Aspettare l’Alba?
Viaggio nella crisi. Parte IX
di Ascanio Bernardeschi
Quali possono essere gli interlocutori internazionali di un'alternativa al capitalismo? Dopo aver esaminato i paesi cosiddetti Brics, giungendo a conclusioni problematiche e non definitive, parliamo – con viva preoccupazione – dell'Alleanza Bolivariana per le Americhe (Alba) che negli ultimi anni si è opposta alla supremazia Usa nel continente latinoamericano
Un po' di storia
La quasi totalità dei paesi dell'America latina è integrata in vario grado nel Mercato Comune dell'America Latina, Mercosur, (per approfondimenti v. sotto Rif. 1) istituito nel 1991. Ancora più ampia è l'Unione delle Nazioni Sudamericane, Unasur (per approfondimenti v. sotto Rif. 2), che costituisce una comunità non solo economica ma anche politica.
Tradizionalmente l'America Latina costituiva il “cortile di casa” degli Usa ai quali sono legati Canada e Messico, attraverso l'Accordo nordamericano per il libero scambio, Nafta (per approfondimenti v. sotto Rif. 3), accordo che venne subito contestato dall'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale della regione del Chiapas (Ezln), perché molto favorevole agli USA.
Includendo le maggiori economie nordamericane, il livello degli scambi all'interno del Nafta è nettamente superiore a quello del Mercosur (vedi grafico n. 1). Ma il livello di integrazione delle economie latinoamericane tra di loro e con la Cina è andato crescendo negli ultimi anni.
Per consolidare la propria egemonia nell'area, gli Stati Uniti, ai tempi di George W. Bush, proposero la costituzione dell'Area di Libero Commercio delle Americhe, Alca (per approfondimenti v. sotto Rif. 4), ma nel 2004, con l'ascesa al potere di Hugo Chàvez in Venezuela, si realizzò un asse tra quel paese e Cuba, quale primo impianto di un disegno alternativo a quello statunitense.
Grafico 1
Nacque così l'Alba (per approfondimenti v. sotto Rif. 5), un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell'America Latina ed i paesi caraibici, che si contrapponeva alle politiche liberiste e si proponeva di lottare contro la povertà, le disparità e l'esclusione sociale.
Successivamente, sull'onda di una serie di successi elettorali delle sinistre, aderirono all'Alba la Bolivia di Morales, il Nicaragua di Ortega, l'Ecuador di Correa e poi Antigua e Barbuda, Repubblica Dominicana, San Vincent e Grenadine, per un totale di 2,5 milioni di kmq, di 73,5 milioni di abitanti e 669 miliardi di dollari di Prodotto interno lordo a parità di potere d'acquisto.
L'azione più efficace di questa nuova alleanza è stata senza dubbio lo scambio tra il petrolio venezuelano, di cui Cuba, martoriata dall'embargo Usa, era affamatissima, e i servizi sanitari cubani, servizi assai carenti nel Venezuela in cui la metà della popolazione era in condizione di povertà estrema.
Tuttavia non vennero attuate tra i paesi aderenti collaborazioni altrettanto significative.
Gli Stati Uniti, di fronte alla perdita di egemonia sull'America Latina e sui Caraibi, hanno intensificato la loro aggressività, con particolare veemenza verso Venezuela e Cuba. Nel 2002 hanno appoggiato il colpo di stato contro Chavez e lo sciopero padronale del 2002/2003. Hanno inoltre cercato di ostacolare l'elezione di Morales in Bolivia, organizzato manovre militari nel Cono Sud e incrementato gli aiuti militari alla Colombia, il cui Presidente Uribe ha ceduto agli Usa sette basi militari. Nel 2009 hanno favorito il colpo di stato in Honduras che ha rovesciato il presidente Manuel Zelaya, il quale aveva aumentato i salari minimi e intendeva realizzare una riforma agraria sfavorevole ai grandi proprietari terrieri.
È più che evidente l'intenzione degli Usa di fermare l'estensione dell'Alba ed eliminare il germe delle trasformazioni sociali in America latina.
La crisi economica, i recenti risvolti elettorali e le prospettive
Non meno efficace dei blitz militari è stato il boicottaggio economico che ha reso drammatico l'impatto della crisi. Il prezzo del petrolio abbassato di oltre il 70 per cento, non certo per esclusivi motivi di mercato, ha indebolito, oltre alla Russia, il Brasile e il Venezuela.
Le condizioni materiali (vedi grafico n. 2) e politiche dei vari paesi, e la congiuntura internazionale hanno fortemente limitato i progressi in direzione della giustizia sociale e hanno favorito la diffusione di aree di malcontento.
Grafico2
Alcuni dati di quelle economie nell'ultimo quinquennio [1] sono chiarificatori. Il prodotto interno lordo pro capite a parità di potere d'acquisto è cresciuto in Venezuela di solo il 5 per cento, mentre negli altri paesi dell'area la crescita è stata ben oltre il 20 per cento. Sempre in Venezuela l'inflazione è stata nettamente superiore a quella degli altri partner (oltre il 150 per cento complessivo nel quinquennio contro il 50 negli altri paesi). Anche il debito pubblico è cresciuto in Venezuela di quasi il 50 per cento a fronte di un lieve calo in Bolivia, Cuba e Nicaragua (in Ecuador è cresciuto però do oltre l'80 per cento). È significativo infine il saldo della bilancia commerciale che in Venezuela è passato da un attivo di 8,8 miliardi di dollari del 2010 a un passivo di 12,6 nel 2015. Nel complesso degli altri partner il peggioramento è nettamente più contenuto: in termini percentuali, della metà in Bolivia, di molto meno a Cuba, mentre Nicaragua ed Ecuador hanno addirittura registrato un miglioramento.
Il malcontento si è manifestato chiaramente in Argentina con il rovescio elettorale di pochi mesi fa della sinistra moderata e peronista, guidata a lungo dai coniugi Kirchner, battuta dal partito liberale di Mauricio Macrì, e, più gravemente, in Venezuela, con la recentissima netta sconfitta dell'erede di Chavez, Nicolás Maduro.
Secondo l'autorevole Osvaldo Coggiola [2] la situazione venezuelana è la più drammatica di tutta l'America Latina e il paese potrebbe diventare il simbolo ed il caposaldo di una nuova fase storica, che sta per aprirsi, di ristrutturazione capitalistica. Una causa è certamente la crisi economica che è già in atto in tutto il subcontinente, ma anche il fatto che la fase dei governi di sinistra, non ha inciso sulla modifica del modello economico dal punto di vista della specializzazione produttiva, essendo tutti questi paesi rimasti sostanzialmente legati all'esportazione di materie prime, pur avendo in parte spostato il loro sbocco dai paesi occidentali verso la Cina e l'Asia (vedi grafico 3). Non essendo stato sviluppato il sistema industriale o una produzione agricola almeno per il consumo interno, il Venezuela è dipendente per il 90% del Pil dall’export del petrolio e deve far fronte all'80 per cento dei consumi agricoli di base con le importazioni.
Grafico n. 3
Sempre secondo Coggiola, il modello non è cambiato neppure dal punto di vista della struttura di classe e dei rapporti di proprietà. Per esempio non è stato minimamente attenuato il ruolo delle multinazionali. È avvenuta, certamente, una forte redistribuzione del reddito a favore degli strati più poveri della popolazione e sono stati avviati alcuni programmi sociali (sanità, istruzione, edilizia popolare), comunque non paragonabili al welfare europeo di un tempo. Ma nel momento in cui i margini delle politiche keynesiane si sono palesati in tutto il mondo – e in maniera ancora più accentuata in Venezuela in cui la fonte principale da cui sorgono i mezzi per finanziare il welfare, la rendita del petrolio, si è praticamente esaurita –, si imponevano cambiamenti di struttura che non sono avvenuti. La stessa uscita di grandi masse dalla povertà assoluta, è avvenuta a scapito delle classi medie, senza intaccare la polarizzazione della ricchezza in poche mani, tanto che l'indice Gini [3], molto utilizzato per misurare la diseguaglianza, rimane elevatissimo anche rispetto alla media delle 7 maggiori potenze occidentali che si attesta intorno a 0,4, mentre nessuna nazione sudamericana si colloca al di sotto di tale valore (vedi grafico 4). Per questo Coggiola sostiene che le politiche intraprese dalla sinistra latinoamericana non possono essere interpretate come di autentica transizione al socialismo. Secondo lui (e noi con lui) sono state eccessive in Europa le illusioni sul cosiddetto socialismo del XXI secolo. Ora che il Venezuela si avvia verso una divaricazione nei confronti dell'esperienza cubana, la sinistra anticapitalista deve difendere l'unico vero patrimonio che rimane, l'esperienza autenticamente rivoluzionaria di Cuba, durata ormai quasi 60 anni, pur con i suoi limiti e i rischi di reflusso verso una trasformazione capitalistica dell'economia, come in parte sta già avvenendo. Altre esperienze, come quella sandinista in Nicaragua e quella del Cile di Allende sono state prontamente bloccate dall'aggressione imperialista.
Grafico n. 4
Stanti così le cose il quesito che si devono porre i comunisti e la sinistra anticapitalista, non è tanto se i paesi dell'Alba possano esserci di aiuto a costruire un'alternativa di sistema, bensì in che modo possiamo esercitare nei loro confronti un indispensabile ruolo di solidarietà internazionale, pur non facendo sconti ai nostri giudizi critici.
Occorrono chiarezza e rigore. In questa buia notte della sinistra, non serve aspettare illusoriamente l'Alba, ma ogni forza che ambisce a riscattare il mondo del lavoro e con esso a cambiare profondamente la società, deve trovare nella propria realtà gli spazi per un'azione rivoluzionaria, coltivando ovviamente forti relazioni internazionali con tutte le organizzazioni che nel mondo si propongono di spostare in avanti le lancette della storia.
Devo un ringraziamento a Ferdinando Gueli per avermi supportato con la messa a disposizione di dati e informazioni indispensabili.