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mondocane

Ratko Mladic, Abdelfatah al Sisi e i Fratelli Musulmani di casa nostra

di Fulvio Grimaldi

pesci rossiSiamo tanti pesciolini rossi chiusi in una boccia che vedono il mondo attraverso le distorsioni del vetro concavo. Possiamo anche considerarci imprigionati in un labirinto di specchi deformanti che ci danno un’immagine manipolata di noi stessi, in primis, e di tutto ciò che ci circonda, in secundis. Dopodiché, fidandoci di quel che vediamo di noi stessi, siamo anche convinti che quel tavolino Luigi XVI sia una qualche orrida formazione tumorale. Ci tengono in una costante condizione lisergica di cui l’espressione cinematografica più riuscita rimane il raccapricciante “Truman’s show”. Con la differenza che, quanto sotto il cielo finto che imprigionaTruman era tutto sorridente, consolatorio, rassicurante, disarmante, oggi quel che ci proiettano specchi e vetri deformanti sono finzioni da incubo, destabilizzanti, terrorizzanti, tanto da ridurre ognuno al suo particolare “si salvi chi può”. Sto parlando dell’ininterrotto assalto cui siamo sottoposti delle varie, ossessive, campagne, ordinate dai padroni ai loro politici e da questi ai media, ormai a edicole e schermi unificati.

Radko Mladic, Patrice Lumumba, Saddam Hussein, Muhammar Gheddafi, Sacco e Vanzetti, Che Guevara… Un segno di nobiltà in comune: fatti fuori dallo stesso boia.

Un video in onore del comandante delle truppe serbo bosniache

Christopher Black è l’avvocato canadese che ha difeso Slobodan Milosevic.

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mondocane

Medioriente, quel che si vorrebbe e quel che purtroppo è

Stavolta davvero verso un’altra guerra

di Fulvio Grimaldi

mohamed TrumpPartiamo con una notizia esaltante. Liberata Abu Kamal, città al confine siro-iracheno, dalla vittoria congiunta dell'Esercito Libero Siriano e dalle truppe irachene, esercito e Forze di Mobilitazione Popolare. Una vittoria di altissimo valore simbolico, che vede uniti due paesi che l'imperialismo-sionismo, insieme ai clienti satrapi del Golfo, avevano tentato di distruggere. Un nuovo inizio di unità nazionale araba con il concorso della Russia, dell'Iran e delle forze antimperialiste libanesi. Che questa, per oggi, ci paia l'unica notizia buona non diminuisce la nostra gioia e gratitudine.

E’ un antico vezzo di intellettuali, tra cui carissimi amici di notevole livello teorico, attenti alle profondità degli eventi e, come insegnava Montessori, ai dettagli e alle connessioni (vedere gli alberi nel bosco), quello di cucire un vestito e metterlo addosso al soggetto di cui trattano, convinti che gli stia bene, benché una manica sia corta e le spalle caschino. Succede in particolare da chi scatta dagli stessi blocchi di partenza, anche quando sono cambiati, anche quando non ci sono proprio. Tipo Stati Uniti democrazia liberatrice, o URSS comunque dalla parte di classi e nazioni oppresse.

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tempofertile

Samir Amin, “La crisi”

di Alessandro Visalli

Captura456Il libro di Samir Amin, “La crisi”, del 2009, il cui sottotitolo è “Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi?” conclude per ora la lettura di alcuni testi dell’economista egiziano che ha visto prima il suo testo del 1973 “Lo sviluppo ineguale”, poi il libro del 1999 “Oltre la mondializzazione”, e quello del 2006 “Per un mondo multipolare”. Dieci anni dopo abbiamo letto l’intervento “La sovranità popolare unico antidoto all’offensiva del capitale”, nel quale la pluridecennale riflessione dell’alfiere della liberazione terzomondista e instancabile denunciatore della polarizzazione generata dallo sviluppo capitalista perviene alla determinazione, apparentemente di chiave tattica, di dover far leva sulle lotte nazionali e popolari, punto per punto, dai luoghi più deboli. Il riscatto deve, cioè, pervenire dai luoghi in cui la contraddizione tra la promessa di prosperità e la realtà di assoggettamento e alienazione è più ampia. Ciò che bisogna combattere è una tendenza intrinseca al capitalismo, al quale non è riconosciuta alcuna capacità emancipatoria o di sviluppo delle forze produttive: quella di schiacciare le periferie, creandole come tali. Creandole in quanto periferie, rispetto ai centri dominanti nei quali il capitale si concentra e dalle quali domina, accade che la logica intrinseca della macchina produttiva (di valore) tende quindi continuamente a fare della natura (e degli uomini) risorse e per questo ad estrarle, ad alienarle.

Per contrastare questa tendenza, dice Amin, non bisogna aspettare che una qualche contromeccanica automatica intervenga a salvarci: bisogna prendere il potere. Occorre, cioè, lottare per il potere. Costringerlo a fare i conti con le forze popolari, schiacciate, ma che vogliono rivendicare il proprio.

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marx xxi

Per farla finita una volta per sempre con la sinofobia

di Domenico Losurdo

Prefazione al libro di Fabio Massimo Parenti, Il socialismo prospero. Saggi sulla via cinese, Novaeuropa edizioni, 201

cina statualavoroUn nuovo libro sulla Cina? Non ce ne sono già tanti ed essi non crescono a vista d’occhio? Non c’è dubbio: la Repubblica popolare cinese non cessa di attrarre l’attenzione del mondo intero. Dopo aver liberato dalla miseria centinaia e centinaia di milioni persone – un processo per la sua ampiezza e la sua rapidità senza precedenti nella storia – il grande paese asiatico sta ora bruciando le tappe dello sviluppo tecnologico. E ancora una volta, i risultati conseguiti o che si profilano all’orizzonte sono di portata storica: il monopolio dell’alta tecnologia per secoli detenuto dall’Occidente capitalistico, che spesso se ne è servito per assoggettare o tiranneggiare il resto del mondo, sta dileguando; si stanno realizzando le condizioni oggettive per la democratizzazione delle relazioni internazionali, alla quale peraltro continuano ostinatamente ad opporsi l’imperialismo e l’egemonismo.

La rinascita di un paese di civiltà millenaria, dopo la più grande rivoluzione anticoloniale della storia, mette in crisi i luoghi comuni di cui è intessuta la campagna anticinese portata avanti dal potere e dall’ideologia dominanti a livello internazionale. La Cina avrebbe fondato il suo prodigioso sviluppo sullo sfruttamento del lavoro a basso costo? Quante volte ci siamo imbattuti in questo ritornello?

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comedonchisciotte

Oro, petrolio, dollari, Russia e Cina

di William Engdahl

dollar printing 864x400 cIl sistema monetario internazionale di Bretton Woods del 1944, per come si è evoluto nel presente, è diventato, detto onestamente, il più grande ostacolo alla pace e alla prosperità nel mondo. La Cina è sempre più sostenuta dalla Russia, e le due più grandi nazioni eurasiatiche stanno prendendo passi decisivi per creare un’alternativa molto valida alla tirannia del dollaro americano nel commercio mondiale e nella finanza. Wall Street e Washington non ne sono contenti, ma sono impotenti nel fermare questo cambiamento.

Poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, il governo degli Stati Uniti, influenzato dalle maggiori banche internazionali di Wall Street, ha istituito ciò che molti credettero erroneamente essere un nuovo standard dell’oro. In verità, fu uno standard del dollaro in cui ogni altra valuta dei paesi del Fondo Monetario Internazionale ebbe il valore agganciato al dollaro. A sua volta, il dollaro americano fu legato poi all’oro con un controvalore pari a un trentacinquesimo di un’oncia d’oro. All’epoca Washington e Wall Street potevano imporre un tale sistema poiché la Federal Reserve deteneva circa il 75% di tutto l’oro monetario mondiale in conseguenza della guerra e degli sviluppi correlati. Bretton Woods incoronò il dollaro, che da allora è diventato la valuta di riserva del commercio mondiale detenuta dalle banche centrali.

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civg

Parigi 17 ottobre 1961: la mattanza degli algerini

di Luigi Cecchetti

NOINONDIMENTICHIAMO4 image003Vogliamo ricordare un avvenimento tremendo, che accadde il 17 ottobre del 1961: quel giorno di autunno circa 30.000 persone sfilavano per le vie di Parigi pacificamente.

I cortei, che avevano l’intenzione di raggiungere il centro della città, erano costituiti da donne, uomini e bambini; furono aggrediti dalla polizia a colpi di bastone e di armi da fuoco, vennero uccisi, gettati vivi nella Senna ed alcuni furono ritrovati impiccati nei boschi. Si calcolano dai 200 ai 300 morti più alcune migliaia di feriti.

Cercando di capire come si era arrivati a questa violenza raccontiamo nei particolari questo evento raccapricciante, forse il più grave massacro di lavoratori avvenuto in Europa nel secolo scorso.

Perché è poco ricordato e/o dimenticato? La risposta è incredibilmente semplice: perché le vittime erano tutte algerine, erano solo degli immigrati, gente proveniente da quella parte del mondo considerata come una civiltà indiscutibilmente inferiore alla “civiltà occidentale”.

 

Gli antefatti

Le forze coloniali francesi rinchiusero dietro i reticolati oltre 1 milione di algerini. Furono detti “campi di raggruppamento” e “centri di internamento”, ove, secondo le dichiarazioni delle stesse autorità francesi, le malattie e la mortalità raggiunsero cifre normalmente alte.

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marx xxi

La Rivoluzione d’Ottobre e il Movimento Socialista Mondiale in una prospettiva storica

di Andrea Catone

lenin rivoluzione 940 11. Il risultato più duraturo della rivoluzione d’Ottobre è il riemergere dei popoli oppressi

Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre consente oggi, con il vantaggio della distanza storica, di trarre un bilancio dei suoi effetti duraturi in tutta la storia del mondo.

La rivoluzione d’Ottobre segna un momento fondamentale nella storia, non solo del movimento operaio, ma dell’intera umanità. Dopo la Comune di Parigi (1871), schiacciata nel sangue dalla repressione della borghesia, la Rivoluzione d’Ottobre è il primo tentativo vittorioso del proletariato e delle classi subalterne di rovesciare i rapporti sociali dominanti e costruire una società socialista. Segna anche l’inizio di un potente processo di emancipazione dei popoli oppressi e lo sviluppo di lotte anti-coloniali e antimperialiste. Le rivoluzioni russa, cinese, vietnamita e cubana – per limitarsi ad alcuni dei più importanti movimenti comunisti – hanno permesso la liberazione di centinaia di milioni di esseri umani dalla miseria e dalla fame e rappresentano il tentativo di costruire società alternative al capitalismo e orientate verso il socialismo.

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rottacomunista

L'Unione Europea, la Germania e il proletariato

di Michele Basso

cd54c221a24dc8e9ac2464c7fb3b2524La UE non è un blocco unitario, il mitico imperialismo europeo. La conflittualità interna e in politica estera è sempre più evidente. Non è neppure un'alleanza tra imperialismi nazionali per essere in grado di competere con grandi stati come USA, Cina, Russia. Quando il federalismo europeo era ancora soltanto un progetto, Bordiga ne descriveva i caratteri fondamentali:

«una maschera di un'organizzazione di guerra a comando USA, che consolidava il dominio del capitale finanziario statunitense sull'Europa e sul proletariato americano, e che rendeva impossibile la nascita di comuni rivoluzionarie a Parigi, Bruxelles, Milano, Monaco ...»1

C'è un fondamentale parallelismo tra NATO e UE, e i cosiddetti europei neutrali sono nell'orbita americana più ancora di vecchi atlantici come la Turchia. Basterebbe una cartina delle basi Nato e di quelle gestite direttamente solo dagli USA, per dimostrare la sudditanza europea. Il rapporto tra gli imperialismi europei e gli USA ricorda quello tra gangster e capobanda, colui che in ultima istanza decide. Il primo segretario generale della Nato, Hastings Lionel Ismay, disse che l’Alleanza era stata creata per «tenere gli Usa dentro (l’Europa ndr), la Russia fuori e la Germania sotto». L'enorme peso economico della Germania alla fine ha reso impossibile mantenere questa direttiva.

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tempofertile

Samir Amin, “Per un mondo multipolare”

di Alessandro Visalli

slider img big 4liberty04Il libro del 2006 di Samir Amin indica una prospettiva che porta ad un maggior livello di chiarezza la sua interpretazione dell’internazionalismo socialista da lungo tempo elaborata e che abbiamo ritrovato, dopo dieci anni, espressa nell’intervista “La sovranità popolare unico antidoto all’offensiva del capitale”. In quel recente intervento l’economista egiziano propone un’interpretazione della crisi aperta nel 2007-8 e giunta al suo decimo anno, come esaurimento e insieme radicalizzazione del modello monopolista ed estrattivo, intrinsecamente imperialista e insieme completamente impersonale, che prende strada a partire dalla crisi di valorizzazione nella quale incappa il capitalismo del dopoguerra a partire dagli anni sessanta.

Nel 2016 Amin dirà che immaginare che “di fronte ad una crisi del capitalismo globale la risposta debba essere egualmente globale” è solo una “tentazione”, ed sorta di ingenuità, causa di sicura sconfitta. Questo libro si chiuderà sulla stessa questione: il superamento deve avvenire punto per punto, e partendo, come è sempre avvenuto, dai luoghi in cui il controllo è più debole, o da quelli in cui le contraddizioni e le conseguenze inaccettabili sono più forti. Per superare, in ogni singolo luogo (ovvero nazione) la tendenza del capitalismo a schiacciare le periferie ed estrarre da esse le risorse, bisognerà fare politica e prendere il potere. Bisognerà costringerlo a fare i conti con le forze popolari, i progressi si potranno poi propagare.

Come avevamo scritto nel commento del bel libro di Carlo Formenti “La variante populista”, bisogna “riconquistare la sovranità popolare”, cosa che passa anche per il tentativo di articolare “un’idea postnazionalistica di nazione”.

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la citta futura

Corea del nord, questa sconosciuta quasi normale

di Luigi Pandolfi

Oltre l’escalation militare, c’è un Paese in movimento, oggettivamente lontano dal nostro sentire ma non per questo meno normale

b7d41aa04e4da12ee42f355b9c8e1b10 XLIl risalire della tensione lungo il 38° parallelo ha riacceso i riflettori dei media internazionali sulla Corea del Nord. Salvo qualche eccezione, tuttavia, a prevalere sono gli argomenti di sempre: minaccia nucleare e (presunte) bizzarrie del regime. Beninteso: la corsa agli armamenti di Pyongyang è un dato reale, così come non mancano aspetti della società e del sistema politico nordcoreano che si prestano a sguardi sbalorditi ed a letture sensazionalistiche. Niente a che vedere, però, con bufale del tipo: tutti i coreani sono costretti a portare i capelli come Kim Jong Un. Ad ogni modo, quando si osservano determinati fenomeni, che siano di natura politico-sociale o culturale, religiosa o di costume, riconducibili a specifiche (e differenti) forme di civilizzazione o di modernizzazione di un paese, sarebbe buona regola togliere dagli occhi le lenti dei propri - altrettanto specifici e differenti - statuti identitari. Così, forse, si riuscirebbe a cogliere perfino quanto c’è di normale in una società oggettivamente lontana dai propri luoghi e dal proprio sentire.

 

Una “via nazionale” al socialismo

Quante volte abbiamo sentito parlare di “regime stalinista”, ovvero di “ultimo bastione marxista-leninista” a proposito della Corea del Nord? Sempre. Cosa c’è di vero? Poco.

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popoff

L’uso politico dei migranti e la spoliazione dell’Africa

di Cristina Quintavalla

original Landfor campaign e1505255457111La tragedia umanitaria che si sta consumando sotto i nostri occhi, acuita dall‘inarrestabilità dei processi migratori, è resa tanto più drammatica quanto più viene utilizzata a fini politici e sociali, in Italia e in Europa. La questione della fuga di milioni di uomini, donne, bambini dai loro paesi d’origine e l’approdo di molte migliaia di essi sul territorio europeo viene presentata come la conseguenza del sottosviluppo, legato ad economie non industrializzate, rurali, primitive, imputabili ad arretratezza, o a regimi dittatoriali, a guerre intestine e fratricide. Insomma imputabili a storie e responsabilità loro.

Viene messa in scena una sorta di concezione della storia, fondata su una dialettica contrappositiva tra civili/civilizzati/sviluppati/benestanti/capaci/meritevoli e incivili/sottosviluppati/incapaci/poveri/immeritevoli: l’assalto di questi ultimi alla nostra ricchezza, prosperità, sicurezza, civiltà si configurerebbe come una minaccia gravida di insidie e pericoli, causa della disoccupazione, della precarizzazione delle vite, della crisi economica, dell’imbarbarimento sociale.

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mondocane

Siria e Venezuela: trionfalisti morganatici

di Fulvio Grimaldi

Putin Assad demoGira da sempre nella sinistra, specie in quella che cerca di restare autentica, rivoluzionaria, la tendenza che Mao esemplificò con la definizione della “tigre di carta”. Quanto fossero di carta capitalismo e imperialismo s’è visto da allora ad oggi, con il capitalismo che, a parte l’URSS, s’è addirittura mangiato il paese di Mao, Cuba, il Vietnam e con il socialismo che, per vederlo ancora sognato e auspicato, tocca aggirarsi per El Alto di La Paz, o in qualche quartiere proletario di Caracas, tipo il “23 De Enero”.

Nell’attualità questa realtà travisata in prodotto del desiderio si manifesta con grande evidenza in Siria e in Venezuela. Una storicamente incrollabile fiducia nella Russia, URSS o Federazione che sia, trascura completamente la realtà sul terreno in Siria e anche davanti alle evidenze di compromessi al ribasso, rispetto alla riconquista della sovranità e integrità territoriale da parte di Damasco, formula ardite e volontaristiche teorie che lascino intendere scaltre manovre di Putin di aggiramento del nemico. Si torna a sentire l’antico mantra: tempo al tempo. Intanto Netaniahu bombarda impunemente siti strategici e trasporti cruciali, senza che entrino in funzione i celebrati S300 o S400 russi o siriani, vaste zone di confine e nel cuore del paese sono affidate (pro tempore, ad perpetuum?) a coloro che hanno eseguito il mandato di sgozzare o espellere il maggior numero di siriani e di frantumarne l’unità,

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Samir Amin, “Lo sviluppo ineguale”

di Alessandro Visalli

1280px Diego Rivera mural featuring Emiliano ZapataPremessa: gli studi regionali

Il libro di Samir Amin è del 1973, e si inquadra come frutto maturo nel contesto di quei dibattiti sullo sviluppo che si sono dispiegati in tutti gli anni sessanta come reazione alle tradizionali teorie quantitative neoclassiche, imperniate su una nozione di spazio economico completamente astratto e formale. Già Francois Perroux aveva smosso gli approcci che tentavano di spiegare gli assetti spaziali a partire dalla nozione di equilibrio grazie alla semplice osservazione che di fatto l’assetto spaziale economico è caratterizzato da squilibrio. Cioè è conformato dalla presenza di ‘centri’ e ‘periferie’ (come vedremo nozioni centrali nell’analisi di Amin). Le relazioni tra ‘centri’ e ‘periferie’, è il punto, sono definite da scambi di equilibrio in linea di principio eguali, o suppongono relazioni ineguali di sfruttamento? La questione che pone questa domanda è al centro delle cosiddette “scienze regionali”, avviate negli anni quaranta da Alfred Loesch, ma profondamente rinnovate negli anni sessanta sulla base di una rilettura che fa uso anche di categorie marxiste.

Al centro l’idea che lo sviluppo economico, a tutte le scale, non sia un processo lineare nel quale spontaneamente si realizza l’allocazione ottimale delle risorse e l’interesse economico degli attori, ma un processo discontinuo e squilibrante nel quale si producono diseguaglianze, e quindi potere.

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contropiano2

Cile. I nodi non sciolti di quell’11 settembre

di Riccardo Rinaldi

Allende durante i bombardamenti del Palazzo della MonedaQuesta storia non si chiude come dovrebbe. L’11 marzo del 1990 il dittatore cileno Pinochet lascia la carica presidenziale dopo 17 anni da quell’11 settembre del 1973 in cui con un violento colpo di stato militare aveva rovesciato il governo di Allende, la prima esperienza di socialismo democratico. Al contrario del suo inizio, la fine della dittatura avvenne in maniera pacifica e istituzionale, con un referendum tenuto nel 1988, in cui l’opposizione democratica impose il proprio NO alla continuazione del regime militare con il 55% dei voti; non propriamente una vittoria schiacciante della democrazia sulla dittatura. Ma il lungo regime di Pinochet è in qualche modo sopravvissuta alla sua forma contingente di dittatura, riuscendo grazie a questa uscita di scena “graduale” a mantenersi viva nell’orizzonte politico ed economico cileno. E non solo.

L’eredità che Pinochet ha lasciato al suo paese è il sistema economico lasciato grossomodo invariato. La fine della dittatura e le prime elezioni libere infatti non coincisero con una nuova fase repubblicana, né tantomeno con una fase costituente, ma venne trattate come un semplice cambio di governo all’interno di uno stato di diritto che non era necessario mettere in discussione.

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giorn partecip

Venezuela, l’opposizione si spacca e fa arrabbiare El País

di Gennaro Carotenuto

constituyente venezuela.jpg 1718483347Dopo il gran tam-tam estivo il Venezuela è sparito dai giornali italiani. Eppure, nel giro di tre giorni, El País di Madrid, che da una ventina di anni sta alla versione ufficiale delle destre neoliberali sull’America latina come la Pravda stava al PCUS e all’URSS, e come tale merita di essere letto con la massima attenzione, ha pubblicato ben due articoli significativi di un cambiamento in atto. Questi infatti dimostrano grande frustrazione, e un filino di rabbia, rispetto al comportamento dell’opposizione venezuelana, appoggiata fino a ieri con trasporto nella sua lotta contro la “dittatura castrochavista” di Nicolás Maduro.

Il primo è firmato dal giornalista venezuelano Ewald Scharfenberg, di fatto corrispondente dalla capitale caraibica, il secondo è un editoriale del cattedratico argentino di stanza a Georgetown, Héctor Schamis, che da Washington è sempre stato durissimo con tutti i governi progressisti latinoamericani. Per entrambi l’opposizione sarebbe rea di non aver dato la spallata finale al regime chavista che, come ripetuto per mesi, era ormai cosa fatta.

In particolare per Schamis l’opposizione sarebbe incomprensibilmente più volte andata in soccorso del governo.