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Tremonti al "netto" di Monti

L'inutilità contabile del più €uropa e la curva di Phillips implicita

Quarantotto

Pieter Bruegel d Ä 007La notizia è "rimbalzata" su tutti i giornali e le televisioni. Perciò, a titolo esemplificativo, vi riporto un articolo sul "taglio" che gli è stato dato:

"L'austerity fa male all'economia, ma anche ai conti pubblici e all'occupazione. Il rigore imposto ai paesi dell'Unione europea, è la causa della recessione e anche della contrazione nelle entrate fiscali. È un atto di accusa contro gli eccessi del rigore quello lanciato ieri dalla Corte dei conti alla presentazione del Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica presentato ieri al Senato. Sempre a Palazzo Madama la Fiaip, la federazione degli agenti immobiliari ha calcolato che per colpa della stretta sul credito e dell'Imu si sono persi 500 mila posti di lavoro in quattro anni.

«L'intensità delle politiche di rigore adottate dalla generalità dei paesi europei è stata una rilevante concausa dell'avvitamento verso la recessione», si legge nel rapporto della Corte dei conti. I giudici contabili hanno quantificato la perdita di Pil negli anni acuti della crisi. Oltre 230 miliardi di euro nell'arco della legislatura 2009-2013.

Sul fronte dei conti pubblici le manovre si sono fatte sentire, ma solo perché hanno «consentito importanti risparmi di spesa, il cui livello è risultato nel 2012 inferiore di oltre 40 miliardi alle stime iniziali». Peccato che i sacrifici siano praticamente annullati; innanzitutto perché la spesa rispetto al Pil è rimasta invariata poi perché è stato mancato il pareggio di bilancio. Spiega la Corte: «Il cedimento del prodotto non ha permesso alcuna riduzione dell'incidenza delle spese sul Pil passata, nel triennio, dal 47,8 al 51,2 per cento».

Poi, «l'adozione di una linea di severa austerità (oggi oggetto di critiche e ripensamenti)» non ha «impedito che gli obiettivi programmatici assunti all'inizio della legislatura fossero mancati». Alla fine della scorsa legislatura, è stato mancato il pareggio di bilancio con un indebitamento netto di quasi 50 miliardi più alto rispetto delle previsioni.

Anche la Corte dei conti registra il calo delle entrate fiscali dovuto al crollo del Pil. In cinque anni, dal 2009 al 2013, la perdita permanente di prodotto si è tradotta in una caduta del gettito fiscale anche superiore alle attese: quasi 90 miliardi in meno.

Allo stesso tempo la pressione fiscale è aumentata rispetto al 2009 di oltre un punto in termini di Pil. «La perdita permanente di prodotto - ha osservato il presidente della Corte Luigi Giampaolino nella prefazione al Rapporto - si è tradotta in una caduta del gettito fiscale ma non in una riduzione della pressione fiscale». Ora l'auspicio dei giudici contabili è che si punti sulla crescita. Ma non in deficit. Servono «stimoli per crescere di più, non deroghe per spendere di più».

Alla presentazione del rapporto il ministro dell'Economia ha dato qualche indicazione sulle misure allo studio del governo.

Ad una domanda sull'Iva, il ministro ha risposto: «Dobbiamo concentrarci sugli investimenti». Segno che, nel borsino delle policy governative, le misure sull'Iva stanno perdendo quota a vantaggio degli incentivi all'occupazione e la riduzione del costo del lavoro.

Anche l'Imu ha un peso sull'occupazione. Insieme alla stretta sul credito, secondo la Fiaip, è costata mezzo milione di posti di lavoro al settore. E un crollo delle compravendite del 25,7%
."

 A questo punto possiamo notare alcune cose:

a) non si parla del moltiplicatore fiscale;

b) quindi si insiste nel ritenere che la recessione, quella che parte dal trimestre finale del 2011, non quella del 2008-2009, che si era già esaurita nella modesta crescita del 2010, veda l'austerità "soltanto" come una concausa, quando invece ne è la causa essenziale, agevolmente accertabile e calcolabile;

c) ergo, si ritiene che la disoccupazione sia a sua volta un effetto mal calcolato di un generico "eccessivo rigore", che più o meno sarebbe dovuto alle troppe tasse, come evidenzia l'immediato accostamento con la quetione IMU;

d) forti del fatto che, oltre al moltiplicatore, si trascura (come sempre, "apparentemente") la curva di Phillips quale meccanismo economico che non poteva altrettanto essere ignorato, si insiste che occorra puntare alla crescita ma non in deficit, escludendosi deroghe per "spendere di più", e piuttosto collocandosi gli stimoli alla crescita,, necessariamente e inesorabilmente, sul fronte degli sgravi fiscali.

Ma in realtà della fatidica" curva" si tiene conto più che mai, dato che la relazione negativa tra disoccupazione e crescita salariale è verificabile tanto meglio quanto più si elimina la rigidità del mercato del lavoro (sul lato della domanda).

Di quanto questa impostazione sia un gatto che si mangia la coda abbiamo parlato fino a sfinirci, proprio utilizzando nell'analisi il calcolo del moltiplicatore e indicando come la disoccupazione si colleghi alla deflazione salariale come principale obiettivo delle politiche che si sono seguite.

Abbiamo anche evidenziato che, con la teoria della crescita mediante sgravi fiscali "senza deficit", cioè coperti da corrispondenti riduzioni della spesa, si  proseguirà ad avere recessione (o, nella migliore delle ipotesi, stagnazione del PIL, ma di certo dopo il 2014), dato che la domanda mondiale ristagna proprio a causa della impostazione europea, così ostinatamente proseguita, e non si hanno serie prospettive di crescere con quello che è l'obiettivo dettato dalla Germania: le esportazioni, cioè la domanda estera.

Perchè il resto del mondo neutralizza la tattica tedesca, estesa a tutto il continente, con politiche espansive che incidono anche sui cambi valutari rispetto all'euro e non sta certo ad aspettare, mentre l'area UEM è simultaneamente impegnata nella stessa folle rincorsa al ribasso del costo del lavoro con contrazione della domanda e delle reciproche importazioni
.
 

L'unica concessione è che la riduzione del costo del lavoro "ora" parrebbe che vogliano realizzarla ora con qualche forma di (de)fiscalizzazione: ma senza sostegno della spesa, cioè alla domanda, è una prosecuzione della recessione e quindi del livello di disoccupazione che tenderà a comprimere lo stesso livello salariale.

Alla fine, si ritiene di "tenere duro" sulla linea fin qui seguita, dando in pasto all'opinione pubblica, per prendere tempo, l'idea salvifica di modeste (necessariamente, quando si arriverà al dunque) attenuazioni del carico fiscale complessivo, in pareggio di bilancio (nel senso di Haveelmo, visto qui).

Insomma, aspettatevi la prosecuzione con "altri mezzi", leggermente più lenti, della guerra mediante rosolamento, da fuoco vivo a fuoco lento, di un'Italia sfinita dall'euro, ma sempre colpevolizzata dall'Europa che continua a invocare le riforme strutturali: per Olli Rehn l'efficienza della pubblica amministrazione si persegue tagliandone la spesa relativa e comunque, "la riforma Fornero non basta"! Cosa prontamente accettata dai nostri stessi governanti.
 

Questo documento della Camera dei deputati, dell'agosto del 2011, del Servizio bilancio dello Stato, (di cui per "divertimento" consigliamo l'integrale lettura) mostra come vengano fatti i calcoli delle "tendenze", in modo puramente contabile, e come si ignori il moltiplicatore. E si vede pure, allo stesso tempo, come non siano enunziate le teorie neo-classiche che giustificano i calcoli stessi, che implicano la mira nascosta (a monte e nelle menti degli economisti che variamente programmano e avallano queste impostazioni di politica economica) di agire sulla base della curva di Phillips, cioè di privilegiare (senza riuscirvi) la stabilità finanziaria e di deflazionare il lavoro provocando disoccupazione (riuscendovi). Avendo l'unico obiettivo della "competitività"...del costo del lavoro, al fine di mantenere il giogo dell'euro senza metterlo mai in discussione circa la sua sostenibilità.

Ovviamente, questa impostazione non pare cosciente in alcun dibattito tutt'ora seguito in materia, come conferma l'opinamento della Corte dei Conti: per realizzarla basta un'unica incontestabile proposizione: "adeguarsi al diktat €uropeo". E infatti quella fu proprio la manovra che conseguì alla famosa lettera BCE. La linea su cui Draghi insisterà e insiste irremovibile fin da allora.

La situazione, paradossalmente, è che se ci si fosse attenuti alla mera manovra di Tremonti, il risultato sui conti pubblici sarebbe stato grosso modo il medesimo: certo secondo "quelle" stime, ma indubbiamente, in retrospettiva, tale da rendere grosso modo pari a zero il vantaggio fiscale delle manovre successive. Insomma se il governo Monti non fosse esistito avremmo avuto una minore recessione e conti pubblici più o meno con gli stessi indicatori.

Non vogliamo difendere Tremonti.

Ciò è fuori questione, dato che anche in quella fase si è lo stesso (e come sempre) trascurato il moltiplicatore fiscale e non si è mai menzionato il vincolo di cambio...e dire che poteva ben farlo e "resistere", allora, di fronte alla immnente prospettiva di perdere la sua posizione di potere! 

Si può però evidenziare che la situazione, condizionata dagli "spread", col subentrare del governo Monti, ha obiettivamente portato alla accelerazione non certo di una politica di risanamento dei conti pubblici, sui quali le manovre aggiuntive di Monti stesso hanno dato risultati praticamente indifferenti, se non peggiorativi (si veda l'indebitamento netto; ma, ripeto, bisogna sempre utilizzare il moltiplicatore anche rispetto alle manovre tremontiane).

Le manovre montiane, comparate con i saldi contabili derivanti da quanto fu fatto nell'estate 2011, risultano così, in modo eloquente, esclusivamente volte alla deflazione salariale mediante incremento della disoccupazione (anche chiamando il tutto "riforme strutturali", flessibilità e via dicendo, ma il discorso quello rimane). In ogni caso anche se l'impatto di quella manovra 2011 sul PIL viene calcolato senza alcun moltiplicatore, trascurandosi perciò l'effetto della caduta della base imponibile e quindi del gettito, la caduta della domanda aggregata sarebbe stata minore.

A "occhio", di circa la metà nel 2012-2013, mentre il deficit sarebbe conseguentemente risultato lo stesso, con la differenza di qualche decimale. In concreto, si sarebbe avuta una recessione di circa 0,6-0,7 punti nel 2012, di circa 1,6 punti del 2013 e intorno alla stessa misura anche nel 2014. Ovviamente salve le ulteriori misure correttive che, forse, avrebbero potuto essere imposte di fronte al fallimento degli obiettivi di deficit: ma in misura minore e in un clima di "raffreddamento" dell'austerity nel frattempo comunque subentrato. E analogamente il saldo primario
:
 

Correzione dei saldi tendenziali e programmatici operata con il decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011

La manovra posta in essere con il D.L. n. 98/2011
contiene misure finalizzate a conseguire gli obiettivi di finanza pubblica indicati nel Documento di economia e finanza e nel Patto di stabilità presentati dal Governo nell’aprile 2011, oggetto della raccomandazione del 7 giugno 2011 della Commissione europea.

I suddetti obiettivi consistono nel raggiungimento di valori dei saldi programmatici di finanza pubblica per il 2013 e 2014 pari, rispettivamente, a 1,5 e 0,2 per cento del PIL in termini di indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni. Parallelamente l’avanzo primario è atteso passare dallo 0,9 per cento del PIL nel 2011 al 3,9 per cento nel 2013 e al 5,2 per cento nel 2014.

La tavola 3, confrontando il dato tendenziale di indebitamento netto rilevato a legislazione ante-manovra con quello programmatico, evidenzia la misura della correzione dei saldi. In particolare, il raggiungimento dei saldi programmatici richiedeva, secondo il DEF, una manovra correttiva (in termini di minori spese al netto interessi e di maggiori entrate) pari all’1,2 per cento nel 2013 e al 2,3 per cento nel 2014, mentre non si consideravano necessarie correzioni per gli anni 2011 e 2012 per i quali il valore del deficit tendenziale e programmatico risultavano coincidenti (3,9 e 2,7 per cento del PIL).



Tavola 3 -
Saldi tendenziali e programmatici nel DEF-Programma di stabilità, aprile 2011

 
Dato un PIL (in termini nominali) che raggiunge nei due anni, rispettivamente, 1.697 e 1.755 miliardi,  la correzione indicata dai documenti programmatici comportava una manovra di circa 20 miliardi nel 2013 e 40 miliardi nel 2014.
 
La manovra complessiva, nel testo del decreto legge n. 98/2011 come modificato dalla legge di conversione n. 111/2011, determina un effetto di riduzione dell’indebitamento netto pari a 2,1 miliardi nel 2011, 5,6 miliardi nel 2012, 24,4 miliardi nel 2013 e 47,9 miliardi nel 2014. In termini di incidenza sul PIL, nell’ultimo anno la correzione risulta pari al 2,7 per cento rispetto al 2,3 per cento indicato nel DEF-Programma di stabilità.


Tavola 4– Effetti della manovra sull’indebitamento netto
                                                                                                                   

 


Conseguentemente, rispetto ai valori indicati nei documenti programmatici, si determina una più rapida riduzione del deficit, che giunge ad annullarsi a fine periodo. La manovra, inoltre, ha determinato un effetto di miglioramento dei saldi anche nel 2011 e nel 2012.

Tavola 5– Indebitamento netto tendenziale


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