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La Formula Uno ama l'emiro

Marinella Correggia

In questo mondo in emergenza climatica, ecologica e sociale, la Formula 1 appare una contraddizione permanente - un inno alla velocità folle e al gratuito consumo di carburanti fossili. Wikipedia definisce la Formula 1, in sigla F1 «la massima categoria (in termini prestazionali) di vetture monoposto a ruote scoperte da corsa su circuito definita dalla Federazione internazionale dell'Automobile (Fia)». Il calendario annuale della F1 prevede gare in giro per il mondo, assai seguite e reclamizzate. Le carrozzerie delle automobili gareggianti (e i bordi pista) sono tutto uno sponsor dalla Marlboro delle sigarette alla compagnia petrolifera Shell e altre..

L'anno scorso ci sono stati due intoppi. L'India ha chiesto agli organizzatori del locale Gran premio di Formula 1 di pagare i dazi sulle monoposto in pista e su tutto il materiale importato per la gara, in calendario il 30 ottobre. La cosa ha suscitato ovviamente scandalo e minacce da parte degli organizzatori. Prima, in marzo, una delle puntate della F1 che doveva tenersi proprio in Bahrein era stata annullata per via «dell'instabilità della situazione» - leggi carri armati sauditi nelle strade per reprimere le proteste popolari.

La protesta senz'armi nella monarchia assoluta del Bahrein va avanti da un anno esatto e iniziò il 14 febbraio 2011 a piazza della perla a Manama. Per reprimerla, l'emiro al Khalifa si è avvalso e si avvale delle forze armate fornite dagli sceicchi dell'Arabia Saudita (nel quadro del Consiglio di cooperazione del Golfo), entrate nel marzo scorso nel piccolo Bahrein a schiacciare la rivoluzione più ignorata e boicottata del mondo arabo.

Una rivoluzione, in proporzione all'esiguo numero di abitanti del regno, che è stata forse la più partecipata di tutte. Donne e uomini, anziani e giovani, sono scesi in piazza non solo in città ma anche nei villaggi, senza alcun sostegno morale, politico o mediatico da parte dell'Occidente e delle monarchie del Golfo, ovviamente interessati a proteggere la monarchia che ospita la V flotta statunitense.

Quest'anno, la puntata bahreinita della F1 è stata confermata per il 22 aprile. Diverse associazioni per i diritti umani, a partire da quelle in Bahrein, hanno chiesto di boicottare l'evento. «Faremo campagna di boicottaggio fra piloti e team», ha detto settimane fa Nabeel Rajab, vice-presidente del Centro del Bahrain per i diritti umani, al quotidiano inglese The Guardian. «Il governo vuole la Formula Uno per dire al mondo esterno che tutto è tornato alla normalità. Se verranno, aiuteranno il governo a dire che tutto è normale. Noi preferiremmo che non prendessero parte alla gara. Sono sicuro che i piloti e le squadre vogliono rispettare i diritti umani».

Gli organizzatori della gara hanno di recente invitato i team a ignorare la richiesta di boicottaggio. Il sito PlanetF1.com ha riportato le dichiarazioni di un portavoce del Bahrein International Circuit: «L'anno scorso, il re del Bahrein ha commissionato un rapporto indipendente sulle presunte violazioni dei diritti umani, i cui risultati sono stati pubblicati nel mese di novembre. Il governo ha pienamente riconosciuto i risultati del rapporto e sta agendo rapidamente e in modo convincente seguendo le raccomandazioni. Il Gran Premio del Bahrein costituisce una parte fondamentale dell'economia locale (...) rappresenta un simbolo di unità nazionale».

La F1 dunque non boicotta l'emiro. Pazienza se anche decine di sportivi bahreiniti sono stati processati e condannati a pene molto dure per aver manifestato pacificamente.
In rete non c'è ancora traccia di alcun boicottaggio (ad esempio di telespettatori) contro la F1 stessa. Eppure sarebbe un atto ecologico e democratico.

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