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ist onoratodamen

Siria, Iraq, Iran, Kurdistan, Libia

Il Mondo prigioniero della guerra imperialistica permanente

di Giorgio Paolucci

guerra na siria og«Il capitalismo è il racket legittimo, organizzato dalla classe dominante»

La definizione qui sopra non è, come si potrebbe pensare, di K. Marx, ma di uno che di racket se ne intendeva: Al Capone[1]. E l’imperialismo -aggiungiamo noi – è la sua espressione più compiuta. La prova più evidente che sia effettivamente così è data dall’infuriare della guerra ormai in ogni un angolo del pianeta, tanto più se ricco di qualche materia prima o perché situato in una posizione di importanza geostrategica come è il caso del Medioriente.

Esso ha la sfortuna di essere terra di mezzo fra Oriente e Occidente e di conservare nel suo sottosuolo grandi giacimenti di petrolio. Le due condizioni dovrebbero assicurare alle popolazioni che lo abitano un elevato grado di benessere socioeconomico come a poche altre al mondo; invece vi regna una barbarie che non conosce limiti. Fatta eccezione per le ristrette fasce delle borghesie locali e dei loro lacchè, a dare un senso alla vita della maggioranza dei suoi abitanti è solo qualche avanzo di speranza di poter assistere al sorgere e al tramonto del sole anche il giorno dopo. O di fuggire in un altrove, ovunque esso sia, purché lontano da quella quotidianità in cui a farla da padrona assoluta è la fame, la violenza più cinica e feroce e la morte sempre appostata dietro ogni angolo.

È che il petrolio non è solo una fonte energetica di primaria importanza, ma anche un efficace strumento di appropriazione parassitaria di plusvalore.[2]

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militant

Immigrazione: il sonno dell’antimperialismo genera mostri

di Militant

il sonno dellantimperialismoIl tema dell’immigrazione ha rappresentato (e rappresenterà) una delle questioni fondamentali intorno a cui si giocherà la partita della nostra internità tra i salariati e la nostra capacità di esercitare (non solo tra di essi) una qualche forma di egemonia, non fosse altro che per la funzione divisiva che tale questione ha svolto nella classe negli ultimi anni e la centralità che ha assunto nel dibattito pubblico. E il fatto di non avere uno straccio di strategia politica in merito, né una analisi condivisa delle radici del fenomeno nella sua concreta attualità certamente non ci aiuta.

Per essere più chiari, sappiamo bene che la storia dell’umanità è contrassegnata dalle continue migrazioni di esseri umani e che, anzi, queste ne sono parte costituente e imprescindibile, ma fermandoci a questa lettura, che potremmo definire quasi “etologica” dell’immigrazione, corriamo il rischio di “naturalizzare” un fenomeno che invece è sociale, e quindi “storico”, e che dunque va analizzato e compreso nello specifico contesto in cui si determina. Stiamo parlando di milioni di esseri umani, delle loro vite e delle loro storie e non di uccelli o di balene che “migrano” da nord a sud in funzione delle stagioni o dei cicli vitali. Questo dev’essere chiaro perché altrimenti si finisce per rimuovere, pur senza volerlo, il semplice fatto (si fa per dire) che nel mondo contemporaneo i principali “push factor” dei movimenti migratori (come gli “esperti” chiamano i fattori che spingono milioni di persone a spostarsi dai luoghi in cui sono nate) sono comunque riconducibili al modo di produzione capitalistico nella sua fase imperialista e alla maniera (ineguale) con cui esso disegna i rapporti sociali tra classi, popoli e stati. Una considerazione come questa dovrebbe risultare persino banale per chi annovera il barbone di Treviri tra i suoi padri putativi, ma mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo.

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sinistra

Iran sotto attacco tra imperialismo e dinamiche sociali

di Nicola Casale, Raffaele Sciortino

2941b3f8e266a7eb10d3a07edef081afLa recente, nuova crisi delle relazioni tra Stati Uniti e Iran - innescata dall’omicidio preventivo di Soleimani e tutt’altro che conclusa nonostante la de-escalation in corso - permette di aggiornare lo stato di tre questioni cruciali. Innanzitutto, che cosa ci dice dello scontro dentro gli apparati di potere statunitensi in relazione alla direzione da dare alla politica estera? Secondo, le tensioni in Medio Oriente sono arrivate a un punto di rottura, e in che modo esse rispecchiano quelle globali? Infine, in che rapporto stanno lo scontro geopolitico e le dinamiche sociali, non solo in quel quadrante ma in termini più generali laddove le mobilitazioni sociali si confrontano con la realtà della pressione/intromissione imperialista? Di seguito alcuni spunti per una prima, parziale risposta.

 

Incontri ravvicinati in Medio Oriente

Ovviamente non sappiamo come siano andate effettivamente le cose nel momento in cui Trump ha “deciso” di alzare il livello dello scontro infliggendo un colpo duro quanto inaspettato alla dirigenza iraniana. Si possono comunque avanzare due ipotesi plausibili, rispettivamente sul perché della specifica decisione e sulla dinamica interna agli alti livelli dell’apparato statale yankee.

Sul primo versante, è plausibile che l’attacco statunitense abbia mirato a interrompere i canali di comunicazione apertisi tra Teheran e Riyadh, mediati dal governo dell’ex primo ministro irakeno Abdul-Mahdi, eliminando fisicamente lo stratega di parte iraniana di un rapprochement che, se realizzato, sconvolgerebbe letteralmente i rapporti di forza nell’area mediorientale a tutto svantaggio di Washington (qui e qui)1.

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contropiano2

Haftar non firma il cessate il fuoco, la Ue prepara i militari

di Dante Barontini

mhgvjkfjvigsrbekjrFollow the money, quando vuoi capire come c’è in ballo al di sotto di mosse altrimenti incomprensibili. Ma segui anche il percorso delle armi, quando il minuetto della diplomazia palesemente non determina più le relazioni tra Paesi o frammenti di questi.

La Libia è esplosa quando quell’imbecille ambizioso di Nicolas Salkozy ha deciso di buttar giù militarmente Muammar Gheddafi per prendere possesso in via privilegiata dei terminali di petrolio e gas fin lì gestiti prevalentemente dall’Eni. Il “geniale” e ricattatissimo Silvio Berlusconi gli andò dietro (contro “gli interessi dell’Italia”), in un’operazione folle che non prevedeva nessun regime change credibile. Destabilizzare un equilibrio – gestito con indubbia “durezza” – in un mosaico di tribù è dar via a una guerra civile infinita, non certo a una “più avanzata democrazia”.

Da allora è successo di tutto. E siamo arrivati al vertice di Mosca, ieri, in cui il padrone della situazione sul piano militare – il generale Haftar – si è rifiutato di sottoscrivere un cessate il fuoco contrattato tra Vladimir Putin e Reyyip Erdogan, neo sponsor principale del “sindaco di Tripoli”, Al Serraj.

Sui media mainstream si sprecano le interpretazioni interessate, univocamente orientate a dimostrare che “gli altri” (Russia, Turchia, Egitto, Emirati, ecc) agiscono solo sulla base degli “interessi”, mentre l’Italia e l’Unione Europea avrebbero come faro la “legalità internazionale” e naturalmente “la pace”.

Menzogne.

Da anni la Libia è vista da tutti come un forziere, un tesoro pressoché indifeso ma pericoloso. Sembra una contraddizione, ma non lo è. La libia è indifesa perché lì è stato distrutto lo Stato, con l’abbattimento violento di Gheddafi. E’ stata con lui annientata l’infrastruttura amministrativa, l’esercito, la polizia, l’autonomia decisionale – ripetiamo – in una società fatta di tribù, dove l’appartenenza si misura su una base simil-familiare estesa.

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lacausadellecose

L’uccisione di Soleimani in un interludio torbido

di Michele Castaldo

640px Qasem Soleimani received Zolfaghar Order from Ali Khamenei 1L’uccisione di Soleimani, il generale iraniano comandante delle forze al-Quds (il corpo d’èlite della Guardia Rivoluzionaria Islamica) da parte degli Usa è il segno di un’accelerazione della crisi generale che investe il modo di produzione capitalistico in una fase cruciale.

La storia dell’uomo è caratterizzata dal principio di Hobbes: homo homini lupus, cioè l’uomo è un lupo nei confronti di un altro uomo, non riesce, perciò, in alcun modo a vedere in un altro uomo un proprio simile, nel suo simile, dunque non cerca di stabilire con lui un rapporto di armonia, ma di aggressione e di concorrenza, cioè cerca di prevalere. Seguendo questo principio l’uomo è arrivato

a sviluppare un moto-modo di produzione che dopo una straordinaria ascesa si avvia al suo declino, perché non riesce più a sviluppare lo stesso valore di un tempo e nella folle corsa per tenersi in vita semina morte e distruzione.

I fatti di questi giorni sono la conseguenza meccanica degli ultimi 40 anni, ovvero dalla rivoluzione antimperialista in Iran del 1979, che rischiò di incendiare tutto il Medio Oriente, coinvolgendo centinaia di milioni di esseri umani. Ma proprio l’homo lupus – in quel caso yankee – spinse Saddam Hussein a uno scontro armato contro l’Iran per evitare che si estendesse la rivoluzione islamica e che si rafforzasse una nazione e uno stato di un paese ricco di petrolio e di altre importanti materie prime. Dopo 8 lunghi anni di guerra e un milione di morti, Saddam Hussein pensò bene di passare all’incasso per aver agito anche pro domo sua, pretendendo di gestire il prezzo del petrolio e al rifiuto della Casa Bianca e di tutti gli altri paesi occidentali, invase il paese fantoccio del Kuwait, per cui tutto il mondo occidentale intese dare una dura lezione al “pazzo” che aveva osato sfidare il mondo “civile”.

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contropiano2

Guerra alla guerra! I conflitti militari nella fase di stallo tra gli imperialismi

di Noi Restiamo

ytfygiuhytgyugyvb jdkcsndhbls.jpgIl nuovo anno si è aperto con momenti di alta tensione a livello internazionale dovuti all’azione militare mirata con la quale gli USA hanno eliminato Qassem Soleimani, generale alla guida delle forze Quds, unità d’élite dei Guardiani della Rivoluzione, e numero due della politica iraniana dopo l’Ayatollah Khamenei.

Questo atto non è un’iniziativa estemporanea dettata da scelte effettuate senza ponderazione, ma è una delle forme con cui in questa fase di stallo si sviluppa la competizione globale tra vari attori, in uno scenario che si avvicina a quello che poco più di un secolo fa fece precipitare il mondo nella prima carneficina mondiale.

È necessario dunque affrontare gli eventi che negli ultimi giorni si sono susseguiti in Medio-Oriente come passaggi di questioni che vanno ben oltre la già complessa relazione tra USA e Iran, e che devono invece essere compresi in quanto momenti di una dinamica che è insieme di lungo periodo, con tutto il portato storico ad essa collegato, ed è anche espressione dell’attuale scontro interimperialistico.

Innanzitutto l’azione statunitense si mostra in continuità con l’operato delle dominazioni coloniali prima e della penetrazione neo-coloniale poi, che per secoli hanno portato miseria e instabilità in tante aree del pianeta, intervenendo militarmente oppure finanziando e poi abbattendo regimi in funzione di quelli che di volta in volta erano i propri interessi in quella specifica contingenza storica.

Il caos in Medio-Oriente è responsabilità delle potenze occidentali, e i venti di guerra sollevati dall’assassinio di Soleimani sono il risultato dell’aggressione imperialista statunitense.

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lantidiplomatico

Il Venezuela ha tre parlamenti

I media di guerra scelgono Guaidó (ovvero gli USA)

di Geraldina Colotti

b215eda3327aa72e691fcdbf7efc69d6Seguire i passi del nemico, analizzarne le strategie, serve per affinare le proprie, usando la capacità critica come l’imperialismo usa i suoi droni. Contrastare il racconto egemonico costruito dai media di guerra nei paesi capitalisti, è un’impresa titanica, almeno finché non interviene un nuovo ciclo di lotta che spazzi via la cortina di fumo e mostri un’altra visione del mondo. Tuttavia, si può (si deve) aprire qualche breccia, mostrare le insidie attraverso le quali s’insinua l’interpretazione dominante.

Ieri abbiamo seguito in diretta la seduta parlamentare che, in Venezuela, doveva rieleggere il presidente dell’Assemblea Nazionale, uno dei cinque poteri di cui dispone la costituzione bolivariana, tenuti in equilibrio dalla massima istanza giuridica, il Tribunal Supremo de Justicia (TSJ). In contatto costante con i colleghi sul posto, ne abbiamo seguito tutte le fasi, confrontando tre fonti: la prima, proveniente dalla più estrema all’estrema destra venezuelana, ovvero quella di Patricia Poleo, che conduce una trasmissione da Miami intitolata Agárrate. La seconda, fornita dai vari giornalisti e i video-maker presenti a Caracas, e la terza diffusa dalle agenzie stampa in Italia.

Quello di Poleo è un programma che, volendo essere più a destra della destra, accusa l’autoproclamato “presidente a interim Juan Guaidó” di essere stato troppo timido nell’ordire le sue trame contro il socialismo bolivariano. In questo modo, tra urla e proclami, tira fuori però tutte le magagne dell’opposizione venezuelana, golpista, affarista e, soprattutto, ladrona.

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mondocane

Colpo su colpo verso la guerra? Trump! E chi sennò?

Le bufale delle analisi, le panzane delle previsioni

di Fulvio Grimaldi

Trump Iran in boccaLe guerre verranno fermate solo quando i soldati si rifiuteranno di combattere, quando gli operai rifiuteranno di caricare armi su navi e aerei, quando la gente boicotterà i presidi economici dell’Impero sparsi su tutto il globo” (Arundhati Roy. “Il potere pubblico nell’era dell’Impero)

Una prima risposta

La risposta iraniana, una prima risposta, è venuta subito. Da poche ore, sette milioni di iraniani avevano terminato il corteo funebre, quando dozzine di missili iraniani si sono abbattuti su due basi USA in Iraq, a Ain el Assad, nella provincia centrale di Anbar e a Irbil, Kurdistan iracheno. Qui alcune decine di militari italiani, lasciati lì col cinismo servile propri di tutti i nostri regimi dal 1945, l’hanno scampata nei bunker, dato che Tehran, consapevole del diritto di internazionale e delle pratiche di guerra quanto non lo sono gli USA e tutta la Nato, aveva dato preavviso dell’attacco alle autorità irachene.

E’ una prima ritorsione all’assassinio del generale Suleimani, ma è anche un monito a Washington e alla Coalizione, in linea con la richiesta di Baghdad, di togliersi di mezzo. A Tehran, nella mattinata successiva, è precipitato un aereo delle Ucraina Airlines (perfino l’Ucraina, dissestata più di noi, ha una sua compagnia di bandiera!). 177 le vittime.

Entrambe le parti minimizzano. Le 80 vittime dell’attacco missilistico iraniano non ci sarebbero, le 177 dell’aereo di linea sarebbero dovute a un guasto dopo il decollo. E’ probabile che il conto dei morti nelle basi sia esatto, e forse riduttivo, ma che la propaganda provi a sminuire l’efficacia dell’azione. Che nel caso dell’aereo caduto, potrebbe avere tutte le caratteristiche di un’operazione emulativa del principale alleato degli Usa nel Vicino Oriente.

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osservatorioglobalizzazione

Siria, Iraq, Libano: il Medio Oriente inquieto dopo Soleimani

Verdiana Garau intervista Mauro Indelicato

1578059800881Il mio lungo caffè con Mauro Indelicato discutendo sul recente raid statunitense a danno del generale Qasem Soleimani, comandante delle Forze Quds, il numero due iraniano, secondo soltanto all’Ayatollah Sayyid Ali Hosseini Khamenei supremo leader dell’Iran, e che ha trovato la morte la notte dello scorso 3 Gennaio 2020.

* * * *

V.G. Il 31 dicembre Trump aveva già fatto sentire odore di minaccia dopo l’ultimo attacco subìto dall’ambasciata americana a Baghdad e rivendiacto dalle forze sciite filo-iraniane. L’anno 2020 è iniziato con l’esecuzione di Soleimani, numero due dell’Ayatollah Khamenei e capo della forza di Quds, gli informatori sciiti per l’Iran presenti in Libano, Siria, Yemen e Iraq che si occupavano di trovare anche fondi e reclute per gli attacchi.

È una pedina in meno rimossa dallo scacchiere che infastidiva i sunniti?

L’opinione pubblica si è sollevata. Soleimani era anche colui che aveva contribuito a sconfiggere l’ISIS. Ma mi chiedo perché i sunniti (che costituiscono la maggioranza in Medio Oriente) dovrebbero reagire? Questo rischio non c’è. L’Arabia Saudita non ha mai gradito l’ingerenza dell’Iran in Medio Oriente ad esempio.

Cosa faranno gli sciiti soprattutto adesso?

M.I. La situazione attuale è figlia di una escalation che si protrae da Novembre scorso. Il NYT e la CNN più volte hanno riferito sui reportages dei missili lanciati dall’Iran. In Iraq la situazione è cominciata ad essere instabile e ha visto e vede le fazioni filoiraniane in contrapposizione a quelle filoamericane.

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nucleocomunista

Iraq, Iran, Siria, Turchia, Libia... e Wall Street. Sostanze esplosive dappertutto

Vicini al punto critico di rottura?

di nucleo comunista internazionalista

assalto ambasciata usaQuesta breve nota scritta prima degli odierni avvenimenti, cioè prima dell'uccisione del capo militare iraniano per mano americana, non ha bisogno di alcuna rettifica. Come in essa vogliamo sottolineare, l'imperialismo democratico non è affatto invincibile. Tutt'altro. La copertina di Der Spiegel (ottobre 2019), che riproduciamo, è altamente indicativa dello stato reale delle cose.L'alternativa secca è la seguente:

1. Escalation che prelude ad un attacco massiccio all'Iran. Allora gli Usa e l'Occidente tutto si preparino a pagare un prezzo salatissimo all'azzardo criminale.

2. L'America (mascherando la sua impotenza) si fermerà prima del passo fatale e, con la coda tra le gambe, chiederà aiuto alla potenza russa e a quella cinese, che non gli verrà negato, data la solidarietà di classe che accomuna la borghesia mondiale in difesa del supremo ordine capitalistico dentro il quale esse si contendono i profitti estorti al proletariato internazionale.

Ma, da buoni uomini di businnes e di real politik quali sono i borghesi russi e cinesi, il loro "aiuto" al partner concorrente americato per tirarlo fuori dai guai e salvargli la faccia, ha un prezzo: la cessione di fette di potere a scala mondiale, la sanzione della fine dell'egemonia nordamericana.

Potranno allora gli indici di Wall Street non registrare, con paurosi ribassi rispetto ai massimi attuali, i mutati reali rapporti di forza fra potenze capitalistiche?

Questo è il tracciato, indipendentemente da come la pensiate, peste o corna. Così sarà. Quello che ci compete, e a cui siamo tenuti, è auspicare e fare tutto il possibile per realizzare la disfatta dell'imperialismo democratico occidentale. Fare tutto il possibile perchè il nostro proletariato non si accodi alla crociata "per la libertà e la democrazia", nella rigorosa difesa dei nostri principi e della nostra indipendenza di classe.

Che la sollevazione antimperialista delle masse irachene, iraniane e di tutto il Medio Oriente travolga Trump e tutto il marcio fradicio occidente imperialista.

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contropiano2

Per il Diritto Internazionale l’azione di Trump è configurabile come atto criminale e terrorista

di Luca Cellini*

snbvdjnfojiuagrujqÈ argomento di cronaca internazionale ormai e oggetto di discussione l’uccisione del generale Qassem Soleimani avvenuta alle prime luci dell’alba del 3 gennaio 2020 quando il maggiore generale Soleimani è stato assassinato sotto il fuoco di un attacco statunitense all’aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq. Assieme a Soleimani sono rimaste uccise altre 7 persone fra cui il capo delle Forze di Mobilitazione Popolare sciite irachene Abu Mahdi al-Muhandis. L’operazione è stata ordinata direttamente dal presidente statunitense Donald Trump, dopo conferma della CIA, senza nemmeno avvisare il Congresso statunitense.

Qassem Soleimani era il potentissimo leader delle Guardie rivoluzionarie di Teheran, Soleimani era il viceré dell’Iraq, della Siria, del Libano e di Gaza, l’uomo più temuto del Medio Oriente, operava al diretto servizio della Guida Suprema Ali Khamenei e aveva funzioni operative da generale, da capo delle azioni clandestine, da direttore dei servizi segreti e da ministro della Difesa e degli Esteri.

Non è però obbiettivo di questo articolo entrare nel merito a chi fosse o non fosse il generale Soleimani e tantomeno su cosa abbia rappresentato o meno nell’area mediorientale, visto che le opinioni generali sono varie e discordanti, come sempre accade d’altronde all’interno di un conflitto e con interessi e posizioni da difendere da una o dall’altra parte, alcuni lo definiscono una grande figura carismatica, un eroe o addirittura una leggenda, altri ancora lo definiscono non certo un santo, un uomo di guerra, sì, ma anche colui che aveva organizzato la strategia e condotto le numerosissime operazioni che di fatto hanno fermato e sconfitto l’avanzata dell”Isis e dello stato del Daesh, altri ancora lo definiscono un brutale e spietato assassino, responsabile di uccisioni di massa con la morte di migliaia di persone e oppressore dei popoli.

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materialismostorico

Tecnologia e imperialismo

Crisi economica, produzione intellettuale, sfruttamento e conflittualità tra capitali

di Francesco Schettino*

Materialismo Storico. Rivista semestrale di filosofia, storia e scienze umane è una pubblicazione dell'Università di Urbino con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, n. 1 2019

77b0fbacover279271. Introduzione

Il dominio della casse borghese sulla classe proletaria (o lavoratrice), quindi subalterna, è l’elemento che innegabilmente qualifica il modo di produzione capitalistico; il rapporto di proprietà instaurato tra le due classi – perno attorno a cui ruota tutto il sistema – si concreta nella produzione di plusvalore, ossia l’appropriazione da parte della classe dominante di una parte dell’attività erogata da quella subalterna, che è l’essenza della riproduzione dell’economia nel suo complesso. Se per il capitale nella sua astratta unicità ciò che interessa è l’incremento della massa di plusvalore e, ancor di più, essa in relazione al valore anticipato dalla totalità dei capitalisti, dal punto di vista del capitale individuale la produzione di plusvalore necessita di “schiudersi”, ossia trasformarsi per divenire utile, realizzandosi quindi in forma monetaria (quella del profitto). L’incremento del plusvalore, ossia dell’appropriazione di lavoro altrui non pagato, è dunque la condizione principale per cui l’accumulazione possa procedere a tassi crescenti ed è per questo motivo l’obiettivo prioritario del sistema nella sua totalità e quindi del singolo agente del capitale.

La contraddittorietà tra unicità del capitale e molteplicità dei suoi agenti si svolge mediata dalla concorrenza e agisce principalmente nel momento della trasformazione del plusvalore in profitto e del saggio di plusvalore in tasso di profitto: infatti, se la massa del profitto coincide con quella del plusvalore, non subendo le fluttuazioni del valore, ciò non avviene per i rispettivi tassi.

In particolare, l’agire della concorrenza, nella fase della circolazione e le differenze nella composizione organica dei diversi capitali, rende impossibile tale convergenza. Di conseguenza, le strategie dei diversi partecipanti al “banchetto” del frutto espropriato dall’attività dell’operaio complessivo necessariamente si contrappongono avendo in comune l’obiettivo dell’incetta del maggior quantitativo di fette possibile.

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mondocane

NATO, ONU, Fratelli Musulmani uniti contro la Libia

di Fulvio Grimaldi

Erdogan: la Libia val bene un’Idlib siriana, ma noi abbiamo Di Maio l'Africano

Di Maio esteriIl Talleyrand di Pomigliano e il Sultano neottomano

Venendo alla Libia e al grandissimo casino che abbiamo contribuito a scatenare in quel paese, fino a ieri prospero, unito, giusto e felice, viene in questi giorni infausti anche da pensare a Luigino Di Maio ministro degli Esteri. Tipo Stenterello che si veste da Metternich. Dopo aver già dato prova di scarso senso delle proporzioni assommando in sé, in successione o contemporaneamente, gli incarichi di mezza dozzina di accademici, o tecnici del CNR, o politici a 24 carati, ora si occupa di quel pantagruelico pasto per avvoltoi che è la Libia. Resta il dato che, in ogni caso, Di Maio, pur rinnegando le premesse di politica estera dell’ottimo M5S d’antan, resta un mezzo visir tra i buffoni di corte che lo hanno preceduto su quello scranno.

Ci avessero mandato qualcuno che di mondo ne ha visto, come un Alessandro Di Battista, o di giusto e ingiusto capisse, come un Bonafede, o sapesse scrivere sulla lavagna i buoni e i cattivi, come un Fioramonti, o, ancora meglio, che sapesse di traffici mafiosi come un Morra… Ma spedire da quelle parti, o da qualunque parte, Luigi Di Maio, è come mandare il Pinocchio di legno a spegnere gli incendi della California (e mi viene in mente il burattino perché ho visto la bella trasposizione cinematografica di uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale).

Sapete cosa si dovrebbe chiedere a un Di Maio ministro degli esteri, o a un Giuseppe Conte premier? Di fare l’Erdogan. Ve li immaginate? Eppure, ragionando in termini coloniali, a me ostici, ne avremmo avuto le migliori ragioni perché siamo i dirimpettai, le zampe sulla Libia le abbiamo messe noi, prima o meglio dei turchi, con i romani, con Giolitti e, infine, con Berlusconi che la bombardò e aiutò il premio Nobel per la Pace Obama e l’onesto Sarkozy, eletto grazie ai fondi libici, a raderla al suolo. Ora se ne occupano il Talleyrand di Pomigliano e il Coniglio Mannaro pugliese, fan di Padre Pio.

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Guerra, colonialismo, razzismo, autoritarismo ed austerity

La grande rimozione europea

di Sergio Scorza

bvchgbkjnkj hyuffchgdfLa storia dei paesi europei dalla fine della seconda guerra mondiale ai nostri giorni è costellata di orrori, tragedie e buchi neri e noi – proprio mentre è appena trascorso la cinquantennale della strage di piazza Fontana – ne sappiamo qualcosa.

Lungi dall’aver segnato una discontinuità rispetto a quella storia, L’Unione Europea, così come è stata concepita e strutturata, sembra incarnare e rendere ancora più oscuri/e complessi/e i vizi e le dinamiche della solita vecchia Europa.

 

Il lato oscuro della Francia

Si des Arabes se promènent in a forét, le printemps i n’a rien ay voir. Ce ne peut étre que pour assassiner leurs contemporains[1] scriveva, con ironia mista a dolore, Albert Camus nel maggio del 1947. Nella Francia del dopoguerra quelli che osserva lo scrittore sono “segni”: un titolo di giornale che suona già come condanna di un cittadino di origini arabe sospettato d’omicidio e che sottende il pregiudizio che se si è arabi e si passeggia per un bosco, la ragione non può essere la primavera.

Che cosa “segnalavano” per Camus quei segni? Segnalavano come si sta diffondendo la «malattia stupida e criminale» del razzismo. Ebbene, 14 anni dopo, il 17 ottobre del 1961, circa 30.000 persone sfilavano pacificamente per le vie di Parigi. I cortei, che avevano l’intenzione di raggiungere il centro della città, erano costituiti da donne, uomini e bambini; furono aggrediti dalla polizia a colpi di pistola e di armi da fuoco, vennero uccisi, gettati vivi nella Senna ed alcuni furono ritrovati impiccati nei boschi. I morti furono quasi 300 più alcune migliaia di feriti.

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Scienza e guerra. Prosegue la discussione

di Angelo Baracca

bomba atomica su città 1Una risposta alle osservazioni di Vincenzo Brandi.

«La questione se al pensiero umano appartenga la verità oggettiva non è una questione teorica ma pratica. È nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica»
[Karl Marx, seconda tesi su Feuerbach]

Le osservazioni critiche di Vincenzo Brandi al mio articolo “Scienza e Guerra” sono certo utili per sviluppare un dibattito che appare necessario, anche se sembra dimostrare che 50 anni di critica, costruttiva e attiva, fondata sul materialismo storico di Marx non ha lasciato una traccia duratura. Le mie risposte purtroppo non possono essere sintetiche perché è necessario entrare nel merito di varie questioni.

Una prima annotazione, che non ha una rilevanza centrale ma rientra nelle incomprensioni. Io per brevità mi sono limitato a citare Archimede e Lazare Carnot (che Brandi definisce esempi “poco felici”, avrei potuto citare molti altri) da un lato per dare l’idea che il problema è molto antico riferendomi a un personaggio storicamente famoso, e dall’altro approfittando per citare una figura, Lazare (del quale mi sono occupato molto in passato), che è poco conosciuta ma estremamente rilevante sul piano sia scientifico che politico e militare.

Non avevo minimamente intenzione di dare giudizi di valore o morali. Avrei potuto citare il Nobel per la chimica Fritz Haber (del quale pure mi sono occupato) il quale convinse lo Stato Maggiore ad impiegare gas tossici, vietati dalla Convenzione dell’Aja, di cui la Germania era firmataria: sotto la sua direzione fu creata nel 1915 prima unità di Gastruppe, Haber supervisionò personalmente i preparativi per l’attacco di gas tossico vicino alla città belga di Ypres, 22 aprile 1915; alla fine della guerra erano circa 1.000 i chimici impiegati nelle armi chimiche (per la cronaca collaborò occasionalmente anche il Nobel per la fisica Walther Nernst), un precedente di 20 anni, poco noto, della Big Science del Progetto Manhattan. Forse Haber era semplicemente un “patriota”!?