Print Friendly, PDF & Email
sollevazione2

Elezioni in Andalusia

La restaurazione ed i limiti di Podemos

Manolo Monereo

Un commento a tutto campo sui risultati delle elezioni svoltesi in Andalusia il 22 marzo scorso. Le ragioni del successo della candidata del PSOE Susana Díaz [nella foto sotto], il crollo delle destre ed il mancato sfondamento di PODEMOS

andalusia s regionalDeve essere sottolineato più e più volte che la chiave è sempre, tanto più in questi momenti storici, sapere quali sono gli scopi dei dominanti. La questione fondamentale, a mio avviso, è quella di "leggere e interpretare la fase": lotta infaticabile, sistematica e incessante tra passato e futuro, continuità e cambiamento, il restauro dinastico-oligarchico o la rottura plebea-democratica. Tutto il resto, a mio avviso, deve essere letto nel contesto di questo conflitto di classe e, soprattutto, di potere, comprese le elezioni andaluse.

La politica è un'arte, e la strategia è il suo strumento principale. Susana Díaz, la Presidente della Giunta di Andalusia, sapeva quello che faceva quando decise di anticipare le elezioni andaluse: contenere l’avanzata di PODEMOS, distruggere il Partito Popolare e liberarsi della non affidabile Izquierda Unida di Antonio Maíllo. Tutti si sono trovati d'accordo che i risultati elettorali hanno dato ragione a Susana Díaz. Fin qui, tutto normale, prevedibile. Dobbiamo andare oltre.

Ma qual’era la posta in palio delle elezioni andaluse? Dovremmo concentrarci su questo. La Presidente di Andalusia è "organica al potere", ha coscienza di Stato: difende il regime e si oppone con tutte le forze alla rottura democratica.

Lo strumento per farlo è il PSOE e lei, il capo, decide. E’ la sua missione storica, difendere la classe politica, il bipartitismo, e soprattutto i gruppi di potere, quelli che comandano e non si presentano alle elezioni. Lei lo sa bene, meglio di chiunque altro; poiché lei è apparato, puro apparato. Il Re è la chiave perché assicura la stabilità del potere, che tutto rimanga come dovrebbe essere, cioè che il bottino resti nelle mani di chi lo detiene.

Il vero partito di regime è il PSOE. Felipe González lo dimostrò. Il PP è troppo a destra, troppo legato alle classi parassitarie e classiste. Il PSOE è 'moderno' e aperto al mondo. Quelli che comandano davvero sanno come fare, cioè, trovare il "centro di gravità" in cui è possibile che le classi inferiori (salariati, lavoratori) accettino che i governanti continuino a governare. Non è facile, ma essi conoscono il segreto. Essi si fidano del PSOE, lo sostengono e lo finanziano abbondantemente; il PSOE dimostra di essere in grado di difendere quegli interessi meglio di chiunque altro, meglio del PP di Rajoy. Questa è la battaglia che Susana Díaz ha vinto in Andalusia. Il dubbio è se Pedro Sanchez [il segretario nazionale del PSOE, Ndr] sarà all’altezza; se non lo sarà, lei sarà sempre lì per garantire la linea di ultima difesa e la governabilità del sistema.

In Andalusia quello del PSOE è un regime, vale a dire, la cristallizzazione di una struttura di potere, un formidabile dispositivo politico organizzato, strutturato e legittimato da oltre trenta anni di controllo sistematico sugli affari pubblici. In pochi anni abbiamo visto come il PSOE sia diventato il Partito dell’Andalusia. La chiave è un’immensa capacità di neutralizzare il conflitto sociale. Lo scandalo ERE questo dimostra, mezzi, strumenti per disattivare il rapporto tra politica e lotta sociale, tra conflitto e potere in Andalusia. La società civile è stata riorganizzata da parte delle istituzioni e integrata. Si pratica un gioco in cui la discriminazione e la cooptazione delle diverse e singole opposizioni (sociali, culturali, politiche) sono sapientemente dosate.

L'ordito del potere creato nel corso di tanti anni si articola nelle diverse istituzioni: la Giunta, i consigli, i comuni e tutta una varietà di organismi che penetrano, organizzano i soggetti e li disattivano. Non si oppongono frontalmente alla società civile, altra è la modalità: impedire l'autonomia dei movimenti, disorganizzare ogni opposizione che possa mettere in pericolo chi comanda e conquistare il "senso comune" del popolo. La repressione pura e semplice la si lascia condurre a Madrid.

Il PSOE è in Andalusia un partito-regime che s’incarna nella persona della Presidente. Da quando è stata unta per la più alta carica della Comunità si è comportata come se fosse l’ultima arrivata, senza passato, al punto che spesso è apparsa come fosse lei la "opposizione" al governo andaluso, cioè di se stessa. Essere al contempo "posizione" e "opposizione" sono elementi caratteristici dei regimi che sono spesso chiamati derisoriamente "populisti". Questo aspetto non è secondario. La neutralizzazione del conflitto all'interno è abilmente sostituita dalla costruzione di un conflitto esterno: la destra di Madrid, Rajoy, che discrimina, punisce, insulta, e offende l'Andalusia, nella persona del suo presidente.

Il discorso populista di Susana Díaz ha fatto un balzo in avanti in queste elezioni, fino ad un vero e proprio caudillismo. Il populismo costruito è una varietà di "nazionalismo senza nazione", ma agisce con le stesse chiavi: definizione del nemico (la destra di Madrid); identificazione del Presidente con il popolo andaluso discriminato e offeso; colpevolizzare i "cattivi andalusi" e, di conseguenza, bollarli come alleati della destra, quelli che si oppongono alla Giunta ed al suo presidente. L'asse sinistra-destra è quindi subordinato ad un altro asse: il nemico (Madrid e Rajoy) e l’amico (Andalusia e Susana Díaz). Questo spiega anche la campagna di due cose che sono, la non-presenza di Pedro Sanchez e la presenza costante di Rajoy come partito avversario della candidata presidente.

E’ questa forma di partito-regime che spiega chiaramente il dramma, passato e presente di Izquierda Unida in Andalusia [I.U. è stata da sempre in Andalusia alleata di governo del PSOE, Ndr]. La novità e la radicalità della proposta fatta da Julio Anguita aveva a che fare con il suo obbiettivo di costruire un’alternativa con vocazione maggioritaria e di governo al partito-regime che si è costruito in Andalusia intorno al PSOE. Non si trattava di convertirsi in "sinistra", nella "ala radicale"  di complemento del partito di Rodríguez de la Borbolla e di Felipe González, ma dell'alternativa alle loro politiche ed a come venivano organizzate. Il concetto di base era quello di costruire l'alternativa.

Rimuovere questo dispositivo di potere rendeva necessario una nuova forza politica, plurale, unita programmaticamente e organizzata come una forma-movimento. La strategia era quella della "guerra di posizione": costruire dal basso un contro-potere combinato con la lotta sociale ed elettorale, lavorando nelle istituzioni e nei movimenti, forgiando alleanze e programmi comuni. Questo, oggi va sottolineato, generò unità e speranza, il recupero di militanza e una politicizzazione significativo delle nuove generazioni.

Nella fase di Luis Carlos Rejon è stato raggiunto in Andalusia il punto più alto, sociale ed elettorale, 20 deputati. Non è questo il momento per giudicare quel periodo, gli errori eventualmente commessi. Basti dire che non si fu capaci, dentro e fuori l’Andalusia, di organizzare il dibattito su una questione strategica che riguardava e riguarda, le basi stesse del progetto. Questa questione, a mio parere, venne affrontata in maniera politicista: senza discussione e senza autocritica, e quel che è peggio, nei fatti, si adottò la posizione della preparazione della "Convocatoria por Andalusia". Riapparvero i vecchi fantasmi ed i cliché ereditati dalla Transizione [il passaggio dal franchismo alla “monarchia costituzionale”, Ndr]: si doveva fare politica ed essere realistici, lasciando i sogni utopici di Anguita ed abbandonando qualsiasi riferimento alla questione dell'alternativa.

Si è ripetuto l’errore di sempre: “toccare il potere”, ovvero, governare e farlo partendo da quel 12% di voti che avevamo in quel periodo. Per questo era necessario allearsi con il PSOE, porre l’accento su programmi suscettibili di essere approvati dal nostro socio di riferimento e, ciò che era decisivo, ricostruire un'organizzazione che sarebbe servita a questo scopo ed a nessun altro. Questi problemi, ma non solo loro, hanno a che fare con i risultati ottenuti da IU di Andalusia. La campagna è stata buona, e molto intelligente è stato il recupero del discorso di Anguita nella tappa finale della campagna elettorale.

spagna il voto in andalusia e la crisi del bi l qh7kigDa questo punto di vista, i risultati di PODEMOS sono stati buoni. C'è sempre un gioco pericoloso che mescola le aspettative, i risultati e la mobilitazione elettorale. E’ stato detto prima e lo ripetiamo ora: era il momento peggiore ed il posto peggiore per il partito di Pablo Iglesias. Susana Díaz lo sapeva e i sondaggi, in un modo o nell'altro, lo confermavano. L'aritmetica è semplice: in voti ed in seggi, la somma dei voti di PODEMOS e IU è la stessa che ai tempi di Rejón.

Questo è il tetto da superare e non sarà superato solo con (è la grande lezione da IU di Andalusia) il lavoro istituzionale e avanzando nei mezzi di comunicazione. Si tratta di conquistare posizioni, di intrecciare alleanze e costruire un progetto autonomo a vocazione maggioritaria e di governo; questo richiede organizzazione, militanza, attivismo per promuovere forme plurali di articolazione sociale e sfidare i dominanti sul terreno del “senso comune”. Soprattutto serve unità: IU e PODEMOSe sono insufficienti per costruire una vera alternativa alla struttura di potere dominante oggi in Andalusia.

La novità è stata Ciudadanos. Alla fine (non era facile) sono riusciti a creare una forza di cambiamento da destra. L'obiettivo era chiaro: contrastare PODEMOS e trovare un jolly, un partito cerniera capace di allearsi a destra e a sinistra. Presto sapremo la provenienza dei loro voti e la coerenza e la direzione della politica di CIUDADANOS.

CIUDADANOS mostra le debolezze del discorso di PODEMOS, ad esempio, l’insistenza sulle procedure democratiche e non sul contenuto delle politiche. C'è il pericolo che una forza liberale come CIUDADANOS possa, senza grandi difficoltà, fare un discorso in rigenerazione democratica sostenendo al contempo che per lottare contro la corruzione ha bisogno di meno Stato, più agenzie indipendenti per regolare il mercato e meno tasse per i ricchi. Ciò che Renzi in Italia fa senza troppe difficoltà.

Se la "casta" sono i politici si lasciano da parte i decisivi poteri economici: basterebbe cambiare i primi, ovvero i politici, perché l'oligarchia finanziaria ubbidisca. Vi è una certa difficoltà a comprendere la debolezza delle nostre democrazie,  debolezza che ha a che fare con il crescente controllo che i gruppi di potere economico esercitano sugli affari pubblici. Il problema centrale delle nostre società è la disuguaglianza crescente, che non è solo economica ma di forza: i dominanti hanno sempre più potere e lo esercitano. Senza affrontare questo punto, la presunta rigenerazione democratica è mera retorica.

Add comment

Submit