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Considerazioni semiserie sull'endorsement del mondo dell'arte al Sì referendario

Oltre la governamentalità, contro il populismo reazionario

di Sale Docks

Come S.a.L.E Docks abbiamo deciso di fornire alcuni pareri (non richiesti) in merito a questo articolo, apparso su Art Tribune, in cui 24 protagonisti del mondo dell'arte si schierano per il sì al referendum.

Per i fan della par condicio c'è anche un articolo meno entusiasta che aggrega i contrari ed indecisi, giusto per regalare al NO un accenno di ignavia.

Prima considerazione. Abbasso il bicameralismo perfetto!

Intanto abbiamo capito che per un campione significativo di giovani operatori e meno giovani notabili del mondo dell'arte italiano, il bicameralismo perfetto era proprio un cazzo di problema che era ora che qualcuno la facesse finita. Critici, artisti, editori, collezionisti e curatori, non arrivano a citare Pietro Ingrao e la sua proposta di abolizione del senato in nome della “democrazia di massa”, ma si capisce che 'sto tema lo sentono eccome e lo percepiscono dirimente per il presente del paese. E poco importa se la riforma costituzionale la fa un governo non eletto, se questo governo vuole il TAV e gratta il fondo del barile con il ponte sullo stretto e se il lavoro autonomo è tassato al 50% e se gli altri sono pagati a voucher o non affatto pagati. Anzi...

Seconda Considerazione: Sono liberali.

Non stupisce che molti di questi “protagonisti” votino sì. Cosa dovrebbe votare un liberale? O un orfano del centrodestra in cerca di autore? Nei loro musei, nelle loro università, nelle loro mostre, nei loro giornali, nelle loro biennali è tutto un dinamico fiorire di lavoro non retribuito, di stage, di voucher.

Terza considerazione: Ok, ma il populismo?

L'altro argomento ricorrente in favore del sì è la minaccia del populismo dietro l'angolo. Il tema è serio e le prospettive non sono certo rosee. Ma la carrellata di Art tribune è interessante perché mostra questi “protagonisti” non tanto nelle vesti dell'establishment, quanto in quelle del “popolo di Renzi”. Laclau ci ha insegnato a guardare al populismo come ad una strategia discorsiva che riempie un significante vuoto, il popolo, riportando così all'uno posizioni anche contrapposte. Se questo fosse uno spaccato esemplificativo del sistema arte in Italia (e non lo escludiamo), nell'unione di liberali e “sinistri” intorno al sì, si palesa l'equivoco di associare all'arte una capacità di immaginazione critica sul nostro tempo; retorica su cui tutti, prima o poi, inciampano. Lo sguardo è invece stanco, più realista del re, impaurito, piegato alle retoriche startuppiste della dinamicità, della velocità di esecuzione. Qual'è l'orizzonte oltre l'episodica provocazione dell'opera? La banalità dell'arte sarà argine al populismo?

Quarta considerazione oltre il referendum: Rompere con l'arte della governance equipaggiarsi contro il realismo populista di regime, prossimo venturo.

Sinistri o liberali, sono quasi tutti liberlas (nel senso anglosassone del termine) preoccupati dei diritti civili, cervelli in fuga, cosmopoliti, politicamente corretti. E' solo uno spaccato certo, ma da cui emana un'atmosfera familiare, un mix di tolleranza e conformismo, di community based art practices e soldi sporchi delle oligarchie globali, di art of failure in salsa queer e di competizione sfrenata per un posto al sole, di postcoloniale e neocolonialismo, di nomadismo di corpi e di immobilità sociale, ecc, ecc.

E' nella corsia dell'arte che la governamentalità si attarda a pavoneggiarsi, in attesa che lo spauracchio populista cambi le carte in tavola. Per governamentalità intendiamo la capacità di mobilitare, produrre e agitare differenziali di libertà, tenendoli però saldamente al guinzaglio, separando con estrema nonchalance la più grande libertà d'espressione dalla minima reale incidenza sociale.

Con questo dispositivo va prodotta rottura, senza illusioni, sapendo che l'egemonia è tutta del campo liberal-liberale e che lo spazio d'azione lasciato aperto dalla governamentalità (sebbene tuttora addomesticato), potrebbe restringersi con l'avanzare di un nuovo realismo populista.

Ah, nel frattempo noi votiamo NO, non tanto perchè abbiamo nella costituzione il nostro feticcio o perchè siamo fan del bicameralismo paritario. La riformucola può piacere o non piacere, come può piacere e non piacere che attorno ad essa si giochi una partita politica più ampia delle modifiche alla carta, ma è esattamente ciò che accade. Noi votiamo no perchè parte della nostra pratica artistica si sostanzia nel condividere pezzi di strada con i comitati territoriali e con i movimenti che, in tutta Italia, senza richiamarsi alle avanguardie storiche, si impegnano nella difficile opera di creare e praticare quotidianamente nuove forme di vita. Da questa prospettiva si vede con chiarezza che, volenti o nolenti, il voto al sì sarà un voto che verrà giocato come sostegno all'operato del governo, alle grandi opere (per la gioia della famosa casta), all'ulteriore precarizzazione del lavoro e così via.

Per questo saremo a Roma, domenica, al corteo C'è chi dice no. Consapevoli che il dopo referendum non sarà, in ogni caso, una passeggiata verso la rivoluzione. Ed è proprio per questo che ci pare importante iniziare ad affrontare il futuro a partire da spazi pubblici che tentino di spiazzare l'alternativa obbligata tra estremismo di centro e populismo reazionario.

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