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Sudan del Sud

Uno stato che non può permettersi l’indipendenza

di Andre Vltchek*

Per giorni la capitale del Kenia Nairobi ha temuto una carneficina nel Sudan del Sud.
 
Entrambi i principali giornali, Daily Nation e Standard, pubblicano articoli concentrati sul calvario di migliaia di cittadini kenioti bloccati a Juba e in altre città della “nazione più giovane della terra”, spesso in condizioni disperate.
 
Paesi stranieri – tra cui Uganda, Kenia e Stati Uniti – stanno ora inviando aerei militari alla minorenne nazione Frankenstein che recentemente si sono dati tanto da fare per creare. Ma questa volta gli aerei sono lì per soccorrere; per trasportare in salvo i loro cittadini.
 
Come sempre è raro trovare analisi approfondite del perché e come il Sudan del Sud è stato effettivamente creato, chi era dietro la sua nascita, o quali interessi politici ed economici questa entità innaturale debba soddisfare.
 
Le notizie di cronaca continuano a parlare del colpo di stato, della ribellione dell’esercito, del fatto che circa 80.000 (o forse 100.000) persone sono profughe e che forse migliaia sono morte.


 
Città come Bor e Bentiu sono cadute in mano ai “ribelli”. Poi forze governative hanno riconquistato Bor. Poi, come hanno riferito i media il 24 dicembre, “Forze leali all’ex vice di Kiir, Riek Machar, erano in fuga”, il ministro dell’informazione.
 
A Nairobi c’è un costante movimento di cittadini sud-sudanesi, quelli che fuggono dai combattimenti e quelli che cercano disperatamente di tornare in patria. Si possono vedere ai confini, negli aeroporti, negli hotel e in innumerevoli caffè. La maggior parte di loro sta aspettando un’occasione per trovare un passaggio su un volo per Juba. Altre sono in viaggio verso qualche paese terzo.
 
Al Caffè Java, nel centro commerciale Yaya Center, ho incontrato il signor Christophe Mononye, specialista sud-sudanese dell’istruzione che lavora in Nigeria per l’UNICEF.

 
“Sto tentando di tornare in patria”, ha spiegato. Gli ho chiesto della situazione a Juba. E’ stato breve ma preciso: “Ora è tutto allo scoperto … ed era prevedibile … il vecchio feudo, dai primi anni ‘90”.
 

Sembra calmo, non sorpreso.
 
In realtà quasi nessuno sembra sorpreso.
 
E pochissimi in Africa Orientale sono disponibili a parlare; a rivelare ciò che davvero sta dietro la facciata e dietro tutto ciò che l’Occidente dominante [i suoi media] va riferendo. [Pochi sono disponibili] a pronunciarsi pubblicamente su questo particolare argomento. Tuffarsi nelle sotto-correnti delle torbide acque del Sudan del Sud può spesso dimostrarsi estremamente pericoloso, persino mortale.
 
Una figura dell’opposizione – e una delle mie fonti migliori in Uganda – questa volta rifiuta di parlare ufficialmente, di rivelare il suo nome. Ma si è assicurato di chiarire la sua opinione nella email che mi ha inviato:
 

“Uno dei motivi che portarono Idi Amin al potere fu il suo coinvolgimento, il suo aiuto clandestino alla ribellione iniziale nel Sudan Meridionale … Museveni è semplicemente salito sul carro del vincitore come canale degli interessi occidentali e israeliani. La situazione là, nel Sudan Meridionali, è molto aspra e pericolosa da commentare per gli ugandesi, poiché potrebbe portare alla morte o alla tortura, come è successo a chiunque vi sia stato coinvolto … Machar è uno sponsor di Joseph Kony, perciò c’è un sottile filo conduttore … Si dice anche che Museveni sia stato responsabili dell’incidente dell’elicottero di Garang”.
 

Il signor Sufyan bin Uzayr ha tentato di spiegare la situazione nel suo articolo per Counterpunch intitolato “Il Sudan del Sud è uno stato fallito?” I suoi argomenti a proposito del conflitto sono solidi:
 

“Il presidente Salva Kiir, che viene dal potente gruppo etnico chiamato Dinka, ha licenziato il vice presidente Riek Machar nel luglio del 2013, accusandolo di organizzare colpi di stato contro il suo governo. Machar, membro della tribù Nuer (il secondo maggiore gruppo etnico dopo il Dinka) ha a sua volta accusato Kiir di cercare di instaurare un controllo dittatoriale sull’intero paese … quello che è iniziato il luglio come un conflitto per ambizioni politiche ha ora condotto a un’instabilità a livello nazionale. Anche l’esercito del Sudan del Sud sembra schierarsi: una sezione resta leale a Kiir, mentre l’altro gruppo ha promesso fedeltà a Machar. Bentiu, un’importante città e capitale di provincia, è stata catturata da unità dell’esercito legali a Riek Machar, il che implica che l’agitazione si è trasformata in una guerra civile a tutto campo. Merita di essere segnalato che Bentiu è anche la regione più ricca di petrolio del paese.”
 

Ma non sta dicendo nulla a proposito degli interessi occidentali o su come sia nata l’idea del Sudan del Sud, come se fossero state realmente solo la ribellione e la guerra civile a separare questa parte ricca di petrolio di quello che era un tempo il paese più vasto del continente africano, il Sudan.
 
Il signor Mwandawiro Mghanga, presidente nazionale del Partito Socialdemocratico del Kenia (SDP), porta il tema a un livello globale per questo articolo. E ha grande familiarità con l’argomento. Per anni, da parlamentare, ha lavorato al Comitato delle Relazioni con l’Estero del parlamento keniota.
 

“Quello che sta succedendo nel Sudan del Sud è triste, ha avevamo predetto che sarebbe successo”, dice Maghanga. “L’imperialismo ha incoraggiato la divisione del Sudan guidata da capi tribù del genere di Salvar Kir, che sono al potere solo per saccheggiare il loro paese senza sviluppi o un programma democratico di unificazione del Sudan meridionale. Tribalismo, nepotismo, dittatura, corruzione e idee sorpassate sono all’ordine del giorno nel regime del SPLM. Spero che il verificarsi di questa tragedia cominci a rimuovere dal potere i leader attuali che dirigono il paese lungo un cammino di accumulazione capitalista da parte delle élite, di imperialismo, di guerre insensate e di tribalismo. I governi imperialisti dovrebbero essere tenuti fuori dagli affari del Sudan e del Sudan del Sud, poiché loro sono parte del problema, non della soluzione.”
 

Al termine del suo articolo il signor Sufyan bin Uzayr diventa filosofico:
 

“Arrivati a questo snodo, uno è costretto a chiedersi: dividere il Sudan è stata davvero una cosa saggia da fare? Per quel che ne capisco, un Sudan non diviso sarebbe stato meglio. Avrebbero dovuto essere fatti tentativi di reprimere i ribelli meridionali e portare prosperità a un paese sudanese indiviso nella sua totalità. Sfortunatamente abbiamo deciso per la scelta piuttosto discutibile di creare due paesi, e il risultato è stato tutt’altro che degno di lodi, perché la nuova nazione del Sudan del Sud non ha impressionato nessuno.”
 

La domanda è: è stata davvero la gente sudanese quella che ha ‘deciso’ di creare due paesi da uno complesso e imperfetto, ma influente? Ed è stato ‘impressionare’ qualcuno all’estero il proposito reale di tale dubbio e costoso (in termini di vite umane) esperimento?
 
In Africa circolano molti aneddoti a proposito del Sudan del Sud. Uno dice che è stato creato per ricompensare il presidente ugandese Museveni per il suo incessante saccheggio della Repubblica Democratica del Congo per conto dei governi e delle imprese occidentali.
 
Quasi tutti gli esperti delle Nazioni Unite che hanno lavorato nel Sudan del Sud e con i quali ho parlato concordano sul fatto che il paese semplicemente non poteva funzionare da solo; che è fondamentalmente uno scandalosamente corrotto stato fallito senza alcuna politica sociale, con un sistema sanitario e d’istruzione orrido. E tutto ciò solo due anni dopo essersi ufficialmente separato dal Sudan. I più ammettono che il Sudan del Sud è interamente dipendente da stranieri che lo stanno gestendo, finanziando e ne stanno decidendo il corso.
 
E quelli disposti a pensare fuori dagli schemi ammettono in realtà che il Sudan del Sud non era mai previsto dovesse stare in piedi da solo.
 
Nell’Africa Orientale e Centrale ci sono già numerosi tentativi di creare ‘paesi indipendenti’ ricchi di risorse che sarebbero aperti allo sfruttamento di imprese internazionali, di governi occidentali e di vari galoppini locali trasformati in prevaricatori.
 
Un esempio classico è Kivu Est, nella Repubblica Democratica del Congo, un territorio dannatamente ricco di risorse naturali, tra cui coltan, diamanti e uranio. Qui sia l’Uganda sia il Ruanda stanno giocando partite mortali; saccheggiando e uccidendo milioni di persone. Sovrappopolato e aggressivo, il Ruanda sta quasi apertamente mirando a espandere il proprio Lebensraum a Kivu Est.  Naturalmente il primo passo in direzione di tali ambizioni sarebbe la piena “indipendenza” di Kivu Est dalla Repubblica Democratica del Congo.
 
Il secondo caso simile è una Jumaland ricca di petrolio nella parte meridionale della Somalia devastata dalla guerra (dopo anni e decenni di tentativi di destabilizzazione da parte dell’occidente). La Jumaland è stata invasa e occupata dai più stretti alleati degli Stati Uniti, il Regno Unito e Israele e in Africa il Kenia. E il Kenia giustifica la sua aggressione applicando il solito cliché occidentale inteso a coprire le aggressioni più brutali: la “guerra al terrore”.
 
I popoli della Somalia, della Repubblica Democratica del Congo e di fatto i cittadini dell’intera Africa dovrebbero osservare attentamente quello che sta succedendo nel Sudan del Sud. L’”indipendenza” illusoria può a volte condurre alla completa dipendenza da poteri stranieri. Tale dipendenza può a sua volta tradursi nell’assoluta e spaventoso collasso di una “nuova nazione”.
 
Come mi ha detto una volta il pensatore ghanese Nee Akuetteh: “L’Occidente non ha amici … ha solo interessi”. Ha anche le mani sporche di un mucchio di sangue, compreso quello del popolo dell’Africa. Il Sudan del Sud non fa eccezione.

*  Romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha seguito guerre e conflitti in dozzine di paesi.
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