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contropiano2

“Il neocolonialismo è morto”. Sul mondo multipolare

Investig’Action intervista Mohamed Hassan

colonialismo la regina e mortaPubblichiamo la traduzione di questa lunga intervista a Mohamed Hassan – curata da Grégoire Lalieu del collettivo Investig’Action e co-autore di “La Strategie du chaos” e “Jihad made in USA” – pubblicata il 26 ottobre sul sito del collettivo.

Paesi che si rifiutano di tagliare i ponti con la Russia. I dirigenti turchi che sfidano le minacce di Washington. L’Arabia Saudita che disobbedisce a Biden. L’America Latina che vira “a sinistra”. Una parte dell’Africa che volta le spalle ai suoi vecchi e nuovi “padrini” neo-coloniali. È chiaro che il mondo sta cambiando. E Mohamed Hassan ci aiuta a vederlo più chiaramente, anche per le prospettive “rivoluzionarie” che si aprono per le classi subalterne europee, oltre che per i popoli del Tricontinente.

Questo in una situazione in cui anche gli Stati Uniti non solo stanno perdendo la propria egemonia all’esterno, ma soffrono una crisi sociale che avrà dei precisi riflessi anche nelle vicine elezioni Mid-term dell’8 novembre.

Afferma giustamente Hassan: “oggi ci sono 500.000 senzatetto per le strade degli Stati Uniti e il loro tasso di mortalità è salito alle stelle. Ci sono anche due milioni di prigionieri su un totale di undici milioni in tutto il mondo. Il tasso di povertà infantile è del 17%, uno dei più alti del mondo sviluppato secondo il Columbia University Center on Poverty and Social Policy. L’imperialismo sta distruggendo gli Stati Uniti dall’interno e non ha impedito ai due grandi rivali, Russia e Cina, di conquistare potere. Questo aumento di potere indebolisce le posizioni dell’imperialismo statunitense nel mondo.”

Un mondo è al crepuscolo, un altro sta sorgendo sullo sfondo di uno scontro sempre acuito tra un blocco euro-atlantico ed i suoi satelliti ed uno euro-asiatico in formazione.

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giubberosse

Laboratorio Ucraina

di Enrico Tomaselli

Ogni guerra è, tra le altre cose, un terreno di sperimentazione. Classicamente lo è per le armi: nuovi prodotti dell’industria bellica, se positivamente testati nella realtà di un conflitto, ne ricavano il miglior lancio pubblicitario possibile. Ma talvolta una guerra rappresenta anche l’occasione per verificare molte altre cose; ed in questo, la guerra in Ucraina non fa eccezione

ilgiornale2 2022080815283761 576a6aa9eb682063f33a8b63b63c1821 2560x1580 1Armi, industria e strategie

Il conflitto che si sta combattendo, naturalmente, focalizza tutta l’attenzione su due aspetti: le conseguenza politiche ed economiche della guerra e la tragedia delle morti e delle distruzioni che si infliggono reciprocamente i contendenti. Pure vi sono altri aspetti non meno importanti, che però rimangono esclusi dal dibattito pubblico, restando confinati in un ambito assai specialistico – e per sua natura tendenzialmente riservato.

Una prima questione, tra quelle appunto minori, è relativa alle armi impiegate dalle forze combattenti. E, sotto questo profilo, la guerra in Ucraina è assai interessante per più di un motivo.

Innanzitutto, è il primo vero conflitto in cui è direttamente coinvolta la Russia post-sovietica. Sia le guerre cecene, che l’intervento in Siria, infatti, non sono assimilabili a questo, poiché qui a fronteggiare l’esercito russo c’è un altro esercito regolare, di un paese con decine di milioni di abitanti e non un sia pur ben organizzato esercito guerrigliero. Ciò costituisce quindi un’ottima occasione per osservare e valutare modalità e capacità di combattimento delle forze armate russe e soprattutto dei suoi armamenti.

Sotto questo aspetto, la guerra offre molteplici chiavi di lettura. Pur essendo un conflitto tutto sommato asimmetrico, non solo per l’evidente sproporzione tra le parti ma anche – ad esempio – per il totale dominio dell’aria da parte di uno dei due, una parte significativa della guerra stessa si svolge sul terreno, con un confronto tra forze meno squilibrate a livello tattico. Per quanto da entrambe le parti si faccia largo uso di mezzi e sistemi d’arma ancora d’epoca sovietica e siano, quindi, tutto sommato poco presenti armi moderne, si possono comunque osservare alcuni aspetti interessanti.

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“Sull’Irlanda”… e sulla Catalunya

di Andrea Quaranta

Catalogna bandieroneLa riedizione degli scritti di Marx e Engels Sull’Irlanda è una iniziativa fondamentale per approfondire la riflessione su quei contesti nei quali popoli differenti sono ancora in lotta per la loro emancipazione: è il caso della Catalunya, di Heuskal Herria, della Corsica e di molte altre situazioni in cui la contraddizione nazionale è tutt’altro che risolta.

La nuova edizione di PGreco è arricchita dalla corposa introduzione di Marco Santopadre che, oltre a fornire diversi e interessanti spunti interpretativi, mette ordine nella questione riportata alla ribalta dalla crescita del movimento indipendentista catalano e rivelatasi problematica per la sinistra di classe europea, tutt’altro che unanime riguardo alle nazioni senza stato del continente.

In questo contesto la riproposizione delle riflessioni contenute in Sull’Irlanda ha prima di tutto il grande merito di riportare l’attenzione sul pensiero originale dei fondatori del marxismo e di fare piazza pulita delle semplificazioni interessate e dei luoghi comuni circolati con successo anche “a sinistra”.

La raccolta permette infatti di seguire passo dopo passo il pensiero di Marx e Engels sulla questione nazionale irlandese, un pensiero la cui complessità (compresi i ripensamenti espliciti) segnala non i limiti bensí la vitalità e la ricchezza di un’analisi che, se non rappresenta una teoria compiuta della nazione, consegna però alla sinistra di classe gli strumenti fondamentali per sviluppare il proprio percorso nell’intricata materia.

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lacausadellecose

Una ciocca di capelli in Iran?

di Michele Castaldo

Protesta donne iranianeInutile girarci intorno la questione è seria e complicata: l’Occidente ha sviluppato e costruito – attraverso la sua storia – un modello di rapporti sociali che il resto del mondo guarda con ammirazione e sgomento al tempo stesso, proprio mentre si avvia verso il crack il paese simbolo del liberismo, gli Usa. Dall’Iran all’India, o alla stessa Cina si moltiplicano i fenomeni di emulazione di costumi sorti in Occidente e che pongono la donna al centro della scena sociale, politica, culturale, religiosa e quant’altro ancora. Saranno anche minoritari certi episodi, ma segnano il senso di una tendenza destinata più a rafforzarsi che a ridursi. Altrimenti detto: l’Occidente ha sviluppato il culto del liberismo individualistico, ovvero il senso della libertà assoluta dell’individuo.

Come si affrontano tematiche così complicate e importanti che investono milioni di persone nei diversi continenti? Cerchiamo di ragionare sulla cosa senza veli ideologici, come purtroppo spesso si fa, o per partito preso come i tifosi di una squadra di calcio, ma entrando nel merito e cercando di storicizzare la questione, partendo sempre dai fatti per quello che sono realmente e non per quello che si vorrebbe che fossero, per ricavare le idee corrette su di essi.

«Le donne insorgono pubblicamente contro la polizia morale, una istituzione che sorveglia minuziosamente i comportamenti femminili», scrive Sergio Romano sul Corriere della sera di domenica 16 ottobre 2022. Posta nei termini in cui la pone Sergio Romano, chi oserebbe dare torto alle donne «che insorgono pubblicamente»? Qualunque persona, qui da noi, dotata di buon senso direbbe: ma che malfattori questi governanti persiani, questi islamici retrogradi, questi conservatori reazioni e chi più ne ha più ne metta.

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effimera

Eurafrica. Le origini coloniali dell’Unione Europea

Prefazione

di Étienne Balibar

confronto in africa coloniale tra il coloniale europeo e gli africani o tribu africana engr castelli 1884 illustrazione o incisione d epoca 2dfbxahPubblichiamo la prefazione di Étienne Balibar al libro di Peo Hansen e Stefan Jonsson, Eurafrica le origini coloniali dell’Unione europea. Il libro, pubblicato in inglese, è stato recentemente tradotto in francese, da La Découverte, accompagnato da questo testo di Balibar. Su questo importante volume, Effimera ha pubblicato anche una recensione di Ludovic Lamant. La traduzione è di Salvatore Palidda.

Peo Hansen and Stefan Jonsson, Eurafrica: The Untold History of European Integration and Colonialism, Bloomsbury Publishing PLC, 2015

Peo Hansen et Stefan Jonsson, Eurafrique. Aux origines coloniales de l’Union européenne, préface d’Étienne Balibar, La Découverte, 2022

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Le circostanze in cui, in extremis, scrivo questa prefazione cui tenevo molto, sia per la stima che ho per gli autori, sia per l’importanza della questione che indagano, mi obbligano a essere breve. Ma non mi inducono a rinunciarvi, anzi.

Chiunque sia interessato all’Africa dovrebbe leggere questo libro e anche chiunque sia interessato all’Europa. E quindi chiunque sia interessato al mondo, di cui non c’è dubbio che l’Africa e l’Europa, insieme e separatamente, sono attori imprescindibili. Ma perché “Eurafrica”, questo strano composto (allo stesso tempo vicino eppure molto diverso, genealogicamente, da certi altri di cui si sente molto parlare in questo momento, come “Eurasia”)? Siamo abituati soprattutto forse sotto forma di aggettivo a “relazioni euro-africane”, “partenariato euro-africano”, apparentemente del tutto innocenti, puramente descrittivi.

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eticaeconomia

Una visione eterodossa della Cina*

di Pompeo Della Posta

Pompeo Della Posta sostiene che parlando della Cina, i media europei si soffermano molto spesso sugli aspetti negativi che la caratterizzano, ignorando o sottostimando, quelli positivi e che ciò rischia di alimentare una crescente contrapposizione con l’UE, oltre a quella, già evidente, fra USA e Cina. Della Posta tenta di riequilibrare la narrativa su quel paese, con l’intento di favorire il mantenimento di un contesto di comprensione e dialogo con l’UE e aiutare così le prospettive di pace in un contesto internazionale sempre più difficile

ling tang ybroaf1cn3i unsplashIl XX Congresso del Partito comunista cinese, che si apre proprio mentre vengono licenziate queste note, vedrà, con ogni probabilità, la riconferma di Xi Jinping come Segretario generale del Comitato centrale per i prossimi 5 anni. La sua eventuale conferma sarà possibile grazie ad una modifica costituzionale del precedente limite di 2 mandati. Sotto la sua guida, iniziata 10 anni fa la percezione che il mondo ha della Cina è profondamente mutata. Nel parlare del “paese di mezzo”, infatti, i media europei si stanno soffermando in maniera crescente sugli innegabili aspetti critici che lo caratterizzano (ad esempio la censura operata sull’informazione), spesso utilizzando esclusivamente un metro di giudizio occidentale, senza porli in prospettiva storica, geografica o culturale e senza considerare la specificità di un paese popolato da 1 miliardo e 400 milioni di persone. Sono generalmente del tutto ignorati o sottostimati quelli positivi (fra le poche eccezioni vi è un articolo della Harvard Business Review che sottolinea “ciò che l’Occidente sbaglia sulla Cina”).

Tutto questo sta condizionando il sentimento comune nei confronti di quel paese, ma soprattutto rischia di alimentare la contrapposizione frontale con l’Unione europea (UE) , che andrebbe ad aggiungersi a quella, già evidente, fra Stati Uniti (USA) e Cina, con conseguenze per le prospettive future di pace nel mondo.

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cumpanis

Unione europea: l’ottobre imperialista

di Fosco Giannini

Dalla rimozione del piano Musk per la pace al decreto Zelensky per la continuazione della guerra; dalla Risoluzione Ue per le armi all'Ucraina al "portafolio digitale": un itinerario per il rafforzamento del polo imperialista europeo

1663251563948 APL’informazione generale verso i popoli dell’Unione europea, verso i 450 milioni circa di cittadini e lavoratori dei 27 Paesi dell’Ue appare, oggi più che mai, oscura e incodificabile. Ma, appunto, appare, poiché in verità l’oscurità e l’incodificabilità, già ai primi tentativi di lettura razionale degli eventi, ai primi tentativi di metterli in relazione tra loro, si mostrano per ciò che sono: strumenti prescelti dalla “voce” dell’asse angloamericano ed europeo per la costruzione e l’imposizione del verbo imperialista, per la “verità” costruita in laboratorio, per un pensiero di massa che sempre più vuol essere ridotto a “batterio sintetico”.

La “vox” unica imperialista – ben più temibile, per i suoi sterminati “eserciti”, della pur orrenda Vox spagnola di Santiago Abascal, per la quale Giorgia Meloni lavora – manipola i fatti come un giocatore delle “tre campanelle”: li racconta e ce li porge o enfatizzandone i dettagli a sé favorevoli o rimuovendone quelli a sé sfavorevoli, confondendo, inoltre, la loro stessa sequenza, la loro conseguenzialità, in modo che il “batterio sintetico” del pensiero omologato non possa mai stabilire i nessi tra un fatto e l’altro. Il gioco delle “tre campanelle” è considerato dal diritto italiano una truffa e chi lo pratica un’associazione a delinquere. Nella differenza di verdetto giuridico tra una truffa perpetrata sui tavolini di una sagra del tartufo e l’orrore della costruzione scientifica di un senso comune di massa accecato sin dalla nascita, vi è tutta la verità sulla potenza del capitale.

Alla luce di questa premessa proviamo a “rileggere” i fatti accaduti in questa prima porzione di ottobre, fatti sui quali la “vox” imperialista, il fronte unico angloamericano ed europeo hanno lavorato al fine di epurare da essi elementi di pericolo per l’Impero e al fine di svuotarli di nessi e conseguenzialità. Dunque, di senso.

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Una tabella di marcia per sfuggire alla morsa dell’Occidente

di Pepe Escobar

Il percorso geoeconomico di allontanamento dall'ordine neoliberale è irto di pericoli, ma le ricompense per l'instaurazione di un sistema alternativo sono tanto promettenti quanto urgenti

1440x810 cmsv2 15e57507 9744 5939 bbfe a80d9ae8c929 6622002È impossibile seguire le turbolenze geoeconomiche inerenti alle “doglie del parto” del mondo multipolare senza le intuizioni del professor Michael Hudson dell’Università del Missouri, autore del già seminale Il destino della civiltà.

Nel suo ultimo saggio, [qui tradotto su CDC] il professor Hudson approfondisce le politiche economiche e finanziarie suicide della Germania, il loro effetto sull’euro, già in caduta, e accenna ad alcune possibilità per una rapida integrazione dell’Eurasia e di tutto Sud globale per cercare di spezzare la morsa dell’Egemone.

Ne è nata una serie di scambi di e-mail, in particolare sul ruolo futuro dello yuan, riguardo al quale Hudson ha osservato:

“I Cinesi con cui ho parlato per anni e anni non si aspettavano un indebolimento del dollaro. Non stanno piangendo per il suo aumento, ma sono preoccupati per la fuga di capitali dalla Cina, poiché penso che, dopo il Congresso del Partito [che inizierà il 16 ottobre], ci sarà un giro di vite nei confronti dei fautori del libero mercato di Shanghai.” La pressione per i prossimi cambiamenti si sta accumulando da tempo. Lo spirito di riforma per il controllo del ‘libero mercato’ aveva iniziato a diffondersi già più di dieci anni fa tra gli studenti [cinesi], e molti loro sono saliti in alto nella gerarchia del Partito.”

Sulla questione chiave dell’accettazione da parte della Russia del pagamento dell’energia in rubli, Hudson ha toccato un punto raramente esaminato al di fuori della Russia: “Non vogliono essere pagati solo in rubli. È l’unica cosa di cui la Russia non ha bisogno, perché può semplicemente stamparli. Ha bisogno di rubli solo per bilanciare i pagamenti internazionali e stabilizzare il tasso di cambio, non per farlo salire.”

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lafionda

Ucraina: una tragedia annunciata

di Ennio Bordato

russia ucrainaPochi giorni fa la morte di Michail Sergeevič Gorbačev ha segnato la fine di un’era. Per molto tempo la politica estera della Russia verso l’Occidente è stata determinata dal suo approccio e dalla sua eredità, fino a quando non si è scontrata con un nuovo muro invisibile, ma del tutto reale, costruito dall’Occidente tra sé e la Russia negli ultimi 20-25 anni. Questo nuovo muro ha svelato la debolezza della politica e delle concessioni di Gorbaciov, politica applaudita calorosamente in Occidente, ma che ha condannato la Russia alla dipendenza e alla capitolazione geopolitica. Gorbaciov, infatti, credeva nella ristrutturazione delle relazioni internazionali e nella possibilità di costruire una casa comune europea. Gli sviluppi in Europa, così come l’evoluzione delle relazioni tra Russia e Stati Uniti, hanno mostrato l’ingenuità di questo approccio. Il suo tentativo strategico di avvicinarsi all’Occidente attraverso concessioni unilaterali risale alla fine del 20° secolo, ma è stato respinto nel 21° secolo. La dottrina di Gorbaciov, ammesso che si possa parlare di dottrina, non ha resistito all’impatto con la realtà e alla prova del tempo.

Ciò che è accaduto dalla fine dell’Unione delle Repubbliche Socialista Sovietiche in Ucraina (e negli Stati Baltici) è il risultato di questo approccio errato. Nel dicembre del 1991 la settantennale esperienza sovietica cessava di esistere. Smentendo il referendum democratico del marzo dello stesso anno che aveva visto il 78% della popolazione esprimersi a favore del mantenimento dell’Unione, i tre presidenti delle repubbliche dell’URSS – Russia, Ucraina e Bielorussia – decidevano di “ascoltare” le voci dei consiglieri statunitensi che da tempo erano presenti nel caos della perestrojka gorbacioviana.

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codicerosso

Senza mobilitare le masse e abbandonare il culto del passato sarà difficile la vittoria di Lula

di Juraima Almeida*

In questo articolo l’autrice sostiene che in questo mese che ancora manca al secondo turno la candidatura di Lula deve cambiare la strategia seguita finora: mobilitare le masse e abbandonare il culto del passato, che si riassume nel tormentone di Lula ‘durante il mio governo…’

brazil elections 61206 800x445Nelle elezioni brasiliane di domenica scorsa l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva è stato il candidato più votato per la presidenza, ma gli è mancato l’1,7% dei suffragi per imporsi al primo turno sull’attuale presidente dell’ultradestra Jair Bolsonaro: l’epico duello tra i due si risolverà nel ballottaggio del 30 ottobre.

Il vantaggio di Lula su Bolsonaro è stato di quattro scarsi punti percentuali, nonostante tutti i sondaggi e le indagini prevedessero un vantaggio tra sette e dieci punti: questa è stata la prima vittoria dell’attuale mandatario. Ma la vittoria più pesante è stata riportata sia nella formazione di quello che sarà a partire dal 2023 il Congresso che nei governi provinciali.

Bolsonaro è riuscito a mantenersi in partita e continuare nella competizione per almeno altre quattro settimane: c’è stata la crescita di una base ampia e apparentemente solida che oscilla tra la destra e l’ultradestra.

Per qualsiasi analisi sul futuro bisogna partire dalla realtà, perché come segnala il direttore del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico, Aram Aharonian, la società brasiliana non è la stessa di 19 anni fa, quando quell’ex operaio metallurgico di Sao Bernardo do Campo e dirigente della Central Única de Trabajadores (CUT), cavalcando un’ondata di speranza, arrivò al governo (e al potere?). Il tempo passa…

Ed è assolutamente vero: molto è successo in questi ultimi due decenni e domenica le urne hanno dimostrato che i più poveri dei poveri delle periferie urbane non hanno votato -come si credeva- massicciamente per il PT e il suo candidato. Ora, anche vincendo, sarà difficile governare essendo in minoranza in Parlamento.

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sbilanciamoci

È vero che l’Europa si sta distaccando dalla Cina?

di Vincenzo Comito

Alcune grandi compagnie come Apple, Google e Amazon stanno spostando produzioni in Vietnam e India dalla Cina ma il processo di decoupling va lento e presenta spinte in senso contrario. L’Europa si allinea agli Usa ma grandi aziende tedesche continuano a investire nel paese asiatico

13712871 largeIl decoupling

Ormai la lotta per l’egemonia tra gli Stati Uniti e la Cina è la questione principale che si pone a livello economico, militare, politico, tecnologico, a livello mondiale. E’ in tale quadro che da qualche anno, e con una crescente intensità negli ultimi mesi, si discute molto della possibile separazione – o decoupling – tra l’economia cinese e quella statunitense e, almeno per alcuni versi, di quella più generale tra i paesi occidentali e il gigante asiatico. Sull’argomento c’è però un grande livello di confusione. Il testo che segue cerca di fare in qualche modo il punto su un tema certamente molto complesso da interpretare, centrando l’attenzione in particolare sul caso degli investimenti europei. 

 

Quanto appare reale la tendenza al decoupling?   

La guerra in Ucraina, il Covid e la decisione cinese di privilegiare la lotta alla malattia rispetto allo sviluppo economico hanno portato a rotture parziali delle catene di fornitura globali, in particolare in alcuni settori a partire da quello dell’auto, e a ritardi nelle consegne di merci, oltre all’intasamento dei porti e così via, nonché soprattutto ad una rinnovata volontà statunitense, peraltro già avviata ai tempi di Trump,  di contrastare a tutti i costi la crescita economica e tecnologica cinese. Bisogna ricordare anche il fatto che negli ultimi dieci anni i salari degli operai cinesi sono aumentati di tre volte, ciò che per le imprese pesa spesso molto. 

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comedonchisciotte.org

Perché la Russia vincerà comunque, nonostante i vantaggi dell’Ucraina

di Scott Ritter*

La Russia non sta più combattendo contro un esercito ucraino equipaggiato dalla NATO, ma contro un esercito della NATO presidiato da ucraini. Tuttavia, la Russia ha ancora il sopravvento nonostante la battuta d'arresto di Kharkiv

RussWin1 750x430Il 1° settembre l’esercito ucraino ha iniziato una grande offensiva contro le forze russe schierate nella regione a nord della città meridionale di Kherson. Dieci giorni dopo, gli ucraini hanno ampliato la portata e l’entità delle operazioni offensive per includere la regione intorno alla città settentrionale di Kharkov.

Mentre l’offensiva di Kherson è stata respinta dai russi, con le forze ucraine che hanno subito pesanti perdite sia in termini di uomini che di materiali, l’offensiva di Kharkov si è rivelata un grande successo, con migliaia di chilometri quadrati di territorio precedentemente occupato dalle truppe russe riportati sotto il controllo del governo ucraino.

Invece di lanciare la propria controffensiva contro gli ucraini che operavano nella regione di Kharkov, il Ministero della Difesa russo (MOD) fece un annuncio che molti trovarono scioccante: “Per raggiungere gli obiettivi dichiarati di un’operazione militare speciale per liberare il Donbass“, hanno annunciato i russi via Telegram, “è stato deciso di raggruppare le truppe russe… per aumentare gli sforzi in direzione di Donetsk“.

Sminuendo l’idea di una ritirata, il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che “a tal fine, entro tre giorni, è stata condotta un’operazione per limitare e organizzare il trasferimento delle truppe [russe] nel territorio della Repubblica Popolare di Donetsk”.

Durante questa operazione“, si legge nel rapporto, “sono state effettuate diverse operazioni diversive e dimostrative, indicando le reali azioni delle truppe” che, hanno dichiarato i russi, hanno portato alla “eliminazione di oltre duemila combattenti ucraini e stranieri, nonché di più di cento unità di veicoli blindati e artiglieria“.

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perunsocialismodelXXI

La prigione più grande del mondo

di Carlo Formenti

Carcere la storia dello sviluppo dei penitenziari nella realta italianaL'editore Fazi pubblica un libro che fin dal titolo – La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati - lascia intuire l’opinione dell’autore in merito alla politica israeliana nei confronti del popolo palestinese. Ove non bastasse il titolo la dedica dissipa ogni dubbio: “Ai bambini palestinesi, uccisi, feriti e traumatizzati dal vivere nella più grande prigione del mondo”. Opera di un intellettuale comunista pregiudizialmente ostile nei confronti di Israele, di un esponente della destra antisemita, di un simpatizzante di Hamas o di un pacifista “a senso unico”? No, a firmare il libro è Ilan Pappé, autorevole storico israeliano (docente all’Università di Exeter, in Inghilterra) già autore di diversi bestseller fra i quali Palestina e Israele: che fare? ( con Noam Chomsky).

Pappé è una mosca rara in un Paese dove le uniche forze che denunciano la politica israeliana nei Territori Occupati come ingiusta, crudele, per non dire criminale, sono il piccolo Partito Comunista, qualche minuscolo movimento anti sionista e quella esigua minoranza di intellettuali “illuminati” di cui lo stesso Pappé è un esponente. Tuttavia il suo lavoro non è una perorazione ideologica né una predica morale (o peggio moralistica), bensì una rigorosa esposizione di fatti storici corredata da un’ampia documentazione (verbali di riunioni di governo, memorie dei protagonisti, cronache nazionali e internazionali, sentenze di tribunali militari e civili, testi di legge, decreti, regolamenti emanati dalle autorità di occupazione, dichiarazioni di leader di partito, ecc.). Una mole di materiali talmente ingente che chi non abbia seguito con particolare attenzione gli eventi del conflitto palestinese dalla Guerra dei sei giorni (1967) a oggi rischia di perdercisi dentro (parlando di attenzione, non mi riferisco tanto all'attività militante dei movimenti filo palestinesi quanto a un costante impegno di documentazione sulla realtà dei fatti).

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la citta futura

America latina, la “nuova onda” progressista e il socialismo bolivariano

di Geraldina Colotti

Dopo l’attacco ai germogli di rivoluzione sbocciati 20 anni fa in America Latina a seguito dell’affermazione di Hugo Chavez in Venezuela, si assiste a una seconda ondata progressista. Ma sussistono differenze importanti fra le due ondate e differenziazioni strategiche fra le esperienze rivoluzionarie di Venezuela e Cuba e l’approccio moderato di altre forze progressiste, come quella del Pt di Lula in Brasile

db3c3c41db567cb432ab683bb772b5e2 XLUna seconda ondata progressista per l’America Latina? E su quali basi, forze, contenuti, nemici e alleati? La vittoria di Gustavo Petro, in Colombia, ha riacceso il dibattito: con qualche riflesso persino nell’isteria bovina che anima il nostro Stivale, avviato al voto anticipato. Nel pollaio politico in cui si beccano galletti e galline, si ripresenta infatti puntuale il presunto spauracchio Venezuela, simbolo di un socialismo come quintessenza di tutti i mali, fallito in ogni sua forma.

Che il “socialismo bolivariano” sia stato e sia lo stimolo per la tenuta o la ripresa dei processi di cambiamento in America latina, è dimostrato dai fatti. Il primo fatto, più testardo di tutti, è che, in Venezuela, ci sono governi che si richiamano al socialismo da quasi 24 anni: ossia da quando, il 6 dicembre del 1998, l’ex tenente colonnello Hugo Chávez Frias vinse alla grande le presidenziali, alla guida di una coalizione composta da nazionalisti progressisti, da partiti di centro-sinistra o di estrema sinistra e da ex guerriglieri che avevano combattuto con le armi le “democrazie camuffate” della IV Repubblica.

La prima “muta” di quel blocco sociale “plebeo”, deciso a portare la sfida di una nuova egemonia, coniugando 500 anni di lotta anticoloniale a una seconda indipendenza basata sui principi del socialismo (in base, però, a un modello che non fosse “né calco né copia”), avvenne dopo il golpe contro Chávez del 2002, e dopo la lunga serrata petrolifera padronale che seguì al ritorno al governo del Comandante. Gli elementi di socialismo si fecero da allora sempre più marcati. I parametri di quella svolta erano già insiti nel processo costituente, approvato dopo un’ampia discussione nel paese, nel 1999.

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maggiofil

Disertare contro il perbenismo guerrafondaio*

di Valerio Romitelli

Imperialismo americanoTra i tanti significati che può avere il termine gergale “perbenista” ce ne è uno che lo rende particolarmente d’attualità. Diciamo dunque che perbenista è chiunque creda che il mondo così com’è andrebbe bene, anzi di bene in meglio, se non ci si mettessero di mezzo dei fenomeni maligni, diabolici, che ne ostacolano il normale progresso civile e naturale.

Alla luce di questa definizione possiamo distinguere almeno due tipologie di perbenisti. C’è quella più classica del perbenista conservatore e moderato, che crede anzitutto nelle virtù civilizzatrici dello sviluppo tecnologico e delle istituzioni statali garanti della libertà; qui i fenomeni contrari al bene del progresso deriverebbero quindi dai cattivi sentimenti serpeggianti tra gli individui, quali la disonestà, la corruzione, l’ignoranza o la prepotenza autoritaria, se non totalitaria, ai quali le istituzioni democratiche o le virtù concorrenziali connesse alla libertà di mercato sarebbero chiamate a porre limiti.

Accanto a questa tradizionalissima figura di perbenista liberale, moralista, conservatore e moderato, c’è però anche quella del perbenista di sinistra, non esclusa anche la più estrema. Anche qui non manca certo la fiducia nella potenza emancipatrice del progresso tecnologico, ma la figura collettiva portatrice del bene nel mondo da questo punto di vista non è tanto lo Stato o le istituzioni pubbliche quanto il sociale. Sarebbero infatti le lotte e la cooperazione solidale messe in campo dalla “moltitudine” più generica e sfruttata dell’umanità a creare il “bene comune”; quel “bene comune” in cui si condenserebbero gli avanzamenti sia dello sviluppo tecnologico sia del riconoscimento dei diritti sociali.