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letture

“Eurosovranità o democrazia? Perché uscire dall’euro è necessario”

intervista a Domenico Moro

Domenico Moro: Eurosovranità o democrazia? Perché uscire dall'euro è necessario, Meltemi, 2020

linee moro eurosovranitaÇ democraziaridDott. Domenico Moro, Lei è autore del libro Eurosovranità o democrazia? Perché uscire dall’euro è necessario edito da Meltemi. L’euro, nato per costituire una tappa sul cammino dell’integrazione europea, ha finito per catalizzare su di sé il malcontento popolare per una crisi infinita: cos’è oggi l’euro?

L’euro è un elemento fondamentale dell’integrazione europea, anche se non tutti i Paesi dell’Ue ne fanno parte. Direi che oggi l’euro rappresenta l’architrave dell’intera costruzione europea. Quindi, è più corretto chiederci che cosa è oggi l’integrazione europea e in che modo l’euro agisce all’interno di essa. L’integrazione europea avrebbe dovuto rappresentare lo strumento per avvicinare i diversi Stati. In realtà, si è prodotta, anziché una convergenza, una divergenza sempre maggiore tra Stati, in particolare tra la Germania e Paesi come l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e, direi, anche la Francia, che, sebbene mantenga un profilo politico e diplomatico di grande potenza, è, dal punto di vista economico, in seria difficoltà. Ma il divario non è aumentato soltanto tra Paesi, anche all’interno dei singoli Paesi sono aumentate le divergenze, i divari tra ricchi e poveri. L’euro è una delle cause maggiori di questi processi di divergenza, essendo un fattore sia di riduzione del welfare sia di deflazione salariale. Infatti, il sistema dell’euro, essendo un sistema di cambi fissi, non permette le svalutazioni competitive che consentono di recuperare competitività sul mercato internazionale, spingendo così gli Stati più in difficoltà a usare la riduzione del costo del lavoro e dei salari come principale leva competitiva.

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contropiano2

Ancora con queste favole sul Recovery Fund?

di Dante Barontini

csm Recovery Fund UE 280f298854Messe da parte le elezioni regionali, metabolizzato il referendum taglia-rappresentanza, con un gigantesco sospiro di sollievo dei complici di governo (ed anche dell’opposizione fascioleghista), il chiacchiericcio politico è tornato sui vecchi tormentoni: cosa fare col Recovery Fund e prendere una decisione definitiva sull’utilizzo del Mes.

Il copione non è cambiato: la narrazione ufficiale parla di una vagonata di miliardi che “stanno per arrivare dall’Europa” e tutti i battibecchi vertono sul che farci.

I nostri lettori abituali dovrebbero ormai sapere che le cose non stanno affatto così, ma repetita juvant, anche perché se il chiacchiericcio resta fermo su questo tema non è che si possa far finta che tutti sappiano e abbiano capito. Anche perché la materia è tecnicamente ostica (non a caso) e anche i nostri sforzi di “divulgazione” non sempre risultano di facile lettura.

Ci aiutiamo, questa volta, con un tombale editoriale di Teleborsa, a firma dell’implacabile Guido Salerno Aletta, dal titolo A Bruxelles piace il passo dell’Oca.

Parte subito col piede sull’acceleratore:

Con il Recovery Fund si prepara un nuovo manicomio burocratico che ci farà impazzire. E’ più di una camicia di forza, un vero e proprio letto di contenzione. Il calcolo astruso dell’output gap o del NAWRU, previsti per rientrare nei parametri del Fiscal Compact, era solo un gioco da ragazzi.

Due spiegazioni ci vogliono, con le sigle oscure. L’output gap è un criterio di valutazione della capacità di produrre ricchiezza di un Paese, adottato dall’Unione Europea come uno dei tanti “parametri divini”. Anche se si base su un’unità di misura arbitraria. L’output reale di un Paese (il suo Pil effettivamente prodotto) viene messo a confronto con quello “potenziale”, e la differenza (gap) che ne risulta viene considerata positivamente (se è bassa) o negativamente (se è alta)-

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micromega

“L’Europa non è cambiata: il ritorno dell’austerità renderà inutile il recovery fund”

Daniele Nalbone intervista Antonella Stirati

stirati recovery fund economiaA partire dalla crisi economica, “aggravata e non scatenata dalla pandemia”, intervista ad Antonella Stirati, professoressa ordinaria di Economia politica presso la Facoltà di Economia dell'Università Roma Tre e autrice del libro “Lavoro e salari - un punto di vista alternativo sulla crisi”.

* * * *

La prima domanda è diretta e, diciamo così, generale: che autunno ci aspetta?

Partiamo da una considerazione: la pandemia non è finita e occorre prudenza nella nostra quotidianità. Questa estate, per la stanchezza dei difficili mesi che ci siamo lasciati alle spalle, ci siamo sentiti tutti un po’ più liberi. Ora dobbiamo fare più attenzione. Parto da una considerazione non economica perché credo che questa sia comunque una priorità Sul fronte economico è necessario fare un passo indietro: l’economia italiana aveva gravi problemi ben prima della pandemia. O meglio, i veri problemi li avevano i cittadini italiani. L’Italia non si è mai ripresa veramente dal doppio shock della crisi del 2008 seguita al crollo finanziario americano e della successiva crisi ‘degli spreads’ della zona euro. Dopo la crisi finanziaria, le politiche di austerità hanno causato un’ulteriore profonda caduta della nostra economia, basta guardare al pil e ai dati dell’occupazione per rendersene conto. In ogni caso, da una grande recessione come è stata quella del 2008 non si esce se non ci sono politiche finalizzate alla ripresa. Politiche che i paesi della “periferia europea”, con gravi problemi di debito di bilancio pubblico sulle spalle, non hanno potuto attuare. Anzi sono stati spinti dalle scelte di politica economica nell’Eurozona a fare politiche che hanno prima molto accentuato la recessione e poi ostacolato la ripresa.

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tempofertile

'Next Generation e stop & go dell’Europa'

guest post di Gabriele Pastrello

eu60 ue60 gentiloni europa roma 620x4301. Premessa. Maastricht e il Trilemma di Rodrik

Il trilemma di Rodrik[1] suona: non puoi avere democrazia, globalizzazione e sovranità nazionale tutti assieme. Affermazione che riecheggia il trilemma di Triffin, che non puoi avere contemporaneamente tre opzioni: cambi fissi, movimenti incontrollati di capitali e politiche espansive, ma solo due.[2] Il che rinvia direttamente all’impostazio­ne data dai Trattati di Maastricht al rapporto tra stati nazionali, mercati globali e poli­tiche economiche europee.

Il trilemma di Triffin[3] fu enunciato in riferimento agli accordi di Bretton Woods co­me anticipazione di un loro finale fallimento, come fu. Ma gli accordi di Maastricht seguono un’impostazione opposta a quelli di Bretton Woods. E se i primi sono stori­camente collegati al nome di Keynes i secondi lo sono - anche se in modo meno pub­blicamente esplicito - al nome dell’arci-antagonista di Keynes, Friedrich von Hayek. E, di fatto, a questi Trattati si applica maggiormente, come si è visto dopo la crisi del 2008-09 (e anche adesso) il Trilemma di Rodrik.

Quindi, se il Trilemma di Triffin rinvia a Bretton Woods e a Keynes. Il Trilemma di Ro­drik rinvia piuttosto ad Hayek e alle sue idee sul federalismo.

 

2. Hayek & la Teoria Generale. Una recensione in maschera.

Sappiamo che alla base dei Trattati di Maastricht ci fossero idee elaborate da Hayek. L’economista Issing, - che fu tra gli estensori - ne era un seguace e lo dichiara in una conferenza all’Institute of Economic Affairs di Londra.[4]

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tempofertile

"Bastone e carota"

L’audizione del Commissario Gentiloni sul Next Recovery Eu

di Alessandro Visalli

gentiloniIl Commissario Europeo Gentiloni ha svolto il primo settembre un’audizione presso le Commissioni Bilancio e Politiche della Ue della Camera e Senato nella quale ha descritto il meccanismo del “Next Generation Eu”, risposta europea alla crisi creata dalla emergenza sanitaria dovuta al virus ed alla sua malattia (Covid-19)[1].

Nei primi venticinque minuti Gentiloni ha presentato il meccanismo del “Next Generation Eu” come cruciale per il futuro e come sfida. Enfatizzando inoltre la novità data dalla raccolta di ingenti risorse a debito comune e il loro impiego, bisogna qui fare attenzione, per la “ripresa e riconversione” delle economie europee. La domanda immediatamente pertinente è quindi: riconversione per cosa? Questo il punto qualificante, per costringere (con carota e bastone, come mostrava Gabriele Pastrello[2]) le economie europee ad andare insieme verso una maggiore competitività, resilienza e sostenibilità (l'ordine vero è l'opposto di quello enunciato dal Commissario).

Il pacchetto di strumenti risponderebbe quindi ad una situazione potenzialmente esplosiva sia nel breve termine (abbiamo milioni di nuovi disoccupati ed intere filiere produttive, in particolare nei servizi, in grandissima sofferenza) e nel medio periodo (con la radicale crisi del modello export-led che ha guidato fino ad ora la Ue, in quanto imposto dai paesi nordici) e nel lungo (con lo spostamento dei rapporti di forza internazionali).

Questo esito è stato prodotto dalla durissima trattativa condotta nel Consiglio Europeo Straordinario del 17-21 luglio[3] che ha portato in extremis ad un accordo tra i “frugali” e i “mediterranei”, grazie all’allineamento con questi ultimi del “Gruppo di Visegrad”.

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micromega

La grande bufala del MES sanitario senza condizioni

di Guido Ortona

C’è ancora chi sostiene che i fondi MES per combattere il Covid non sarebbero sottoposti a nessuna condizionalità. Eppure queste ultime sono esplicitamente scritte nei documenti ufficiali (che a quanto pare molti si sono dimenticati di leggere)

mes sanitario condizioni1. Premessa

Ogni tanto si riapre il dibattito sul possibile ricorso al Meccanismo Europeo di Stabilità per finanziare le spese anti-covid. Chi è a favore di ciò avanza due argomenti: il primo è che i fondi sono disponibili subito; il secondo che ricorrere ad essi non comporta condizioni. Il primo argomento ha qualche fondamento, come vedremo, ma non molti; il secondo è completamente sbagliato, e vedremo perché. Per affrontare seriamente l’argomento dovremo fare un viaggio piuttosto noioso attraverso alcuni documenti ufficiali del MES e dell’Unione Europea. Purtroppo ciò è inevitabile: per citare Einstein, bisogna essere più semplici possibile, ma non più di così. È utile ricordare che il MES è un’entità a sé stante nell’ambito europeo, con un suo board di governatori, un suo consiglio d’amministrazione e un suo statuto; quindi “fare ricorso al MES” NON significa “chiedere all’Europa un prestito straordinario che si chiama MES”, bensì “chiedere un prestito al MES che verrà concesso secondo le regole fissate dal suo statuto, salvo eventuali deroghe”. Anticipiamo che l’unica deroga adottata è che si dà per assodato che tutti gli Stati membri hanno i conti abbastanza in ordine per potere rivolgersi al MES, senza l’istruttoria preliminare normalmente richiesta.

 

2. Il testo ufficiale

Il testo cui faremo riferimento è un documento ufficiale del board del MES dell’8 maggio 2020, il term sheet, cioè la specificazione delle clausole che regolano il prestito per affrontare il Covid. È in inglese, non ho trovato (e forse non esiste) la versione in italiano. La traduzione è mia. Per evitare accuse di cattiva traduzione riporterò fra parentesi il testo inglese.

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rproject

La crisi tra Recovery Fund e MES

intervista a Joseph Halevi

grande ondaPremessa: quest’intervista è stata condotta mentre stava scoppiando la pandemia del Coronavirus. Quindi è stato aggiunto un post scriptum redatto dall’intervistato in guisa di aggiornamento.

* * * *

D.: Riguardo alla crisi economica derivante dalla diffusione su scala internazionale della pandemia si stanno facendo molti paragoni storici: con il 1929, con il 2008…e così via. Secondo te hanno senso?

R.: No. Perché questi si possono fare solo ex-post, attraverso le analisi comparate per vedere le differenze. Per esempio, la crisi del decennio1929-1939, che si risolse con la “bella” guerra che portò la piena occupazione negli USA, mentre Hitler col suo banchiere Schacht, inventore dei buoni speciali che funzionavano da moneta parallela permettendo il riarmo senza dare nell’occhio, raggiunse  la piena occupazione già nella seconda metà degli anni trenta.

Il paragone si può fare con le crisi precedenti, quelle di fine ‘800, quella tra il 1870 e il 1875, su cui Paolo Sylos Labini scrisse un fantastico saggio, il migliore che abbia mai letto, eppure il mondo universitario del pianeta l’ho girato obtorto collo in lungo ed in largo per 45 anni ormai, senza essermi imbattuto in uno di ugual spessore. Il saggio si intitola “Alcuni aspetti dello sviluppo economico di un paese capitalistico oggi progredito (l’Inghilterra)” e venne pubblicato nella collezione di saggi di Paolo Sylos Labini stesso intitolata Problemi dello sviluppo economico, uscita nel 1970 presso la casa editrice Laterza. Sylos Labini svolse un’analisi comparata ta la crisi del 1870-75 e quella del 1930 sia per la Gran Bretagna che per gli Stati Uniti.

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nuovadirezione

La paura spagnola e l’Europa di Maastricht come alternativa

di Manolo Monereo

In memoria di Julio Anguita. Elaborò ipotesi, definì progetti e lottò con passione. Era mio amico

caf2e42b b6e0 4cc3 9ed5 d3e1c55c4a32 largePreambolo

Vista da una prospettiva storica, stupisce l’importanza del dibattito su Maastricht in Izquierda Unida, e oltre, in tutta la sinistra spagnola. Si stava vivendo un cambio di epoca e la fine di un ciclo storico. Oggi lo sappiamo con certezza: si trattava dell’esaurimento della spinta del movimento operaio organizzato attorno a un progetto alternativo di società e di Stato, impegnato a realizzare l’emancipazione sociale e il socialismo. Come suole avvenire, c’erano molti dibattiti nel dibattito e problemi congiunturali si intrecciavano con problemi di fondo. Per una parte dei partecipanti si trattava di una fuga: smarcarsi dal comunismo nel momento in cui questo entrava in una crisi finale. La parola d’ordine era semplice: sciogliere il Partito Comunista Spagnolo, convertire in partito Izquierda Unida e chiedere il nostro ingresso come osservatori nella Internazionale Socialista. Il Partito Comunista Italiano era il modello, indicava la strada. In questo contesto si svolse il dibattito su Maastricht.

La posizione maggioritaria, difesa da Julio Anguita, aggregava un gruppo eterogeneo, al cui interno si mescolavano a loro volta molte posizioni. Il fiasco di Maastricht ci pose di fronte a problemi di difficile soluzione, che richiedano tempo, analisi di fondo e decisioni meditate. La politica impone scenari, scadenze: occorreva posizionarsi. Sapevamo che la questione era strategica, che occorreva iniziare da ciò che era più urgente e proseguire approfondendo di fronte a un futuro che imponeva inevitabili rotture storiche. Fin dal primo momento fummo consapevoli della posta in gioco: accettare Maastricht significava mettere in pericolo il nostro debole stato sociale, obbligarci ad accettare le politiche neoliberali e rendere difficile il riformismo in tutte le sue accezioni.

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ilpungolorosso

L’Italexit: un passo avanti per i lavoratori, o una pericolosa deviazione di percorso?

di Pungolo Rosso

img 20200529 192350 805Sebbene la matrice originaria sia di destra, da anni la prospettiva dell’uscita dell’Italia dall’Unione europea e dall’euro ha conquistato molti militanti e diversi gruppi dell’extra-sinistra. L’adesione ad essa è avvenuta, a seconda dei casi, in nome della sovranità nazionale, della sovranità popolare o della sovranità democratica, tre differenti varianti di una stessa tesi: i lavoratori italiani dall’uscita dall’Ue e dall’euro hanno tutto da guadagnare, niente da perdere. In questa area politica dai confini interni fino a ieri piuttosto labili, la nascita di Italexit, il “partito” di Paragone, ex-direttore della Padania (un nome, una garanzia), ex-deputato dei 5S, estimatore della crociata O. Fallaci (hai detto tutto), ha avuto l’effetto di un detonatore. Alcuni avventurieri si sono precipitati a rotta di collo nel nuovo contenitore: lo impone, dicono, il realismo politico (i sondaggi parlano di 6-8% di voti…), e “sporcarsi le mani” è inevitabile se si vuole “fare politica”, inutile specificare di quale politica si tratti. Altri, Nuova direzione ad esempio, si sono tirati fuori dalla partita di Paragone&Co. perché non ci stanno a sostenere l’Italexit se è “solo una soluzione al problema del rango e della posizione del capitale italiano nel contesto della competizione internazionale, e quindi alla difesa del proprio ruolo sub-imperialista”, magari in stretta combutta con gli Stati Uniti; ci starebbero, invece, se servisse a “superare la condizione di subalternità dei lavoratori” e a “subordinare la logica del mercato (…) alle politiche realmente democratiche” (auguri!). Di altri ancora – Rete dei comunisti, Potere al popolo – si sono quasi perse le tracce, appaiono confusi e indecisi a tutto anche se la retorica nazionalista a sfondo sociale continua a farla da padrona nelle loro fila.

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sinistra

Next Generation Fund1: bastone & carota

di Gabriele Pastrello

§ 1. Premessa

woman 1245817La chiusura della vicenda ex-Recovery Fund e oggi Next Generation Fund ha scate­nato in Italia un diluvio di polemiche.2

Da un lato gli entusiasti. Quelli che avevano sofferto dell’atteggiamento negativo del­l’Unione rispetto al sostegno ai paesi in difficoltà, e che vedono nel Next Generation Fund l’opportunità di ravvivare la speranza nella ‘riformabilità’ dell’Unione europea. Che addirittura parlano di momento Hamiltoniano,3 che ovviamente non c’entra nulla col NG. Che verrà finanziato con l’emissione di titoli sotto la responsabilità comuni­taria della Commissione, ma che evidentemente non ha, né nessuno intendeva avesse, un ruolo rispetto al debito pregresso degli Stati.4

Dall’altra parte, chi a tutti i costi cerca di minimizzare funzioni ed effetti di questa scelta, senza avvertire che la vera novità di questa misura non è certo un’improvvisa e poco credibile ‘generosità’ europea - di cui si cerca di dimostrare l’inconsistenza al di là dell’evidenza - quanto la scelta di affiancare un consistente finanziamento (come incentivo obbligante) alle tradizionali richieste di condizionalità sia nel senso di ‘riforme’ sistemiche che nel senso del ‘rigore finanziario’; condizionalità a loro volta rafforzate dal ‘freno olandese’.

La vera novità starebbe nell’aver introdotto una strategia del ‘bastone & carota’ al posto di quella del solo ‘bastone’, come fu il caso di quando, col governo Monti, ci ven­ne5 imposta l’adesione senza riserve al Fiscal Compact, con la conseguenza che la debole ripresa italiana post-crisi venne spezzata, e il paese non ha ancora riguadagnato i livelli del Pil pre-2008.

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contropiano2

Mario Draghi for president, e che Grecia sia…

di Dante Barontini

mario draghi presidentQuando ai piani alti dicono “bisogna fare di più per i giovani” è bene fare gli scongiuri. Dovremmo avere imparato, dopo 30 anni di discorsi con questa frase in testa, che si sta preparando un attacco pesante alle condizioni di vita di tutta la popolazione. Di qualsiasi età, in qualsiasi posizione lavorativa, ma soprattutto con redditi medio-bassi o addirittura senza reddito.

Del discorso fatto ieri da Mario Draghi in apertura del Meeting di Comunione e Liberazione tutti – ma proprio tutti – i media principali hanno estratto la frase-killer per farne un titolo. Sicuri che il discorso completo non sarebbe stato letto da molti.

Così, ve lo proponiamo al termine di questo articolo, ma con qualche premessa che aiuti a districare la melassa retorica e individuare i nodi centrali. Che sono poi quelle “riforme” che l’Unione Europea continua a pretendere da tutti i suoi membri e che in Grecia sono state pienamente realizzate.

Lasciando un Paese distrutto, impoverito, con la popolazione alla fame e “i giovani” che fuggono a frotte cercando una soluzione di vita in altri Paesi.

Del resto, nessun programma di questo genere può essere proposto nudo e crudo, così com’è. Nessun leader può indicare la Grecia post-Memorandum come esempio di “successo”. Ma tutti i partecipanti alla vita politica – in posizioni chiave o dall’opposizione più ferma, come noi – sanno benissimo che la “cura greca” è stata voluta proprio come esempio macabro da tener presente in ogni momento.

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lantidiplomatico

Recovery Fund e l'Imperialismo frugale dell'Unione Europea

di Carla Filosa*

frugale imperialismoImperialismo frugale

La semplificazione geniale di Altan, che però richiede sempre capacità critiche, nella vignetta di due signore benvestite a confronto, è forse la spiegazione più evidente e immediata da fornire alle masse sull’uso mistificante del momentaneo significato di “frugale”, di cui si sono auto-fregiati gli stati europei più predatori di questi ultimi tempi. Al raggiro delle parole segue però più rilevante quello del contenuto, relativamente ai 209 miliardi che la bravura e la tenacia di Conte avrebbero strappato all’Europa, cui sarebbe stata chiesta l’inusuale “solidarietà” per la crisi pandemica “in comune”, di cui effettivamente nessun paese dell’Unione è stato economicamente responsabile. Come ormai risulta più chiaro, rispetto alla crisi economica già precedentemente in atto, la crisi sanitaria si è configurata in termini inediti, peraltro inattesa, sebbene già preannunciata da diverse “voci” verosimilmente ben informate. A circa sei mesi dalla sua sconvolgente comparsa, e tuttora innalzando il livello delle difficoltà economiche ormai mondiali nel calo dell’accumulazione di plusvalore, i governi degli stati europei si sono riuniti per affrontare una situazione “comune” all’interno della differenziazione imperialistica che avvicina le prede ai loro razziatori, nella contemporanea gestione di una propaganda per le masse credulone, con narrazioni di umanità fraterna e comprensiva che avrebbe unito un’Europa sempre idealizzata, e perciò mai esistita.

Per chi ancora riconosce nel termine imperialismo il dato di realtà presente, va ricordato che dal punto di vista delle sue precipue condizioni economiche, per quanto riguarda sia l’esportazione dei capitali sia la spartizione del plusvalore da parte dei capitali con base su potenze ex-coloniali e universalmente considerate “civili”, va preso atto che, finché perdura questo regime capitalistico, l’unità europea, sempre auspicata o invocata, è impossibile o può avviarsi prevalentemente verso derive reazionarie.

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lordinenuovo

La collocazione dell'uscita dall'UE nella strategia per il socialismo

di Domenico Moro

italexit 1Il dibattito intorno all’Unione Europea e alla permanenza dell’Italia al suo interno ha attinto nuova linfa dalla crisi sanitaria del Covid 19 e dalle conseguenti contrattazioni tra i paesi europei per l’individuazione dei meccanismi di sostegno agli Stati. Ciò che è, però, largamente assente dalla discussione è una posizione autonoma dei comunisti che approfondisca le condizioni attuali del processo di integrazione europea, la complessità delle relazioni competitive tra paesi capitalistici e i meccanismi di controllo e oppressione messi in campo attraverso le istituzioni dell’Unione Europea.

Con il seguente articolo inauguriamo una rubrica di discussione sul tema e intendiamo lanciare un’ampia riflessione strategica sul ruolo dei comunisti nella lotta contro le istituzioni europee. Lo faremo grazie a diversi contributi che si soffermeranno sui vari aspetti che compongono la questione, attraverso una molteplicità di punti di vista provenienti, anche, dai partiti comunisti degli altri paesi membri, con il fine di contribuire a far avanzare il dibattito tra i comunisti su questa importantissima tematica.

* * * *

La questione del giudizio da dare sull’Ue e sull’euro appare oggi ancora più centrale che nel passato alla luce della recente crisi del Covid-19. Come già verificatosi nel corso della crisi precedente, quella del 2007-2008, l’Ue e l’euro presentano delle caratteristiche intrinseche che impediscono di far fronte alla crisi e soprattutto di rispondere al peggioramento delle condizioni del lavoro salariato, a partire dai suoi settori più deboli quali quelli precari e sottoccupati.

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coniarerivolta

Quell’inspiegabile euforia sul Recovery fund

di coniarerivolta

bomboloLa proposta di Recovery Fund, poi Next Generation EU (NGEU), della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, dopo quattro giorni di discussione in seno al Consiglio europeo ha trovato il suo sbocco nell’accordo del 21 luglio, firmato dai rappresentanti dei Paesi dell’Unione europea.

Il piatto forte dell’accordo è un piano per la ripresa economica che potrà arrivare fino a 750 miliardi di euro. Una volta raccolte sul mercato, queste risorse saranno erogate ai Paesi dell’Unione nella somma di 390 miliardi sotto forma di contributi a fondo perduto (che, in altri termini, non dovranno quindi essere restituiti direttamente dai Paesi che li otterranno), e sotto forma di prestiti per 360 miliardi.

L’accordo, che si inserisce nel più ampio quadro finanziario pluriennale 2021-2027, è stato esaltato dai media italiani come un grande trionfo per il governo Conte, ma anche come una sorta di “rivoluzione” che segna la nascita di una nuova Unione europea, finalmente più vicina ai cittadini dei suoi Paesi. Un rinsaldamento dell’unione politica, evidenziato, in particolare, dal fatto che l’Unione si indebita ‘in prima persona’.

Come si vedrà, e come, peraltro, era ampiamente prevedibile, la realtà è ben diversa. Da un lato, infatti, i nuovi aiuti europei, soprattutto se considerati al netto dei contributi che i Paesi beneficiari devono, a loro volta, versare, sono poco più di un pannicello caldo. Ben poca roba davanti a quella che si annuncia come la più profonda crisi economica dall’ultimo dopoguerra. Dall’altro, cosa ancor più grave, vengono rafforzati e affinati quei meccanismi di controllo e di imposizione dell’austerità che hanno da sempre caratterizzato, in maniera via via più invasiva, la storia dell’integrazione europea, con un portato di disoccupazione, disagio sociale e precarietà per descrivere il quale non si può far altro che parlare di disastro.

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effimera

L’accordo europeo per il Recovery Fund

Paesi “frugali”, vantaggi per l’Italia e fake news

di Andrea Fumagalli

Europe1. Si discute in Europa di Recovery Fund come possibile strumento per fronteggiare la grave crisi economica e sociale avviata dall’emergenza Covid-19 e uno dei motivi del contendere è la riluttanza dei cosiddetti paesi “frugali” a concedere prestiti a fondo perduto ad alcuni paesi mediterranei, considerati troppo spendaccioni. L’Italia guida la classifica di questi paesi, da mettere “sotto osservazione” secondo quanto dichiarato più volte dal premier olandese Rutte e dal premier austriaco Kurz.

Con l’accordo del 21 luglio viene definito, dopo un serrato confronto, il programma che segna la nuova politica fiscale europea, con 750 miliardi di fondi, ma con una riduzione dei sussidi a fondo perduto: saranno 390 i miliardi anziché 500, il resto in prestiti. L’accordo prevede anche una riduzione del bilancio dell’Unione per il 2021-2027 che viene rifinanziato per 1.074 miliardi: una cifra contenuta rispetto al budget 2014-2020 e alle proposte che erano in discussione prima della pandemia.

Per quanto riguarda l’Italia, grazie ai nuovi criteri di allocazione delle risorse, al nostro Paese spetterà un ammontare di fondi superiore a quello previsto a fine maggio: 209 miliardi di euro, circa 82 di sussidi a fondo perduto e 127 di prestiti (rispetto ai circa 90 inizialmente previsti). Il piano di spesa prevede l’impegno del 70% delle risorse nel biennio 2021-2022 e il restante 30% entro la fine del 2023. I prestiti dovranno essere rimborsati un anno prima rispetto alla bozza della Commissione, tra il 2027 e il 2058.

Il rapporto sussidi / prestiti si riduce allo 1,1[1]. Per l’Italia, il rapporto sovvenzioni/prestiti si riduce notevolmente rispetto alla media europea arrivando a 0,64, a riprova di come il nostro paese, considerato meno affidabile, si trovi già in una situazione penalizzata.