Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

infoaut2

Dopo Trump?

di Raffaele Sciortino

Avvertenza: nonostante l’assertività della comunicazione scritta, quanto segue intende presentare una serie di ipotesi di lettura di una dinamica complessa e aperta a più esiti

e5e236d8 e58d 4db6 8409 5a606a96e8ed“I marxisti, non potendo oggi essere protagonisti della storia,
nulla di meglio possono augurare che la catastrofe,
sociale, politica e bellica,
della signoria americana sul mondo capitalistico”
Bordiga, 1952

Oggi e ieri

Nulla dice di più sullo stato del mondo attuale del fatto che gli Stati Uniti sempre più si presentano come una equazione impossibile. Il primo paese mercantile-capitalistico puro nella storia - privo di un passato premoderno - si divincola tra la crisi del suo comando globale e l’impossibilità di ripristinarlo nella cornice consueta dell’ordine internazionale liberale, tra spinte anti-globalizzazione e destino che ne fa la nazione “indispensabile”, per sé e per le altre, del sistema mondiale, tra crescente polarizzazione interna e aleatorietà di qualunque nuovo patto sociale che possa ricostruire un grande consenso, tra scarico dei costi all’esterno e montante riottosità di alleati e avversari a sostenerli al modo di prima.

Le elezioni di novembre sono l’ennesima conferma di questo paradosso, degno di una configurazione quasi imperiale: il disordine nel ventre della bestia oggi non equivale di per sé al benessere del resto del mondo, così come, nel passato, ogni ricomposizione interna, sociale e politica, progressista è sempre stata ricetta per disastri. Dalla guerra civile, compimento dell’emancipazione nazionale borghese, sono venuti fuori i robber barons e il decollo imperialista e nessuna soluzione alla questione dei neri. Dal New Deal e dall’alleanza “democratica” nella seconda guerra imperialista è nata la spinta decisiva al dominio mondiale; dal compromesso sociale fordista è scaturito il consenso alla Guerra Fredda e all’aggressione al Vietnam.

Print Friendly, PDF & Email

materialismostorico

Guerra commerciale USA-Cina: il vero ladro finalmente smascherato

di Rémy Herrera, Zhiming Long, Zhixuan Feng e Bangxi Li*

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 1/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, pp. 177-190, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0

1200px FugueKarl Marx ha sostenuto che il commercio intemazionale potrebbe espandersi nel senso indicato da David Ricardo, soprattutto se i paesi coinvolti consentissero un aumento della produzione a un costo inferiore. Tuttavia, Marx ha anche aggiunto che nonostante questo guadagno immediato lo scambio opera a scapito delle economie meno industrializzate e si rivela in realtà disuguale, cioè come una forma di esproprio, non appena si tiene conto delle quantità di lavoro e degli sforzi produttivi che entrnao nella merce scambiata1. È quanto accade se un paese meno sviluppato presenta una produttività del lavoro inferiore a quella dei suoi partner di commercio estero, con meno ore di lavoro incorporate nelle merci che importa rispetto alle ore incluse nelle proprie esportazioni. I rapporti tra quantità di lavoro richieste da esportazioni e importazioni (quelle che più avanti verranno chiamate “ragioni di scambio fattoriali”) sono in questo caso sfavorevoli al Paese meno avanzato, il quale viene sfruttato per quanto riguarda i rispettivi contributi di lavoro. Tuttavia, i marxisti dopo Marx, a partire dai teorici del sistema-mondo capitalistico, mostrerebbero che l’entità delle disuguaglianze tra i paesi coinvolti nello scambio può dipendere dal differenziale nella remunerazione del lavoro, inferiore alla periferia rispetto a quanto sia al centro pur con uguale produttività2. Rivelando così la natura ineguale o espropriativa dello scambio imperialistico, Marx ha quindi confutato l’idea di un commercio internazionale che porta a equalizzare o correggere gli effetti delle disuguaglianze e ha sottolineato piuttosto i meccanismi di dominio e sfruttamento che colpiscono le economie meno industrializzate e portano alla loro sottomissione nei confronti dei paesi capitalisti ricchi3.

Print Friendly, PDF & Email

mondocane

Assassinio Kakhrizadeh, un'altra guerra?

di Fulvio Grimaldi

Nagorno Karabakh – Iran: obiettivo Mosca. Chi, come, perché

striscioneIl Mossad è un’organizzazione criminale con la licenza”
(Tamir Pardo, ex-capo del Mossad)

Attentato, com’è andata davvero

Tra le tante versioni che circolano, quello più attendibile in base a fonti non interessate è esemplificata nella mappa. Per certo non è credibile la fesseria di una mitragliatrice automatica, su un mezzo poi fatto saltare in aria. Operazione in grande stile, invece, con la partecipazione di 62 persone delle quali 12 in azione armata. 1) Il convoglio dello scienziato di tre vetture blindate entra nella rotonda da cui si arriva alla cittadina di Asbard. 2) Salta per aria un’autobomba che abbatte un traliccio, provoca un blackout nell’area e colpisce la vettura di coda. 3) Un’auto Hyundai Santa Fè con 4 passeggeri, quattro motociclette e due cecchini, è appostata al lato opposto. Da qui si apre il fuoco dopo l’esplosione che ha bloccato le macchine.4) Uno del commando trascina Fakhrizadeh dalla macchina e lo finisce sulla strada, dove, infatti, resta una larga pozza di sangue.

Perché il governo di Ahmed Rouhani parla di un’operazione assai meno complessa? Perché si tratta di occultare l’inefficienza dei servizi di sicurezza a protezione dello scienziato, denunciata anche dagli ambienti militari, e l’impressionante grado di infiltrazione di elementi nemici e di collaborazionismo interno. Una debolezza che contrassegna l’intero mandato dell’attuale presidente, espressione, dopo gli anni di Ahmadinejad e nonostante i tentativi di contrasto dei cosiddetti “radicali”, o “conservatori”, di quelli che in Occidente vengono magnificati come “”moderati”. Come spesso succede, la divisione di classe si traduce in divisione geopolitica: da una parte il popolo, antimperialista e per la sua sovranità, dall’altra l’élite, propensa alla consociazione nel segno del mercato senza confini.

Print Friendly, PDF & Email

rproject

Un grande, devastante confinamento

di Gilbert Achcar*

Come la pandemia di Covid-19 accresce la dipendenza dei paesi poveri nel terzo mondo, un “grande confinamento” devastante

Schermata del 2020 11 25 12 45 18Con la pandemia di Covid-19, il pianeta sta attraversando la sua più grande crisi economica dal periodo tra le due guerre. Esplosione della disoccupazione, insicurezza alimentare, dispersione scolastica…: gli effetti del «grande confinamento» si fanno sentire dappertutto, ma sono ancora più gravi nei paesi poveri, dove il settore informale, per definizione privo di protezione sociale, occupa un posto preponderante.

Così come le conseguenze del cambiamento climatico si fanno sentire a tutte le latitudini, la pandemia di Covid-19 non risparmia nessuno, che si sia ricchi o poveri, capi di Stato o rifugiati. Tuttavia, è risaputo che queste crisi planetarie non colpiscono tutti gli esseri umani allo stesso modo. Oltre a implicare vulnerabilità differenti a seconda dell’età e di vari fattori di rischio, la pandemia, è come il riscaldamento globale, ha un impatto molto diverso sia su scala mondiale che all’interno di ciascun paese, in base alle tradizionali linee di demarcazione tra ricchi e poveri, bianchi e non bianchi, ecc. Certo, il contagio di Donald Trump ha confermato che il virus non ha alcun riguardo per il rango politico, ma le cure eccezionali di cui ha beneficiato il presidente degli Stati uniti, con un costo stimato in oltre 100.000 dollari per tre giorni di ospedalizzazione(1), dimostrano che se gli esseri umani sono tutti uguali di fronte alla malattia e alla morte, alcuni, come ha scritto George Orwell ne La fattoria degli animali, sono «più uguali di altri».

Come al solito, è il terzo mondo a essere colpito più duramente dalla crisi economica in corso, che il Fondo monetario internazionale (Fmi), nel suo rapporto semestrale dell’aprile 2020 (2), ha definito «grande confinamento» – una crisi che già adesso può essere considerata la più grave dai tempi della Grande depressione tra le due guerre.

Print Friendly, PDF & Email

cumpanis

L’imperialismo multinazionale, fase “sublime” del capitalismo

di Gianfranco Pala*

pala foto articolo Grave, difficile e pericolosa materia è questa
in cui il mio istituto mi mena,
e tale che io mi sarei ben volentieri astenuto d’entrarvi dentro,
se l’avessi potuto decentemente fare
[Ferdinando Galiani, Della moneta (Del frutto della moneta)]

Il mese di ottobre non si addice a Wall Street. Il grande crollo del 1929, la grande paura del 1987, il piccolo crollo del 1989, sono avvenuti tutti in ottobre. Noi non conosciamo la serie storica delle statistiche di borsa relative al primo mese d’autunno. Né ci interessa, e lasciamo volentieri che, in questo mondo di cabala, qualcun altro possa esaminarla. A noi, per la Contraddizione, basta studiare le cause strutturali di codesti fenomeni monetari. I pochi lettori che hanno seguito le nostre precedenti analisi non si saranno sorpresi affatto dello scoppio dell’ultima bolla di sapone speculativa “made in Usa”. Era stata annunciata, nella sua stessa effimera volatilità. Tutto secondo il copione e la regìa della grande finanza transnazionale. La conferma di ciò, tuttavia, non equivale a ridurre la questione a un semplice e banale contrattempo. Al contrario. Sono anni che, seguendo le analisi di Marx, indichiamo nella “sovraproduzione irrisolta su scala mondiale” la causa efficiente della perdurante crisi, non solo finanziaria, dell’imperialismo multinazionale. Gli stessi fenomeni di parvenza monetaria (inflazione, disinflazione, tassi di interesse e debito pubblico), a carattere nazionale, sono riconducibili tutti alle medesime determinanti connesse all’arresto del processo di accumulazione sul mercato mondiale. Anche quando, da altri, essi sono acutamente descritti nella loro immediata fattualità di cronaca e storia, noi li intendiamo sempre ascritti alle cause strutturali della sovraproduzione generale.

Print Friendly, PDF & Email

sinistra 

Cosa ci porta una presidenza Biden/Harris? NATO first, Make NATO great again

di Luigi Ambrosi

Joe Biden e Kamala Harris si sono presentati insieme per la prima volta davanti alle telecamerePremesso che la partita elettorale negli USA non si è ancora conclusa considerate le denunce in corso per frodi elettorali, la nomina di Biden alla Presidenza è per ora solo una forzatura dell'apparato mediatico globalista, la reale e legale nomination avverrà non prima del 6 gennaio allo stato attuale delle cose; Biden per ora è solo un Presidente mediatico, anche se sta accelerando la formazione della nuova governance per cercare di imporre la sua presidenza come fatto compiuto.

Biden Presidente è "altamente probabile" ma non ancora certo.

Se poi i Repubblicani conservassero il controllo del Senato (5 gennaio), la eventuale presidenza Biden sarà quella di una anatra zoppa; altrimenti se i Democratici riuscissero a conquistare anche il Senato, le forze globaliste avrebbero strada libera, ma dovrebbero pur sempre fare i conti con gli USA profondamente divisi. Di altamente certo è che la società americana è e resterà a lungo profondamente divisa, quindi più debole nella sua governance locale e mondiale, per la felicità dei popoli del mondo; per questo la prima insistenza di Biden è di presentarsi vanamente conciliante come il Presidente di tutti.

Occorre riconoscere la potenza di fuoco raggiunta dalle forze globaliste mondiali, intendendo le grandi multinazionali occidentali (e le loro Agenzie di controllo e di propaganda) che sono riuscite a condizionare e ribaltare gli esiti elettorali nella sede della principale potenza mondiale.

Print Friendly, PDF & Email

marxismoggi

Lotta alla povertà e alla disuguaglianza in Cina. Una risposta a Thomas Piketty

di Gianni Cadoppi

157033 mdIntroduzione

Si tratta di un insieme di saggi scritti nel corso degli anni e solo parzialmente aggiornati ma il cui senso rimane a mio avviso intatto. Spesso la questione della disuguaglianza in Cina è affrontata con metodologie parziali che non tengono conto dell’insieme dello sviluppo economico e sociale del grande paese asiatico e della sua unicità dal punto di vista dell'estensione territoriale e come paese più popoloso del mondo. A volte il saggio risulterà abbastanza ripetitivo perché i singoli capitoli sono stati scritti in maniera autonoma. Credo che il saggio sia tornato di attualità dopo le critiche di Thomas Piketty alla Cina sul tema delle disuguaglianze. Questi saggi sono stati scritti originariamente prima del libro di Piketty e il berseglio erano coloro che nella sinistra occidentale sostenevano l’inesorabile deriva capitalistica della Cina.

Per Thomas Piketty le società post-comuniste in toto sono le più fedeli alleate dell'ipercapitalismo. L’economista francese nel suo ultimo saggio parla del «disastro comunista» così grande da mettere in ombra anche i danni causati dalle ideologie schiavistiche, colonialiste e razziste oscurando i forti legami tra queste ideologie e quelle dell'ipercapitalismo.

Il presidente cinese Xi Jinping aveva dimostrato invece interesse per il suo best seller Il capitale nel XXI secolo (2014).

Nel suo discorso del 2015, Xi ha affermato che il libro di Piketty ha suscitato un acceso dibattito nella comunità accademica internazionale e che le sue argomentazioni sull'impatto del "capitalismo incontrollato" sulla disuguaglianza di ricchezza erano degne di considerazione. Xi infatti scriveva:

Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Scendete dal taxi e prendete la limousine!

di Piotr

Questo articolo viene pubblicato in contemporanea anche su Megachip

2d6ab313 aac1 4ab4 b10a 0e78fd393d9f«Il Presidente Trump è solo il conducente di un taxi che porta i passeggeri che ha accettato di far salire – Pompeo, Bolton e i Neoconservatori con la sindrome dell’Iran – dovunque gli dicano di andare. Vogliono fare una rapina, e viene utilizzato come guidatore per la fuga (e lui accetta completamente il suo ruolo)»

Michael Hudson

Un'amica di sinistra mi ha suggerito di leggere un articolo sulle presidenziali statunitensi scritto da Nadia Urbinati per il quotidiano “Domani”, il giornale di De Benedetti. Cosa che ho diligentemente fatto.

Nadia Urbinati è docente di scienze politiche alla Columbia University, una studiosa che da brava signora liberal newyorchese si pone il problema teorico se il Bolivarismo sudamericano (tout-court definito “populismo”) sia fascismo. La risposta è negativa (il Bolivarismo è addirittura ossessionato dalla necessità di elezioni – però, ahi ahi, anche per ottenere conferme plebiscitarie), ma già il dilemma posto conferma che la coscienza di classe e l'ideologia sono dettate dall'essere sociale, come aveva perfettamente intuito György Lukács. Io semmai mi porrei il problema se il Bolivarismo sia socialismo. Mi porrei cioè, nel suo senso più generale, un problema di rapporti sociali.

E qui entriamo nel vivo.

L'articolo accenna alla questione razziale e ripete le usuali accuse a Trump suggerendo che con Biden e la Harris le cose cambieranno.

In realtà quello che dice l'articolo può essere riferito pari pari anche ai Democratici. È noto, ad esempio, che sotto i due mandati di Obama si è toccato un numero record di neri uccisi dalla polizia (record rinnovato sotto Trump) e molti osservatori liberal hanno registrato l'incapacità o impossibilità da parte di Obama di, non dico migliorare, ma almeno fermare il peggioramento delle condizioni economiche e sociali degli afroamericani.

Print Friendly, PDF & Email

aldogiannuli

Approfondimento: le elezioni americane, il Covid e le rivolte razziali

di Aldo Giannuli

elezioni 2020 usaNormalmente, in un’ elezione qualsiasi quello che conta è chi ha vinto e chi ha perso, ma in queste elezioni presidenziali americane la cosa mano importante è se vincerà un candidato o l’altro. Certo Trump è un orrore, ma anche se dovesse vincere quel pesce lesso di Biden, non è che ci sarebbe da mettersi a ballare. Qui quello che conta è che America sta venendo fuori da queste elezioni e questo è già chiaro come il sole.

a. un paese spaccato esattamente a metà, su precise coordinate geografiche (coste contro l’interno) con due metà che si odiano come mai nella storia del paese

b. con una corrente politica come il trumpismo che non è cosa di breve durata e che ha sostituito il vecchio partito repubblicano

c. che si avvia ad una crisi istituzionale senza precedenti e si avvia ad una conflittualità interna senza precedenti, perché segnata dallo scontro fra due integralismi che hanno travolto il tradizionale pragmatismo americano.

d. nel quale sono totalmente saltate le regole del far play istituzionale mettendo a nudo un sistema elettorale demenziale

e. un paese nel quale il Covid, prima e le rivolte razziali dopo, hanno fatto da molla alla rivincita democratica e, più in generale, alla crisi del sistema.

Il primo dato è la divisione a metà su aree geografiche abbastanza omogenee: le coste ai democratici, il centro del paese ai repubblicani (salvo qualche sporadica eccezione da un lato e dall’altro).

Print Friendly, PDF & Email

maggiofil

Gramsci a Wuhan*

di Valerio Romitelli

e3098320bc9e754479592595bffb1b21 ML’epoca d’oro della democrazia all’americana, ovvero neoliberale, è decollata col crollo del muro di Berlino e ha cominciato a declinare da quando Cina e Russia sono ridiventati protagonisti della scena mondiale. Se è vero che l’epoca in corso è caratterizzata dall’emergere del modo sovranista e populista di pensare e sperimentare la politica[1], ciò è possibile anche per il ritorno alla ribalta di questi due paesi ex comunisti, il primo dei quali restato tale almeno ufficialmente.

Anche le elezioni di Trump, così come molte sue scelte, sarebbero restate impensabili nel mondo precedente, quello nel quale gli Stati Uniti godevano di una superpotenza illimitata. Parecchi fatti storici cruciali attestano l’esaurirsi di questa supremazia globale di Washington. Tra di essi l’andamento della guerra in Siria, nel quale la distruzione sistematica del paese adottata per la Libia di Gheddafi è stata bloccata dall’intervento russo. Ma anche nell’emergenza pandemica, mentre gli Stati Uniti hanno dimostrato inefficienze disastrose, la Cina, nonostante tutte le calunnie occidentali, è apparsa capace di mettere in opera la soluzione di distanziamento e controllo della popolazione che a partire da Wuhan è diventata il modello promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità e seguito in ogni angolo del globo. Quello che è stato l’«Impero di mezzo», già tre secoli fa esempio del mercato prediletto dallo stesso Smith[2], sembra oggi tornare a primeggiare non più solo in fatto di commercio e produzione.

 

Stato e corpi collettivi

Per arrivare subito al cuore del primo punto occorre sbarazzarsi del maggiore pregiudizio che su simili temi viene diffuso dalla propaganda in uso in paesi vassalli degli Stati Uniti come il nostro.

Print Friendly, PDF & Email

micromega

Crisi della globalizzazione e attualità delle teorie della dipendenza

di Carlo Formenti

visalli dipendenzaSecondo Fukuyama, il marxismo sarebbe morto assai prima del 1989, in assenza della miseria del mondo sottosviluppato, fenomeno che ha consentito alla scuola dei teorici della dipendenza di prolungarne la vita, sia pure al prezzo di alcuni “tradimenti” nei confronti della versione “canonica” che i fondatori avevano consacrato fra fine Ottocento e primo Novecento. Il libro di Alessandro Visalli, Dipendenza, da poco approdato in libreria per i tipi dell’editore Meltemi, esordisce citando questa opinione dell’autore della Fine della storia. Sappiamo che poi la storia non è affatto finita, e che il filosofo nippoamericano è stato altrettanto imprudente nel recitare il de profundis per il marxismo, cui la crisi del sistema liberal liberista sta oggi concedendo più di una rivincita, ma questo non è l’unico, né il più significativo, argomento della corposa (400 pagine abbondanti) e documentatissima ricerca che Visalli ha condotto sulla scuola della teoria della dipendenza.

Parliamo di una scuola che rappresenta una delle più affascinanti avventure del pensiero critico dell’ultimo mezzo secolo, un pensiero che, pur con i diversi accenti e sfumature che ognuno dei suoi vari esponenti vi ha incorporato, si è evoluto nei decenni senza mai rinunciare al filo rosso di una tesi di fondo comune: il sottosviluppo non è il prodotto di una carenza di capitali e tecnologie, né di insufficienti livelli di modernizzazione, bensì delle forme specifiche che il modo di produzione capitalistico ha assunto in determinati Paesi, e della loro collocazione nel sistema internazionale. Per argomentare questo punto di vista, Visalli ha scritto un libro difficilmente inquadrabile in un'unica categoria disciplinare, visto che può essere definito come un saggio di storia delle idee e delle teorie economiche, ma effettua frequenti incursioni in campi come la geopolitica, l’antropologia e la politologia.

Print Friendly, PDF & Email

la citta futura

La battaglia delle idee: come è stata costruita l’egemonia statunitense

di Alessandra Ciattini

L’egemonia culturale statunitense non è casuale, ma è stata promossa dal secondo dopoguerra da istituzioni ben finanziate e organizzate come la CIA

cf11b3f20e3d67835224e7f80e1cebe3 XLÈ noto che l’espressione battaglia delle idee viene già utilizzata da Marx negli anni ’40 dell’’800 e successivamente da Gramsci allo scopo di sottolineare che la lotta per la costruzione di un nuovo modello di società tocca in maniera profonda anche la coscienza degli individui e il loro modo di concepire la vita collettiva.

Negli anni ’80, all’epoca dello scontro con gli Stati Uniti per la restituzione al padre del piccolo Elián González, Fidel Castro rilancia questo termine e dà impulso ad una serie di importanti misure, il cui scopo è quello di elevare il livello intellettuale dei cubani; tra queste cito lo sviluppo di un programma educativo volto ad estendere la preparazione universitaria, la creazione di un canale televisivo educativo (Universitad para todos), che si è mostrato molto utile in questa fase di confinamento per l’insegnamento a tutti i livelli, l’universalizzazione dell’università; quest’ultima, il cui scopo era quello di consentire l’accesso all’università di tutti i lavoratori sociali con l’aiuto dell’impegno volontario dei docenti, purtroppo non ha dato buoni risultati.

Successivamente, dopo il dissolvimento del blocco dell’est, e quindi con l’impossibilità di contrapporre il capitalismo ad un altro modello di società, il governo cubano decise di incrementare questa politica, passando da un atteggiamento difensivo ad uno aggressivo, colpevolizzando con insistenza l’attuale sistema economico-sociale dei gravi problemi con cui si deve confrontare l’umanità. In questo contesto nel 2003 si costituì ad opera di intellettuali cubani e messicani la Rete degli intellettuali in difesa dell’umanità, che ha avuto un illustre antecedente nell’Alleanza internazionale degli scrittori, il cui primo Congresso si tenne a Parigi nel 1935. La Rete è animata dalla volontà di opporsi alla barbarie, all’ingiustizia, a difendere la pace, la dignità umana e a preservare ciò che caratterizza l’essere umano in quanto tale.

Print Friendly, PDF & Email

marx xxi

Socialismo o imperialismo europeo?

di Alessandro Pascale

Articolo pubblicato su Cumpanis.net nel settembre 2020. Disponibile in PDF su Academia

pascale cumpanisL'uscita dall'Unione Europea rappresenta un punto ineludibile non solo per i comunisti e i “sovranisti” (di qualsivoglia fatta) ma anche per le forze borghesi “realiste” e soprattutto per la stragrande maggioranza dei lavoratori e dei subalterni di questo paese. Una gran parte del popolo la pensa però diversamente, e pur mostrando ormai un'ampia diffidenza, ritiene ineludibile la permanenza nell'UE. Quali sono le loro ragioni? Raccogliendo i principali atteggiamenti socio-individuali sull'Europa, si possono costruire i seguenti ideal-tipi, che racchiudono modi di sentire presenti sia tra le classi dominanti che tra quelle dominate. Queste ultime per varie ragioni subiscono l'egemonia borghese, senza esserne pienamente consapevoli.

 

1) Gli "ingenui europeisti”

La prima categoria, facilmente identificabile, è quella che chiamerei gli “ingenui europeisti”, ossia coloro che rivendicano la bontà dell'esperimento europeo. “L'Europa ci ha dato prosperità e sviluppo, ha garantito 70 anni di pace, libertà e diritti umani”. Spesso tale tendenza è accompagnata da una sensibilità cosmopolita o da un'autodenigrazione nazionale che ritiene gli italiani incapaci di auto-governarsi a causa della dilagante corruzione, stupidità e incapacità che sarebbero insiti nel nostro DNA. Inoltre ci si richiama al percorso che ha ormai permesso di costruire un'identità europea, specie tra le giovani generazioni grazie a progetti come l'Erasmus.

Gli “ingenui europeisti” si dividono in due filoni: i “truffatori” e gli “ingannati”.

Print Friendly, PDF & Email

marx xxi

Beirut Addio

di Marco Pondrelli

Questo articolo scritto dal direttore del sito Marco Pondrelli compare in contemporanea su ‘marx21’ e su Ragioni&Conflitti

PORTL'esplosione del 4 agosto al porto di Beirut ha provocato una vera e propria strage, ovviamente la politica e la stampa, italiane e non solo, sanno già chi sono i responsabili: i 'terroristi' di Hezbollah. Questa propaganda prolifera sulla scarsa conoscenza del Libano e di tutto il Medio Oriente (o Vicino Oriente). Quando si parla di politica internazionale queste posizioni sono la norma ma è solo grazie all'elargizione di luoghi comuni a piene mani che si possono fare affermazioni a dir poco azzardate come, ad esempio, definire l'Iran antisemita, dimenticando (o forse ignorando) quali sono le popolazioni semitiche e che, tolto Israele, la più grande comunità ebraica del Medio Oriente si trova in Iran, dove gli ebrei non solo godono di molti più diritti dei palestinesi ma sono anche presenti in Parlamento.

È necessaria quindi un'analisi che espunga questi luoghi comuni e che si basi sulla lettura della realtà e non su interpretazioni fantasiose.

 

Enigma Libano

Un bel film di Ziad Doueri, l'insulto, uscito nel 2017 racconta un processo in cui sono coinvolti un cristiano ed un rifugiato palestinese, è un processo che spacca il paese, perché viene a caricarsi di significati che vanno oltre la contesta fra due persone. È un film che rappresenta bene l'attuale Libano, un paese prostrato da infinite guerre.

Un piccolo excursus storico è il punto da cui partire per capire come quella che un tempo era conosciuta come la Svizzera del Medio Oriente sia ora persa in una durissima crisi: politica, economica e sociale.

Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Tra Italia e Bielorussia c’è di mezzo il mare (oceano atlantico)

di Massimiliano Bonavoglia

minsk belarus 1La Bielorussia è oggi nell’occhio del ciclone mediatico (occidentale). Sino a poco tempo fa molti manco sapevano esattamente dove fosse collocata geograficamente, ma dopo quelle deprecabili elezioni ora tutti finalmente sanno che laggiù, anzi lassù, la democrazia non è di casa.

Lasciamo per un momento questo argomento e andiamo dall’altra parte dell’Atlantico. La cosiddetta pandemia ancora in corso nel pianeta ha colpito duro anche gli USA. La FED ha stampato trilioni di dollari su ordine di Trump, si sono dati sussidi a fondo perduto come non mai nella storia americana, enorme ossimoro per il Paese più capitalista del mondo, gesto voluto da un presidente repubblicano, liberale e molto ricco di suo, il 2020 è un anno che troverà ampio spazio nei libri di storia dei prossimi secoli. Il PIL americano è calato, la disoccupazione è esplosa, i volumi nei mercati sono scesi, ma gli indici azionari, dopo un grande tonfo sono risaliti. Che sta succedendo? Proprio quest’anno, i colossi multinazionali si sono arricchiti in modo impressionante, come mostra un recente articolo di Forbes:

(https://www.forbes.com/sites/niallmccarthy/2020/06/22/us-billionaire-wealth-surged-since-the-start-of-the-pandemic-infographic/#5e03e8643f8b)