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Trump, Clinton & C. Come inquadrarli?

di Piotr

Chiedere a noi se 'teniamo' per Trump o per la Clinton somiglia molto a chiedere a un abitante della Gallia se teneva per Pompeo o per Cesare

NEWS 258324L'ultimo «Supermartedì» ha ormai diradato una parte delle incertezze sulla piega che assumeranno le candidature alle presidenziali statunitensi. Alcune delle definizioni coniate fin qui delle personalità emergenti di USA 2016 meritano una riflessione, per inquadrarle meglio.

 

1) Utilizzare la categoria di "fascismo" in questa circostanza ha un sapore morale, non politico. Anzi spesso si usa questo termine per una sorta di populismo di sinistra, facendo leva sulla sua capacità evocativa ma non esplicativa. Per lo meno, è evocativa per la mia generazione, per questioni anagrafiche e per la sua comprovata superficialità politica ma, a quanto sembra, non è molto evocativa per le nuove generazioni e per quei ceti sociali che assieme alla crescita del politically correct hanno visto anche quella drammatica delle proprie difficoltà.

 

2) Innanzitutto, se proprio si vuole utilizzare questa categoria, allora occorre confrontare tutte le caratteristiche del fascismo. Solitamente se ne dimenticano almeno due: a) l'utilizzo di bande paramilitari, b) il progetto antiparlamentare. A Donald Trump mancano entrambe. E' un fascista a metà, allora? Quand'è che un fenomeno smette di essere fascista per diventare un'altra cosa, magari disdicevole e censurabile, ma comunque differente?

Poi spesso parlando dei candidati a queste primarie statunitensi, si sottolinea il collegamento tra fascismo e guerra. Ma il programma di Trump, ancorché sul tema guerra e pace sia confusionario - e il personaggio confusionario lo è davvero -,   è meno guerrafondaio di quello di Hillary Clinton, la quale al di là del programma ha anche lungamente dimostrato coi fatti di essere la personalità politica statunitense più pericolosa per il mondo intero. Non solo, la Clinton è stata anche la sponsor del golpe fascistoide in Honduras. E se vogliamo passare all'etica, il suo famigerato commento all'orrendo assassinio di Gheddafi è moralmente degno di una SS in servizio in un campo di sterminio.

Perché allora dovrei ritenerla più democratica di Trump?

Tuttavia la sinistra internazionale persiste a sostenere che il "fascismo" di Trump faccia rima con "guerra". Io dico che "guerra" fa rima con "imperialismo". Ma Trump è (o vorrebbe essere) un isolazionista che ha anche accusato l'ex presidente Bush di aver mentito per poter portare in guerra gli Stati Uniti contro l'Iraq (cioè, implicitamente lo ha accusato di alto tradimento).

Non è quello che noi stiamo ripetendo da anni? Avete mai sentito questa ammissione da parte della Clinton?

Il dato di fatto è che Trump è, oggi, distante dai neocons, la cui regina è invece la senatrice democratica. E loro sì che sono la quintessenza del "fascismo", se proprio si vuole utilizzare questa categoria.

Infine, quanto regge storicamente l'equazione Democratici=pacifisti e Repubblicani=interventisti? Andate a vedere dove volete e vi accorgerete che la medaglia d'oro guerrafondaia per tutto il secolo scorso spetta di diritto ai presidenti democratici, che surclassano gloriosamente quelli repubblicani.

A partire da Bill Clinton la distinzione è stata meno chiara dato che i neocon si sono insediati nei punti chiave del potere statale e sparpagliati trasversalmente ai partiti. Con alcune resistenze, come Ron Paul tra i Repubblicani, o Obama stesso tra i Democratici, il quale comunque, per molteplici e complesse ragioni, ha preferito non contrapporsi frontalmente alla loro politica e alle loro losche manovre. Così che Obama passerà alla storia come uno dei presidenti statunitensi più detestati dal resto del mondo, vantando un record di guerre (continuate, promosse ex novo o comunque sostenute) che fa impallidire il nutritissimo palmarès dei precedenti inquilini della Casa Bianca. Chiaramente ci si è messo di mezzo anche l'aggravamento della crisi sistemica, ma il presidente nero e democratico, quest'uomo della Provvidenza di sinistra, ha personificato una politica criminale e di essa avrà sempre la responsabilità che idealmente dovrà tenere sul caminetto accanto al suo ridicolo Nobel per la Pace.

 

3) Io credo che da italiano o più in generale da non-statunitense, le domande che mi devo porre siano innanzitutto sulla politica estera del prossimo presidente USA (fermo restando che essa non dipenderà solo da lui). In questo Trump è da preferire alla Clinton, essendo la senatrice, sotto questo aspetto, di gran lunga più "fascista" del suo avversario. Lo è non solo programmaticamente ma anche comprovatamente, empiricamente.

Ma, si dice allora, e per quanto riguarda la politica interna?

Innanzitutto questa domanda, che a tutti i commentatori di destra e di sinistra sembra così naturale, è, mi viene da dire, politicamente screanzata, perché riflette una pretesa di sudditanza psicologica nei confronti della superpotenza: siamo sempre chiamati a identificarci con gli Stati Uniti. E quando non si tratta degli Stati Uniti, siamo allora chiamati a fare il tifo per cose che non ci riguardano sulla base di informazioni che non abbiamo, eccetto quelle che ci passa un monofonico mainstream.

Ma facciamo finta di stare al gioco. Allora dirò che Trump non mi piace come non mi piaceva Berlusconi e la sua accolita leghista-forzitaliota, che infatti non ho mai votato. Ma, oggettivamente, ha fatto peggio Berlusconi o il centrosinistra? 

Si dice che Trump sia razzista, come da noi la Lega, e può essere. Ma ricordo che mentre il centrosinistra, spinto da un razzismo colto simmetrico a quello becero, esibiva la dottoressa Kyenge come ministro-bella-statuina per l'Integrazione, gli immigrati nei lager di prima accoglienza si cucivano per protesta la bocca con ago e filo e che il buonista Veltroni si beccò le reprimende persino da Amnesty International per le sue ruspe selvagge nei campi nomadi.

A volte esplicite convinzioni sono un freno alla loro attuazione. I ministri democristiani dell'Istruzione della cosiddetta Prima Repubblica, ad esempio, proprio perché esplicitamente cattolici ci tenevano a far vedere che erano a favore della scuola laica. Abbiamo dovuto aspettare il laico ed ex comunista Luigi Berlinguer perché si aprisse la breccia alla spinta alluvionale delle scuole cattoliche. Se non si capiscono queste torsioni e contorsioni (o questa dialettica per dirla in modo aristocratico) non si può pensare di capire cosa sta succedendo nel mondo.

Le due "tenures" del primo presidente "nero" degli Stati Uniti (circostanza che ha fatto sbrodolare di gioia la nostra sinistra sdentata) vantano record storici nella repressione, nelle uccisioni poliziesche e nell'aggravamento delle condizioni di vita degli afroamericani.

Mi dite perché la Clinton in questo dovrebbe far meglio di Trump? Perché così afferma nella sua campagna elettorale? Ma non lo aveva fatto anche Obama?

Ma fatto questo esercizio in fondo retorico, chiedo ai cittadini italiani, o europei: «A voi interessa lo stato della vostra assistenza sanitaria nazionale o quello del Medicare statunitense?».

I sinistrati cercano sempre un metro di paragone dall'altra parte dell'Atlantico per poter dire, visto che non hanno le palle per sostenerlo da soli: «Vedete, lo fanno anche in America .».  Che poi quella sia l'America, cioè il centro e non la provincia dell'impero, che poi, per dirne una, in Europa e in particolare in Italia si abbia tutta un'altra, e straordinariamente migliore, storia di assistenza pubblica, o che la Great Society di Lyndon Johnson, cioè il più avanzato salto nel sistema americano di welfare, sia stato complementato dalla spaventosa escalation della guerra del Vietnam, beh, tutte queste sono bazzecole, a quanto sembra, cose senza interesse.

A me invece della politica interna della superpotenza interesserebbero i segnali di una sua de-imperializzazione. Ma non ci sono, in nessuna delle due parti.

Non in quella della Clinton che vuole proseguire il devastante connubio tra Wall Street e il complesso industriale-militare, ovvero, in termini politici, supremazia del Dollaro sostenuta dal predominio militare.

E non provengono nemmeno dalla parte di Trump, perché non è per nulla assicurato che un ridimensionamento di Wall Street, come lui vorrebbe, e quindi della finanziarizzazione a favore di una reindustrializzazione e di una deglobalizzazione, sia di per sé una politica che esclude l'esercizio del predominio statunitense.

Certo, se una simile politica economica andasse di pari passo a un reale disimpegno militare degli USA - e solo in quel caso - tutti ce ne dovremmo rallegrare. E sulla carta questo è quanto vorrebbe fare Trump quando parla di ritiro delle forze armate statunitensi dall'Europa e dall'Asia. Sarebbe un enorme sollievo per tutto il mondo. Ma è possibile questa combinazione?

 

4) Qui si esce dalle ipotesi per entrare nella pratica della crisi sistemica.

La finanziarizzazione e poi la globalizzazione sono state generate dall'impennata senza precedenti storici della crescita industriale e commerciale seguita alla II Guerra Mondiale. Più precisamente, finanziarizzazione e globalizzazione sono state conseguenza dell'enorme sovraccumulazione di capitali che quella fase espansiva aveva indotto. Una sovraccumulazione che quelle conseguenze hanno aggravato all'inverosimile. Rimedi che hanno approfondito la patologia. E non potevano e non possono fare altro, perché qui operano le contraddizioni di fondo dell'accumulazione capitalistica.

Quando la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea avverte, come di recente, che si sta andando incontro a una nuova profonda crisi finanziaria e che le banche centrali hanno esaurito le armi a loro disposizione, ci dice proprio questo. Ci informa che le armi, cioè in sostanza il quantitative easing, che altro non è se non garantire con crescente debito futuro le rendite nominali attuali pretese dagli enormi investimenti finanziari, che altrimenti diverrebbero all'istante carta straccia facendo crollare tutto il castello di carte, ci informa, dicevamo, che quest'arma ormai è spuntatissima e controproducente in assenza di un rilancio dei profitti in commercio e industria, cioè proprio della condizione che alla lunga (ma di fatto in soli 20 anni) ha innescato la crisi.

Una cosa del genere di solito si chiama "giro vizioso". E lo è. Non nella teoria, ma nella pratica e nell'evidenza storica.

Tentare di mantenere in piedi la situazione attuale, come vorrebbe la Clinton, allora significa aggravare smisuratamente la crisi sistemica e cercare di scaricare sul resto del mondo le contraddizioni del capitalismo occidentale, subordinare ad esso la crescita dei BRICS e della sua costellazione, irretire nella finanza speculativa internazionale le loro enormi riserve finanziarie, a partire da quelle della Cina e della Russia. E lo si può fare solo con sempre più pericolosi ricatti militari e politici.

Ritornare a ritmi capitalisticamente accettabili di estrazione di profitti industriali e commerciali, come vorrebbe Trump, significa invece ri-infilarsi in tutte le contraddizioni che hanno generato la crisi. Tra le altre cose, nelle attuali condizioni, ovverosia con il grosso della produzione industriale ancorato ai fattori delle vecchie rivoluzioni industriali (a meno che si dimostri che le telecomunicazioni, le biotecnologie, le nanotecnologie abbiano lo stesso peso delle produzioni basate su acciaio, petrolio, carbone, cemento, eccetera e oltretutto che le possano soppiantare, e quindi anche che ne possano fare a meno), la ripartenza richiederebbe l'azzeramento o quasi delle conquiste storiche dei lavoratori (con conseguente contraddizione, "keynesiana", tra estrazione di pluslavoro e realizzazione di plusvalore) e una lotta al coltello per le decrescenti risorse naturali.

Si capisce perché i "nuovi modelli di sviluppo" richiamino l'attenzione sulla necessità di una revisione radicale del concetto di "accumulazione" (e quindi di "profitto") e a volte, nelle loro formulazioni più avanzate, di una riorganizzazione policentrica del potere mondiale. Ma il problema è che non siamo di fronte a modelli di sviluppo sbagliati, ma a rapporti  sociali catastrofici e in questa catastrofe spicca il ruolo della smania di potere delle élite, sempre più ristrette e sempre più in guerra tra loro (anche se non bisogna commettere l'errore di pensare che il capitalismo occidentale, quello russo e quello cinese siano tutti la stessa cosa; non lo sono per ragioni storiche e per le circostanze materiali in cui si sono sviluppati e si potrebbero ulteriormente sviluppare).

 

5) Per concludere, Trump non mi piace per niente e la Clinton anche di meno. Ma dato che non voto negli Stati Uniti, la cosa non ha nessuna importanza. E infatti il nostro parere non conta nulla. Far finta che conti fa parte delle strategie di propaganda dei prefetti imperiali.

Ad ogni modo, per le cose che ci devono importare, la senatrice è il disastro mondiale assicurato mentre il candidato repubblicano sulla carta - molto sulla carta, molto ipoteticamente - darebbe al mondo un qualche momento di respiro, anche se i suoi rimedi sembrano grossi cerotti applicati su piaghe incancrenite e le sue dichiarazioni sulla Cina non sono molto rassicuranti (ma dicono molto sulle scelte strategiche che i decisori statunitensi dovranno compiere).

La «finanziaria» Clinton contro l'«industriale» Trump, riecheggia lo scontro tra i finanzieri anglosassoni e i reindustrializzatori fascisti che seguì la Grande Guerra. Questa è l'unica analogia che si potrebbe avanzare sensatamente (e infatti non viene in mente ai retori di sinistra). Ma se anche scodellata con più eleganza di altre, dopo il primo sorso bisogna lasciarla da parte, perché il contesto è radicalmente cambiato. Banalmente perché è cambiato lo scenario internazionale e perché la storia del capitalismo non è rimasta ferma ma ha impresso enormi giri di vite alle contraddizioni dell'accumulazione rendendo più difficile districarsene all'interno del capitalismo stesso. Il caos sistemico è spaventosamente aumentato e le vecchie categorie sono sempre meno utilizzabili.

Chiedere a noi se "teniamo" per Trump o per la Clinton somiglia molto a chiedere a un abitante della Gallia se teneva per Pompeo o per Cesare. A occhio, avendo letto Asterix, mi vien da dire che Pompeo ai Galli stava probabilmente meno antipatico. Se non altro non lo avevano tra i piedi.

Ma sempre di una guerra civile romana si parlava. Era importante per il mondo di allora, ovviamente. Ma per chi dovevano tenere i Galli?

Comments

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Aristide Bellacicco
Sunday, 20 March 2016 11:47
mi sembra che non sia proprio il caso di perdere troppo tempo per questo spettacolino. Trump cercherà di fare il pieno dei voti degli spaventati e degli esclusi e la Clinton lo stesso (puntando, inoltre, sul voto delle etnie che hanno parenti o amici che vanno su e giù attraverso i confini. Populismo? Fascismo? Io direi, invece, mezzucci elettorali. Cesare sta combattendo in Siria e in tutto il mondo per mantenersi in sella. Ma Cesare - lui si'- e fascista, usa le squadre paramilitari (nonché quelle militari) e non ha simpatia per i governi e i parlamenti che si oppongono alla volontà di Roma, cioè di Cesare stesso. Noi dobbiamo stare dalla parte dei Galli.
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