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lantidiplomatico

Le rivoluzioni colorate e la Cina: da Tienanmen a Hong Kong

di Domenico Losurdo

"In questi giorni, la stampa occidentale, anche quella di «sinistra», esprime il suo entusiastico appoggio ai rivoltosi di Hong Kong e rievoca Piazza Tienanmen. In effetti conviene prendere le mosse da questa tragedia per analizzare le manovre messe in atto dall’imperialismo contro la Repubblica popolare cinese. Riproduciamo qui, per gentile concessione dell'autore, alcune pagine di un libro di Domenico Losurdo appena pubblicato da Carocci". Con questa premessa di un'attualità imbarazzante, Marx 21 nel 2014 rilanciava un estratto fondamentale dell'intellettuale marxista che vi riproponiamo oggi nel giorno dell'anniversario dei fatti di Tiananmen del 4 giugno 1989. E' la migliore risposta possibile alle centinaia e centinaia di fake news sino-fobiche che leggete in questi giorni in cui il cuore dell'imperialismo è in fiamme

c8a89b28e418e2dae9a568fb52bf2dd31. Un terrorismo dell’indignazione coniugato al passato

Oltre che al presente, il terrorismo dell’indignazione può essere coniugato al passato. È possibile per così dire impiccare a un’immagine, vera o falsa e comunque accuratamente e strumentalmente selezionata, un concorrente, un potenziale nemico, un nemico da screditare o, più esattamente, da additare al pubblico ludibrio dell’opinione pubblica internazionale. Nel ricordare ogni anno la tragedia di Piazza Tienanmen, agli inizi di giugno i media occidentali ripropongono immancabilmente il fotogramma del giovane cinese che, disarmato, fronteggia con coraggio un carro armato dell’esercito. Il messaggio che si vuole trasmettere è chiaro: a sfidare la prepotenza e il dispotismo è un combattente della libertà al quale l’Occidente non si stanca di rendere omaggio e che solo in Occidente può trovare la sua patria elettiva.

Ma realmente tutto è così evidente? Realmente non c’è spazio per il dubbio e la sfumatura? Voler riflettere un po’, prima di introiettare e far proprio il messaggio manicheo che viene proposto o che si cerca di imporre, è solo sinonimo di atteggiamento sofistico e di sordità alle ragioni della morale? Il terrorismo dell’immediata percezione e indignazione è in agguato. Chi voglia evitare di cadere in trappola farebbe bene a esitare per un attimo e a porsi alcune domande, prima di giungere a una conclusione non solo frettolosa ma soprattutto imposta prepotentemente dall’esterno.

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osservatorioglobalizzazione

Anatomia del “Deep State”: come funziona lo Stato profondo negli Usa

di Lucio Mamone

Torna sulle nostre colonne Lucio Mamone, che approfondisce le dinamiche riguardanti il cosiddetto Stato profondo statunitense da lui precedentemente analizzato partendo dal saggio di Mike Lofgren sul tema

simbolo politico degli stati uniti dello stato profondo 122546760Nella precedente controstoria del “secolo americano” abbiamo potuto osservare sotto quali condizioni, secondo Lofgren, lo Stato profondo è sorto, si è sviluppato ed infine imposto come principio di governo della prima potenza mondiale. Da tale cronaca è emersa una spiegazione per lo più impressionistica ed intuitiva di cosa lo Stato profondo sia, mentre è rimasto ai margini della trattazione il confronto con quelle domande fondamentali a partire dalle quali è possibile definire in che modo la nozione di Stato profondo sia esattamente da intendere e come si differenzi non solo da tutta una serie di fenomeni apparentemente più o meno analoghi, ma anche da quegli usi erronei del termine ricorrenti nella retorica politico-giornalistica. Per far questo, pur mantenendo l’opera di Lofgren come principale riferimento, dovremo ora estendere la nostra prospettiva a concetti e problemi spesso ignorati dal dibattito pubblico, esplicitando innanzitutto quali siano tali domande fondamentali da porci per orientarci verso una discussione rigorosa, e non propagandistica, sul tema.

 

Stato profondo: soggetto o situazione?

In una delle sue formulazioni più sintetiche Lofgren definisce lo Stato profondo come «un governo ombra» che opera al di fuori delle istituzioni rappresentative e «presta scarsa attenzione ai semplici dettami costituzionali»[1]. Questa descrizione apparentemente autoevidente ed esaustiva, in realtà, apre ad un ampio spettro di possibilità interpretative; la prima disambiguazione che si rende necessaria riguarda la seguente questione: lo Stato profondo è da concepire, in senso stretto, come un soggetto, quindi come un attore o una serie di attori che si pongono in antitesi rispetto al potere “ufficiale”, o piuttosto come una situazione, quindi una specifica configurazione dei rapporti di forza e di interazione tra le diverse istituzioni che reggono lo stato e, più estensivamente, la società?

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sinistra

La rivoluzione egiziana e la conquista dello stato

di Gianni Del Panta*

2011 01 26 0210431La politica che troviamo su giornali e televisioni è materia di competenza esclusiva di ministri, burocrati, capitalisti, parlamentari, giornalisti, sondaggisti e accademici. Tutti gli altri sono invece meri spettatori, costretti a subire le decisioni prese in loro nome e chiamati, in quasi tutti i sistemi vigenti, a tratteggiare una croce su una scheda elettorale ad intervalli più o meno regolari. La correttezza procedurale delle operazioni di voto rappresenta il discrimine tra democrazie borghesi e autoritarismo, mentre la passività delle masse è l’elemento sul quale si fonda un qualsiasi regime nel quale le classi proprietarie dei mezzi di produzione sfruttano a proprio vantaggio la stragrande maggioranza della popolazione.

Gli eventi occorsi in Egitto tra il 25 gennaio 2011 e il 3 luglio 2013 dimostrano però come l’estraneità delle masse dall’arena politica non rappresenti in alcun caso un elemento ineluttabile. Gli sforzi delle classi possidenti e dei loro attendenti, per quanto ingenti, non sempre infatti riescono ad ottenere l’apatia delle masse. Quando la barriera che pone i subordinati in una posizione silenziosa e passiva crolla, scosse telluriche si sviluppano lungo tutte le articolazioni di una società. D’altronde, proprio l’irrompere violento delle masse sul terreno dove si decidono le loro sorti è il fattore che segna incontestabilmente l’avvio di un qualsiasi processo rivoluzionario. Non tutte le situazioni rivoluzionarie conducono però al successo della rivoluzione. Una questione cruciale in tal senso è quella del potere statale.

Esiste oggi tra le fila della sinistra movimentista una radicata convinzione che la conquista del potere da parte dei rivoluzionari sia un aspetto quantomeno secondario. Le varianti più oltranziste di questa vulgata giungono perfino a ritenere controproducente la presa del comando.

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mondocane

Giornata delle vittime del terrorismo... Di quale?

Lorenzo Poli di InfoPal intervista Fulvio Grimaldi

Nel giorno dedicato alle vittime del terrorismo e quindi del popolo rinchiuso nell’unico Stato a cui tutto si condona. Collaborazionismo, consapevolezza politica, “fightwashing” e l’annientamento del popolo palestinese

barghuti soldatiDa tre mesi, per occuparmi dell’operazione coronavirus, ho tralasciato l’argomento – gli Esteri - al quale mi sono dedicato da quando, nel 1967, il quotidiano “Paese Sera” mi ha inviato in Palestina a riferire della Guerra dei Sei Giorni. Domani, mi tocca tornare sul maledetto progetto virus, che, peraltro, rientra anch’esso a pieno diritto nella giornata delle vittime del terrorismo, come è anche il fulcro oggi della politica internazionale. Non solo perché è un’operazione per cambiare il mondo in peggio, paragonabile solo all’altra grande mistificazione di duemila anni fa, ma perché intende ristrutturare l’intera umanità con annesso un calcolato sacrificio di una sua grande parte.

Sul tema terrorismo e relativi mandanti e vittime dovrebbe essere difficile insegnare qualcosa agli italiani. Ne siamo il laboratorio da almeno 50 anni. Il nostro 11 settembre si chiama Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus, BR-Moro, Stazione di Bologna, Ustica, stragi Stato-mafia 1992-93 e, ora, Sars-CoV-2. Qualcuno sta rilasciando i boss al 41bis. Altri che hanno altrettanto e più colpe per meritarsi il 41bis, girano liberi (dopo pochi anni di formale galera), e pontificano su giornali e schermi, consolidando l’inganno Moro. Sicari e mandanti sono sempre gli stessi. Eppure un sacco di gente continua a cascarci.

Lascio, per oggi, il pontefice del vaccino, i suoi chierici, sacrestani e sguatteri, a sbattersi tra le travolgenti onde delle nuove terapie del “sangue iperimmune”, che al vaccino, ai suoi miliardi e alla sua dittatura globale, rischiano di rovinare la festa. E torno in Palestina, lì dove, forse, tutto è incominciato.

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contropiano2

“Si va delineando una rottura dello stallo degli imperialismi”

Appunti sulla fase

di Rete Dei Comunisti

284693 originalNell’attuale situazione di generale incertezza sullo sviluppo della pandemia del Covid-19 e delle sue conseguenze risulta difficile ragionare per ipotesi e si rischia di procedere per congetture che la realtà materiale può abbondantemente smentire da un momento all’altro.

Allo stesso tempo tenendo conto di questo livello di inevitabile arbitrarietà di qualsiasi enunciato sugli scenari futuri è necessario iniziare ad abbozzare un ragionamento che intersechi lo sviluppo della pandemia, lo stato di salute del Modo di Produzione Capitalistico (MP), gli equilibri geo-politici che si stanno configurando, nonché le prospettive che potrebbero aprirsi per il movimento comunista.

Bisogna considerare che con tutto il suo tragico portato l’attuale emergenza sanitaria può divenire dialetticamente il più grande momento di politicizzazione di massa dopo il 1968.

Essendo entrato in crisi strutturalmente “un sistema”, si aprono delle possibilità prima difficilmente prefigurabili per i suoi ulteriori sviluppi e, stando con i piedi per terra, probabilmente molto al di sopra delle capacità soggettive attuali dei comunisti in Occidente, tra cui le nostre.

L’elemento soggettivo nella sua funzione di indicare una direzione complessiva alla materia sociale in ebollizione si riafferma – nei passaggi storici fondamentali come questo – essere uno dei fattori imprescindibili affinché una crisi sistemica prenda una direzione di rottura, piuttosto che una involuzione reazionaria.

Le strade si biforcano ad ogni passaggio di fase: da un lato il consolidamento dei rapporti sociali precedenti sotto il giogo di un comando politico più ferreo in una situazione di un ordine geo-politico ricostituito, anche se con mutati equilibri geo-politici, dall’altra la possibilità di trasformare le fratture apertesi in una rottura più complessiva con il mondo che ci ha preceduto.

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tempofertile

Giovanni Arrighi, “Il capitalismo in un contesto ostile”

di Alessandro Visalli

alessandrozappail mare2 1568x2739Giovanni Arrighi, dopo essere stato tra gli animatori delle lotte operaie con il Gruppo Gramsci nei primi anni settanta[1], si trasferisce nel 1973 all’Università della Calabria, dove resta per sette anni. In Calabria fonda la rivista “Sviluppo”, che sarà attiva dal 1974 al 1993 la quale tratta i temi della teoria e pratica dello sviluppo, seguendo in qualche modo la traccia della Monthly Review americana. Uno dei problemi che interessa il gruppo della redazione è l’enigma dei migranti che si trasformano in avanguardie operaie una volta trapiantati nelle fabbriche torinesi e milanesi.

Nello svolgimento di una approfondita e interessantissima ricerca sul campo Arrighi e i suoi collaboratori individuano, con il classico approccio modellista del nostro (derivato dalla sua formazione neoclassica), un modello a tre percorsi che incorpora diverse forme e traiettorie di conflitto sociale. La ricerca produce alcuni risultati teorici originali ed avrà un largo seguito:

1- Il caso Calabria dimostra che lo sviluppo capitalistico e l’ascesa a una posizione di “centro” non poggia necessariamente sulla completa proletarizzazione, contrariamente ad una volgarizzazione dello schema marxiano;

2- Il caso del Crotonese, in particolare, definibile come “accumulazione per spoliazione”, dimostra che la completa proletarizzazione, al contrario, può essere un danno per il processo di accumulazione capitalistica;

3- L’ipotesi di una stretta connessione tra l’emigrazione e la proletarizzazione non ha validità generale;

4- Il conflitto sociale è parte integrante dei processi di sviluppo e l’emigrazione svolge una importante funzione strutturale, anche questa ambivalente.

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infoaut2

Da dove è arrivato il Coronavirus, e dove ci porterà?

di Rob Wallace

Un’intervista con Rob Wallace, autore di “Big Farms Make Big Flu”

Virus NYC IWWD2020 SaraFloundersDentro ogni conflitto c’è uno scontro sulla conoscenza. La pandemia mondiale Covid-19 è la realtà della crisi capitalistica nell’era dell’antropocene. Non la prima, ma la prima capace di minacciare le catene del valore su scala globale compromettendo la riproduzione sistemica nelle aree a più avanzato sviluppo capitalistico del pianeta. ll virus è già un rapporto oltre i limiti dello sviluppo. Disvela non tanto di mancata tenuta dell’ecosistema planetario rispetto alla sua messa a valore capitalistica, quanto l’endemicità dei suoi cicli di crisi che ridefiniranno da qui in avanti il rapporto tra umano ed ecosistemi integralmente trasformati in eco-tecno-sistemi presentando condizioni – con buona pace di ogni residuo fantasma di progresso - in gran parte ancora ignote. In questo senso battersi per una conoscenza di parte del fenomeno significa risalirne alcune determinanti strutturali. Ciò serve a svincolarsi innanzitutto da una riduzione della crisi a emergenza esclusivamente sanitaria. Le straordinarie forme di solidarietà e mobilitazione sociale diffusa per difendersi dal contagio sono al momento alternativamente preda di una retorica dell’“avevamo ragione” sui disastri sociali del neoliberismo o delle strategie di gestione dello stato di eccezione, ma a più significative altezze si pensa già su chi scaricare i costi di questa crisi, guardando avanti. Chi e come si guarda all’evoluzione di questa emergenza? La crisi si sviluppa rapidamente cambiando l’aggressività degli attori in campo che non sono tutti uguali, sia nella produzione dell’emergenza sia nella sua evoluzione. È importante immaginare come questi legami possano costruire una loro propria traiettoria autonoma, in difesa di interessi macroproletari sotto attacco e per nuovi rapporti a venire, passando per questa crisi ma costruendosi una forza per aggredire i nodi strutturali della preservazione capitalistica nella tempesta.

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linterferenza

Osservatorio internazionale: il mondo di Trump

di Alberto Benzoni

RWM2AJG5NYI6TPT7JTEFAF6DN4Thailandia

Il Tribunale costituzionale, emanazione del regime conservatore/militare oramai in sella da anni ha sciolto il principale partito di opposizione democratica. Fortemente presente sia nei grandi centri urbani e nelle aree neglette del paese, con 81 seggi in Parlamento su 300.

Motivazione: l’uso, a quanto pare illecito, di fondi a disposizione del presidente del partito per finanziarne la campagna elettorale. Pena accessoria: l’inibizione a svolgere attività politiche per 12 anni comminata al presidente e ai massimi dirigenti.

Reazione dei medesimi: “prendiamo atto di quanto è avvenuto; ma continueremo a lottare per ristabilire la democrazia nel nostro paese; e con mezzi pacifici”.

Reazioni della collettività internazionale; non pervenute.

 

India

Visite di Modi negli Stati Uniti: nessuna sotto Obama ( c’era ancora la faccenda della sua complicità, come presidente di uno stato, in un pogrom in cui erano stati uccisi 2000 musulmani ). Una, con tappeti srotolati e effusioni reciproche con l’avvento di Trump.

Oggi, visita di Trump in India. Ipermediatica, con sfilate, cerimonie, folle oceaniche e ipereffusioni complimentose e reciproche ( nessun negoziato firmato o avviato; ma lo stesso Trump ha annunciato che si apriranno presto e porteranno a risultati “terrific”, leggi strabilianti). In compenso complimenti a gogo; “comuni destini, identità di vedute, esempi per tutto il mondo libero, India simbolo dell’armonica coesistenza di etnie e religioni diverse”; e via discorrendo.

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tempofertile

Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnik

di Alessandro Visalli

agricoltura indiaNel libro che Utsa Patnaik e Prabhat Patnaik, scrivono nel 2017 sull’imperialismo[1] c’è un’ultima parte nella quale è riportato un dialogo a distanza con David Harvey. Il notissimo geografo marxista americano svolge diverse critiche molto serrate ai due economisti indiani e questi replicano in modo altrettanto deciso. Si tratta di un confronto tra discipline e tra culture, ma anche tra posizioni interiorizzate. Sembra di leggere tra le righe il fantasma dell’oggetto stesso della contesa, la dualità centro-periferia e quella occidente-oriente e la memoria del colonialismo. L’uno scrive da britannico e da New York, gli altri da indiani e da Nuova Delhi. Ma soprattutto, pur essendo tutti critici del capitalismo e quasi coetanei, a separarli ci sono le tracce della storia. In fondo, e la lettura del libro lo mostra molto bene, i due marxisti indiani si sentono parte di una storia di oppressione e hanno qualcosa da chiedere come risarcimento.

È vero, l’India è una potenza regionale con grande proiezione di potenza economica, commerciale, tecnologica e persino militare, e Harvey di passaggio lo ricorderà. È un paese di oltre un miliardo e trecento milioni di persone e la dodicesima potenza economica mondiale. Ma è anche un paese nel quale permangono enormi differenze tra i diversi gruppi sociali, le regioni, le aree rurali ed urbane. Un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà, secondo i canoni indiani, mentre secondo quelli internazionali è oltre la metà.

In india il governo Modi è sfidato dalla mobilitazione dei contadini che impegna a fondo il Partito Comunista Indiano chiedendo la cancellazione dei debiti, la possibilità di accedere alla proprietà delle terre e l’aumento del prezzo dei prodotti agricoli.

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ilponte

Sogni e realtà della Cina del 2020

a cura di Giovanni I. Giannoli*

16368Nell’introdurre il nostro incontro, voglio innanzi tutto ringraziare Silvia Calamandrei, Marina Miranda Romeo Orlandi e Simone Pieranni, che hanno accettato di condividere la loro esperienza e i loro studi, per questo seminario di informazione e di riflessione sulla Cina contemporanea. A nome della «Fondazione Basso» e del suo presidente, ringrazio tutti i convenuti, che con la loro presenza sostengono il nostro interesse per il tema.

Questo incontro avviene in un periodo del tutto particolare: sono certo che ne parleranno diffusamente coloro che mi seguiranno tra poco. La Cina affronta in queste settimane una prova che non ha probabilmente analoghi nella nostra memoria. Più che all’aspetto strettamente sanitario, mi riferisco soprattutto ai riflessi e alle implicazioni che l’attuale epidemia può ben presto avere, sul piano sociale, economico, politico, psicologico e comportamentale, a causa dell’estensione e – soprattutto – della rapidità con la quale queste implicazioni sembrano capaci di diffondersi a livello globale: ben al di là, per altro, dei confini cinesi. Comunque, questa drammatica prova potrebbe investire alcuni nodi cruciali dello sviluppo e dell’attuale congiuntura cinese. Tutti quanti, immagino, condividiamo l’augurio di un rapido e duraturo successo, al grande Paese, nel circoscrivere e superare la crisi attuale.

Non è certo da oggi che la «Fondazione Basso» pone al centro della sua riflessione i nodi più complessi e problematici delle società contemporanee: la natura e l’evoluzione dei rapporti di produzione, le forme dell’esercizio del potere, il terreno dei diritti e quello della democrazia. Proprio in queste settimane, abbiamo avviato un nuovo programma di studi, che riguarda le controverse e precarie relazioni tra capitalismo e democrazia: tra le attuali forme (e tendenze) dei rapporti di produzione e i molteplici sintomi di una crisi profonda della democrazia.

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sebastianoisaia

L’imperialismo americano tra realtà e "narrazione"

di Sebastiano Isaia

imp spazL’ultima monografia di Limes dedicata agli Stati Uniti (America contro tutti) è a mio avviso molto interessante soprattutto perché cerca di fare piazza pulita dei tanti luoghi comuni che negli ultimi anni si sono addensati intorno alla cosiddetta America di Trump, in particolare, e più in generale intorno al presente e al prossimo futuro degli Stati Uniti, considerati da molti analisti geopolitici e da molti politici di tutto il mondo come una Potenza mondiale ormai condannata a un declino sistemico pressoché inarrestabile e inevitabile. Come si dice in questi casi, le cose sono più complesse di come appaiono alla luce delle “narrazioni” messe in campo non solo dai nemici degli Stati Uniti, ma dagli stessi politici americani, sempre pronti a cavalcare “lo spirito del tempo” soprattutto in chiave elettoralistica. E in quel Paese “lo spirito del tempo” ormai dal 2008 parla il linguaggio “isolazionista”.

La “narrazione” spesso, anzi quasi sempre, è più forte della realtà, e sicuramente la prima è agli occhi della mitica “opinione pubblica” molto più suggestiva della seconda; ed esattamente sulla scorta di questo “disdicevole” dato di fatto che i politici, soprattutto quelli basati in Occidente, fin troppo frequentemente prendono decisioni del tutto sbagliate, soprattutto sul terreno della politica estera: è un po’ questa la “filosofia” che ispira America contro tutti – Limes, 12/2019.

Scrive Dario Fabbri: «Per capire il momento della superpotenza occorre trascurare la retorica nazionalista di Trump. Gli Stati Uniti sono passati dalla fase imperialista a quella compiutamente imperiale. Sfidando il resto del mondo. E i rischi, domestici ed esterni, che tale aggressività comporta».

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carmilla

Interviste boliviane

di Alessandro Peregalli

000 1mb25x1. “Noi donne indigene il golpe lo abbiamo sentito nel corpo”

Dialogo con Adriana Guzmán e Diana Vargas, femministe aymara attive in uno spazio politico chiamato Femminismo Comunitario Antipatriarcale, che in questi anni ha partecipato, seppur con una visione critica dei governi di Morales, al cosiddetto proceso de cambio. L’autore le ha incontrate a El Alto, nella zona metropolitana di La Paz

In Bolivia nell’ottobre e novembre scorsi si è consumato un colpo di Stato?

Il golpe è stato progettato fin dal 2016, quando ci fu il referendum sulla possibilità di rielezione per Evo Morales. Dopo la vittoria referendaria del No, e contro il ridicolo tentativo di Evo di presentarsi lo stesso, l’opposizione organizzò la campagna Bolivia dijo No, “la Bolivia ha detto no”. Da allora l’opposizione è andata dicendo che ci sarebbero stati brogli elettorali.

Quel referendum in realtà Evo lo perse per via di uno scandalo su un suo presunto figlio non riconosciuto. Come femministe, anche se capivamo che lo scandalo era strumentalizzato dall’opposizione e dagli Stati Uniti, abbiamo comunque considerato che Evo dovesse farsi da parte. Oltretutto, eravamo di principio contro la ri-candidatura, perché non crediamo nei processi caudillisti. Però il MAS decise di candidare Evo lo stesso.

Ed è così che, dal giorno dopo il voto, sono iniziate le manifestazioni: ed erano manifestazioni razziste, con aggressioni alle donne indigene, sfregio della whipala (la bandiera dei popoli originari, Ndr). E’ stato il venire alla luce di un razzismo che per 13 anni era rimasto sotterraneo. E’ stato allora che abbiamo sentito il colpo di Stato; prima ancora che cadesse Evo, noi donne indigene il golpe già lo sentivamo nei nostri corpi: ci incontravamo nelle strade, ci guardavamo, e avevamo paura, paura della persecuzione.

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contropiano2

Antimperialismo e internazionalismo

Riflessione teorica e iniziativa militante nel libro “Liberare i popoli”

di Luca Cangemi

piatto copertina I POPOLIIl lettore giunto alle ultime pagine del volume dispone senza dubbio di elementi sufficienti per apprezzare, negli scritti di Fosco Giannini dedicati alle questioni internazionali, il valore di una riflessione teorica e dell’iniziativa militante che vi è indissolubilmente connessa.

Con eguale nettezza emerge la forte personalità dell’autore e la sua passione politica. Personalità e passione che lo portarono, anni fa, a levarsi in Parlamento, sfidando l’isolamento anche nelle file della sinistra, per denunciare un mistificante servizio della televisione di Stato sulla Rivoluzione d’Ottobre. E il grande spartiacque dell’assalto bolscevico al cielo ritorna con forza, come stella polare, teorica e politica in ogni scritto di Giannini. E giustamente.

La centralità della dimensione internazionale, il carattere in qualche modo sovradeterminante di essa nell’azione politica quotidiana, sono caratteristiche specifiche del movimento comunista nato dalla rottura rivoluzionaria in Russia. Giusto cent’anni fa (e l’anniversario avrebbe meritato da parte degli storici ben altro impegno di quello finora espresso) nasceva, con il Komintern, il primo esempio di movimento politico, compiutamente e intenzionalmente, globale. In un periodo in cui l’orizzonte di larga parte dell’umanità era ancora limitato angustamente, l’Internazionale Comunista forgia migliaia di uomini e di donne che hanno come campo d’intervento il mondo.

Ce lo raccontano, meglio di complesse analisi storiche, le biografie di questi militanti e queste militanti.

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mondocane

Patrick Zaki: Giulio Regeni 2.0, Soros 100.0

Un nuovo Regeni: è in gioco il petrolio e la Libia

di Fulvio Grimaldi

Ve lo raccomando, come difesa dall’eccesso di presa per i glutei da parte della stampa, baby

Cairo 2Regeni raddoppiato

Su Giulio Regeni, dopo aver proposto ai retti e onesti tutte le notizie che media e Roberto Fico occultano e che rovesciano nel suo contrario la narrazione ufficiale (come occorrerebbe fare ogni giorno), avevo scritto una lettera aperta al presidente della Camera, oggi governista ad oltranza per amore di PD. Ma l’increscioso autore del colpo di mano che ha imposto ai parlamentari di rompere ogni relazione con il parlamento egiziano, non se n’è dato per inteso. Dando così prova della sensibilità democratica che, lo comprendiamo, con compagni di merende come PD e Italia Vivacchiante, è incompatibile. Un nuovo Regeni, l’Egitto, i media, sono l’oggetto centrale dell’odio dei nostri specialisti anti-odio e, dunque, di questo articolo. Ma partiamo da lontano.

Siamo sopravvissuti agli tsunami dell’odio rovesciatici addosso, prima, dal Giorno della Memoria e, poi, da quello del Ricordo, entrambi illustratici, come suole, con la nota correttezza dagli storici e parastorici dei vincitori. Per non farci mancare niente, hanno affiancato queste intemperie a quell’altro uragano dell’odio che ci accompagna da tempo e che riguarda gli sciagurati che, fuori da ogni discussione, si meritano l’odio degli anti-odio al potere in Occidente: Russia, Cina (oggi capolista), Siria, Iraq, Iran (sul quale si va esercitando, con particolare perizia Bilderberg, il promotore di Draghi presidente: Stefano Feltri del “Fatto”). Quanto alla Cina, oggi sottoposta a un prodromo di guerra in chiave economico-mediatica-occidentocentrica su base batteriologica, ci possiamo vantare di essere, con l’eccellenza clerico-atlantista Conte Bis, più realisti del re. Primi e, dopo giorni, ancora unici in Europa, nonostante l’OMS l’abbia ritenuto inutile, abbiamo imposto il blocco per un’epidemia influenzale che, nella sua forma in Cina (1,7 miliardi), ha ucciso quasi 800 persone e, nello stesso periodo, in quella degli USA (320 milioni), 10.000.

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tempofertile

Giovanni Arrighi, “Una nuova crisi generale”

di Alessandro Visalli

banksy in venice 15721 2 smallNel 1972 sull’organo del Gruppo Gramsci, “Rassegna Comunista” escono quattro saggi brevi[1] su “una nuova crisi generale”. Siamo nei primi anni settanta e stanno accadendo nel mondo alcuni fatti: in Italia sono partite le Regioni, è stato approvato lo statuto dei lavoratori e la legge sul divorzio, a Reggio Calabria scoppia una rivolta su motivi apparentemente marginali, l’Ulster è in pieno scontro in Gran Bretagna, la Polonia è in tumulto per il carovita, muore Nasser in Egitto, il movimento palestinese “settembre nero” è represso dall’esercito giordano, la rivoluzione culturale in Cina retrocede, in Cambogia comincia la guerriglia dei Khmer, in Usa cresce la protesta contro la guerra del Vietnam, in Cile Allende viene eletto. In tutto il mondo si sentono le doglie di un parto che si protrarrà per oltre un ventennio.

Dal 1970 al 1974 è attiva una formazione, forte a Milano, Torino e Varese, che cerca di creare un’alternativa più strutturata allo spontaneismo anarcoide di Lotta Continua ed al marxismo di Potere Operaio. Tra i redattori della rivista c’è Giovanni Arrighi. Il Gruppo, che non è mai stato molto numeroso, dopo il 1974 confluisce in parte in Autonomia Operaia ed in parte si dissolve; per un poco pubblica il quindicinale “Rosso”. Dal 1979 parte dei militanti confluiranno in Democrazia Proletaria (e di lì, un decennio dopo in Rifondazione Comunista).

Il testo del 1972 raccoglie i materiali prodotti nell’ambito di un seminario per i quadri metalmeccanici della Cisl, quando Arrighi insegnava alla Scuola Superiore di Formazione in Sociologia della Università di Milano e con il Gruppo cercava di restare agganciato alle lotte nelle fabbriche ed ai collettivi politici che si formavano in esse (è la stagione dei “consigli”).