Print
Hits: 2424
Print Friendly, PDF & Email

La Grecia sul baratro, ostaggio tedesco

di Joseph Halevi

A Berlino e Francoforte (sede della Banca centrale europea, Bce), via Bruxelles, si sta preparando per la Grecia una tragedia economica da preoccupare perfino il Financial Times al punto da chiedere una discussione pubblica su come affrontare la situazione.

Molto giustamente Martin Wolf - sulle pagine del 20 gennaio - osservava che la Grecia è il canarino nella gabbietta portata dal minatore in galleria. A mio avviso la crisi greca mostra l'insostenibilità di tutta l'architettura comunitaria elaborata a Maastricht, formalizzata nel patto di stabilità firmato a Dublino nel dicembre del 1996 e istituzionalizzata nella formazione della «zona dell'euro». In realtà il sistema non ha mai funzionato. Si è trasformato in un meccanismo vincolante per alcuni - la maggioranza dei paesi - e non per altri.

Francia e Germania, infatti, poco dopo il 2000 hanno iniziato a sforare i parametri. Poi nel corso degli anni la Germania ha avuto un grande boom delle esportazioni nette - prevalentemente verso l'Europa stessa - e con esse un aumento degli introiti fiscali. Ha quindi fatto pressioni sulla Francia affinchè si allineasse, riducendo il suo deficit pubblico. Già prima della crisi attuale Parigi aveva risposto che non se ne parlava fino al 2012-13 e, con la crisi, il rientro francese è rimandato di fatto alle calende greche.

Ciò non è permesso agli altri paesi, anche se le condizioni interne non lasciano grandi spazi per manovre di rientro. Quando la Grecia entrò nella zona dell'euro nel 2001, adottandone la moneta nel 2002, tutti sapevano che le sue condizioni erano lontanissime da quelle volute dai tedeschi. I quali appoggiarono però l'ingresso di Atene sia per motivi di espansione e credibilità dell'euro, sia come ricompensa per l'assenso della Grecia ad aprire il proprio territorio alle truppe Nato-Usa impegnate nella guerra del Kosovo (nei cui confronti, però, l'intero arco politico greco era profondamente contrario).

L'economia ellenica ha molte caratteristiche simili a quelle di province e regioni dell'Italia meridionale, fortunatamente senza la proponderante presenza delle mafie: ampio impiego statale e parastatale, spesa pubblica per pensioni ed intrallazzi, economia sommersa. A ciò si aggiungono i contributi dell'Unione europea per lo sviluppo. I quali sono però quantitativamente in declino. Tutto, compresi i settori a rendimenti economici altamente «stagionali» come quello turistico, si regge sul meccanismo della spesa pubblica, come nel frusinate o a Roma.

Ma non è così da oggi o da ieri. Lo è da sempre e certamente dalla fine della guerra civile nel 1949. La modernizzazione del paese - soprattutto con la crescita dei consumi e col calo dell'occupazione agricola - avvenuta in modo massiccio dopo il 1981, con l'entrata nella Comunità Europea, ha accentuato il ruolo della spesa pubblica come pilastro socio-economico-occupazionale e distribuzione di intrallazzi.

Questo perchè non c'è stata una trasformazione produttiva del paese minimamente corrispondente alla trasformazione sociale e dei consumi. Anche per questo motivo le relazioni di classe capitalistico-finanziarie e politiche dipendono in misura cruciale dal nesso tra spesa pubblica ed evasione fiscale. Questi meccanismi si possono spezzare solo con un lento e sistematico processo di trasformazione produttiva guidata dalla stessa autorità pubblica, in maniera illuminata/programmata. Ma se su tale terreno gli stessi illuministi contemporanei italiani, come Paolo Sylos-Labini e Stefano Rodotà, sono rimasti dei profeti inascoltati, perchè dovrebbe riuscirci la Grecia che, rispetto all'Italia, ha basi materiali minime?

Dopo l'adozione dell'euro nel 2002 sono periodicamente emerse accuse di aver «taroccato» i conti del deficit pubblico. Ma la Germania e Bruxelles non hanno mai voluto valutare la Grecia per le sue condizioni oggettive, pur conoscendole. Volevano la Grecia nell'euro, ma imponendo un proprio quadro all'interno del quale l'unica strategia di adattamento - per evitare la catastrofe sociale - era quella di cambiare le carte in tavola. Un gioco che alla lunga non può durare. E si arriva quindi alla tragedia di oggi.

Atene ha affrontato la crisi economica mondiale senza effettuare particolari tagli di bilancio, mentre la stessa crisi ha fatto emergere il deficit pubblico che il governo di destra aveva occultato in modo, oltretutto, fraudolento. Nel corso della seconda metà del 2009 la Germania - mentre allentava i cordoni della borsa al proprio interno - induriva la posizione verso il resto dell'Europa, soprattutto nei confronti dei paesi più deboli dal lato del debito pubblico. Sulla Grecia è stato direttamente il ministro delle finanze di Berlino ad esprimersi.
L'irrigidimento tedesco sta facendo schizzare verso l'alto il differenziale di rischio richiesto sui buoni del tesoro greci rispetto al tasso - ad esempio - richiesto per quelli tedeschi; i «mercati» mettono infatti in dubbio la disponibilità della Bce ad eccettare buoni greci contro l'erogazione di prestiti al governo.

Ritrovatosi con l'acqua alla gola, Papandreu ha promesso di ridurre il deficit dal 12,7% al 3% del pil in 2 anni! C'è da sperare che trovi l'imbroglio giusto, perchè se anche riuscisse ad effettuare una riduzione dal 12,7 al 9%, in un lasso di tempo così breve, provochebbe comunque un disastro enorme. L'intero peso dei tagli ricadrebbe sull'occupazione e sulle pensioni. Dato l'alto livello di conflittualità sociale ellenica, tuttavia, tagli di questa entità non saranno possibili.

Rimangono solo altre due strade: l'uscita dall'euro e un salvataggio europeo. Nel primo caso si aprirebbe una crisi politico-istituzionale gravissima per l'insieme dell'Unione Europea e la Grecia si troverebbe comunque nell'impossibilità immediata di pagare le pensioni alla popolazione e gli stipendi ai dipendenti pubblici. Il paese andrebbe ugualmente in tilt.
Nel secondo caso la Grecia verrebbe messa in un regime di sovranità limitata, di fatto sotto la Germania. I riflettori devono dunque essere puntati sulla Germania, sulla sua volontà di lasciar lacerare la Grecia per dare un esempio agli altri paesi deboli dal lato del debito pubblico; mentre Berlino considera la sua posizione assolutamente insindacabile.

Il tutto per far avanzare - come unica strategia europea ammessa -quella della deflazione salariale, su cui Deutschland scommette con la certezza di vincere la partita nei confronti dell'Europa.

Web Analytics