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coordinamenta

“Ci stanno raccontando”

di Elisabetta Teghil

Ci stanno raccontando della fine delle classi sociali, ma le barriere tra queste sono fatte sempre della stessa materia…soldi, istruzione, famiglia, situazione professionale…e, invece di ridursi, tendono ad aumentare. L’unico elemento nuovo è l’iper borghesia o borghesia imperialista, comunque la si voglia chiamare, che si è organizzata come nuova aristocrazia e ha ridotto la restante borghesia a funzioni di servizio gettando il resto della popolazione nella precarietà, nella disoccupazione e dando ai lavoratori/trici soltanto la speranza di essere arruolati/e come nuovi servi/e. Tutto è accompagnato dal refrain della fine delle ideologie facendo un’opera di stravolgimento nella misura in cui la borghesia transnazionale, mentre esclude tutte le parole che finiscono in ismo, si presenta e si realizza come unica ideologia.

Questo è il quadro nuovo determinato dal neoliberismo che è sì il frutto dell’autoespansione del capitale ma che si pone con connotati diversi da quelli con cui si è manifestata questa autoespansione in passato e che è ora caratterizzata da una ridefinizione profonda dei rapporti di forza, presentata come crisi, che ha allargato a dismisura la platea dei poveri e le differenze sociali, perciò crisi scelta e voluta così come scelto e voluto è l’abbandono da parte del capitale di ogni politica keynesiana e la rottura del patto sociale.

Democrazia politica e democrazia sociale sono indissociabili. Tutto questo che esisteva in effetti solo a livello di racconto è venuto meno. Lo smantellamento del diritto del lavoro avanza inesorabile e paradossalmente il lavoro diventa un oggetto asociale, senza una regolamentazione collettiva rimossa nel nome di una presunta libertà personale. Oggi nella stagione della diffusione della robotizzazione del processo produttivo crolla la richiesta di forza lavoro. Pensare di recuperare non la piena occupazione ma almeno qualcosa di parziale è assolutamente impossibile ed è evidente che la lotta non può essere fatta contro i robot, con una forma attualizzata di luddismo, ma deve essere di natura immediatamente politica. Tanto più che si è approdati all’economia digitale che recupera l’idea di schiavitù e la ripropone sotto forma velata ma non meno dura e violenta.

Il neoliberismo è un’impostazione ideologica che si traduce anche nella dimensione economica per cui il lavoro è stato rimosso nella sua centralità, nella coscienza, nel pensiero, nell’immaginazione di tutti. Siamo tutti precari/e. E’ questo il destino che attende anche quelli che usufruiscono di una momentanea occupazione. Siamo tutti precari perché l’’impresa non è più un collettivo di lavoro, non è un luogo di lavoro, ma si rivolge a prestatori di servizi che utilizzano il tempo strettamente necessario per il servizio stesso. In questo quadro il rapporto con il lavoro va ridefinito, ferma restando la centralità della lettura marxista secondo cui è il lavoro che produce plusvalore ed è il capitalismo che lo espropria. Come leggere e vivere il lavoro in una società dove il capitale ne può fare sempre di più a meno utilizzando la tecnologia? E il tema del reddito di cittadinanza acquista un’importanza come non ha mai avuto in passato.  Evidentemente la risposta è solo nelle scelte politiche ed intorno a queste si devono organizzare le lotte per ridefinire i rapporti di forza.

E’ questa la ragione dell’aumento a dismisura di una pletora di così dette forze dell’ordine, in tutte le variegate accezioni, che si presenta ed è una compagine di novelli pretoriani a difesa del grumo di interessi dell’iper borghesia.

E’ evidente che il sistema, data una società articolata e complessa come quella attuale, non può reggersi rispetto ad una prevedibile conflittualità su una repressione continua seppure su larga scala come quella che sta mettendo in atto. Ha bisogno di ottenere un consenso il più largo e diffuso possibile. Perciò, questo quadro per tanti versi eccezionale richiede da parte del capitale multinazionale uno sforzo adeguato. Da qui la proliferazione dei Think Tank che, nati durante la guerra del Vietnam, sono stati perfezionati e a cui oggi si sono aggiunte organizzazioni non governative, blog, fondazioni, case editrici, cattedre universitarie con un’attenzione particolare all’utilizzo di un linguaggio di sinistra stravolgendone contenuti e significati, comunque tutti tesi a salvaguardare attraverso “dotte elucubrazioni” lo status quo. Una nota a parte riguarda i nicodemisti, questi non nuovi, che si distinguono per la capacità di non prendere mai posizione, di non affrontare mai le questioni sostanziali e di rifugiarsi nelle disquisizioni sul sesso degli angeli.

E così tutti questi ci stanno raccontando che le città ed i territori sono invasi dalle telecamere per la nostra sicurezza, che i navigatori satellitari sono necessari così non ci perderemo mai e saremo ritrovati in qualsiasi momento qualunque cosa ci accada, che i tornelli sui luoghi di lavoro servono a eliminare i “lavativi”, che la meritocrazia premia i migliori, che l’eliminazione del contante serve a combattere l’evasione fiscale, che comprare on line ci fa risparmiare tempo e fatica, che le pratiche via internet riducono la burocrazia, che non si può vivere e lavorare senza tablet e cellulari perché non saremmo abbastanza efficienti e connessi, che i bambini non devono più imparare a leggere, scrivere e fare di conto ma ad usare le nuove tecnologie, che i militari nelle metropolitane ci tutelano contro il terrorismo…mentre l’obiettivo è controllarci 24 ore su 24, entrare perfino nei nostri pensieri.

E così, in questo contesto, hanno alzato l’asticella. Ci vorrebbero raccontare che è necessario un organismo “indipendente” di tutela e di controllo della rete internet. Nella stagione delle “bufale”, delle false notizie, della manipolazione della verità, gli stessi che le promuovono e le diffondono si vorrebbero arrogare il diritto di decidere quali siano le notizie vere e quelle false in modo che abbiano corso solo quelle da loro prodotte che, senza tanti giri di parole, sono quelle della televisione di Stato e dei principali quotidiani nazionali. Non basta loro controllarci in ogni momento della vita nei modi più svariati, devono anche impartirci in esclusiva le direttive per i nostri percorsi mentali. Il pensiero in autonomia e la riflessione personale e politica non sono più tollerate.

Tutto quello che sta succedendo non è farina del nostro sacco, ma, ancora una volta, viene dagli USA. Tutto ciò è tanto più grave perché settori degli Stati Uniti che contano e che fino ad ora hanno dettato la linea politica ai presidenti di quel paese, compreso quello uscente, Barack Obama, spingono senza remore verso la terza guerra mondiale.

Di questo dovremmo preoccuparci veramente ed è una sfida non teorica ma concreta perché le conseguenze sarebbero devastanti.

Per questo alcuni, con riferimento ai tentativi di censurare le notizie da parte di chi ha il monopolio delle notizie false, sono ricorsi a esempi quali il Maccartismo, il Grande Fratello, il Ministero della Verità, tutti paragoni validi ma che non danno l’esatta misura della dimensione di questa proposta che è coerente e in sintonia con le caratteristiche precipue della società americana e neoliberista che è la realizzazione del programma nazista.

I paesi che più rischiano da una possibile guerra mondiale sono sei, caratterizzati da una particolare posizione geografica e dalla presenza ingombrante e soffocante della Nato, maniera elegante per dire gli Stati Uniti. Stiamo parlando dei tre paesi baltici, della Polonia, dell’Italia e del Giappone. Abbiamo due impegni pressanti, uscire dalla Nato e mandare a casa il PD.

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