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gramsci oggi

Imperialismo e geopolitica: la lotta di classe nelle elezioni brasiliane

Marcos Aurélio da Silva

dilma-rousseff-lula-640Gran parte del dibattito pubblico che si tenne all’interno alla sinistra alle presidenziali brasiliane del 2010 fu dominato dalla preoccupazione che la campagna elettorale fosse poco politicizzata, segnata dalla completa assenza di argomenti relativi a ciò che Gramsci (2002a) chiamava la "grande politica". E che questo difetto avrebbe colpito soprattutto il partito a capo della coalizione di governo. Vittorioso dal 2002, il Partito dei Lavoratori (PT), dalle lotte gloriose nel campo della sinistra fin da quando fu fondato, si presentava ora ─ ma già dalle sue prime mosse al governo, come sostiene un suo importante interprete (Coutinho, 2010) ─ con un discorso eminentemente tecnico, finalizzato solo alla gestione del capitalismo.

È probabile che la stessa tesi sarà nuovamente sostenuta per qualificare le elezioni presidenziali che si terranno quest'anno, in cui, ancora una volta, una coalizione guidata dal Partito dei Lavoratori (PT), nonostante i vantaggi di cui dispone, si prepara ad affrontare una prova difficile. Basta vedere le lamentele di molti intellettuali di sinistra quando si analizzano le proteste dello scorso anno. Questi accusano l’accordo con “la borghesia nella cupola” dello Stato, che promovendo una "inversione della coscienza di classe" ed "una inflessione conservatrice nel senso comune," riduce il "desiderio” della strada al “reale e possibile" (Iasi 2013: 46).

Ora, ci si dovrebbe chiedere se questa valutazione, certamente giusta a suo tempo, non sia una lettura eccessivamente unilaterale della realtà sociale brasiliana. Una lettura che, rivelando un certo approccio soggettivista, disprezza la duplice dialettica insita nel pensiero di Hegel e di Marx, e cioè, ciò che esiste non solo tra soggetto e oggetto, la prassi rivoluzionaria e un’epoca storica (o l'ordine politico e istituzionale esistente), ma anche e necessariamente ciò che si presenta dentro l'oggetto stesso (Azzarà, 2004: 150).

Si tratta proprio di questo. Ridurre, cioè, la lotta di classe in corso nella formazione sociale brasiliana ad una "ribellione del desiderio", altro non è che un’astrazione del processo storico del quale fa parte la stessa formazione sociale, infallibilmente segnata dalle contraddizioni dello sviluppo capitalistico in condizioni arretrate e dai contrastanti rapporti con i centri imperialisti che questa condizione implica. Una distorsione interpretativa di cui già Herzog (1973) aveva accusato il marxismo di Sereni (1973) nella discussione sul concetto di formazione sociale, e che recentemente anche Losurdo (2013) ha mostrato essere molto spesso presente in certa lettura che si richiama al materialismo storico di Marx ed Engels, ma per la quale, dove inizia la politica estera con i suoi connessi intrighi diplomatici e militari, il marxismo si disattiva.


II

Dalla breve discussione di cui sopra, si evince che è necessario capire cosa possono obiettare le forze più reazionarie ad una sinistra accusata di "affrontare esigenze sociali" attraverso un semplice "patto di classe in nome della crescita capitalistica" (Iasi, 2013, p. 45).

Nonostante l’esagerazione della tesi, non è questione minore notare che, per esempio, i principali teorici della politica sconfitta dal PT nel 2002, e che oggi supportano la candidatura di opposizione di Eduardo Campos e Marina Silva (PSB - Partito Socialista Brasiliano, fino a ieri base di sostegno del governo), accusano la politica economica del governo di indulgere ad una "eccessiva regolamentazione di tutte le sfere della vita", e ciò, per perseguire un "progetto nazional-sviluppista", la cui caratteristica è la combinazione di "consumismo delle economie capitaliste avanzate e di produttivismo sovietico" (Resende, 2013, p. 7). É certamente facile immaginare il programma che racchiude questa critica. Invece di promuovere "ogni tipo di distorsione" attraverso una politica statale "artificiale", sempre con l'obiettivo di "crescere al di sopra della media mondiale”, si dovrebbe riconoscere che ciò che si può fare è di "contare sulla fortuna" (Resende, 2014: 7), modo sofisticato, naturalmente, di dire che è la mano invisibile del mercato libero che può allocare le risorse in modo efficiente.

Ora sappiamo cosa significa essere condotti dalla mano del libero mercato nella fase attuale del capitalismo. Si tratta di lasciare la politica economica sotto la responsabilità delle grandi imprese oligopolistiche, molte delle quali, val la pena notare, nascono dal grande movimento di fusioni che per oltre un secolo ha aperto la fase imperialista del capitalismo (Lenin, 1987). E tutte queste corporazioni, nonostante la profonda internazionalizzazione degli ultimi decenni, sono ancora fortemente sostenute dai loro Stati di origine, ragione, tra l'altro, della facilità con cui creano molte "distorsioni" a loro vantaggio (Chesnais, 1996). Ecco la corretta metafora della mano visibile usata da Chandler (1977) per studiare questi oligopoli.

Ma gli oligopoli internazionali e le oligarchie locali che ora danno loro sostegno, non si limiteranno solo a fare una puntata sulle elezioni del 2014. È certamente utile il tono ambientalista dei suoi consiglieri, con la difesa di una crescita "lenta e costante", anche quando la logica dell'accumulazione è dominata da forme che non distinguono profitto e rendita (Chesnais, 1996). E anche utili sono i segnali di rispetto ai canoni della politica economica neoliberista (il cosiddetto treppiede macroeconomico) incentrati sull’avanzo dei conti pubblici (che sconta interessi passivi esorbitanti), la politica del tasso di cambio senza nessun intervento (cambio libero), la politica di scopo per l’inflazione.1 Il fatto è che il partito degli oligopoli richiede anche una linea del fronte esplicita e senza esitazioni, come quella che si ritrova nella candidatura di Eduardo Campos e di Marina Silva su questioni, per esempio, come le relazioni internazionali2 e l'ambiente. Il primo è in grado di aggregare una frazione della borghesia industriale autoctona, mentre la seconda si appella ad un vasto settore della piccola borghesia urbana (professionisti, proprietari di piccole imprese).3

Invece, la candidatura di Aécio Neves (PSDB - Partito Socialdemocratico del Brasile) conta poco per queste frazioni. Non c'è dubbio che il suo motto è ugualmente critico nei riguardi dell' "interventismo assurdo". Ma siccome il liberalismo è una "regolamentazione“ normativa ”di carattere statale introdotta e mantenuta per via legislativa e coercitiva" (Gramsci, 2002a), lo slogan è solo uno schermo sotto il quale si nasconde la dura politica del "bastone senza la carota".

È così che gli intellettuali chiamati a collaborare nelle discussioni per la formulazione del programma di governo PSDB, sostengono senza alcuna timidezza interventi di liberalizzazione nei settori del petrolio e delle infrastrutture, la dinamo per il recupero di posti di lavoro e lo stimolo economico degli ultimi anni. Per quanto riguarda il petrolio, bisognerebbe metter fine alla politica che fa di Petrobras uno “strumento” della programmazione “economica e industriale" del governo (riferimento esplicito alla condizione di requisito nazionale per gli equipaggiamenti acquistati dallo stato) e si dovrebbero tenere "aste annuali del petrolio e del gas ”in blocchi onshore e offshore.4 E ancora, bisognerebbe ridimensionare l'azienda attraverso "l'apertura al capitale delle sue controllate" e rimuovere la "condizione" di "operatore unico" dei nuovi giacimenti offshore (in grado di fare del Brasile uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio), dove opera "almeno il 30% dei consorzi", secondo il Regime di Condivisione introdotto dal governo del PT in sostituzione del regime delle concessioni al capitale privato prima vigente.5 Per quanto riguarda le infrastrutture, l'obiettivo è il settore energetico, accusato di praticare una politica dannosa di agevolazioni tariffarie, e qui la critica ignora volutamente il fatto che ci sono investimenti nel settore già ammortizzati. Ma si propone anche di rivedere la soluzione tecnologica adottata per la costruzione dei grandi impianti idroelettrici nella regione amazzonica, che persegue una maggiore sostenibilità ambientale (le zone umide corrispondono sostanzialmente al corso naturale dei fiumi, il che implica certamente una capacità di generazione inferiore)6, Ma questa revisione, senza dubbio, significherebbero accettare di convalidare le ineguali relazioni di produzione internazionali vigenti sicché, in conseguenza, le forze produttive si possono trasformare in forze apertamente distruttive, come ha detto Santos (2008) nel senso de “L'ideologia tedesca”.

E non si pensi che tutto finisca con le misure di cui sopra. Ai grandi oligopoli internazionali, rappresentati alle frontiere nazionali con la vasta gamma di amministratori delle loro filiali, non basterà semplicemente afferrare pezzi di capitale dello stato o le enormi commesse pubbliche distribuendole alle diverse sedi situate in tutto il mondo.

Leggiamo cosa ha scritto Edmar Bacha, economista di spicco del PSDB, nei suoi reiterati interventi pubblici fin dall’anno scorso. Per costui, non basta seguire i dettami sopra descritti nel settore del petrolio, in particolare per quel che concerne l'abbandono del Regime di Condivisione (dove tutto il petrolio estratto appartiene allo Stato) e il requisito nazionale che lo accompagna, perché è una politica "che non stimola la concorrenza e la presenza delle multinazionali."7 Si tratta di promuovere “una riduzione sostanziale del carico tributario sulle imprese”, di fissare un limite per "la crescita della spesa pubblica" (ed ecco, si parla della riforma delle pensioni), di “promuovere una sostanziale riduzione delle tariffe sull’importazione”, di eliminare "le imposte doganali e portuali" e le "specifiche tecniche dei prodotti diverse da quelle adottate a livello internazionale," e ancora, di praticare un "tasso di cambio fluttuante" (senza l'intervento dello Stato, naturalmente) (Bacha, 2014, p. A15). Infine, e non meno importante, per il teorico del PSDB sarebbe giunto il momento di riprendere l'ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe), di negoziare l’arcordo Transpacifico, il nuovo asse economico e geopolitico guidato dagli Stati Uniti in America Latina (del quale partecipano Cile, Perù, Colombia, Messico e Panama), e di "trasformare il Mercosur in una zona di libero scambio".8


III

Noti i dettagli del programma del partito degli oligopoli, ora possiamo riprendere la nostra discussione con chi parla di depoliticizzazione e che a partire da questa premessa, arriva a gettare tutte le sue speranze in una "ribellione del desiderio" per l'anno elettorale in corso.

Vediamo.

Tutto il dibattito delle ultime elezioni su Petrobras e la sua capacità di dare energia e autonomia nazionale in termini tecnologici, non è un modo di trattare questioni politiche di primo ordine in un paese che continua a far parte del Terzo Mondo? E non si tratta di una questione centrale alla quale si dovrà dedicare tutta la sinistra che sostiene il governo nelle elezioni di quest'anno, come già sta dimostrando il falso scandalo della raffineria di Pasadena sollevato dai media del mainstream?9

E poiché parliamo di politica di contenuto nazionale della grande azienda statale, non si dovrebbe dimenticare che per recuperare il ritardo tecnologico imposto da anni di neoliberismo, il governo PT ha esteso lo strumento della programmazione ad altri settori dell'economia nazionale, sia pubblici (appalti pubblici nel settore sanitario) che privati (applicando tariffe di importazione), politiche contestate come protezioniste dagli oligopoli americani e dell'UE nel WTO (World Trade Organization).10 E, a questo proposito e il caso di ricordare ciò che ci ha descritto il ministro degli esteri del governo Lula. Rivolgendosi ai negoziatori del WTO, egli fece riferimento alla "rivolta di molti paesi poveri contro l'intenzione (USA e UE) di forzare l'avvio di negoziati in materia di investimenti e appalti pubblici" (Amorim, 2013, p. 90). Si tratta dello stesso ministro che ci mette in guardia circa gli scopi dell’ALCA. Lanciata da Bill Clinton nel 1994, questa proposta era chiaramente un obiettivo di "tipo politico ed economico", che cercava di "creare uno spazio integrato in cui gli interessi economici degli Stati Uniti continuano a predominare, mentre chiaramente demarcano una zona di egemonia degli Stati Uniti" (Amorim, 2013, p. 74).

Torniamo alla tesi del filosofo citato a conclusione del primo punto del presente articolo: queste dispute diplomatiche, già presenti nelle ultime elezioni presidenziali, e ora negli accesi dibattiti delle elezioni di quest'anno, non hanno nulla a che fare con la politica centrata sulla lotta di classe che interessa i marxisti e tutta la sinistra? Non sono queste dispute direttamente collegate alle forme di disuguaglianza esistenti a livello internazionale, con una chiaro riferimento in termini economici e tecnologici ai problemi cui dovettero dare attenzione Lenin e i bolscevichi dopo il fallimento della rivoluzione proletaria mondiale, per cui ricorsero persino a concessioni ai capitalisti, come dimostra l'uso della NEP (la Nuova Politica Economica) (Losurdo, 2013)? E cosa ci dice il sardo citato nel primo capitolo del nostro articolo? Niente di tutto questo ha a che fare con la "grande politica", che egli ha definito come la "lotta per la distruzione, la difesa, la conservazione di determinate strutture organizzative economiche e sociali", o lotta per la "radicale riorganizzazione dello Stato", e anche per determinare il "peso di ogni Stato nel reciproco confronto" (Gramsci, 2002a, p. 21-2)? Senza dubbio, ci troviamo di fronte alla dimensione internazionale della lotta di classe. Dopo tutto, quella dimensione che, attraversando i vari movimenti nazionali, costituisce la complessa dialettica dell'imperialismo e dei suoi effetti geopolitici (Abdel-Malek, 1977).

Certo, se si vuol mantenere una appropriata dimensione strategica è fondamentale guardare oltre i problemi brasiliani. In altri termini, è necessario rivolgere il nostro sguardo ai rapporti che queste questioni hanno con quelle geopolitiche che nell’attuale periodo storico riguardano l'intero continente latinoamericano.

Quindi, non si può dimenticare che il Brasile dei governi del PT integra la svolta a sinistra di diversi paesi del continente latino-americano iniziata nel XXI secolo. E tutti i governi con orientamento nazionalista, sviluppista o apertamente socialista hanno trovato nel Brasile un appoggio nevralgico. E non solo dal punto di vista economico. Indubbiamente, in questo ambito, il maggior paese del continente ha agito per annullare l'isolamento storico di economie diverse causato sia da fattori naturali (un nord, che con la combinazione di montagne e foreste è molto povero sul piano agricolo ed ha ostacolato l'integrazione di aree che vanno dalla Guyana Francese alla Bolivia) (Fiori, 2013), che da quelli legati "ai resti di una divisione internazionale del lavoro" (Santos, 2008, p. 173). Inoltre, nel campo della geopolitica continentale, ci troviamo di fronte un paese che "ha preso una posizione decisa nella reintegrazione di Cuba nella comunità americana e ha sostenuto in tutte le sedi internazionali la fine del blocco degli Stati Uniti contro Cuba"; che ha avuto un' "influenza ideologica sui governi dell'America centrale e ha preso una posizione rapida e dura contro il colpo di stato in Honduras"; che ha guidato la rapida reazione contro il 'colpo di stato civile' che rovesciò il governo del presidente Fernando Lugo del Paraguay; e, non meno importante, un paese che con l’"espansione del MERCOSUR, ha promosso l'Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) e il Consiglio di difesa sudamericano"; ha sostenuto la "fine" del progetto ALCA, nonché la riduzione dell’ "importanza del Trattato Inter-americano di Assistenza Reciproca", anche questo sostenuto dagli Stati Uniti (Fiori, 2013, 36-7).

Infine, si tratta di quel mantello di amicizia e protezione con cui il Brasile ha coinvolto i vari governi latinoamericani di orientamento a sinistra, come ha osservato da Perry Anderson (2011), un’azione diplomatica che si può osservare anche su scala globale nel caso del riconoscimento dello Stato palestinese e del rifiuto di integrarsi nel blocco contro l'Iran.


IV

Senza dubbio si può concedere qualche ragione ai critici con i quali dibattiamo. Nonostante i programmi di trasferimento della rendita sociale, l'aumento reale del salario minimo, la diversificazione geografica degli investimenti, incoraggiata e / o direttamente realizzata dallo Stato, nelle politiche per superare il secondo tipo delle disuguaglianze alle quali si riferisce Losurdo (2013), vale a dire le diseguaglianze tra le classi all'interno di un paese, restano numerose lacune o sono state scarsamente affrontate, comprese quelle che sono stati oggetto delle proteste del giugno 2013 (come la carenza nel trasporto pubblico di massa). Ed allora è giusto parlare di un riformismo ancora debole (Singer, 2012), risultato, dopo tutto, di quel che viene chiamato un presidenzialismo di coalizione.

Di fatto, è con questo mezzo che un partito che continua a parlare di “socialismo” e di “proprietà sociale dei mezzi di produzione” (a differenza del laburismo inglese, è il caso di notare) (Singer, 2012, p. 120), è forzato a governare in alleanza con settori che, lontani dal suo orientamento politico, frenano ogni modifica di fondo. Almeno dal 2005 questi alleati sono stati rappresentati dal PMDB (Partito del Movimento Democratico Brasiliano), partito che dirige un blocco di destra, a volte di orientamento apertamente reazionario, all'interno della maggioranza che sostiene il governo. Basta vedere che il suo programma si concentra su misure quali l'autonomia della Banca Centrale, i limiti alla spesa pubblica, la riforma delle pensioni (Singer, 2012); un programma per il capitale, con predominanza degli interessi dei rentier. Ed è così che viene facilmente in mente la critica di Marx al liberalismo borghese, che vede "tutto il lato buono degli organi rappresentativi e tutto il male dalla parte del governo" (Losurdo 1998, p.158).

Infatti, se si può dire che la borghesia nazionale trova espressione tra questi alleati, sia nella sua frazione agraria, bancaria e industriale, ciò non vuol dire che il programma che hanno in mente allarghi il più decisivo movimento di autonomia rispetto alle potenze imperialiste. Potremmo dire che questo atteggiamento si riscontra in alcuni settori di questa borghesia, come quella del settore dei macchinari e delle attrezzature (Amorim, 2013). Ma ciò non sembra il caso dei gruppi legati alle attività agroalimentari e agro-industriali. E a questo proposito è rivelatore il fatto che Lula abbia avuto come ministri dell'Agricoltura e anche dello Sviluppo Industriale i rappresentanti di quella frazione della borghesia autoctona che, nel corso dei negoziati del progetto ALCA, si sono posizionati apertamente e senza compromessi a favore della l’impostazione liberalizzante degli Stati Uniti (Amorim, 2013). E, ricordando la critica che negli anni 1905-1907 Lenin ha rivolto a Plekhanov, potremmo dire che se c'è qualcosa del programma borghese che può completare la formazione brasiliana, questo non può più essere attuato sotto la direzione della borghesia (Lenin, 1982).

Tuttavia, in nessun modo si può dire che i vincoli del presidenzialismo di coalizione – a rigore espressione di un'egemonia incompleta del PT e dei suoi alleati a sinistra (come lo storico PCdoB), che spesso riducono la lotta politica al vertice dello Stato –, inducono quella depoliticizzazione del dibattito pubblico brasiliano di cui parlano i vari critici. Come ha detto Singer (2012), con una chiara interpretazione del concetto di subalternità di Gramsci (2002 b), per lo meno dal 2006, all'interno della formazione sociale brasiliana c’è una ri-politicizzazione che si esprime con una nuova polarizzazione sociale e geografica. Così si spiega la crescente penetrazione del PT e delle forze di sinistra negli strati del sottoproletariato delle regioni più povere (il Nordest brasiliano) e delle periferie urbane. Strati contigui al proletariato delle vecchie aree industriali e della piccola porzione di funzionari pubblici, che ancora elettoralmente fedeli, sono stati la tavola di salvataggio del debole riformismo in corso.

Ma questo riformismo debole, sarebbe solo espressione, molto alla brasiliana, di un "conflitto senza dialettica", come ha recentemente detto Vladimir Safatle (2014)? Ecco un modo di interpretare il processo storico brasiliano che, talvolta zigzagando tra argomenti che non devono nulla ai messaggeri del postmodernismo e alla destra più reazionaria – l’accusa di "strumentalizzazione produttivista" delle vecchie “burocrazie comuniste" che "pulsa ancora nella nuova burocrazia dei comunisti cinesi" (Safatle, 2014) –, può culminare nella valutazione soggettivista della "ribellione del desiderio" di cui prima si diceva. Ma dire questo significa ridurre il movimento popolare sceso nelle strade del Brasile l'anno scorso? In nessun modo. Significa, per riprendere la lettura di Azzarà (2004) con cui abbiamo iniziato questo testo, che bisogna comprenderlo come una delle dimensioni delle contraddizioni dialettiche inerenti la formazione sociale brasiliana. Un'altra contraddizione, non meno importante, è lo stesso riformismo in corso, con i suoi trionfi ed suoi limiti. Riformismo che, dopo tutto, non è altro che l'espressione, evidentemente contraddittoria, delle tendenze storiche di una formazione sociale, sia nella propria struttura, sia rispetto alle relazioni internazionali ineguali a cui è sottoposto.

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Note

1 Per queste informazioni vedere il giornale Valor Econômico del 14/10/2013 e del 19/12/2014.

2 Valor Econômico del 17/03/2014.

3 A quest’ultimo gruppo e in particolare alla sua generazione più giovane, spaventata dal pericolo di una proletarizzazione imminente, è consentita una sorta di romantica fuga dalla realtà. Per inciso, non sorprende che nelle massicce manifestazioni dello scorso anno abbiano seguito il percorso di quella "pan-distruzione" che Gramsci (2002 b) ha associato ai populisti (narodniks) russi e a Bakunin.

4 Valor Econômico del 09/04/2014

5 Id. Ib.

6 Id.ib.

7 Valor Econômico de 16/09/2013.

8 Valor Econômico de 02/05/2013 (Quaderno Speciale Indicazioni Economiche).

9 Per la raffineria nel Texas (USA) appartenente all’impresa belga Astra Oil della quale la Petrobras ha acquisito il 50% delle azioni nel 1999 per 486 milioni di dollari. Valori aumentati a causa di un conflitto aperto nel 2008 tra le aziende partner intorno alla politica degli investimenti. Sconfitto nel contenzioso giudiziario, il governo brasiliano ha dovuto acquisire la partecipazione ad un partner nella raffineria (296 milioni dollari), oltre agli stok (170 milioni di dollari) e sopportare spese per maggiori garanzie bancarie e avvocati (170 milioni dollari). Vedere Carta Capital, 2014/04/23.

10 Valor econômico del 25/06/2013 e del 24/06/2014


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Traduzione di Giuliano Cappellini.

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