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mariosechi

Il manifesto politico di Mr. Facebook? E’ il superamento di Orwell

Mario Sechi

Mark Zuckerberg ha scritto il suo manifesto politico. “To our community”, così inizia il suo compitino tautologico per ammaestrare la massa. Cosa c’è dietro il suo “impegno”? Che cosa si cela dietro l’uso del social network come catapulta del potere? E’ il superamento di Orwell, l’ingresso in un mondo dominato dalla tecnica, dal programmatic advertising, dalla manipolazione della coscienza. Quello che segue è un mio articolo sul tema pubblicato nell’ultimo numero di Prima Comunicazione.  

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Trump ha vinto, ma non vincerà. Trump governa, ma non governerà. Trump è alla Casa Bianca, ma non ci sarà. Il movimento globale del Never Trump ha eletto il presidente della California (Hillary Clinton), fa oceaniche manifestazioni di piazza comandate da Madonna e Michael Moore e ha una visione per il futuro: Mark Zuckerberg presidente degli Stati Uniti nel 2020. I profeti della democrazia ridotti a fare il tifo per Mr. Facebook. I prossimi quattro anni saranno da Trumpennials, ma gli altri – oh, statene certi – saranno proiettati su Facebookland. Che meraviglia, il social network al potere, il superamento del grillismo dove Madison e Hamilton edificarono l’electoral college e la democrazia americana. La politica che oggi usa l’algoritmo sarà sostituita direttamente dall’algoritmo, dal suo papà e dalla sua famiglia di utopisti orwelliani, capaci di spacciare per libertà il dominio assoluto della tecnica. Fa impressione leggere le entusiastiche cronache sui disegni politici di Zuckerberg, vedere i leoni da tastiera democratica promettere sfracelli di like e mutazioni di post in bacheca in voti. E’ l’incubo finale, il contrappasso dantesco in chiave hi-tech dello stato confusionale dei pusher della libertà, pronti a spacciare per progresso la politica degli utenti attivi. Il miliardario con il sorriso virtuale incorporato in Oculus vuole guidare la più grande democrazia del mondo, applausi! Pochi si interrogano su cosa significhi tutto questo, quali siano i rischi. Un individuo che ha il controllo di un’azienda che custodisce le vite – sì, le vite – di oltre un miliardo di utenti, il Grande Fratello che conserva il big data della tua esistenza, sta lavorando dietro e davanti le quinte per preparare una campagna elettorale che sarà presentata dai media anti-Trump come la riscossa della democrazia.

I leoni da tastiera in Italia gioiscono, sono gli stessi che di fronte al conflitto di interessi di Berlusconi sviluppavano una galassia di bolle rosse in volto. Sono gli stessi che oh no!, Grillo no e quel blog, per carità, noi facciamo le primarie. Sono i sinistri (e pure i destri o presunti tali) da salotto che oggi tifano per Zucky, colui che conserva in uno scrigno digitale il loro frignare e sospirare per la fine dell’America obamiana. Ci sarebbe da ridere, invece c’è da piangere. Zuckerberg ha dietro di sé la Silicon Valley sconfitta dal trumpismo, la dittatura della crescita senza posti di lavoro, il massimo della capitalizzazione con il minimo delle buste paga, la distruzione della manifattura (e dell’informazione, cari intelligentoni delle redazioni in progress), la manipolazione e deviazione dei sentimenti degli utenti di Facebook (sì, hanno fatto anche questo e qui su Prima ce ne siamo occupati molto tempo fa) come esperimento di dissezione sociale. E’ la dittatura dell’anima, ma non si può dire perché sarebbe troppo, épater le bourgeois. Così il nostro Zucky assume come suoi consulenti gli strateghi delle campagne elettorali di Clinton e Bush, viaggia per l’America, si fa alfiere della riscossa di domani contro i barbari di Trump, l’usurpatore della Casa Bianca, quello che non doveva vincere e per un caso del destino invece ha fatto strike. Visiterà ogni stato dell’America, l’uomo nuovissimo, viaggerà in jet, ma statene certi, sarà accompagnato da un’auto elettrica, parlerà di pace nel mondo, ecologia, buoni sentimenti e più messenger per tutti, cribbio. E’ questo il domani? Basta leggere Wired, bibbia della Silicon Valley, per capire che la distopia è in corso: “How Silicon Valley Utopianism Brought You the Dystopian Trump Presidency”. La distopia è Trump, non loro, chiaro? Non sono sfiorati neanche un po’ dall’idea di aver costruito un sistema che si regge sulla bolla del Nasdaq, la cassa all’estero e la sorveglianza di massa. Fino a ieri, hanno avuto la libertà totale di crescere, guadagnare, eludere il fisco e spararla ogni giorno sempre più grossa sul loro fondamentale contributo alla democrazia. Stavano in realtà distruggendo pezzi vitali dell’economia e abbassando il livello del dibattito politico alla dimensione della giungla. Hanno aperto un ruttodromo che fa soldi con il programmatic advertising e vogliono fare concorrenza al pensiero di Tocqueville, i fenomeni. Fino a ieri. Domani pretendono – via Zuckerberg – di entrare direttamente nella stanza dei bottoni: fare e disfare le leggi, aprire il mondo alla loro utopia che in realtà è il superamento dell’incubo di George Orwell: “Ho sempre pensato che si potrebbe fare un sacco di soldi dando inizio a una nuova religione”. Eccola, la nuova religione, il totem tecnologico senza tabù, la società totalitaria senza guerra e deportazioni. Non serve la violenza, il golpe, il putsch, la rivoluzione, tutta roba passata, demodé, qui siamo oltre il Novecento, bifolchi, questo è un lavoro pulito, asettico, a prova di sala operatoria: accendi il pc, esce uno Zucky sorridente e… ti portano via il cervello. Ora andate a votare.

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