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Il Cartello, di Don Winslow

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti

di Militant

SantiagoMezaLopez 01Il potere del cane è il capolavoro degli anni Duemila, il libro finora insuperato. Ci sbagliavamo. Il Cartello è almeno al suo livello. Non è facile essere riconosciuti in vita come l’autore di uno dei romanzi più importanti degli ultimi decenni. Ma essere l’autore dei due romanzi più importanti degli ultimi decenni, beh, questo apre a Don Winslow le porte dell’immortalità letteraria. James Ellroy ha definito il libro “il Guerra e pace della lotta alla droga”. È maledettamente così. E a noi non rimane che prenderne atto.

Il libro racconta la lunga, straziante, soffocante, sporca e ambigua lotta al narcotraffico tra Stati uniti e Messico. Una lotta dove non ci possono essere vincitori o sconfitti, perché ambedue le parti – chi produce e vende droga e chi dice di combatterla – sono un unico cartello. La forza degli uni aumenta la potenza degli altri. Gli interessi collimano, le persone si scambiano di ruolo. Il cartello vince sempre, sia nella sua veste ufficiale del narcotraffico che in quella ufficiosa della “lotta al narcotraffico”. Come già raccontato dal Potere del cane, la droga è paradossalmente il prodotto della “lotta alla droga”. Una lotta alla droga che sradica popolazioni che ingrossano le file dei cartelli narcotrafficanti in una spirale di interessi convergenti che rende impossibile immaginare spazi di sviluppo sociale ed economico. Gli unici a perdere sono i poveri, massacrati da tutte e due le parti, inutili orpelli di una storia che non li riguarda se non come carne da macello.

Tutti i protagonisti della guerra hanno nel romanzo una centralità narrativa, fatto questo che giustifica le quasi 900 pagine necessarie una dopo l’altra a descrivere gli interessi in campo. I poveri delle periferie urbane, ininterrotto esercito di riserva del narcotraffico; la vita delle famiglie messicane costrette tra povertà, repressione e supporto logistico ai cartelli; le migliaia di giornalisti massacrati in questo decennio; la corruzione endemica della polizia; il ruolo degli eserciti – messicano e statunitense; il ruolo della politica, tanto messicana quanto statunitense, coi livelli di corruzione più o meno palesi; e poi i cartelli, i loro protagonisti, la vita latitante, le motivazioni e gli aspetti umani e “antiumani” della vicenda. Un racconto che ha la forza della realtà. Tutto ciò che è narrato nel libro è reale, è successo, è la vita quotidiana del confine tra Messico e Usa. Le collusioni, le piccole e grandi corruzioni; il rapporto tra narcotrafficanti e governo statunitense tramite le sue agenzie di controllo e spionaggio; le migliaia di morti violente (al ritmo di 10.000 l’anno tra i soli cartelli) che fanno della lotta alla droga in Messico la guerra civile più lunga e cruenta del nostro tempo. È tutto documentato, e quella di Don Winslow è la grande inchiesta giornalistica dei nostri tempi, capace di svelare un meccanismo di potere che alimenta il suo nemico per giustificare un suo ruolo.

Ne Il potere del cane c’era forse più profondità politica. Anche qui è presente chiara la natura politica del conflitto, il fatto lapalissiano che il problema messicano della droga è in realtà il problema americano della droga. Sono gli Usa il più grande mercato consumatore al mondo, che incentivano una produzione che altrimenti non avrebbe questa portata. Non basta però, e questo è forse l’unico passaggio sottotono del libro. La droga non è solo uno strumento di controllo per gli effetti sulla popolazione. E’ uno strumento di controllo politico per giustificare un potere costituito. La lotta alla droga è alla base del controllo americano sugli stati centroamericani, alla base della povertà delle popolazioni residenti, impossibilitate ad emanciparsi proprio per le politiche della lotta alla droga. È lo strumento attraverso cui impedire militarmente lo sviluppo dei movimenti di protesta, delle lotte contadine.

Il cartello ha però più tensione narrativa. Se Il potere del cane poteva risultare sovrabbondante in alcune sue parti, Il cartello procede soffocando, stringendo lentamente la corda attorno al collo del lettore che finisce il libro in trance narrativa. Nessuna parte del libro è eccessiva, pleonastica o ridondante. Il calo della tensione serve a recuperare fiato entrando letteralmente nella vita dei personaggi, riuscendo in una descrizione profonda mai banale e che invece ha il pregio di moltiplicare la comprensione reale degli eventi. Nessun personaggio è abbozzato, nessun contesto è lasciato a se stesso. Quando la tensione si alza, al contrario, diventa difficile restare ancorati ad una capacità narrativa fuori dal comune. E se pensiamo che molto poco nel romanzo è “inventato”, che la gran parte delle scene descritte sono avvenute realmente, capiamo che ci troviamo di fronte ad uno strumento di comprensione del presente che non ha solo il pregio della straordinaria capacità narrativa, ma la forza della parresia, lo svelamento della verità, anche cinico, senza veli e accomodamenti, per l’appunto. Raccontare la verità per quella che è, eccedendo in cinismo, se necessario.

Il potere del cane e Il cartello sono, insieme, il grande libro del nostro tempo. L’atto di accusa decisivo delle politiche imperialiste, lo svelamento dei meccanismi economici, politici, culturali e militari con cui vengono governati territori e popolazioni. Due libri per un racconto necessario a comprendere gli ingranaggi del potere. Don Winslow ha portato il genere noir su livelli mai visti prima. E oggi noi ne cantiamo le lodi.

 

La costruzione dei protagonisti de Il Cartello

In letteratura come nella cinematografia, la qualità di un’opera si valuta dalla capacità dell’autore nella costruzione dei personaggi messi in scena. È uno dei criteri fondamentali, non l’unico ma fra i più importanti, che determinano il giudizio su di un libro o un film. Costruire un personaggio è impresa titanica. Ogni personaggio risponde ad un cliché, ad un riferimento, un topos letterario determinato. Scardinare un paradigma è una questione complessa da maneggiare. Solo i grandi autori riescono a possedere così bene un topos da decidere di disattivarlo. Il più delle volte il tentativo non riesce. Sono infatti frequenti i casi, soprattutto nel passato, quando era viva una sperimentazione artistica sia nel campo letterario che cinematografico, di grandi autori che fallivano nel tentativo di andare oltre i confini determinati da una “tradizione” culturale. Antonioni è uno degli esempi più ricordati di parziale fallimento artistico nel tentativo di superare se stesso nella sperimentazione. Kubrick, al contrario, è uno dei maestri del cinema capaci di sfornare capolavori senza mai cercare il salto nel vuoto dell’uscita dal canone (anche se tale affermazione è solo parzialmente vera: con 2001 Kubrick inaugura un nuovo canone, che ancora oggi determina le regole stilistiche del genere fantascientifico, e al tempo stesso “deturna” il genere stesso producendo uno dei film più importanti e “densi” della storia del cinema).

Tornando a noi, Il Cartello di Don Winslow è un capolavoro di costruzione del personaggio. Il libro rientra nel classico tema “guardia e ladri” con sfondo sociale. Una sorta di polarma è riferimento da prendere con le pinze. C’è un eroe, il poliziotto Art Keller; c’è l’antieroe, il capo del cartello della droga messicana Adan Barrera; ci sono una serie di personaggi di contorno tanto positivi (gli aiutanti dell’eroe), quanto negativi (aiutanti e antagonisti secondari dell’antieroe). Uno schema classico, come detto. Eppure.

Anzitutto, la capacità di dare profondità ai singoli personaggi è fuori dal comune. Partendo da un dato elementare spesso dimenticato: la costruzione del contesto. Tutti i protagonisti della storia vengono inseriti in un contesto di riferimento dettagliato. I personaggi emergono dalle viscere della realtà che prede forma nella narrazione. Costruire il senso della realtà è una cosa facile a dirsi ma difficilissima a farsi. Si può procedere attraverso passaggi “saggistici” o cronachistici, l’inserimento di dati e fatti che definisce un particolare contesto socio-culturale. Presenta però due limiti. Da una parte appesantisce notevolmente il racconto; dall’altra può essere fatta su fatti relativamente circoscritti, ma è impossibile o quasi da prodursi su eventi e contesti molto grandi, complessi e articolati. Per descrivere il disagio socio-culturale del Messico da cui prende forma l’economia della droga a sua volta figlia delle politiche statunitensi che utilizzano la “lotta alla droga” come strumento di controllo delle popolazioni a loro volta “costrette” ad affidarsi ai narcotrafficanti per emanciparsi almeno economicamente dalla condizione di povertà storica di cui sono vittime, non basterebbe un’intera libreria di saggi. Come rendere efficacemente il paesaggio umano e socio-economico allora? Come lasciar intuire questa spirale, suscitandola senza la necessità di descriverla per intero? Tramite l’utilizzo di particolari figure retoriche. La sineddoche, ad esempio. Il Cartello procede per “sineddochi”, inserisce i personaggi in contesti particolari che però hanno la forza di descrivere una società più in generale.

La profondità dei protagonisti è l’altra caratteristica decisiva del romanzo. Nessun personaggio è accennato. Non è la storia o la trama a servirsi dei personaggi che mano a mano prendono forma nel racconto, gettandoli via una volta serviti allo scopo. Ogni singolo attore ha la propria personalità, viene inserito per un particolare e decisivo motivo, sappiamo la sua psicologia, le sue paure e i suoi obiettivi. Se i due protagonisti erano già conosciuti e le loro vite raccontate ne Il potere del cane, il contorno di personaggi che affollano Il Cartello hanno tutti autonoma dignità narrativa. Decine di personaggi vengono calati nella storia dopo che il lettore ha conosciuto il loro passato, le proprie ambizioni, i propri sentimenti, la propria famiglia, e solo dopo entrano in azione, divengono protagonisti di una parte del racconto. È chiaro che per fare quest’opera di contestualizzazione serve lo spazio adeguato. Novecento pagine sono anche poche, e sembra paradossale dirlo ma il lavoro di sintesi è notevole. Ogni personaggio è un romanzo a se stante, le pagine avrebbero potute essere molto di più.

Ci si affeziona ad ogni protagonista, soprattutto a quelli che muoiono, dove invece il cliché letterario lascia morire precocemente i personaggi minori e appena tratteggiati. Dopo l’opera di contestualizzazione, che non è solo sociale ma anche emotiva, ogni individuo riveste un ruolo nella storia. Eppure tutti ne escono male. L’eroe deve fare per forza una bella fine. Nella maggior parte dei casi, ne esce vivo. In altri, muore onorevolmente. Qui invece tutti perdono, vengono umiliati e si umiliano, rompono gli schemi tradizionali che li vogliono già inseriti in determinati stereotipi, vengono raccontati nei loro limiti psicologici, nelle loro ambizioni animalesche, nella loro paura della morte. La morte alita su tutti i protagonisti, nessuno ne sarà immune, ma chi vive non se la passa meglio. La corruzione, economica, morale o etica poco importa in questo caso, aleggia parimenti su ogni persona descritta. Il buono (il giornalista intransigente, la campesina del paese di confine, il poliziotto integerrimo, eccetera), è anch’esso corrotto o corruttore, scende a patti con se stesso che successivamente si trova costretto a violare. È marcio, perché prodotto da una società che imputridisce. Viceversa il cattivo (il narcotrafficante, il politico corrotto, il poliziotto al soldo dei narcos, eccetera) può essere una persona da salvare, malvagio ma anche costretto dagli eventi, e comunque mai responsabile esclusivo di un sistema corrotto potremmo dire ontologicamente. Non c’è alcuna parabola cristiana o determinismo sociale, attenzione. È un sistema che produce i suoi protagonisti, individui unici e collettivi al tempo stesso, ognuno con le proprie responsabilità, possibili però unicamente in un ingranaggio collettivo e politico.

E il bello è che tutti i personaggi descritti, tranne Art Keller e pochi altri marginali, sono veri. Sono vissuti o sono ancora vivi. Le loro vicende sono reali, anche quelle a prima vista più “romanzate”: è cronaca recuperabile, neanche troppo difficilmente (basta farsi un giro sul blog messicano El blog del narcoper capire quanta realtà c’è dietro la fiction del Cartello. La fiction si inserisce negli interstizi di una vicenda in atto da un ventennio e che ha avuto negli anni Duemila il suo apogeo. È cronaca quotidiana in Messico, è la normalità per intere popolazioni. E questo rende Il Cartello l’opera monumentale dei nostri tempi.

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