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mondocane

Cos'è destra, cos'è sinistra

di Fulvio Grimaldi

Infamoni curdi, Regeni e Fratelli Musulmani, Marò, Albertazzi, Berlinguer-Ingrao-Iotti, varie ed eventuali...

curdi ratti

Tutti noi ce la prendiamo con la Storia
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra. (Giorgio Gaber “E pensare che c’era il pensiero”, 1991)

Una nazione di fucilatori ed eroi

Tutti a festeggiare il rientro dei marò dall’India. Eroi baciati a destra e sinistra. Noi festeggeremo quando constateremo, dopo cinquant’anni, che hanno smesso di fucilare poveretti inermi per conto di padroni privati a cui lo Stato li aveva affittati. E, soprattutto, quando a mogli, madri, padri e figli di due pescatori, nei quali solo energumeni certi di immunità potevano fingere di aver visto dei pirati, avranno avuto giustizia. E non da una magistratura dell’Aja di cui si sa chi serve, come la Corte Internazionale di Giustizia, che processa solo gente con la pelle scura, o come Il Tribunale dell’Aja per la Jugoslavia, che ammazza gli imputati di cui non riesce a provare la colpa. Intanto alla Pinotti, nel bacio a Girone, gli rimanga in bocca il sapore di un morto ammazzato.

 

Su Albertazzi i vermi prima ancora di essere sepolto

Con Giorgio Albertazzi è morto un grandissimo attore, a 92 anni, sul palcoscenico, da Adriano imperatore. Un uomo che ha cosparso la Terra di conoscenza, cultura, poesia, verità. Ci ha portato Shakespeare, il sommo arciere contro i despoti e i truffatori, Dante, nel modo in cui oggi ci può aiutare a essere italiani dignitosi, Brecht, il fustigatore dei potenti,  Pirandello che taglia a fette le doppiezze e miserie della borghesia, Adriano, il saggio che cuce la vita alla morte e viceversa. Miseria infinita sotterra quei ciarlatani che hanno rimasticato nelle gengive purulente, tra un infimo pettegolezzo e l’altro (il “vanitoso”, lo “sciupafemmine”), l’eterna condanna per il suo volontariato da ragazzo nella Repubblica Sociale (ovviamente in vetta “il manifesto”). 

Anch’io sono stato Balilla, peggio sono stato nella Hitlerjugend. Degli idioti privi di argomenti ne hanno fatto strumento per avvolgermi in ombre di sospetto, se non di condanna. Peggio ancora, mia madre e io abbiamo avuto per caro amico un poeta, un appassionato del suo paese, anche lui un ex-volontario di Salò. Si chiamava Alessandro Guarnieri. Era il 1950, io avevo 16 anni, lui 25 ed era segretario dei giovani di una formazione neofascista. Una delle persone più gentili e colte che abbia conosciuto. Insegnava lettere italiane al liceo. Qualche anno dopo ho saputo che si era suicidato. Da tempo aveva mollato i camerati. Era uscito così dal conflitto tra il suo animo gentile e nobile e la vicenda in cui la storia lo aveva infilato. Sto alla tomba di Giorgio e Alessandro. Da bambino e ragazzo ne ho condiviso tempi e scelte. Come loro ho saltato il guardrail. Li rispetto. Mi aspetto un colpo alla nuca da quelli che si dicono comunisti.

 

Berlinguer &Co reclutati? No, volontari.

Ah, l’indignazione, lo scandalo, il turbamento profondo, la collera! Questi cialtroni si sono permessi di schierare nell proprie file nientemeno che Berlinguer, Ingrao, Nilde Jotti! Quale aberrazione, quale ingiuria alla verità, quale falsificazione storica!  Ma vi pare? Non dico che i cialtroni non siano cialtroni e, per non sapere di cosa stavano parlando, non abbiano cercato di truffare la gente facendosi i soliti selfie da deficienti accanto ai cartonati di quei padri del PCI, ma che dico PCI, del comunismo tout court, della democrazia, di tutto ciò che si oppone alla sciagurata truffa della riforma costituzionale. Gli hanno fatto dire “sì”, quei mistificatori, quegli appropriatori indebiti.

E invece, se non mi lapidate (come usa tra i vostri amici sauditi, e non tra i miei iraniani), dirò che avevano quasi ragione, per quanto a dispetto loro che sono in malissima fede. Nessuno può far dire a cadaveri, oltre tutto già abbondantemente decomposti, dei “sì” o dei “no”. Ma affinità, convergenze, parentele, quelle, sì, le può ben rivendicare. Si Tratta di tre soggetti, tutti laureati padri della Patria da destra e sinistra, cioè da destrasinistra, che per quanto ci è capitato tra capo e collo alcuni anni dopo, neanche tanti, hanno messo in corso i lavori.

Ingrao era una specie di Cadorna, o Badoglio, che diceva ai suoi “armiamoci e partite” e quelli del “manifesto”, dopo averli allevati e istigati, li lasciò al freddo del girone degli eretici, mentre lui se ne restò al caldo del sole dell’onnipotente. Una formula che, pur ornata di pessime poesie e di sproporzionata autostima, non ha mai abbandonato. Ne ricordo con una certa impressione l’occhio sospettoso, cattivo, da questurino. Berlinguer, con il suo tappeto rosso-comunista steso alla più feroce belva della storia, la Nato, con il suo, ahinoi, non morganatico sposalizio con i cannibali della classe che pretendeva di difendere, detto compromesso storico, ha spianato la strada a tutti i discendenti della stirpe dei consociativi, da Occhetto a D’Alema, ai vendipatria e mafiocapitalisti di oggi Per quel che riguarda la togliattianissima Ninfona Egeriona del Migliore, Nilde Jotti, basta l’ordine imperativo impartito dall’alto del suo togliattismo al PCI in corso di suicidio concordato da Napolitano e Occhetto con quelli di Washington: “Lo stesso Togliatti avrebbe dato il proprio assenso a questo profondo cambiamento del PCI”. Sic stantis rebus, quale misfatto avrebbero mai commesso quelli che al “si” per quanto gli Usa ordinano oggi hanno reclutato gli antesignani destrisinistri che il “sì” lo dissero agli Usa allora? Una e costante la strategia. Uni e costanti i suoi utili idioti.

Quando Gaber cantava queste cose ci sembravano un po’ qualunquiste. Ma come, non eravamo stati in piazza giorno dopo giorno fino a poco prima per smantellare il sistema capitalista e patriarcale? Non c’era il  Partito Democratico della Sinistra, erede del più Grande Partito Comunista d’Occidente, ma scevro del detestato stalinismo, con in capo tanto di figlioli di Berlinguer e nipotini di Togliatti? Non ci eravamo appena ripresi dal riflusso degli anni ’80 e non ci stavamo lanciando a testa bassa contro la fascistoide vandea di destra berlusconiana? Non stavamo tutti con Oslo e i due Stati in Palestina? Non avevamo appena deplorato le bombe all’uranio sull’Iraq, pur amettendo che quel mostro di Saddam Hussein doveva essere tolto di mezzo insieme a tutti quei dittatori che rifiutavano la nostra democrazia, i nostri diritti umani?

Invece Giorgio Gaber aveva avuto la vista lunga. Dai germogli di gramigna nascosti sotto la collisione-collusione tra rossi papaveri e fiordalisi azzurri aveva tratto la visione di un campo sconfinato nel quale indistinte erbacce – cos’è la destra, cos’è la sinistra – si sarebbero fuse in un’unica distesa di piante parassite, utili solo a nutrire grossi, tossici insetti di bocca buona. Questo è il nostro panorama interno. Ma, fuori, oltre all’orizzonte chiuso da rampicanti saprofiti, qualcosa ci sarà di bello, di colorato? Vediamo.

 

Panorama destrosinistro dalla finestra

Dover percepire quasi come un sollievo dedicarsi alle questioni internazionali, anche le più drammatiche, tragiche, scellerate, pur di sfuggire allo smisurato squallore, all’infinita cialtroneria, alla bassezza immonda del nostro quadro domestico, ci dà già l’idea di a che cosa siamo ridotti. Ci eravamo appena liberati di un ciarlatano che per mezzo secolo aveva rotto i coglioni e disseminato nequizie politiche e scioperi della fame a favore dell’antropofagia capital- imperialista, da lui definita liberale, che abbiamo dovuto sottostare all’assordante cacofonia di coloro che lo esaltavano da padre della patria dopo averlo trattato da zimbello reazionario da schiaffeggiare, non solo figuratamente. Così coloro che, avendolo sbertucciato, per ottime o pessime ragioni, durante tutta la durata dei suoi schiamazzi finto-antagonisti, poi lo hanno elevato al rango di un Cavour o di un Mazzini, sono riusciti a incastrarsi nella Storia perfino a un piano più basso di lui.

E allora fuggiamo all’estero. Ecco qua cos’è la destra, cos’è la sinistra, in Siria. Un unico pappone offerto a nutrimento dei meravigliosi rivoluzionari curdi di Kobane che, avendo reclutato a copertura alcuni siriani sbandati e confusi, subito nobilitati dall’etichetta Forze Democratiche Siriane, avendo offerto una base e un aeroporto agli Usa su un pezzo di Siria e avendone ottenuto in cambio copertura aerea, ora si apprestano a “liberare” Raqqa, “capitale” di Daish. L’intera faccenda, a parte essere rivoltante e l’ennesima conferma della doppiezza dei curdi siriani, non dissimile da quella dei fratelli iracheni pratici di contrabbando, narcotraffico e vendutisi a Israele, è essenzialmente propaganda. La stessa che sta pompando una presunta offensiva dei curdi iracheni sulla roccaforte Daish di Mosul. IL motivo è che a Raqqa, come a Mosul dopo aver liberato gran parte della provincia di Fallujah, si stanno avvicinando le forze lealiste dei rispettivi governi legittimi, esercito iracheno e milizie popolari in Iraq, Esercito Arabo Siriano, Hezbollah, milizie iraniane in Siria.

 

Gli infami e loro idolatri

Berretti verdi vicino Raqqa

 US boots on the ground in Kobane

I curdi di Kobani stanno ancora a una cinquantina di km da Raqqa, ma intanto lo schiamazzo suscitato dalla loro presunta offensiva è riuscita oscurare totalmente la costante avanzata dei patrioti  (a cui il mercenariato Isis di Nato, Turchia e Golfo, battuto sul terreno, reagisce con la classica arma imperialista, le stragi terroristiche contro civili  Baghdad, Damascso, Latakia). E qui è di un’evidenza abbagliante la natura di vera destra di una sinistra che, spesasi con passione a sostenere le campagne di diffamazione imperialiste contro Assad, ora inneggia a forze curde che hanno, sì, inglobato alcuni sbandati siriani per potersi presentare come forza siro-curda e non insospettire l’opinione pubblica sui propri intenti strategici. Che sono quelli dell’imperialismo e dei suoi scagnozzi turco e del Golfo: distruggere lo Stato nazionale siriano, frantumare il paese in tre o più parti di cui quella preminente, legata alle quinte colonne curde in Iraq e Turchia, diverrebbe il Kurdistan siriano. Allo scopo sono presenti e attivi in prima linea qualcosa come 300 ultratecnologici Berretti Verdi Usa, che, senza minimamente scomporre i nostri sinistri quando riconoscono a quei curdi la qualifica di “eroica avanguardia democratica e libera” di tutto il Medioriente, recano sulla divisa sia le insegne loro, a stelle e strisce, sia quella comuni a PKK e a YPG, con la famosa stella rossa rivoluzionaria in campo giallo o verde. Berretti Verdi di provata esperienza criminale e partigiani curdi di provata fede rivoluzionaria.

Usa curdi 2

 Berretti Verdi con doppie insegne

Come da decenni in Iraq, questi curdi non sono che la quinta colonna della strategia sion-imperialista di divisione in frammenti dei grandi Stati arabi laici e sovrani. Si sono assunti il ruolo che negli ambienti di mafia viene definito degli infami. La loro presunta identità progressista, rivoluzionaria, emancipata, su cui intessono peana i destrisinistri, non è niente di più  di ciò che caratterizza i combattenti che da 6 anni resistono al moloch Nato e ai macellai jihadisti che la Nato e le dittature antropofaghe della regione gli hanno lanciato contro. Anzi. Offrire nel Rojava una base aerea agli Usa, permettere al devastatore imperialista dei popoli di incistarsi nella Siria martoriata da un vero genocidio, farsi aprire la strada da Forze Speciali Usa nell’invasione e occupazione di territorio arabo allo scopo di dividere la Siria, è forse la cosa più abbietta che la sedicente sinistra abbia sostenuto.

Gli Usa, a cui il popolo siriano e i suoi alleati, russi in testa, hanno impedito di risolvere la questione alla libica e rotto il giocattolo della guerra surrogata, affidata a clienti locali e ai loro mozzateste da mille euro al mese, importati da ogni dove, ora chiederanno ai mercenari di prima scelta di sloggiare e di farsi sostituire dai curdi, meglio accetti in tutto l’arco “democratico”. Costoro conterranno di venirne ripagati con un boccone di Siria che sarebbe il doppio di quanto storicamente è territorio abitato da una maggioranza curda. Come avvenuto in Iraq, con Niniveh e Kirkuk.e come si vorrebbe che succedesse con Mosul, dove i curdi non ci sono mai stati, se non ora per commerciare con l’Isis in petrolio rubato.

Tutto questo apre una considerevole contraddizione tra Washington e la Turchia del mattoide con gli artigli Erdogan, pilastro Nato nella regione, cui ogni ipotesi di presenza curda siriana collegata a quella in corso di sterminio dal suo lato della frontiera, fa venire attacchi epilettici che poi scarica facendo saltare per aria un po’ della propria gente, quella che non mostra di amarlo intensamente. Ma dei curdi USraele evidentemente non può fare a meno, se deve disintegrare la Siria. E difficilmente i russi liquideranno gli invasori e spartitori curdi come hanno fatto con l’Isis. Tanto che li stanno ancora corteggiando, illudendosi di strapparli agli avversari. Cosa che appare remota, alla luce di quanto Usa e Israele hanno intessuto finora con le altre componenti della regione curda.

A Erdogan non va tanto bene, ora che i russi gli hanno tagliato i traffici di petrolio con l’Isis (ma l’UE compensa con i soldi-premio per trattenere i migranti) e che i curdi siriani occupano quasi tutta quella zona di confine che avrebbe dovuto diventare la famosa “zona cuscinetto” all’interno della Siria, dalla quale manovrare verso il cuore del paese. In compenso hanno i propri jihadisti nel nordovest, intorno ad Aleppo, che continuano a essere riforniti alla stessa maniera e con maggiore intensità rispetto a quando ne denunciarono l’ingresso dalla Turchia i due giornalisti di Cumhurriet, Can Dundar ed Erdem Gul, che Erdogan vuole all’ergastolo. Il sultano lucidamente fuori di testa ha dalla sua anche Angela Merkel, padrona d’Europa, e l’UE che, terrorizzata dalla spada di Damocle dei migranti che Erdogan gli agita sul muso, magari allestendo qualche corpicino di bimbo siriano sulla spiaggia, con 3 miliardi e mezzo all’anno gli finanzia la guerra santa alla Siria. Mica i lager della fame e dell’abiezione in cui rinchiude un paio di milioni di siriani.

Usa curdi 4

 Masskiller Usa con insegna YPG

 

Erdogan? Un modello.

Una lezione subito appresa dai Fratelli di Erdogan della Fratellanza Musulmana in Libia, quella prediletta tanto dai riorganizzatori genocidiali del Medioriente, quanto dai nostri destrisinistri, quelli con per house organ “il manifesto” o l’agenziuccola “Pressenza” del Partito Umanista (vedere, nell’ultimo bollettino, l’orgasmo per l’Obama “antinucleare” a Hiroshima). Vengono tutti dalla Tripolitania sotto controllo dei FM e delle loro bande jihadiste, e in particolare da Sabratha, specializzata in ricatti all’Italia  anche mediante esecuzione di ostaggi, le ondate di annegati e sopravvissuti, ora riorientate, dai soliti padrini delle migrazioni di massa anti-europee, dai Balcani otturati alle coste italiane. A Erdogan, per tappare il rubinetto che lui controlla, l’UE paga quanto basterebbe per ricostruire un bel po’ di Siria. A Tripoli, alla marionetta  con burattinaio, ma senza teatro, Al Serraj, non servono soldi (li hanno già sottratti alle casse del popolo libico), ma armi e, se non basta, armigeri Nato. Non tanto per cacciare l’Isis che i turchi hanno fatto arrivare via mare e installato a Sirte. Quelli sono cugini e si toglieranno di mezzo quando arriva il fischio del pecoraro. Piuttosto per neutralizzare la minaccia di una Libia libica e laica come quella che si coltiva in Cirenaica con il governo unitario (compresi ghedddafiani) di Al Thinni e del generale Haftar e grazie al concorso dell’Egitto, alla faccia dei sabotaggi tipo Regeni (rampollo dello spionaggio anglo-americano) o tipo aerei di linea fatti esplodere.

Ma torniamo un attimo a Erdogan. E’ vero che guarda di sottecchi agli Usa con gli occhi iniettati di sangue per come questi si stanno coccolando e allevando i curdi siriani (che si dicono parenti stretti del PKK turco). Ma voglio fare una previsione. Tutto si accomoderà. Non s’è trovato d’amore e d’accordo con i curdi di quel bandito di Massud Barzani, contro il quale si sta rivoltando metà della sua popolazione? Non trafficano insieme in petrolio e non gli prospetta un’occupazione curda del Nord Iraq lo sminuzzamento di un grande paese rivale a forte presenza scita e inclinazione iraniana? E se alla fine si rassegnerà alla sopravvivenza della Siria, non lo farà anche perché, pur non avendocela fatta wahabiti e Fratelli Musulmani a cancellarla dalla faccia della Terra, perlomeno l’hanno mutilata e fratturata proprio i curdi di quel paese? Quanto ai suoi, di curdi, tra un Ocalan che da tempo ha calato le braghe e si è riconosciuto turco, purchè un pochino federato, e una repressione capillare e senza freni, un qualche modus vivendi si verrà pure a creare. Scommettiamo?

Del resto non fidatevi dei leggeri arricciamenti di naso che i boss europei esibiscono di fronte ai pinochettismi di questo satrapo sanguinario, quando elimina giornalisti, giudici, investigatori, quando toglie l’immunità a parlamentari d’opposizione, quando passa leggi antiterrorismo di taglio nazista, pretende visti liberi per i suoi di terroristi e manda affanculo Bruxelles, quando per l’ennesima volta si scopre che senza i rifornimenti turchi gli assassini della Siria sarebbero alla canna del gas. Alla vista di quanto Hollande e gli altri Al Capone nelle capitali europee stanno infliggendo alle proprie società con l’alibi del terrorismo (autogenerato e, soprattutto, autogestito), non è difficile rendersi conto che, sotto gli arricciamenti di quei lunghissimi nasi, si allarga a 32 denti il sorriso di chi apprezza nella Turchia di Erdogan il modello del proprio futuro nazionale ed europeo.

A noi perciò la soddisfazione di essere visti dai nostri governanti e sorveglianti come Erdogan vede i curdi. Quelli suoi.

 

Intanto in Francia e Belgio

Sempre che il virus del 1789 non infetti anche noi, quello che ora sta imperversando in Francia con cose da noi non più viste dal 1947, con occupazione di fabbriche, blocco di raffinerie e centrali nucleari, fermo dei trasporti ferroviari e su gomma, scioperi generali, studenti e lavoratori e intellettuali e donne sulle barricate, banche in fiamme e difesa ad oltranza della piazza da un mese e vai, con il contagio che supera il confine col Belgio. Che ci faccia capire come per prendere la Bastiglia, o cacciare l’alieno che ci sta sul groppone (che si chiami padrone o Nato), oggi non serva più l’arma delle armi, chè per quella saremmo fottuti subito, ma l’arma del blocco di massa del paese. Che contro quello non bastano neppure le catene delll’emergenza, dello stato d’assedio , della brutalità bestiale del repressore, dell’occhio del nemico fin dentro il tuo cervello, tutta roba per cui i noti servizi, per niente deviati, hanno fornito ottimo pretesti. Non farlo funzionare, lo Stato, significa farlo cadere come un castello di carta cui venga meno la base. E’ già successo nei nostri tempi, in Venezuela, in Bolivia, in Ecuador, in Argentina. In Grecia sarebbe successo se non si fossero fidati di uno sporco rinnegato e delle luride destresinistre europee che con il belletto ne hanno coperto le brutture.

Magari nei prossimi giorni si vedrà che era solo un sogno. E che a noi di virus arrivano solo quelli dell’aviaria, o della mucca pazza.

L’ideologia, l'ideologia

malgrado tutto credo ancora che ci sia
è la passione, l'ossessione della tua diversità
che al momento dove è andata non si sa
dove non si sa
dove non si sa. (
Giorgio Gaber)

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