad un ruolo addomesticato ed ancillare. In cambio lo Stato offre una semilibertà controllata dagli ortopedici dell’anima, psicologi/ghe, assistenti sociali, psichiatri/e, poliziotti “buoni” e poliziotte “buone” che a questo sono addetti/e e disponibili. Questa operazione è presentata come frutto di un “sano realismo” e comunque del fare i conti con la realtà.

Tutto ciò non è altro che interesse di parte che della falsa coscienza è il crepuscolo nell’indifferenza dell’avvilimento, della miseria, della disperazione in cui vengono gettate le donne tutte e in una lettura ottusamente ottimistica della controparte per cui solo e soltanto in un incontro con la stessa si può essere felici, mentre è solamente un abbraccio mortale. E pertanto tutto si risolve nel rifiuto opportunistico di ogni responsabilità sia pure nella divisione dei compiti. In questa stagione non c’è più contratto sociale possibile, questo è stato unilateralmente troncato dal potere.

Dobbiamo smascherare le radici sociali e politiche del patriarcato e della violenza su di noi. Le soluzioni altre non rimuovono cause ed effetti ma ci condannano alla solitudine, all’angoscia, all’isolamento. Una sorta di coazione all’ordine tanto ossessiva quanto incauta. E’ il trionfo del sistema. Il femminismo va rinchiuso nel recinto del dominio, quello che definisce e impone le regole del gioco della vita. E contemporaneamente esclude dal circuito della vita politica per quanto possibile chi a quell’ordine non si rassegna e da quelle regole dissente. L’unico orientamento è per loro la democrazia “partecipata” e il pensiero scientifico, naturalmente interpretato e officiato dalle esperte/i, è l’enciclica Urbi et Orbi che sancisce la fine delle “ideologie” e che diventa la loro propria ideologia. E’ il compiersi della sussunzione reale del femminismo al capitale nella sua totalità. Una rinnovata e piccola metafisica le cui officianti sono le Patriarche.

La liturgia è la fine di ogni possibilità di lotta, di liberazione, di libertà, di trasgressione, di invenzione perché tutto questo è già avvenuto, basta qualche piccolo ritocco qua e là con il concorso delle Istituzioni…un po’ di linguaggio al di sopra delle righe…qualche concessione alle “diversità”…qualche trasgressione sessuale… Questo è ormai il migliore dei mondi possibili e il suo orizzonte è insormontabile, ancora un piccolo sforzo! E’ l’abbandono senza rimorsi del femminismo. Noi siamo altro. Dobbiamo individuare e coltivare i punti di fuga da questa società anche quando si manifesta con iniziative femminili che a questa società concorrono, recuperare il tempo e i sogni senza perdersi nell’ottusa stagione del realismo. E questo si realizza nella dimensione molecolare di negazione del dominio e nella critica dell’attuale oscurantismo che si manifesta nelle forme attuali del potere. Pertanto resistenza e produzione di soggettività e di solidarietà. Ancora una volta i problemi decisivi sono quelli della libertà e dell’esistenza e della qualità della vita di tutte e tutti noi. Problemi che non vogliamo eludere. Ancora sempre e di nuovo c’è chi drizza il capo e dice no e affida la sua vita alla sua capacità di inventarla insieme con le altre. Nulla è scontato né dato una volta per tutte, ancora sempre e di nuovo è in questione il senso di quello che è e di quello che siamo. E’ lo stesso vento, quello del femminismo materialista, che ci spinge altrove, in altre direzioni, per proporsi come alternativa al cinismo, al politicamente corretto, al vittimismo.

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