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Screpanti su imperialismo e crisi

di Marino Badiale

Ripubblico qui una mia recensione al libro di Ernesto Screpanti, L'imperialismo globale e la grande crisi, DEPS, 2013, apparsa nell'ultimo numero di "Alternative per il socialismo" (n.29, dicembre 13-gennaio 14, pagg.207-209). Aggiungo alla fine della recensione ulteriori brevi considerazioni che per motivi di spazio non ho potuto inserire nella recensione stessa. (M.B.)

Ernesto Screpanti ha scritto un testo ambizioso ed estremamente ricco, che suggerisce molti sentieri di indagine. Al suo interno si possono trovare, fra le altre cose, una discussione delle teorie moderne dell'imperialismo, una ricostruzione/interpretazione della recente crisi economica (nei suoi aspetti sia fenomenici sia sostanziali), una accurata critica di alcuni dei luoghi comuni del “pensiero unico” neoliberista.

Nell'impossibilità di approfondire tutti questi aspetti, cerchiamo di evidenziare la tesi centrale del libro. Essa è apertamente dichiarata dall'autore: si tratta del fatto che “con la globalizzazione contemporanea sta prendendo forma un tipo d’imperialismo che è fondamentalmente diverso da quello affermatosi nell’Ottocento e nel Novecento” (pag. 7). Screpanti individua vari aspetti di questa novità dell'attuale “imperialismo globale”. La principale innovazione, fra quelle individuate da Screpanti, mi sembra essere il venir meno del legame fra capitalismo e Stato-nazione. Il grande capitale si pone al disopra dello Stato nazionale, e ha con esso una relazione strumentale ma anche conflittuale. Cerchiamo di capire entrambi i lati di questo rapporto. Il rapporto è strumentale in quanto il capitale cerca pur sempre di piegare lo Stato ai propri interessi.  Gli Stati hanno ancora delle funzioni importanti da svolgere, nello schema teorico proposto da Screpanti.

Si tratta della funzione di banchiere globale (colui che produce “moneta internazionale in quantità crescente, in modo da sostenere un continuo aumento del volume delle transazioni reali e finanziarie”, pag.82), di motore dell'accumulazione globale (“una grande economia nazionale capace di trascinare, con le proprie importazioni, le esportazioni e la produzione di tutti i paesi“, ibidem) e di sceriffo globale (“per far sì che i processi bellici servano a sottomettere i paesi periferici recalcitranti alla penetrazione del capitale senza acuire le rivalità tra i paesi avanzati, è necessario che le forze armate di un paese dominante abbiano sviluppato una potenza tale da scoraggiare ogni velleità vetero-imperiale degli altri paesi”, ibidem). Gli USA hanno assolto queste tre funzioni per tutta una fase storica, e appare facile capire, come Screpanti sottolinea, che le sempre maggiori difficoltà incontrate dal paese egemone nell'assolverle sono una della radici profonde delle tensioni geopolitiche attuali.

Nell'analisi di Screpanti il grande capitale utilizza i grandi Stati-nazione essenzialmente per assolvere queste funzioni. Non si ha dunque, nella sua impostazione, la dissoluzione degli Stati ad opera di un Impero mondiale. Si ha però, come abbiamo detto, un rapporto conflittuale.  Infatti, nel nuovo capitalismo globale “i soggetti dominanti sono le grandi imprese multinazionali e le leggi di regolazione dell’equilibrio sociale sono quelle del mercato” (pag.231). Ma questa realtà si rivela incompatibile con il ruolo di “capitalista collettivo nazionale” svolto in passato dallo Stato-nazione, ruolo che implica qualche tipo di compromesso di classe fra ceti dominanti e ceti subalterni. L'esempio ovvio è rappresentato dalla fase “keynesiano-fordista” del secondo dopoguerra. La crisi del “compromesso fordista”, che si protrae lungo gli anni Settanta del Novecento, porta alla configurazione attuale del capitalismo “globalizzato”, nel quale la libera circolazione dei capitali e la concorrenza di tutti contro tutti nel mondo del lavoro hanno come inevitabile conseguenza l'abbattimento di tutte le conquiste ottenute dai ceti subalterni nella fase “keynesiano-fordista”. Ma con la riduzione della quota-salari nei paesi avanzati si abbatte la domanda aggregata e quindi, secondo le classiche analisi keynesiane, si deprime l'economia.


In sostanza, il nuovo imperialismo globale tende a creare depressione economica nei paesi del Centro, e ciò genera una contraddizione con le linee portanti del capitalismo nazionale, che cercava il consenso tramite la crescita e il benessere, e dello Stato-nazione, che ha bisogno di ridurre la conflittualità sociale entro certi limiti. Gli Stati moderni sono spinti, nella politica interna, a specializzarsi nella funzione di “gendarme sociale”, cioè quella di disciplinamento delle forze sociale e repressione del conflitto.  Come scrive l'autore, “questo sistema genera una contraddizione politica del tutto inedita nelle economie del Centro imperiale: mentre, da una parte, gli stati dei paesi avanzati favoriscono il processo di globalizzazione per soddisfare le esigenze del capitale multinazionale, dall’altra cercano di contrastarne gli effetti depressivi sulle loro economie.” (pag.173)

Il caso dei paesi della Periferia è un po' diverso. In essi infatti il nuovo imperialismo può portare ancora una effettiva crescita economica, ma a spese di forti tensioni sociali, perché la crescita avviene tramite la dissoluzione dei rapporti economici e sociali di tipo tradizionale, ai quali non subentra la rete di garanzie del Welfare State ma un capitalismo ferocemente disegualitario. In ogni caso, secondo Screpanti, sono proprio alcuni Stati della periferia, quelli più potenti come Cina e India, a conservare una certa autonomia politica nell'attuale sistema.

Tutto questo, argomenta l'autore, non è l'esito perseguito da un piano mondiale dei ceti dominanti,  ma è piuttosto la risultante dell'azione di molte realtà, ciascuna delle quali si muove secondo la logica fondamentale dell'accumulazione del capitale. Nell'interpretazione di Screpanti, infatti, il soggetto al vertice della gerarchia mondiale oggi non sono tanto gli Stati, con i loro ceti dirigenti che si danno finalità politiche, ma le grandi multinazionali, i cui scopi sono essenzialmente legati all'accumulazione. Su questo punto conviene lasciare la parola all'autore:

“Il vero soggetto dominante della globalizzazione è il capitale multinazionale, cioè essenzialmente l'insieme delle multinazionali (gerarchicamente ordinate per potenza) e la risultante della loro interazione. Soggetto, nel senso che regola il processo secondo finalità proprie e cerca di subordinare a se stesso tutti gli altri attori per fargli servire i propri interessi. Non è però un soggetto olistico, non persegue finalità collettive attraverso un’Idea, un Progetto o un fantomatico Piano del capitale. Sono decine di migliaia di soggetti individuali che perseguono scopi e interessi particolari.

Ma come le teste dell’Idra, che si muovono ognuna per conto suo, tutte le individualità concorrono al trionfo del corpo comune.  (…) Ecco un altro modo di cogliere l’essenza dell’imperialismo globale: la liberalizzazione dei movimenti dei capitali e delle merci al livello mondiale ha fatto sì che il perseguimento degli interessi particolari delle singole imprese produce un effetto sistemico in virtù del quale il capitale multinazionale viene a trovarsi in una posizione di predominio rispetto agli stati, gli organismi internazionali, le istituzioni politiche e, in particolare, le organizzazioni del movimento operaio.”(pag.111-113).


Una delle conseguenze di questa impostazione, che l'autore esplicita ed enfatizza, è che la nuova configurazione dell'imperialismo globale sembra esente da rilevanti contraddizioni inter-imperiali. Non è cioè ragionevole aspettarsi grandi scontri fra paesi imperialistici, paragonabili alle due guerre  mondiali del Novecento. Scrive l'autore: “La mia tesi è che i grandi capitalisti di oggi hanno un interesse fondamentale a superare le rivalità inter-imperiali piuttosto che a inasprirle (…). Sulla base di tale tesi, propongo una prima definizione di “imperialismo globale”: un sistema di controllo dell’economia mondiale in cui non esistono sostanziali contraddizioni inter-imperiali. Per “sostanziali” intendo: determinate dalla forza che dà sostanza economica alla spinta imperialista, cioè l’accumulazione capitalistica.” (pag.59).

L'insieme di queste tesi configura un'ipotesi teorica che, pur prendendo le mosse dalle impostazioni che sono state nel Novecento tipiche della riflessione marxista, se ne distacca coscientemente su alcuni aspetti cruciali. La chiarezza e il rigore intellettuale di questo testo non possono che favorire un proficuo dibattito su questi temi, così importanti per la comprensione dell'attuale fase storica.


(Fin qui la recensione pubblicata sulla rivista. Di seguito ulteriori brevi considerazioni).

 Ci si potrebbe chiedere se il tipo di analisi proposta da Screpanti abbia, magari in forma mediata, qualche conseguenza specifica riguardo al “che fare?” qui ed ora. L'autore non nasconde le sue convinzioni a questo proposito. Il libro si chiude con la rinnovata affermazione della centralità della contrapposizione fra lavoro e capitale. Infatti l'imperialismo globale in primo luogo annulla lo spazio del riformismo classico, facendo mancare le risorse disponibili per politiche di quel tipo; in secondo luogo, grazie alla sempre maggiore estensione del rapporto sociale capitalistico nei paesi del Sud, aumenta continuamente i ranghi del proletariato; in terzo luogo, proprio per l'impossibilità di politiche riformiste nei paesi del Nord, pagate con lo sfruttamento dei paesi del Sud, fa venire meno “l’opposizione d’interessi immediati tra il proletariato del Nord del mondo e quello del Sud”(pag.237). Tutto questo, conclude Screpanti “può portare all’emergere della coscienza di un interesse fondamentale comune a tutto il proletariato mondiale, l’interesse al rovesciamento del capitalismo.” (Ibidem). Sono queste le parole finali del libro, e rappresentano in maniera molto chiara la posizione dell'autore. La discussione puntuale di queste tesi richiederebbe davvero troppo spazio, e spero di poterla fare in un altro momento. Intendo concentrarmi qui su un solo punto. Si tratta del fatto che, ammettendo la correttezza della linea di tendenza individuata da Screpanti, essa rappresenta appunto una tendenza molto generale, dalla quale ancora non si possono individuare strategie di lotta politica. Il proletariato che cresce a livello mondiale ha bisogno di individuare strategie politiche che permettano l'attacco nei confronti di capitalismo e imperialismo. A me sembra che l'analisi di Screpanti permetta di delineare i tratti molto generali di una tale strategia, perché focalizza una contraddizione interna alla dinamica dell'accumulazione: la contraddizione fra esigenze dell'imperialismo globale e natura degli Stati-nazione. Proprio perché gli Stati-nazione, con le loro Costituzioni frutto di compromessi avanzati, non sono più, in buona parte, funzionali alle esigenze dell'accumulazione capitalistica, proprio per questo essi possono oggi rappresentare  una trincea di resistenza e di contrattacco nei confronti dell'attuale capitalismo “globalizzato”. Se le forze anticapitalistiche lasciassero questo bastione di resistenza in mano alle forze reazionarie, commetterebbero a mio avviso un gravissimo errore. Certo, ne hanno già commessi talmente tanti...

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