Print Friendly, PDF & Email

piovonorane

Addio lib-lab

di Alessandro Gilioli

La vicenda francese non ci dice che vince la sinistra radicale - cosa tutta da dimostrare - ma lascia pochi dubbi sul fatto che stia sparendo la sinistra liberista.

Sta sparendo cioè la sinistra che si è appiattita sulle ricette di quelli che per quasi tutto il Novecento erano stati i suoi avversari, cioè le destre economiche.

Sta sparendo la sinistra secondo la quale la redistribuzione doveva passare in secondo piano rispetto alla competizione, alle privatizzazioni, ai mercati.

Sta sparendo la sinistra di destra teorizzata dieci anni fa in Italia da un libro di Alesina e Giavazzi e qui da noi esemplificata da diverse leggi fatte dal centrosinistra, dal pacchetto Treu fino al Jobs Act.

Sta sparendo quella roba lì.

È sparita prima che altrove in Grecia, con il Pasok: e non a caso si parla di pasokizzazione per condensare in una sola parola il declino anche degli altri consimili europei.

Poi è entrata in crisi in Spagna, dove dal 1982 al 2008 ha avuto sempre percentuali tra il 34 e il 48, per crollare al 22 per cento alle ultime due elezioni.

Quindi ha collassato in Gran Bretagna, dove l'ascesa di Corbyn ha messo fine a trent'anni di lib-lab inglese.

Perfino negli Stati Uniti, dove pure Hillary Clinton ha vinto le primarie, il disagio verso la "sinistra che fa la destra" è emerso in modo evidente: tanto nella corsa di Bernie Sanders - il primo candidato socialista ad aver sfiorato la nomination nella storia Usa - quanto nella successiva fuga di voti verso Trump di una parte dei ceti indeboliti, di una parte della working class.

Adesso è successo in Francia: il Paese dove Hollande è stato eletto con un programma marcatamente di sinistra per poi fare tutto il contrario e concludere la sua parabola con la Loi Travail. Lo sconfitto di ieri, Manuel Valls, era diventato primo ministro proprio con la svolta a destra del presidente. E con quella svolta uscì dal governo il vincente di ieri, Benoît Hamon.

Tutto questo, dicevo, non vuol dire che "vince la sinistra radicale". Sarebbe ingenuo pensarlo. Finora, dov'è arrivata al governo (Grecia) la sinistra radicale si è dovuta piegare, visibilmente e dolorosamente, ai poteri e alle dinamiche internazionali. Negli altri Paesi citati si rafforza come opposizione, ma fatica molto a uscire da percentuali significative ma pur sempre minoritarie: come Corbyn (Uk) e Podemos (Spagna). Anche il cammino di Hamon verso l'Eliseo, in Francia, sarà difficilissimo. Degli ancora maggiori travagli italiani, qui si è già detto più volte.

Intanto, tuttavia, c'è da prendere atto che sta finendo una cosa durata trent'anni. La sinistra che nelle "real issues" fa cose di destra. E che, se volete, per semplicità possiamo chiamare blairismo. In fondo è stato Blair a inaugurarla. Così com'è stato Renzi a perpetuarla fuori tempo massimo e a darne anche una rappresentazione mediatica, nell'esibizione in camicia bianca con Sánchez e Valls: il primo dimessosi dopo la sconfitta a ottobre, il secondo uscito di scena ieri.

Credo che sia una sconfitta irreversibile, non contingente.

E credo che sia l'unica certezza con cui fare i conti, quali che siano le forme, i nomi e le proposte con cui possono costruire quelli che, invece, pensano che ci sia un'urgenza di redistribuzione, di welfare, di avanzamento degli ultimi, di tutela per tutti quelli che stanno diventando ultimi.

Add comment

Submit