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mondocane

Lettera aperta a frate Sardina

di Fulvio Grimaldi

siria soldato“Le sardine sono persone che riempiono spazi con i loro corpi e le loro idee. Oggi qui facciamo politica”. (Mattia Santori, caposardina e sostenitore di Renzi per lo Sblocca Italia e le trivelle petrolifere)

Caro Alex Zanotelli,

ti saluto in quanto frate missionario, frate giornalista, frate che fa gli appelli e, visto l’approvazione che hai concesso al nuovo movimento ittico, frate Sardina.

Ti scrivo in questo periodo del Santo Natale – o, se mi permetti – del santo ritorno della luce dopo il solstizio, festeggiato dai nostri avi pagani – in cui tutti dovremmo essere, oltre che più consumatori, anche più buoni e più disponibili verso il prossimo. Mi permetto di sottoporti alcune narrazioni alternative a quelle di cui ti dici con evangelica sicurezza convinto. Ultimamente il pneumadiscorso delle Sardine.

In quanto missionario, cioè incaricato di evangelizzazione, che per sua natura qualche irrecuperabile anticolonialista afferma essere prevaricatrice e alienante, diffido di te come di tutti tuoi simili, avendo avuto esperienza diretta e indiretta, tra i popoli che tu e io conosciamo, delle sciagure che hanno causato tutti gli invasori, religiosi, militari ed economici. Ingerenze e interferenze religiose giustificate nel nome dell’”unica vera fede” e dell’”unico vero dio” e che, secondo certi critici forse blasfemi, aprirebbero la strada al saccheggio, alla manipolazione, all’oppressione. Costoro prendono a esempio, quasi fosse un destino ineluttabile di ogni evangelizzazione, quanto missionari e relativo seguito (Vaticano, Usa, Israele) hanno combinato provocando con accanimento la secessione del cattolico Sud Sudan. Tu, comboniano, lo conosci bene e sai anche come da allora sia immerso in un lago di sangue in cui nuotano coloro che se ne contendono il petrolio. Anche qualche prete.

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sinistra

“Scava, scava, vecchia talpa...”

di Eros Barone

eventi tedesco guerra dei contadini 1524 1526 i soldati che attacca un cascinale incisione su rame da domenicus custos circa 1560 16 bjw8nxUn tempo, era di norma nelle riunioni dei partiti operai (dai congressi dell’Internazionale Comunista alle cellule di fabbrica, passando attraverso le sezioni nazionali e territoriali), svolgere la relazione introduttiva partendo dall’analisi della situazione internazionale per poi passare all’analisi della situazione interna e concludere l’esposizione con le opportune indicazioni politiche e organizzative. È quello che mi propongo di fare anch’io, limitatamente alla prima parte e in modo schematico, spero con qualche utilità, in questo articolo.

Mi sembra giusto allora prendere le mosse, per il rilievo che essa assume nell’àmbito della difesa dei princìpi di autodeterminazione, indipendenza e sovranità nazionale, dalla sconfitta delle macchinazioni degli Stati Uniti, della NATO e dei mercenari al loro servizio in Siria: un risultato certamente reso possibile dall’intervento politico e militare della Russia, ma anche dall’ampiezza e dalla compattezza del consenso popolare al regime baathista. Una vittoria, quindi, che assume una portata non solo geopolitica ma anche ideale, poiché, altrettanto certamente, ha contribuito a determinare la crisi delle correnti più reazionarie dell’islamismo, spingendo le masse popolari del Medio Oriente a superare le divisioni settarie di tipo religioso e tribale, su cui hanno giocato fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso l’imperialismo israeliano ed occidentale. In tal modo, milioni di persone hanno rialzato la testa e hanno cominciato a lottare per obiettivi economici e sociali, aprendo un fronte di classe contro lo sfruttamento capitalistico, per conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro.

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mondocane

Di strage in strage... E' il capitalismo, bellezza

Perché non volevano far parlare Bashar el Assad

di Fulvio Grimaldi

assad maggioniLa sciagura a cinque stelle si chiama Di Maio-Grillo

Visto che dell’angustiante tema ci siamo tutti occupati intensamente, ma che non è l’oggetto del pezzo di oggi, premetto subito al resto, che il voto pro MES (il nuovo e peggiore cappio salva-Germania e ammazza-Stati del Sud) con l’impudico rinvio a ulteriori “pacchetti” bancari, è l’ennesima dimostrazione della sciagura Di Maio-Grillo e poltronari scombinati vari. Ma non è sciagura Cinquestelle. Per cui ringrazio i quattro parlamentari che hanno votato NO e insisto a trarne auspicio per un ritorno in orbita delle cinque stelle, una volta presa larga, larghissima coscienza, in alto e soprattutto in basso, della sciagura di cui sopra. Per aspera ad astra, mai vero come oggi.

 

A Byoblu su Rai e Assad

Nella tavola rotonda di giorni fa messa in onda da Byoblu, il canale web di Claudio Messora, che costituisce una delle migliori presenze audiovisive dell’intero panorama mediatico nazionale, si discuteva dell’incredibile traccheggiamento della Rai sull’intervista di Monica Maggioni al presidente siriano Bashar el Assad. Per comprensibili ragioni di pluralistico giro d’orizzonte, erano stati invitati, oltre a me, anche altri tre colleghi, di cui due dichiaratamente “ortodossi” (e ci capiamo).

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resistenze1

È solo tutto per il petrolio?

di Greg Godels

guerra petrolio"Tutto a causa del petrolio" è stato, dac quando si ha memoria, un ritornello persistente in risposta alla politica in Medio Oriente degli Stati Uniti. Certamente c'è molta verità in questa affermazione. Dalla transizione energetica dal carbone al petrolio e ai suoi derivati, le principali potenze imperialiste hanno cercato di dominare o controllare le risorse petrolifere globali. E il centro dell'estrazione petrolifera globale, specialmente per gli Stati Uniti e altri potenti paesi capitalisti, è rimasto in Medio Oriente e nelle sue periferie.

Quando la Marina dell'allora dominante impero britannico passò dalle navi da guerra a carbone e alimentate a vapore alla dipendenza dal petrolio, il Medio Oriente divenne la sua stazione di servizio strategica. Di conseguenza, lo stato e il destino di persone, nazioni e stati in Medio Oriente si legarono indissolubilmente agli interessi e alla volontà delle più grandi potenze imperiali.

Dopo la prima guerra mondiale, gli inglesi e i francesi hanno aggredito e trasformato il Medio Oriente in un "protettorato" utile ai propri interessi economici. Gli Stati Uniti, autosufficienti nelle risorse petrolifere, furono spinti ai margini, liberi di esplorare i vasti deserti sottopopolati della penisola arabica.

Il caso volle che le vaste distese della penisola arabica si dimostrarono essere una fonte di petrolio e gas naturale vasta ed economica. L'Arabian-American Oil Company (ARAMCO) si rivelò provvidenziale quando le riserve energetiche interne statunitensi iniziarono a diminuire.

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aldogiannuli

Argentina: un viaggio nella crisi sociale

di Angelo Zaccaria

Con grande gratitudine e interesse, vi propongo questo prezioso articolo di Angelo Zaccaria, di rientro da un lungo viaggio in Argenina. Buona lettura! A.G.

argentina 2018 940Argentina nel cuore 2019, parte seconda. La sorgente ed il motore della forza dei movimenti argentini sta nel grande lavoro di base fatto nei territori, con le donne in prima fila.

Come quello da me scritto oltre un anno fa, anche questo contributo nasce da una nuova lunga permanenza in Argentina, fra inizio di Marzo e poco dopo metà Settembre, per la maggior parte del tempo a Buenos Aires.

 

La crisi sociale si consolida

Il giro di boa della nuova crisi argentina si verifica nell’Aprile 2018, con la crisi cambiaria, la svalutazione del peso rispetto al dollaro, e le conseguenze negative su inflazione, salari reali e livelli di povertà. Da allora in poi la crisi si è consolidata ed approfondita, influenzando sia la dinamica sociale che quella politica ed elettorale.

I numeri della crisi sono facilmente consultabili: inflazione verso il 58%, povertà verso il 40% ma che sale al 50 considerando la sola popolazione infantile (a causa delle maggiori difficoltà nelle famiglie con più figli), cambio col dollaro USA ormai intorno ai 60 pesos, crisi industriali e nel piccolo commercio, recessione a meno 3%. Torno sul dato della povertà infantile, perché oltre che evidenziare il dato della povertà in sé, fa risaltare anche gli enormi squilibri esistenti non solo nel paese, ma nella stessa Grande Buenos Aires: nel conurbano i bambini poveri salgono al 63% del totale, mentre nella città capitale sono al 22%. La media nelle provincie interne invece è del 40% o poco più. Si conferma anche quanto già evidenziato in altre sedi: il conurbano di Buenos Aires è la polveriera sociale dell’Argentina.

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contropiano2

Scienza e Guerra

di Angelo Baracca*

vbkdjnsheuygfuyhefkòrIl coinvolgimento di un numero enorme di scienziati nella ricerca militare, o/e nella realizzazione di nuove armi, è un aspetto della Scienza attuale che di solito viene ignorato o sottaciuto (et pur cause!). Ma al di là delle dimensioni di questo coinvolgimento, che forse pochi immaginano, vi sono alcuni aspetti intrinseci nella Scienza moderna che costituiscono una predisposizione alle applicazioni militari.

Intervento a incontri con studenti del Corso di laurea in Scienze della Pace, e con studenti di scuole secondarie PISA, 25 Novembre 2019 – LIVORNO, 26 Novembre 2019

I legami fra la Scienza, la ricerca prettamente scientifica, e le attività a le produzioni militari, in una parola la Guerra, sono molteplici e assai più complessi di quanti si pensi a prima vista. L’idea più immediata è che la ricerca scientifica contribuisca alla realizzazione di armi di concezione nuova e più efficaci (nel distruggere e uccidere). Il che è senz’altro vero, ma a mio parere anche semplicistico.

Ritengo opportuno, per chiarezza e per chi non mi conosce, premettere che le mie idee sulla Scienza sono piuttosto radicali: non intendo imporle a nessuna/o, ma esporle senza infingimenti (come ho fatto in decenni di insegnamento) spero contribuisca a rimuovere le concezioni comuni e semplicistiche (a mio parere) che dominano perché ciascuno si faccia la propria opinione, ance fosse diversa dalla mia.

Affronterò distintamente due aspetti della questione. Il primo che potrei chiamare quantitativo, sull’entità dell’impegno degli scienziati per la guerra, perché penso la dimensione di questo impegno sia comunemente poco nota e sottovalutata (o occultata nelle informazioni comuni); ma vi un secondo aspetto, che chiamerei qualitativo, ancora più occultato o mistificato, che riguarda quella che ritengo una predisposizione della Scienza (quella nostra, Occidentale, o del capitalismo1), nel suo stesso impianto metodologico, verso l’aggressione all’Uomo e alla Natura.

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patriaindipend

NATO, breve storia dell’alleanza

di Manlio Dinucci

In occasione del 70° anniversario della fondazione della NATO (North Atlantic Treaty Organization) pubblichiamo su questo numero due brevi saggi scritti per Patria, che esprimono punti di vista diversi sulla storia dell’alleanza. Qui il testo del geografo, ricercatore e saggista Manlio Dinucci

md13Le origini

Gli eventi che preparano la nascita della NATO iniziano con la Seconda guerra mondiale. Nel giugno 1941 la Germania nazista invade l’URSS con 5,5 milioni di soldati, 3.500 carrarmati e 5.000 aerei, concentrando in territorio sovietico 201 divisioni, equivalenti al 75% di tutte le sue truppe, cui si aggiungono 37 divisioni dei satelliti tra cui l’Italia. L’URSS chiede ripetutamente agli Alleati di aprire un secondo fronte in Europa, ma Stati Uniti e Gran Bretagna lo ritardano, mirando a scaricare la potenza nazista sull’URSS per indebolirla e avere così una posizione dominante al termine della guerra. Il secondo fronte viene aperto con lo sbarco anglo-statunitense in Normandia nel giugno 1944, quando ormai l’Armata Rossa e i partigiani sovietici hanno sconfitto le truppe tedesche assestando il colpo decisivo alla Germania nazista.

Il prezzo pagato dall’Unione Sovietica è altissimo: circa 27 milioni di morti, per oltre la metà civili, corrispondenti al 15% della popolazione, in rapporto allo 0,3% degli USA in tutta la Seconda guerra mondiale; circa 5 milioni di deportati in Germania; oltre 1.700 città e grossi abitati, 70mila piccoli villaggi, 30 mila fabbriche distrutte.

La guerra fredda, che divide di nuovo l’Europa subito dopo la Seconda guerra mondiale, non viene provocata da un atteggiamento aggressivo dell’URSS, uscita in gran parte distrutta dalla guerra, ma dal piano di Washington di imporre il dominio statunitense nel dopoguerra. Anche qui parlano i fatti storici. Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki viene effettuato dagli Stati Uniti nell’agosto 1945 non tanto per sconfiggere il Giappone, ormai allo stremo, quanto per uscire dalla Seconda guerra mondiale con il massimo vantaggio possibile soprattutto sull’Unione Sovietica. Ciò è reso possibile dal fatto che, in quel momento, gli Stati Uniti sono gli unici a possedere l’arma nucleare.

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la citta futura

Il buco nero dell’informazione globale

di Geraldina Colotti

I grandi media boliviani hanno accompagnato le manovre di Washington, che hanno tenuto nel mirino il “presidente indio” fin dal 2006

41f613839a34208738516970b956ff38 XLAlla domanda se fosse ancora possibile cambiare la Bolivia, il presidente in esilio Evo Morales, intervistato da Rafael Correa per RT, ha risposto: “Sì, ma bisogna avere i media dalla propria parte”. Come dargli torto? I suoi governi hanno cambiato il volto del paese, uno dei più poveri dell’America Latina, risollevandolo dal baratro in cui era precipitato negli anni di neoliberismo.

Tra ostacoli e conflitti che hanno mostrato la pervicacia del sistema oligarchico alleato di Washington, Evo è riuscito a realizzare le tre principali promesse della sua campagna elettorale: l’Assemblea costituente, la re-nazionalizzazione degli idrocarburi, e la riforma agraria. Molto più difficile, però, è stata la lotta contro il latifondo mediatico, pur prospettata dalla nuova costituzione che proibiva la concentrazione monopolistica.

L’ultimo rapporto dell’UNESCO, pubblicato nel 2016, indicava che oltre l’80% dei mezzi di comunicazione restavano nelle mani dei privati, e rilevava la coesistenza di “una minoranza di media comunitari, sindacali, confessionali e statali”. I giornali registrati erano circa 60, ma – indicava - quelli che “possono essere qualificati come grandi media sono: una decina di giornali privati, 7 reti televisive (una delle quali statale) e 4 reti radiofoniche (una statale)”.

I grandi media – rilevava ancora l’UNESCO – concentrano le loro attenzioni e la portata nelle tre città del cosiddetto “asse” boliviano: La Paz, Cochabamba e Santa Cruz, anche se le reti di radio e TV coprono varie zone del territorio nazionale, soprattutto dell’area urbana. I media si finanziano fondamentalmente con la pubblicità commerciale e con quella del governo, le cui risorse sono captate prima di tutto dalle reti televisive, seguite dai giornali più grandi e dalle reti radiofoniche.

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caminardomandando

Il processo di cambiamento in Bolivia

Pensieri, autocritiche e proposte

di Pablo Solón

Questo è il momento della solidarietà e della mobilitazione contro il golpe in Bolivia e la sanguinosa repressione in corso. Ma ci sembra urgente anche non rimandare il momento dell'analisi e dell'autocritica. Come è possibile che un processo capace di coinvolgere profondamente grandi masse popolari e di raggiungere traguardi prima inimmaginabili sia crollato come un castello di carte, sprofondando il paese in una crisi senza soluzioni? Questo articolo ci sembra cominci a cercare delle risposte

evo morales estado de sitio golpe de estado bolivia reuters scaledChe cosa è successo? Come siamo arrivati fino a questo punto? Che fine ha fatto il processo di cambiamento che più di quindici anni fa conquistò la sua prima vittoria con la guerra dell’acqua? Perché un conglomerato di movimenti che volevano cambiare la Bolivia è rimasto invischiato in un referendum il cui fine era la rielezione di due persone nel 2019?[1]

Dire che tutto questo è opera della cospirazione imperialista è un’assurdità. L’idea del referendum per la rielezione non è venuta dalla Casa Bianca, ma dal Palacio Quemado.[2] Adesso è ovvio che l’imperialismo e tutta l’estrema destra approfittino di quell’errore enorme che è stata la richiesta di convocare un referendum per consentire la rielezione di due persone.

Il referendum non è la causa del problema, ma solo un altro dei suoi tragici capitoli. Il processo di cambiamento è sulla strada sbagliata ed è necessario riflettere al di là degli scandali della corruzione e delle menzogne, che, per quanto importanti, sono solo la punta dell’iceberg.

Quattro anni e mezzo fa ho lasciato il governo e da allora ho cercato di capire gli sviluppi possibili. Quello che succede in Bolivia non è qualcosa di unico. Dall’inizio del secolo scorso, diversi movimenti rivoluzionari, di sinistra o progressisti, sono arrivati al potere in vari paesi del mondo e, nonostante il fatto che molti di essi abbiano generato importanti trasformazioni, praticamente tutti hanno finito per essere cooptati dalle logiche del capitalismo e del potere.

In maniera molto sintetica, condivido qui alcune idee, autocritiche e proposte che spero contribuiranno a recuperare i sogni di un processo di cambiamento molto complesso e che non è proprietà di nessun partito o dirigente.

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militant

America Latina, la lezione di Ho Chi Minh

di Geraldina Colotti

6023 no al golpeIl colpo di stato in Bolivia mobilita e fa discutere. Come mai si è verificato proprio nel paese latinoamericano più lodato per la sua stabilità economica e per la crescita del Pil? E perché ha potuto spiazzare e obbligare all’esilio un presidente di provata esperienza sindacale e un vicepresidente le cui analisi hanno ottenuto l’ammirazione dei marxisti latinoamericani e non solo? Che fase sta attraversando l’America Latina? Che riflessioni possiamo trarne?

A trent’anni dal processo di “balcanizzazione”, seguito al terremoto dell’89, possiamo guardare all’America Latina come a un brulicante laboratorio di resistenza e sperimentazione, di offensiva e controffensiva, che si proietta oltre il continente, configurando i termini della lotta di classe per come si presenta nel quadro globale. L’America Latina appare oggi come una grande trincea, una sorta di linea rossa, variamente modulata, che si è opposta al dilagare del pensiero unico imposto dal gendarme nordamericano e dai suoi cantori, fin dagli anni immediatamente successivi la caduta del campo socialista.

Due, in estrema sintesi, i poli di resistenza emersi con forza nei primi anni Novanta e che hanno innescato conseguenze diverse, sia sul piano politico, sia su quello simbolico, nel continente latinoamericano e non solo. Due punti di frattura. Il primo, la ribellione civico-militare guidata da Hugo Chavez, ha avuto luogo in Venezuela il 4 febbraio del 1992 e poi il 27 novembre dello stesso anno. Il secondo si è verificato due anni dopo in Chiapas, uno stato del Messico meridionale che confina con il Guatemala e che per essere stato teatro di una rivolta indigena ha fatto a suo modo storia.

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carotenuto2

Perché sulla Bolivia è calato il silenzio

di Gennaro Carotenuto

0005472F eva copaIl golpe in Bolivia, con l’appoggio del sistema mediatico, ha abbattuto una dittatura che esisteva solo nelle fake news, ed è stato costruito per rappresentarsi come istituzionale e democratico, anche se “golpe democratico”, tanto più con i morti in strada e l’UNHCR che accoglie i rifugiati, è un ossimoro irricevibile.

Riassumiamo molto sinteticamente. La prima parte è stata costruita a partire dalla stigmatizzazione, distruzione dell’immagine, demonizzazione di Evo Morales, trasformato (qui la sua character assassination) in una specie di mostro for export, l’autocrate, il narcoindio (se non è razzista l’espressione “narcoindio”…). Rappresentato Evo Morales come il nuovo male assoluto, il secondo passaggio è stato far passare un governo legittimo come illegale (i presunti brogli che, nella sua preveggenza, la OEA ha denunciato da prima che accadessero e smentiti da fonti ben più autorevoli) e liberarsene con la violenza. Era il golpe che non c’è, almeno per i grandi media.

Ora siamo alla terza fase, quella della normalizzazione che implica la rappresentazione dell’ex-opposizione, trasformatasi in “governo di fatto”, come espressione pulcra e senza ombre di quella liberaldemocrazia occidentale così incapace di autocritica, quanto capace di gettare la croce addosso a chiunque le faccia ombra, come è accaduto in Bolivia e in America latina nel XXI secolo. Finora è andata loro bene. Hanno convinto tutti o quasi che non fosse un golpe e che tutte le responsabilità fossero esclusivamente dell’indio disubbidiente. Parliamoci chiaro: si sono allineati più o meno tutti. A parte Bernie Sanders, a quale politico conviene nel 2019 sprecare un tweet per difendere gli indigeni boliviani?

Ma la realtà può essere travisata solo fino a un certo punto. Il problema è che la loro “rivoluzione colorata”, quella per giustificare la quale la quale la OEA aveva messo nero su bianco che vi fossero imprecisati brogli gravissimi senza neanche aspettare metà scrutinio, si sia ben presto trasformata in un incubo di ex abrupto.

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lamericalatina

Bolivia: anatomia di un colpo di Stato

di Alessandro Peregalli

manifestacion paz partidarios evo morales 1573757003407 1200x640La Bolivia è sprofondata in una crisi devastante lo scorso 20 ottobre, data delle elezioni presidenziali e legislative. Si è chiuso così il periodo di maggior stabilità politica della sua intera storia indipendente; le mobilitazioni e proteste in tutto il paese mostrano uno scenario ancora aperto che ha portato, il 10 novembre, alle dimissioni e del presidente Evo Morales e del vice-presidente Álvaro García Linera, e al loro esilio in Messico. Immediatamente, due narrative opposte si sono affermate per leggere gli eventi, tanto in Bolivia come a livello internazionale: da un lato, la sinistra, legata al “primo presidente indio” Morales, o riconducibile ai suoi alleati internazionali (di sinistra o meno, dal Messico al presidente in pectore argentino Alberto Fernández, dalla Cina alla Russia), ha affermato che si sia trattato di un classico golpe de Estado, che ha fatto fuori un presidente legittimo e legalmente rieletto e che è stato orchestrato dal Dipartimento di Stato americano, dalla CIA e dall’oligarchia boliviana. Dall’altra, la destra, tanto interna come internazionale (da Trump a Bolsonaro, e con la complicità dei “sinceri democratici” dell’Unione Europea e del partito democratico americano, con l’eccezione di Bernie Sanders), hanno sostenuto che si sia trattato della rimozione legittima di un “dittatore” che aveva falsato le ultime elezioni per farsi rieleggere.

In realtà, ciò che ha reso più complicato questo tipo di polarizzazione è stato l’emergere, nella sinistra libertaria e di matrice autonomista, di uno spettro di posizioni critiche allo stesso tempo tanto del governo di Evo come delle pulsioni classiste, misogine e coloniali emerse all’interno del movimento di protesta contro di lui.

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osservatorioglobalizzazione

Trump contro tutti: la lunga marcia verso le presidenziali

Intervista a Stefano Graziosi

Donald Trump meets with Mohammed bin Salman bin Abdulaziz Al Saud March 2017La corsa alle presidenziali statunitensi del prossimo anno deve ancora entrare nella sua parte più calda ma è già duramente combattuta tra il fronte democratico in cerca di una sintesi tra le sue diverse anime e quello repubblicano oramai completamente identificato col Presidente Donald J. Trump. Quali sono le principali dinamiche da tenere in considerazione nella marcia di avvicinamento al 2020 elettorale americano? Ne abbiamo parlato con un attento osservatore degli States, Stefano Graziosi. Nato a Roma nel 1990 Graziosi si è formato studiando Filosofia tra Pisa e l’Università Cattolica di Milano e collabora con diverse testate tra cui Lettera 43, Panorama e La Verità. Nel 2018 ha pubblicato con le Edizioni Ares il saggio Apocalypse Trump, con prefazione dell’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli.

* * * *

Ciao Stefano e grazie della tua disponibilità. Il 2020 non è ancora iniziato ma la corsa alle presidenziali statunitensi è già aperta. Rispetto al 2016, Donald Trump parte con ben altri pronostici, forte della presenza alla Casa Bianca. I tre predecessori di Trump sono stati rieletti, è possibile per lui confermarsi? In prospettiva, ritieni che i trend politici riescano a far presagire dei temi elettorali che saranno dominanti nel 2020? Trump non rischia un contraccolpo nel caso in cui i successi economici degli Usa, suo principale cavallo di battaglia, calassero vistosamente nei prossimi mesi?

Grazie a voi. La storia americana insegna che, fermandoci almeno agli ultimi quarant’anni, i presidenti che non vengono riconfermati sono quelli che riscontrano seri problemi in termini di politica economica.

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sinistra

La crisi capitalistica e la voliera della Sinistra

Commento a un articolo di Contropiano sul colpo di stato in Bolivia

di Michele Castaldo

tmp485052888461082624In un momento di grandi sconvolgimenti degli assetti capitalistici mondiali la Sinistra somiglia a una voliera dove molte specie di volatili danno vita a un coro polifonico in cui è difficile distinguere i vari cinguettii. Segno dei tempi e delle nostre difficoltà. Una di queste voci che prendiamo a esaminare, separandola dal contesto della voliera, è quella di , una rivista e una organizzazione che fino ad oggi ha difeso strenuamente i governi di sinistra di alcuni paesi dell’America latina. Onore al merito, ci sentiamo di aggiungere.

Dopo il colpo di stato ordito dalle potenze occidentali, in primis dagli Usa, e le dimissioni forzate di Morales in Bolivia, c’è una novità in quello che scrive Luciano Vasapollo, conoscitore dei paesi latino americani e dirigente storico di quella rivista. Citiamo alcuni passaggi di un articolo comparso in rete muovendo alcune osservazioni di merito in quello che viene espresso.

Scrive Vasapollo:

«E’ assolutamente evidente che gli Stati Uniti, in ritirata in altre zone del mondo, stanno cercando di riprendersi il “cortile di casa” eliminando le esperienze alternative, dal Venezuela al Nicaragua, dal Brasile all’Ecuador e ora in Bolivia»

«E’ […questa la conseguenza di] un errore abbastanza comune, quello di credere che la conquista del governo politico coincida con la conquista del potere reale. Ma se non si mette mano alla modifica sostanziale del sistema economico, ossia se non si fa prevalere l’autodeterminazione sul come e cosa produrre e ci si limita soltanto alle politiche di redistribuzione sociale, non si modificano le modalità di riproduzione delle parti reazionarie e benestanti della società».

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mondocane

Bolivia, chi, come, perchè

Internazionale fascista e Quarto Potere

di Fulvio Grimaldi

Quelli che gridano “al lupo fasciorazzista” e non lo vedono quando c’è

boll.jpg 1718483346“Una stampa cinica, mercenaria, demagogica produrrà nel corso del tempo una società altrettanto spregevole”. (Joseph Pulitzer)

Coloro che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, sono come quelli che vorrebbero mangiare vitello senza uccidere il vitello” (Berthold Brecht)

Lo strabismo autoindotto dei media

La manipolazione-mistificazione-falsificazione dei media di regime, che ciarlano, a proposito di Bolivia, di un paese rivoltatosi in nome della democrazia contro il caudillo che non vuole mollare il potere, è scontata. Come lo è la demagogia e retorica progressisto-cerchiobottista che celebra la Bolivia di Evo Morales, ma con la riserva che era estrattivista e lui si ostinava a fare il presidente a vita. Sono gli stessi sedicenti progressisti che rimpiangono gli Usa multilateralisti di Obama e Hillary. Che poi sarebbero i due protagonisti delle sette guerre di sterminio, dei colpi di Stato in Honduras, Paraguay e Ucraina e di varie rivoluzioni colorate. Tra l’altro utilizzando le stesse manovalanze: terroristi islamici o pseudo-islamici in Oriente, ancora quelli, più lo squadrismo neonazista, in Europa, squadristi fascisti in America Latina dove islamisti non ce ne sono. Con la particolarità asiatica degli squadristi neocolonialisti, fascioteppisti quanto altri mai, sotto le bandiere britannica e statunitense a Hong Kong. E dunque amati dal “manifesto”.

Di queste manovalanze il nostro paese sa tutto, sulla base di dati processuali e d’inchiesta, fin da De Lorenzo, paragolpe Borghese, Piazza Fontana, terrorismo mafiostatale. Sa anche tutto, ma alla Pasolini, sui relativi mandanti, interni ed esteri.