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volerelaluna

Il Meccanismo Europeo di Stabilità e la miopia della sinistra

di Guido Ortona

arton11000Stando alle ultime notizie (scrivo il 23 dicembre) Meloni pensa di firmare il trattato sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, ma con la ferma intenzione di non farvi ricorso. A mio avviso (ma come vedremo non solo mio – anzi!) questa posizione è profondamente errata, per due motivi. Primo. Una volta che il trattato sia entrato in vigore non spetterà più all’Italia decidere se farvi ricorso. Obbedire alle sue clausole sarà una precondizione per eventuali interventi a sostegno delle banche italiane e del debito pubblico italiano; e sarà il direttorio del MES a stabilire se e quando tali interventi saranno necessari, e le condizioni cui l’Italia dovrà sottostare. Queste condizioni saranno facilmente vessatorie, come vedremo. E dal momento che la politica europea è egemonizzata dalla Germania, e che la Germania ha forti conflitti di interesse con l’Italia, è bene che il MES non entri in vigore anche per evitare il rischio di pesanti interventi a danno delle banche italiane e della gestione del nostro debito pubblico. Grecia docet. Secondo. Ma soprattutto questa è forse l’ultima occasione per arrivare a ciò che è necessario: rimettere totalmente in discussione il MES puntando alla sua abolizione. Come è noto, infatti, l’approvazione di un trattato europeo richiede l’unanimità.

Le motivazioni di quanto sopra sono esposte in modo sintetico ma chiaro e convincente nel testo dell’appello che un blog di economisti (più qualcun altro), quasi tutti accademici, ha messo in circolazione in questi giorni (https://www.micromega.net/lunica-riforma-necessaria-per-il-mes/). Ne riporto qui il testo.

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comedonchisciotte.org

Il governo Meloni e la riforma del MES

Federalismo coercitivo e difesa della sovranità nazionale

di Luca Lanzalaco

meloni giorgia premier chigi lapresse 2022 640x300 1Il 30 novembre 2022 i partiti della maggioranza di governo hanno votato a larga maggioranza una mozione che impegna il governo “a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del Trattato istitutivo del MES alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo” (Parlamento italiano – Camera dei Deputati 2022a).

A questo proposito avanziamo due tesi. La prima è che si è trattato di una decisione giusta, anche se la sua formulazione lascia alcuni margini di ambiguità che andrebbero quanto prima chiariti. La seconda che la posta in gioco in questa decisione sia ben più alta ed importante della semplice revisione di alcune procedure di controllo sull’andamento del deficit e del debito degli Stati membri dell’Unione europea. Esaminiamo distintamente le due tesi che, come emergerà chiaramente, sono tra loro connesse. Nel fare questo riprenderò in sintesi temi ed argomenti che ho avuto modo di sviluppare in modo molto più approfondito in altra sede (Lanzalaco 2022).

Prima è però opportuno un chiarimento. Dietro l’etichetta MES nel dibattito politico e nel discorso pubblico corrente si collocano due differenti referenti che, seppur strettamente collegati, vanno tenuti distinti (European Commission 2022, 19-20). Da un lato, vi è il cosiddetto Fondo salva stati che, istituito durante la crisi dei debiti sovrani (2010-2012) per offrire assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà, è stato riformato all’inizio del 2021.

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lafionda

Che fine hanno fatto la UE e l’antieuropeismo?

di Matteo Bortolon

europacartaNell’arco dello scorso decennio un elemento importante del conflitto politico europeo è stato la posizione sulla Ue. La contrapposizione europeisti vs. antieuropeisti (semplificando) si è definita come trasversale rispetto a progressisti vs. conservatori o sinistra vs. destra, rispecchiando un po’ quella – a parere di chi scrive non particolarmente azzeccata – globalisti vs. antiglobalisti. Una contrapposizione capace di generare rotture, polemiche e contrasti, che ha visto il punto di massima intensità nei dibattiti sull’euro, ma nel biennio 2020-21 pare essersi offuscata, uscendo dal dibattito pubblico, perciò ci dobbiamo chiedere: che fine hanno fatto l’euro e la Ue come elementi divisivi e clivage politici? È una eclissi temporanea o permanente? Ma sopratutto: i soggetti che hanno assunto una posizione forte in merito per qualificarsi come sono messi?

In un arco cronologico grosso modo decennale (2010-2019) l’Unione europea ha subito le più vivaci contestazioni dalla sua nascita (1993), con il fiorire di gruppi, movimenti e partiti che programmaticamente la inserivano nei loro obiettivi polemici o che ne caldeggiavano la distruzione o il severo ridimensionamento.

Da una parte stavano coloro per cui l’unità europea era un valore forte tanto da glorificare la Ue o, in caso di posizioni più critiche dei modelli dominanti basati su mercato, concorrenza, e simili, da sostenerne una riforma significativa in direzione di riduzione delle diseguaglianze, lotta alla povertà, misure a favore dell’ambiente, ecc. Riformare l’Europa per un modello progressista (o addirittura socialista).

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megasalex

Dodici anni di distruzione economica per convincere la BCE a fare la Banca Centrale

di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

Nonostante l'abbassamento del nostro rating da parte di Moody's, un debito che sale ed una campagna elettorale dagli esiti incerti, lo spread scende. A favorirne la discesa, sarebbe la BCE, lo dimostrano i numeri degli ultimi due mesi

Acquisisci schermata Web 8 8 2022 75055 www.bing .com Diciamolo chiaramente, per ben dodici lunghissimi anni, la paura per i tanto paventanti mantra dello “spread” e dei “mercati”, ci ha accompagnato a pranzo e cena, fino a non farci dormire nella notte.

Non passava giorno, senza che i vari e “così detti” economisti di regime di casa nostra – rappresentati in prima linea da Marattin, Brunetta ed il banchiere fiorentino Bini-Smaghi con moglie a seguito (l’economista Veronica De Romanis) – ci ricordassero attraverso i loro social o nelle loro ospitate televisive quotidiane, quanto il destino del nostro debito pubblico, fosse in mano ai mercati finanziari.

I più fervidi credenti, ha sentire tale e ripetuta predica, nelle loro preghiere serali, sono arrivati addirittura ad affiancare a Nostro Signore il “Dio dei mercati”. Sì, avete capito bene, oggi, quando parliamo con qualcuno, in particolare con chi opera nel mondo finanziario, si ha la netta percezione che molti, ancora considerino i mercati alla stregua di una divinità degna delle opere di Omero.

Il “mercato” sopra tutto e tutti e che nessuno più comandare e distruggere, insomma la paura assoluta da infondere nel genere umano e da sbandierare ogniqualvolta sia necessario per l’élite imporre qualcosa al popolo ignaro.

Dire, oggi ancora una volta: “Noi ve lo avevamo detto, che i mercati non contano niente di fronte alla potenza di fuoco di una banca centrale….!!!” – non serve a niente e fa apparire “Megas” e tutti gli studiosi della Modern Monetary Theory, antipatici e perfino narcisisti. Vi assicuro che non è così!

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micromega

La Bce detta le condizioni anti-spread per garantire il debito italiano: la Troika si avvicina

di Enrico Grazzini

Iniziano a essere chiari gli effetti delle decisioni della Bce di acquistare titoli pubblici (e alzare i tassi di interesse) e della Commissione di imporre ai governi il rientro dai debiti e dai deficit fiscali

bcejtghL’inflazione alza la testa in tutto il mondo e la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea rispondono inaugurando politiche monetarie e fiscali restrittive: la Bce da questo luglio cessa di acquistare titoli pubblici e alza i tassi di interesse; e la Commissione impone ai governi di rientrare ancora più rapidamente di prima dai debiti e dai deficit pubblici. Anche perché la Bce smette di finanziarli e quindi il loro costo aumenta. Per contrastare il caro-prezzi i due principali organismi dell’Unione Europea di fatto aggraveranno la crisi, freneranno la ripresa economica post-Covid del vecchio continente provocando più disoccupazione, migliaia di fallimenti e povertà.

L’aumento del tasso centrale di interesse deciso dalla BCE comporta che il credito diventerà più caro: le famiglie pagheranno di più per i mutui e le aziende pagheranno di più per i prestiti necessari per gli investimenti. L’economia verrà rallentata e quindi diventerà ancora più difficile pagare i debiti pregressi. Ci risiamo con l’austerità, questa volta nel nome della lotta all’inflazione. Però il fortissimo aumento del costo del petrolio, del gas e dei cereali, certamente non si cura strozzando il credito e la spesa pubblica perché è provocato dall’invasione russa dell’Ucraina e dai lockdown decisi in Cina dal governo contro la risorgenza del Coronavirus. I problemi del caro-prezzi dipendono quindi esclusivamente dalla carente disponibilità di materie energetiche causata dalla guerra in Ucraina e dai problemi produttivi della Cina, la fabbrica del mondo: anche un bambino comprende che in questo contesto frenare la spesa pubblica e il credito non solo non risolve nulla ma è controproducente.

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coniarerivolta

La BCE all’assalto dei salari

di coniare rivolta

lagarde Parte I

La Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato, giovedì 9 giugno, una storica virata nella politica monetaria dell’area euro. Due sono i profili di questa manovra monetaria che invertono la rotta avviata con la crisi dei debiti pubblici degli anni Dieci: l’aumento dei tassi di interesse e la fine degli acquisti diretti di titoli pubblici da parte della banca centrale.

Dopo undici anni di ribassi continui, la BCE ha annunciato che a luglio tornerà ad aumentare i tassi di interesse. Tra i compiti fondamentali di una banca centrale c’è la definizione del cosiddetto costo del denaro, ossia il tasso di interesse che le banche commerciali pagano alle banche centrali per prendere a prestito il denaro di cui hanno bisogno per il loro regolare funzionamento. La BCE, fissando i tassi di interesse pagati dalle banche commerciali per le loro operazioni di rifinanziamento, riesce ad orientare i tassi di interesse che le banche commerciali faranno poi pagare allo Stato, ai cittadini e alle imprese per l’erogazione di prestiti. In prospettiva, la BCE ha anche annunciato che quello di luglio sarà il primo di una serie di aumenti dei tassi di interesse che, progressivamente, porterà il costo del denaro ben al di sopra degli attuali tassi negativi, e dunque fuori dalla zona di eccezione in cui si è mossa la politica monetaria emergenziale dalla crisi dei debiti pubblici alla pandemia.

Secondo l’ideologia della BCE, la politica monetaria ha il compito fondamentale di garantire la stabilità dei prezzi e mantenere l’inflazione attorno al 2%.

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lantidiplomatico

Genuflessa agli Usa e senza identità: l'Ue è un destino storicamente inevitabile?

di Fosco Giannini*


720x410c50mjhyrdIl progetto scientifico di mitizzazione dell'Unione europea, in Italia e negli altri Paesi Ue, si è avvalso sia di uno spazio temporale lunghissmo che di mezzi propagandistici e volti all'organizzazione del consenso di massa di inedita e spregiudicata potenza. Dalle liturgie parlamentari ed istituzionali ai testi scolastici, dalla letteratura al cinema, dalla pubblicità all'arte, dalla politica ai media, ogni cassa di risonanza con capacità di propagazione di massa è stata accesa e resa funzionale alla costruzione della mitologia dell'Europa unita, alla trasformazione di un progetto unitario tanto artificioso e avulso dalla dialettica storica quanto feroce e antioperaio nella concreta proposta sociale, un progetto uscito come un coniglio dal cilindro del grande capitale e venduto sul mercato politico come spinta storica destinale e irreversibile, una pulsione (positivista) inarginabile.

Per gli interessi del movimento operaio complessivo europeo vi è sempre stata l'estrema necessità di smontare il Moloch ideologico vetero capitalista e pan liberista dell'Ue. Ora che l'Ue è servilmente allineata con gli Usa e con la NATO nella guerra contro la Russia tale necessità si fa ancor più stringente ed importante.

Abbiamo un estremo bisogno di decodificare i moti, tanto artificiali quanto malsani, che sovraintendono la costruzione dell'Ue, sia nell'intento di consegnare una coscienza di classe alla vasta area sociale che "dubita" della bontà dell' "operazione Ue", che nell'intento di costruire una vasta resistenza di massa al titanico tentativo che porta avanti il potere capitalistico sovranazionale europeo diretto a "razionalizzare" la costruzione dell'Ue, rendendo tale processo un "dato di natura" immodificabile, al quale ci si possa genuflettere come i primi esemplari del genere Homo si genuflettevano al fuoco.

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lafionda

Sotto l’atlantismo niente. L’Europa messa a nudo della guerra ucraina

di Alessandro Somma

natoUeLa Nato come alleanza moribonda

Solo qualche mese fa il mondo si stava definitivamente congedando dal Novecento. Il varo di Aukus, l’alleanza militare fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, aveva certificato la centralità della confrontazione con la Cina, e con essa il disinteresse di Washington per l’area europea. Poco prima il Presidente francese Emmanuel Macron aveva stigmatizzato il disimpegno statunitense in Medio Oriente, iniziato con la Presidenza Obama e proseguito con il suo successore. Aveva anche messo in discussione il senso della Nato, liquidandola come alleanza in stato di morte celebrale. L’Alleanza atlantica costituiva del resto il prodotto della Guerra fredda, che l’implosione dell’Unione sovietica aveva consentito di archiviare, facendo così emergere differenze fondamentali nell’agenda politica di Stati Uniti ed Europa.

Eppure la fine della confrontazione tra blocco occidentale e blocco socialista non ha certo determinato una inattività della Nato. Al contrario questa si è allargata ai Paesi un tempo aderenti al Patto di Varsavia, così come a quelli sorti dalla dissoluzione dell’Unione sovietica: nel 1999 aderiscono all’Alleanza atlantica la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, mentre nel 2004 è il turno dell’Albania, della Bulgaria, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Romania e della Slovacchia. Una volta giunti a ridosso dei confini con la Russia, gli Stati Uniti hanno tuttavia pensato di potersi in qualche modo distrarre, o quantomeno di prendersi una pausa per concentrarsi sulla Cina.

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lantidiplomatico

"I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico"

Francesco Santoianni intervista Benedetta Piola Caselli

720x410c50njiu9fgUcraina: basta con il giornalismo di guerra ridotto a mera propaganda! È il sorprendente appello di dodici corrispondenti di guerra italiani (tutti provenienti da media mainstream) pure loro verosimilmente inorriditi dai reportages di tanti giornalisti italiani diventati meri cantori della narrativa atlantista. 

Tra i pochi che sono sfuggiti a questo destino, Benedetta Piola Caselli, avvocato di Roma che, con le credenziali di un quotidiano nazionale, si è recata due volte in Ucraina realizzando video-reportages tutti pubblicati sul suo profilo Facebook. Video da vedere assolutamente anche perché costituiscono uno dei rari esempi di giornalismo teso a capire, dietro la propaganda, cosa sta veramente succedendo. L’abbiamo intervistata.

"La situazione che ho trovato è stata totalmente diversa da quella che credevo di trovare, e che avevo immaginato guardando la televisione e leggendo i giornali. Innanzitutto, io avevo capito che gli ucraini fossero tutti impegnati in guerra. In realtà, anche se tutti gli uomini fra il 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, solo l’esercito professionale e i volontari stanno combattendo, mentre gli altri sono ancora coinvolti nella gestione normale del paese. 

Nessuna coscrizione obbligatoria è ancora in atto, perché la legge prevede quattro livelli di mobilitazione (esercito, riserva, carcerati, mobilitazione generale) e siamo ancora al livello 1.

Oltre a questo, salvo che sulle linee del fronte, la vita continua normalmente con le due eccezioni del coprifuoco e delle sirene antiaeree, che suonano continuamente.

I corrispondenti spesso confondono le sirene con i raid, ma sono cose molto diverse. Per esempio, a Leopoli dal 26 febbraio ad oggi gli allarmi antiaerei sono suonati 74 volte, ma i raid sono stati 3 e tutti su obiettivi militari.

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coniarerivolta

PNRR: una, nessuna o cinquecentoventotto condizioni

di coniare rivolta

pnrr3nmtAbbiamo provato a delineare quali sono alcune delle principali condizioni che l’Italia si è impegnata a soddisfare per avere accesso ai fondi del Recovery Fund. Ci eravamo però lasciati senza finire il discorso, che purtroppo ha ulteriori aspetti dirompenti e preoccupanti.

Per il profitto privato, il PNRR è anche un’occasione d’oro per consumare qualche vendetta, come quella sul referendum per l’acqua pubblica del 2011, quando 26 milioni di italiani sancirono la natura pubblica di questo bene di prima necessità e della sua gestione. Tra le condizioni da rispettare per il prossimo dicembre, infatti, si legge anche di una “Riforma del quadro giuridico per una migliore gestione e un uso sostenibile dell’acqua”, una misura “per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati”. Basta approfondire la documentazione del PNRR per scoprire che questo significa “rafforzare l’industrializzazione del settore favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati e realizzando economie di scala per una gestione efficiente degli investimenti e delle operazioni”. Ecco che la prima tranche di Recovery Fund diventa un grimaldello per riformare la normativa sulla gestione dell’acqua favorendone la privatizzazione, affermando un modello di multiutility (da qui l’enfasi sulla natura integrata del servizio) che calpesta il diritto all’acqua per garantire l’accumulazione di profitti e rendite monopolistiche (da qui, invece, l’enfasi sulle economie di scala).

La foga liberalizzatrice e privatizzatrice del PNRR non si ferma, ovviamente, qui. Ci siamo, infatti, impegnati a riformare i dottorati “al fine di coinvolgere maggiormente le imprese e stimolare la ricerca applicata”, con lo scopo di “semplificare le procedure per il coinvolgimento di imprese e centri di ricerca e rafforzando le misure per la costruzione di percorsi di dottorato non finalizzati alla carriera accademica”.

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tazebao

Il Recovery Plan

Il capitale tra programma e propaganda

di Collettivo politico comunista

y6f“L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). È un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale”. [1] È questa la retorica che lo stesso Mario Draghi pone a premessa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), ovvero del Recovery Plan, approntato dal suo governo nell’aprile scorso e approvato dalla Commissione Europea nel giugno scorso. Attraverso tale Piano si dovrebbe definire la destinazione dei 191,5 miliardi di euro stanziati dall’Ue per il nostro paese nel cosiddetto Recovery Fund e cioè nell’ambito del programma Next Generation Eu, di cui 122,6 miliardi di prestiti e 68,9 di sovvenzioni, da spalmare tra il 2021 e 2026, secondo le previsioni di bilancio elaborate dagli organi europei. A fianco del Pnrr, viene attivato anche il Fondo React Eu, sempre parte del programma Next Generation Eu, ma attingente ai tradizionali fondi di politiche sociali e di coesione dell’Ue (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di aiuti europei agli indigenti).

Effettivamente, come afferma Draghi, si tratta di un passaggio inedito nella storia dell’aggregato imperialista europeo: un ulteriore meccanismo di centralizzazione finanziaria dell’Unione rispetto ai singoli Stati, basato sull’emissione, per la prima volta, di titoli di debito europei, i cosiddetti Eurobond, come avviene da inizio estate 2021.

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micromega

Come rendere utile l’orribile Mes

di Carlo Clericetti

Il “Fondo salva-Stati” resta un “prodotto senza acquirenti”. Nessuno vuole mettersi alla mercé di un istituto di diritto privato e con sede in un paradiso fiscale che per “tutelare l’interesse dei creditori” può imporre misure rovinose. Ma con un’Agenzia del debito, la politica europea potrebbe essere decisamente migliore

Schermata del 2022 02 28 12 59 00Un’azienda che si accorgesse che un suo prodotto non lo vuole nessuno, nonostante vari tentativi di promozione, deciderebbe di eliminarlo. Non così i politici e tecnocrati europei, che ben si possono paragonare a un management aziendale, vista la loro fede nelle virtù taumaturgiche del mercato.

Il “prodotto” è il Mes, il cosiddetto “Fondo salva-Stati”, che ogni tanto viene periodicamente riproposto nel tentativo di giustificare la sua esistenza e anche di trovare un impiego per il suo capitale di 80 miliardi versati dagli Stati che giacciono inutilizzati.

L’organismo è stato istituito in seguito alla crisi del 2008, e in questi anni ha cambiato nomi (ESF, ESFS) e regolamenti. L’ultima riforma, che lo rende se possibile ancora peggiore, è stata approvata dall’Eurogruppo nel novembre 2020 (e poi anche dal Parlamento italiano, in dicembre), ma manca ancora la ratifica definitiva del nostro governo: se i problemi solo burocratici di cui ha parlato il ministro Daniele Franco fossero invece un espediente per prendere altro tempo, sarebbe un ottimo segnale.

Il Mes deriva da un trattato intergovernativo, è un istituto di diritto privato lussemburghese ed è guidato da un “Consiglio dei governatori” di cui fanno parte i ministri delle Finanze dei Paesi membri. Il suo direttore generale, il tedesco Klaus Regling, ha ampi poteri. Il suo statuto prevede che debba fare gli interessi dei creditori, che abbia l’ultima parola sulla solvibilità di chi vi ricorre e che in base a questo giudizio possa imporre condizionalità che possono arrivare fino alla ristrutturazione del debito. Chi ne fa parte è esente da ogni responsabilità civile e penale.

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crs

La guerra globale in Europa. Possiamo ancora fermarla

di Alfonso Gianni

pexels pixabay 408202 1Lo scontro bellico più volte minacciato è quindi in atto. Quando, non molte ore fa, eravamo ancora sull’orlo del baratro di una nuova guerra ad alta intensità entro i confini geografici del continente europeo, ci ha raggiunto l’esternazione dell’uomo delle sentenze epocali e (solo per lui) definitive. Si parla di Francis Fukuyama che in una intervista di un’intera pagina su la Repubblica del 22 febbraio, dopo avere con disinvoltura riconosciuto che la storia non è finita perché Putin vorrebbe “estendere la zona di influenza sull’Europa orientale, tornando a controllare i Paesi entrati nella Nato dopo il 1991”, afferma perentoriamente: “Ho passato molto tempo in Ucraina negli ultimi sette anni, poiché abbiamo programmi per addestrare i giovani. Ogni volta ripeto che lo faccio perché Kiev è il fronte della lotta globale per la democrazia”. Un fronte alquanto inquinato e traballante visto il pessimo stato di salute delle istituzioni ucraine, la corruzione e il malaffare che ne corrodono le fondamenta, la presenza di consistenti forze fasciste e neonaziste capaci di interpretare e indirizzare nel modo più violento le diffuse pulsioni nazionalistiche. Ma è così che l’autore de La fine della storia e l’ultimo uomo intende riassumere la missione salvifica degli Usa e per estensione dell’Occidente.

Vista così, e Fukuyama è uomo ascoltato dalla amministrazione Biden, la crisi ucraina non lascerebbe davvero speranze. Saremmo di fronte a uno scontro di portata storica, oltre che globale, che sempre più rapidamente sposta in avanti, cioè verso est, la linea del fronte. Il patto Nord Atlantico al suo sorgere nel 1949 comprendeva 12 paesi. In seguito a otto allargamenti si è giunti a 30, con un’intensificazione delle adesioni negli ultimi 20 anni, a partire da quel fatidico 1999, quando venne demolita la Jugoslavia.

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politicaecon

Il triste anniversario di Maastricht

di Sergio Cesaratto

trattato maastrichtLa flessibilità dei mercati e lo scioglimento dei lacci e lacciuoli sono stati gli strumenti giusti per la crescita economica dei Paesi europei? Il bilancio di tre decenni del Trattato di Maastricht e dei suoi precetti liberisti non è commendevole. E dovrebbe far riflettere tutti, specie a sinistra.

Lascio agli storici ricostruire le vicende internazionali e italiane che condussero alla ratifica del Trattato di Maastricht (1992). Vediamone qui qualche aspetto economico per giudicare se tale trattato abbia avuto o meno qualche senso.

 

Prima di Maastricht

Di un’unione monetaria europea si era discusso già dagli anni cinquanta. L’analisi economica ne aveva però scoraggiata la creazione per il diverso grado di sviluppo e istituzioni dei Paesi europei. In particolare, la cosiddetta teoria delle aree valutarie ottimali aveva predetto una tendenza deflazionistica di tale unione. Infatti essa avrebbe con tutta probabilità condotto a squilibri commerciali fra i Paesi membri a vantaggio dei più competitivi. Robert Mundell, che di quella letteratura fu il fondatore, aveva in testa la Germania che già dal 1950 perseguiva con gusto surplus commerciali. Questa avrebbe certamente rifiutato di ridurre tali surplus espandendo la propria economia e accettando un’inflazione più alta al fine di importare di più dai partner. Il modello tedesco prevede infatti un’inflazione al di sotto di quella dei concorrenti e che siano questi ultimi a espandersi importando in tal modo di più e accrescendo la loro inflazione, ampliando così il loro gap competitivo con la Germania.

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cumpanis

Scacchiere europeo

Nuovi giochi e vecchie facce nello scacchiere europeo

di Spread It

Spread It, Collettivo di propaganda, informazione e discussione politica. Con questo articolo il Collettivo inizia la sua collaborazione a "Cumpanis"

IMMAGINE PRIMO PEZZO SEZIONE UE ASIA EURASIAIl giorno 25 i lettori della cronaca internazionale vengono investiti da una notizia, che, dati i toni usati da quasi tutta la stampa occidentale, sembra incredibile.

Un gruppo di imprenditori italiani, rappresentanti della Camera di Commercio Italia-Russia e del Comitato imprenditoriale italo-russo si incontra in video conferenza con Putin, ufficialmente per discutere dei rispettivi rapporti (1).

Notizia che spiazza il lettore medio, abituato a percepire tutto ciò che ha a che fare con l’occidente capitalista come baluardo del bene e della libertà, pronto, con la civiltà che esprime, a scagliarsi contro le autocrazie dispotiche dell’Est, contro i poteri personali che incrementano le distopie.

Notizia che spiazza gli ignari e defraudati lettori, ma che imbarazza anche il governo, guidato attualmente da uno dei campioni dell’atlantismo.

Un governo che si affretta ad avvisare gli Ad delle partecipate di cui fa parte, e che erano presenti all’incontro (ENI ecc.), di disertare il meeting e rientrare all’ovile.

Ma il meeting continua, nella mattinata del 26, segno che le cose da dirsi, insieme al presidente della Federazione Russa, hanno una certa importanza.

Questo appena riassunto, è un esempio di quanto le questioni aperte dall’espansionismo ad Est della NATO (in questa particolare contingenza) abbiano una complessità di fondo che non può essere ignorata.

Esistono due questioni, nell’attuale contingenza politica continentale, che sottendono alla situazione di stallo venutasi a creare tra gli Stati Uniti e la Federazione Russa.