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illatocattivo

Ecologia… borghese

di Gilles Dauvé

III episodio della serie: Pommes de terre contre gratte-ciel, apparso su ddt21.noblogs.org ; dicembre 2020

Image 00oi5r1Per quanto una piccola minoranza di dirigenti politici di questo mondo ostenti il proprio scetticismo riguardo ai cambiamenti climatici, la maggior parte di essi pretende di essere ecologista: all’ONU, in Vaticano, a Davos, all’università e nei media, dalla destra – incluse certe tendenze dell’estrema destra – all’estrema sinistra… tutti ecologisti. L’ecologia è parte integrante dell’ideologia dominante del XXI secolo.

 

1. Grida d’allarme e consenso

Nel 1961, l’Europa occidentale, alla quale si unirono successivamente anche il Giappone e gli Stati Uniti, si era data un organismo incaricato di promuovere il mercato, la produttività e il liberismo: l’OCSE.

Nel 1972, il «Rapporto Meadows», richiesto dal Club di Roma, che rappresentava un largo ventaglio delle élite economiche, politiche e scientifiche occidentali, metteva in evidenza le conseguenze che lo scarto crescente (e inevitabile) tra l’incremento demografico e la diminuzione delle risorse disponibili, avrebbe provocato. I limiti dello sviluppo1 fu un bestseller mondiale.

Nel 1988, la creazione di un organo di riflessione sui problemi ecologici, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), segnala un rovesciamento di prospettiva. La preoccupazione prioritaria non è più la mancanza di risorse (di risorse fossili, in particolare), ma il fatto che le si sfrutti troppo e che si mettano in pericolo gli equilibri indispensabili tanto alla natura quanto alla perpetuazione del mondo capitalistico.

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antropocene

Fermiamo il capitalismo che sta uccidendo il pianeta

di George Monbiot - The Guardian

bicchiereC’è un mito sugli esseri umani che resiste a ogni evidenza, cioè che mettiamo sempre la nostra sopravvivenza al primo posto. Questo è vero ma per altre specie, che quando si trovano di fronte a una minaccia imminente, come l’inverno, investono grandi risorse per evitarla o sopportarla: migrando o andando in letargo, per esempio. Per gli esseri umani la questione è diversa.

Di fronte a una minaccia imminente o cronica, come il collasso climatico o ambientale, sembra che facciamo di tutto per compromettere la nostra sopravvivenza. Ci convinciamo che non è così grave, o addirittura che non sta succedendo niente. Raddoppiamo la distruzione, sostituendo le nostre auto ordinarie con dei suv, lanciandoci verso l’oblio con un lungo viaggio in volo, bruciando tutto quanto, in un ultimo accesso di frenesia. In fondo alla nostra testa c’è una vocina che ci sussurra: “Se la situazione fosse davvero così grave, qualcuno ci fermerebbe”.

Quando ci occupiamo di questi problemi, lo facciamo in modi meschini, simbolici, comicamente inadeguati alla gravità della nostra situazione. È impossibile ravvisare, nella nostra reazione a ciò che sappiamo, il primato del nostro istinto di sopravvivenza.

 

Reazione a catena

Sappiamo che le nostre vite dipendono totalmente da sistemi naturali complessi: l’atmosfera, le correnti oceaniche, il suolo, le reti biologiche del pianeta. Le persone che studiano i sistemi complessi hanno scoperto che questi si comportano in modi coerenti.

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militant

Clima, Storia e capitale, alcune riflessioni a partire dal libro di Dipesh Chakrabarty

di Militant

come pensano le foreste eduardo kohnCrediamo che “Clima, Storia e Capitale”, il libro di Dipesh Chakrabarty recentemente pubblicato dai tipi di Edizioni Nottetempo, anche se alcune delle tesi che vi sono sostenute ci risultano tutt’altro che condivisibili, rappresenti comunque un ottimo spunto per tornare a ragionare intorno a un tema che, se per un lato non può più essere rimosso (almeno a parole) dalle agende della politica mainstream, dall’altro non può nemmeno essere ignorato da chi quotidianamente lotta per un’alternativa di società. La lettura dei due saggi in esso contenuti ci ha permesso inoltre di approfondire e chiarire alcune delle perplessità generate dall’uso sempre più in voga di un termine come Antropocene che, come avevamo provato ad argomentare in un altro post, se pure scientificamente sempre più preciso, rischia paradossalmente di depoliticizzare la questione del cambiamento climatico. Infatti, se ormai è un dato di fatto incontrovertibile che l’Antropocene sia diventato “un” tema centrale, se non “il” tema centrale, della contemporaneità, meno netta è invece la consapevolezza su quali ne siano state le cause socio-economiche e, soprattutto, quale sia la soluzione praticabile e quali i soggetti sociali potenzialmente mobilitabili. E il fatto stesso che ci si attardi ancora a ragionare sulla possibilità di una transizione a un (im)possibile capitalismo green o a sperare in interventi significativi da parte di quegli stessi governi che sono tra le cause del problema ne è forse la dimostrazione più lampante.

Proviamo quindi a prendere in prestito le parole dei due prefatori come punto di partenza per descrivere ciò che ci sembra sia ormai sotto gli occhi di tutti:

gli spettri che fino a qualche anno fa sembravano solo una lugubre e vaga minaccia che pendeva sui futuri dei nostri pronipoti sono apparsi nel nostro quotidiano con una velocità che forse in pochi si aspettavano.

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gliasini

COP26 e i militari a Glasgow

di Elena Camino

SCV15001 015 1536x1229La guerra incrementa l’effetto serra

Molti gruppi di attivisti e associazioni impegnate nella difesa dell’ambiente, della pace e dei diritti umani avevano alimentato le aspettative pubbliche su un tema centrale – ma complesso e sottostimato – della ‘lotta’ al cambiamento climatico: il ruolo e le responsabilità degli apparati militari nelle trasformazioni in atto sul nostro pianeta. I profughi fuggono dai teatri di guerra per non essere feriti o uccisi. Ma non solo. È chiaro che la guerra fa male direttamente anche ai sistemi naturali, che sono la principale fonte di sostentamento per tutti i viventi – compresi gli umani. Bombardare, minare, inquinare terreni agricoli, mari, falde, boschi riduce la produttività agricola, produce carestie e fame; obbliga intere popolazioni ad abbandonare i luoghi in cui vivevano e a migrare in cerca di luoghi in cui continuare a sopravvivere. Dunque, la violenza diretta contro le persone e la distruzione delle fonti di sussistenza sono gli aspetti più evidenti degli effetti negativi della guerra sull’ambiente e sulle comunità. L’uso delle armi contribuisce all’effetto serra sia nel ridurre la produzione di ossigeno di aree coltivate e boschi, sia nell’aumentare le emissioni di CO2 prodotte da incendi, bombardamenti, distruzioni di impianti industriali ecc. Inoltre ogni guerra scatena nuovi conflitti e provoca migrazioni, in una spirale perversa.

 

Anche preparare la guerra produce CO2

Un secondo aspetto, meno ovvio e – soprattutto – a lungo censurato, è l’insieme dei danni socio-ambientali che il sistema militare in generale causa (indipendentemente dalle azioni di guerra) con tutte le sue strutture e funzioni: dalla produzione di armamenti agli aspetti logistici (costruzione di strade, caserme, mezzi di trasporto), dai centri di formazione e addestramento alle strutture di ricerca, alla costruzione e mantenimento di basi militari e poligoni di esercitazioni. È un mondo nel mondo, con milioni di persone su tutto il pianeta impegnate al servizio della distruzione e della morte.

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illatocattivo

Il fallimento dell’ecologia politica

di Gilles Dauvé

IV episodio della serie: Pommes de terre contre gratte-ciel, apparso su ddt21.noblogs.org, gennaio 2021

Image j96001Sebbene sotto molti aspetti confliggano, ecologisti di governo, ecologisti dei «piccoli passi», ecosocialisti ed ecologisti radicali hanno un punto in comune. Che ambiscano a un incarico ministeriale, fondino una cooperativa di consumo bio, scrivano il programma per una futura «vera sinistra» o tentino di fare dell’ecologia la leva di un sovvertimento della società, tutti mettono la «questione ecologica» al centro del mondo attuale, come se oggi essa costringesse a ridefinire ciò che il capitalismo è, e in cosa consista la sua necessaria e possibile trasformazione. Tutti si vogliono allo stesso modo realisti, e si vantano di agire senza accontentarsi delle sole parole.

 

  1.   1. Il liberismo in bicicletta

A partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, negli Stati Uniti, si è fatto avanti un ecologismo composito, incoraggiato dal bestseller di Rachel Carson, Primavera silenziosa (1962), che denunciava la strage di uccelli provocata dai pesticidi. Nel 1970 fu organizzata la prima «Giornata della Terra», più una celebrazione ufficiale che un’azione militante. Successivamente, in nome della difesa dei consumatori, Ralph Nader1 si candiderà quattro volte alla presidenza degli Stati Uniti.

In Francia, il primo partecipante ambientalista alle elezioni presidenziali del 1974, René Dumont, insisteva soprattutto sull’incapacità del capitalismo di sopprimere la fame, la sovrapproduzione e l'eccessivo consumo di energia. Secondo costui, la linea di frattura sociale non opponeva borghesi e proletari, bensì consumatori dei paesi ricchi e masse diseredate del Terzo Mondo, nelle quali si incarnavano i veri proletari moderni.

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comuneinfo

L’economia e l’ultimo giro di giostra*

di Paolo Cacciari

253611349 101594140Perfino alla conferenza di Glasgow parlano di apocalisse climatica eppure non cambia nulla. Secondo Paolo Cacciari i motivi principali dell’inerzia e dell’ignavia dei principali governi del mondo sono due: «Da una parte la capacità delle lobby dell’industria dei fossili è ancora fortissima. Dall’altra la classe politica dirigente ha una paura matta di compiere scelte che potrebbero apparire “impopolari”. Preferiscono rischiare le catastrofi piuttosto che chiedere al loro elettorato di ridurre l’uso di aerei e crociere low cost, suv a diesel, il consumo di hamburger, vestiti e scarpe d’importazione, smartphone e altre cianfrusaglie inutili e dannose. Soprattutto non sanno come fare a continuare a “far girare” l’economia senza incrementare il volume e la velocità delle produzioni di merci… Ma è esattamente questa la sfida che i paesi industrializzati devono affrontare. Per farlo serve un “cambio di paradigma”, come si suol dire. Una riconsiderazione in radice delle teorie e delle pratiche economiche…»

* * * *

Siamo stati abituati a pensare che l’economia sia solo una e che sia anche l’unica modalità d’azione possibile per soddisfare i nostri bisogni. L’economia viene presentata come la disciplina (scientifica e pratica) che ci addestra ad “ottenere di più con meno”. Si dice che un sistema economico è efficiente quando massimizza i risultati con il minimo dispendio di energie fisiche. Tutto giusto, razionale e convincente. A patto però di chiarire bene e preliminarmente il contenuto dei termini dell’equazione. Quali sono i risultati che si vogliono raggiungere? Ovvero, quali sono i bisogni che si intendono soddisfare e a beneficio di chi? E poi: quali sono i mezzi che si intendono utilizzare? Quali le forze che si vogliono mobilitare?

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lacausadellecose

A margine della Cop26 di Glasgow

di Michele Castaldo

"Quel che per te hai voluto per gli altri non desiderare"

Schermata del 2021 11 12 15 38 42Il famoso detto « Quel che per te non vuoi per gli altri non desiderare », attribuito a Gesù dall’evangelista Matteo, un principio di corretta reciprocità, ripreso da filosofi e poeti, sta subendo una metamorfosi in questi giorni con il G20 di Roma e la Cop26 di Glasgow che possiamo parafrasare così: “ Quel che per te hai voluto per gli altri non desiderare ”.

Cerchiamo di capire di cosa si tratta esattamente e da quali necessità, innanzitutto, nasce questa volontà dell’Occidente che nasconde non poche problematiche prossime venture per l’insieme dei rapporti sociali fra gli umani e di questi con il restante di tutte le altre specie che abitano questo sfortunato pianeta.

Di recente a Roma, nell’edificio detto La Nuvola di Fuksas all’Eur si sono svolti i lavori del G20, quelli formali e apparenti, perché – come si sa – quelli veri si svolgono altrove, nelle segrete stanze, dove gli occhi indiscreti del popolo non potranno mai arrivare. Ma la forza delle contraddizioni è ben più potente della capacità di contenimento delle pareti dei palazzi e tossisce, trova il modo di rumoreggiare e arrivare all’esterno e invitare chi è disposto ad ascoltare, a riflettere.

Il recente premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha rilasciato una intervista al Corriere della sera all’indomani della Cop26 di Glasgow, nella quale usa parole che suonano come macigni per un sistema sociale sempre più in crisi. Come si sa il Parisi non è un rivoluzionario e men che meno comunista, ma conosce la profondità del buon senso, quel buon senso d holbachiano tanto difficile da capire da chi è abituato a inseguire le lepri delle leggi impersonali dell’accumulazione capitalistica.

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ilpungolorosso

La “crescita verde” è contro la natura, un saggio di Hélène Tordjman

di Jean-Marie Harribey

Riprendiamo e traduciamo dai siti di Alternatives économiques e Alencontre un’interessantissima recensione critica di J-M. Harribey ad un’opera di H. Tordjman contro la mercificazione della natura, da poco uscita in Francia. (Avremo modo di tornare a ragionare sulle intuizioni e le contraddizioni di autori quali Illich o Ellul, ai quali Tordjman si ispira.)

glasgow 2La nostra collega e amica Hélène Tordjman ha appena pubblicato La croissance verde contre la nature. Critique de l’écologie marchand (Crescita verde contro la natura. Critica dell’ecologia di mercato), La Découverte, 2021. Questo libro sarà un punto di riferimento perché raccoglie una documentazione molto aggiornata sulla concettualizzazione e lo smantellamento della natura da parte di un capitalismo sull’orlo dell’asfissia planetaria, per la natura ma anche per l’uomo. Ora che la crisi ecologica è chiara, che non si discute più del riscaldamento globale e che aumentano gli allarmi sulla perdita di biodiversità, si potrebbe pensare che sia stato detto tutto. Forse, ma riunire in un volume una sintesi così dettagliata, precisa e piena di riferimenti sia sui molteplici attacchi alla natura sia sulle false soluzioni che vengono presentate, è un grande successo.

 

Una critica della mercificazione della natura

La questione generale di fondo che il libro mette in luce è che intraprendere la strada di una risposta di mercato alla crisi ecologica non può avere altro effetto che approfondirla. Il libro è strutturato in sei capitoli, più una densa conclusione che è, di fatto, un settimo capitolo. Su questo tornerò.

Fin dal primo capitolo, l’autrice mette alla prova il progetto di realizzare nanotecnologie, biotecnologie, scienze dell’informazione e della conoscenza (in sigla, NBIC) delle “tecnologie capaci di aumentare le prestazioni umane” (p. 21).

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illatocattivo

Il capitalismo non sarà mai ecologico

di Gilles Dauvé

«All’interno del discorso politico contemporaneo, l’ecologia è diventata ormai onnipresente: transizione energetica, capitalismo verde, riformismo ecoresponsabile… Ma se in fondo nulla cambia, se i piccoli progressi compiuti ritardano appena il montare dei pericoli, è perché l’incompatibilità tra ecologia e capitalismo non dipende dalla miopia dei suoi dirigenti: più semplicemente, essa è intrinseca alla natura stessa di questo sistema»

rifiuti11. Un’ineluttabile assenza di limiti

Definita «industriale» oppure – oggi – «postindustriale», la società moderna è fatta di imprese, ciascuna delle quali è un polo di valore che cerca di accrescersi mettendo i sistemi industriali al proprio servizio. Il ricercatore può appassionarsi alla scoperta di un nuovo processo di fabbricazione, e l’ingegnere adorare costruire dighe, ma i loro progetti diventano realtà solo se coincidono con l’interesse dell’impresa che li impiega: vendere un prodotto competitivo sul mercato, accumulare profitti, reinvestirli…

« […] lo sviluppo della produzione capitalistica rende necessario un aumento continuo del capitale investito in un’impresa industriale, e la concorrenza impone a ogni capitalista individuale le leggi immanenti del modo di produzione capitalistico come leggi coercitive esterne. Lo costringe ad espandere continuamente il suo capitale per mantenerlo, ed egli lo può espandere soltanto per mezzo dell’accumulazione progressiva. […] Accumulazione per l’accumulazione, produzione per la produzione, in questa formula l’economia classica ha espresso la missione storica del periodo dei borghesi.» (Karl Marx, Il Capitale, Libro I, cap. XXII, p. 727-31).

La prova che viviamo innanzitutto in un mondo capitalistico e non industriale, è che l’ipertrofia industriale, lungi dall’essere un fenomeno autonomo, è sottomessa alle esigenze della valorizzazione del capitale. Poco importa che una fabbrica di automobili, una miniera o un’acciaieria siano ancora funzionanti: se non sono più redditizie, le si chiude. Il borghese non ha il diritto di dormire sugli allori, e un capitalismo stazionario è sinonimo di declino. Da duecento anni, la «megamacchina» si rinnova incessantemente per costruzione, autodistruzione e ricostruzione… Conosciamo il destino della Rust Belt americana, che non significa d’altronde la fine dell’industria in quella regione, da cui proviene ancora il 40% della produzione manifatturiera del paese.

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antropocene

Note sul Rapporto IPCC

di Redazione di Monthly Review

IPCC2021 3Il 9 agosto 2021, il Gruppo intergovernativo di esperti scientifici sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite ha pubblicato “Cambiamenti climatici 2021: la base della scienza fisica”.

Questa è la Parte I del suo Sesto Rapporto di Valutazione (AR6), redatto dal 1° Gruppo di Lavoro , il quale descrive in dettaglio lo stato attuale del cambiamento climatico. La Parte I del Rapporto generale AR6 sarà seguita da altre due parti aggiuntive. L’uscita della Parte II, redatta dal 2° Gruppo di Lavoro, sul tema "impatti", è prevista per il febbraio del 2022. La Parte III, redatta dal 3° Gruppo di Lavoro, sul tema "attenuazione", dovrebbe uscire nel marzo del 2022.

Il segno di quanto siano diventate serie le questioni - con i colloqui COP26 delle Nazioni Unite sul clima a Glasgow il prossimo novembre, considerati da molti come un ultimo tentativo di raggiungere una soluzione globale a favore dell’umanità - è il fatto che già durante l'estate sono trapelate le prime bozze dei Rapporti Parte II e Parte III. Alla fine di giugno, la parte II di AR6 era pervenuta all'agenzia di stampa francese AFP (Agence-France Presse), che ha in seguito pubblicato un articolo sul Rapporto trapelato (“Crushing Climate Impacts to Hit Sooner than Feared - Impatti climatici schiaccianti colpiranno prima del temuto”.

Giorni prima della pubblicazione della Parte I, la sezione chiave della Parte III, un “Riepilogo per i responsabili politici”, è trapelato da scienziati associati a Scientist Rebellion and Extinction Rebellion Spain. Un articolo che annuncia la fuga di notizie, intitolato “IPCC Sees Degrowth as Key to Mitigating Climate Change” (L'IPCC vede la decrescita come la chiave per mitigare il cambiamento climatico), è stato pubblicato il 7 agosto dal giornalista Juan Bordera e dall'ecologo Fernando Prieto sulla rivista online spagnola Contexto y Acción (CTXT).

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conness precarie

Sette tesi sul mutamento climatico e il regime ecologico di accumulazione del capitale

di connessioni Precarie

Sette tesiCon questo contributo interveniamo per la prima volta direttamente nel dibattito politico ampio e articolato sugli effetti sociali del mutamento climatico. Da molti anni i movimenti ambientalisti hanno fatto di questa problematica una questione politica fondamentale, ma probabilmente solo oggi è indiscutibile la presenza transnazionale di una generazione in rivolta che in questi giorni si sta organizzando in vista della Cop26 che si terrà a Glasgow nel mese di novembre. Non è un caso che il movimento che in questi anni ha dato vita allo sciopero globale per il clima sia composto prevalentemente da giovani: nella formula ‘giustizia climatica’ c’è la pretesa collettiva di non vedersi rubare il futuro e l’indisponibilità a piegarsi alle promesse di istituzioni scientifiche e politiche nazionali e internazionali ‒ alle quali pure gli stessi giovani si rivolgono ‒ che su quel futuro propongono e pianificano compromessi al ribasso. È d’altra parte evidente che non saranno quelle istituzioni a offrire una soluzione ai cambiamenti in atto, perché stanno già ricostruendo la propria legittimazione proprio in nome di una “transizione ecologica” orientata al profitto. La transizione verde si presenta allora come un campo di battaglia che non può essere praticato da una sola generazione, che ridefinisce i limiti e le possibilità dei movimenti sociali, che reclama in maniera inequivocabile una presa di posizione. Pensare che l’ecologia configuri un nuovo regime di accumulazione del capitale, e con esso una nuova governance ecologica, significa per noi cercare di determinare tanto le forme in cui si stanno riarticolando la produzione e riproduzione sociale di fronte al cambiamento climatico, quanto le linee di frattura lungo le quali è possibile praticare l’iniziativa politica. La difesa della natura non offre immediatamente una possibilità di ricomposizione delle molteplici figure che subiscono in modo diversi gli effetti del cambiamento climatico; al contrario, il modo di accumulazione ecologico produce e riproduce differenze e gerarchie che solcano lo spazio transnazionale che la generazione in rivolta chiama Terra. È in questo spazio e all’interno della transizione verde del capitale che si possono cogliere alcune indicazioni che il nostro ecologismo deve continuare a praticare collettivamente, per affermare con forza il rifiuto di sottostare alle condizioni poste dalle trasformazioni in corso.

* * * *

1. Viviamo in un regime ecologico di accumulazione del capitale, un campo di tensione in cui si producono lotte parziali, non una ricomposizione dell’universale umano

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qualenergia

La crisi climatica e la religione dell’economia della crescita

di Luca Pardi

dead end crisi climaLa crisi climatica e ambientale nasce dal resistente consenso per una crescita economica indifferenziata e senza fine. L'inganno delle vie di uscita meramente tecniche. Un articolo di Luca Pardi, co-fondatore di ASPO Italia (Association for the Study of Peak Oil) e primo ricercatore presso il CNR

L’estate appena trascorsa ha avuto il tema dell’ambiente come sottofondo costante.

Le inondazioni, gli incendi, i record di temperatura, una quantità di eventi minori e, alla fine, l’ultimo rapporto dell’ONU sul cambiamento climatico.1

Rapporto che ha fatto notizia, forse, per due giorni. Ma, a parte l’inguaribile tendenza alla superficialità dei media, tendenza che in pochi giorni fa scomparire temi che dovrebbero restare nel dibattito pubblico a favore di notizie “vendibili”, non mi è sembrato di notare fra gli ambientalisti un cambio di marcia oltre le solite lamentele, speranze, “soluzioni”.

La crisi ambientale attuale è determinata, a mio parere, dal raggiungimento dei limiti fisici e cognitivi dell’espansione umana.

I limiti fisici si presentano come un progressivo aumento della viscosità nel flusso di risorse che dall’ecosfera vengono convogliate nell’antroposfera e come progressiva (ed evidente) saturazione degli ecosistemi terrestri e marini con i rifiuti delle nostre attività economiche e sociali. Sul tema delle risorse ho già scritto in passato. 2–5

I limiti cognitivi riguardano principalmente l’incapacità collettiva di vedere i limiti fisici da parte di una maggioranza schiacciante della popolazione umana e dei suoi leader politici. Una combinazione di inganno deliberato e autoinganno giocano un ruolo essenziale in questo contesto perché fanno parte, probabilmente, del nostro bagaglio etologico.

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circolointernazionalista

Transizione ecologica o transizione economica?

Il proletariato e la questione ambientale

di Rostrum

vignetta9873“Niente è più facile che essere idealisti per conto d’altri. Un uomo satollo può facilmente farsi beffe del materialismo degli affamati, che chiedono un semplice pezzo di pane invece di idee sublimi”.
K. Marx, New York Daily Tribune, 11 maggio 1858

È di pochi giorni fa la notizia che dal prossimo trimestre la bolletta elettrica aumenterà del 40%, dopo che già nello scorso trimestre era aumentata del 20%. Secondo alcune stime, se questo aumento fosse confermato, corrisponderebbe a una spesa di circa 247 euro in più all’anno.

All’origine del rincaro in Europa ci sarebbe in primo luogo l’aumento delle quotazioni delle materie prime combustibili, a seguito di un aumento della domanda di energia provocato da una certa crescita economica globale – dato interessante soprattutto per chi si limita a recitare la formula rituale della “crisi”, come se il solo evocare la parola possa esimere da una concreta analisi strutturale che renda conto della specificità di ogni crisi.

Ma al rincaro contribuirebbero, per circa un quinto del totale, anche l’assolvimento degli obblighi del mercato Ets Ue, ovvero il Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’UE. In pratica viene fissato un tetto alla quantità totale di alcuni gas serra che possono essere emessi dagli impianti che rientrano nel sistema. Il tetto si riduce nel tempo, in modo tale da ridurre, teoricamente, le emissioni totali. Sotto questo tetto, gli impianti acquistano o ricevono quote di emissione che, se necessario, possono essere scambiate, infatti, la limitazione del loro numero totale garantisce che le quote disponibili abbiano un valore.

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paroleecose2

Cingolani e il nucleare: la risposta (non del tutto) giusta a una domanda sbagliata

di Angelo Piga

nucleareNegli ultimi giorni, la scuola di formazione politica di Italia Viva ha fornito spunti per due grosse polemiche: una riguarda la convenienza, per i suoi giovani partecipanti in rampa di lancio nella politica-pop renziana, di ostentare il Rolex; l’altra segue le dichiarazioni del ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani sull’ambientalismo e sull’opportunità di riutilizzare l’energia nucleare (l’intervento completo può essere visto sul canale YouTube di Renzi). Sono affermazioni che vanno prese molto sul serio:

“Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti, ideologici: loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, se non facciamo qualcosa di sensato. Sono parte del problema, spero che rimaniate aperti a un confronto non ideologico, che guardiate i numeri. Se non guardate i numeri rischiate di farvi male come mai successo in precedenza.”

Poi sul nucleare:

“si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione, senza uranio arricchito e acqua pesante. Ci sono Paesi che stanno investendo su questa tecnologia, non è matura, ma è prossima a essere matura.”

“Io voglio energia sicura, a basso costo e senza scorie radioattive. Se è nucleare di quarta generazione diventa semantica. È vietato nell’interesse del futuro dei nostri figli ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia. Quando avremo i numeri decideremo”

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antropocene

Antropocentrismo contro ecocentrismo: appunti su una falsa dicotomia

di Ian Angus

al bivioNegli anni quaranta dell'Ottocento, nei manoscritti successivamente pubblicati come L'Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels esposero la prima dichiarazione completa dell'approccio alla comprensione della storia e della società che sarebbe poi stata alla base dei loro testi e della loro attività politica per il resto della vita. Lo fecero sotto forma di una serie di critiche ai filosofi che allora erano influenti nei circoli radicali in Germania.

Cominciarono con una favola:

Una volta un valentuomo si immaginò che gli uomini annegassero nell’acqua soltanto perché ossessionati dal pensiero della gravità. Se si fossero tolti di mente questa idea, dimostrando per esempio che era un’idea superstiziosa, un’idea religiosa, si sarebbero liberati dal pericolo di annegare. Per tutta la vita costui combatté l’illusione della gravità, delle cui dannose conseguenze ogni statistica gli offriva nuove e abbondanti prove. Questo valentuomo era il tipo del nuovo filosofo rivoluzionario tedesco. [1]

Al giorno d’oggi, i filosofi che Marx ed Engels all’epoca criticarono, sono quasi dimenticati, ma il loro modo di pensare è presente in molti scritti ambientalisti moderni. Di solito è espresso in termini più sottili e sofisticati rispetto a chi pensava che l'annegamento fosse causato da una credenza irrazionale nella gravità. Tuttavia, l'idea che la distruzione ambientale sia causata da idee sbagliate, da una falsa concezione del rapporto dell'umanità con la natura, può essere trovata proprio nell'ampio spettro del pensiero verde.