L’unione monetaria europea e la crescita economica
Jacques Sapir
Gli esperti hanno affermato per anni che l’implementazione dell’unione monetaria europea, ossia l’”Eurozona”, avrebbe avuto degli effetti estremamente positivi sull’economia degli stati membri. Ricerche accademiche solidamente supportate dai dati contraddicono queste pretese.
L’argomento iniziale e le illusioni
E' stata largamente diffusa l’illusione che una zona monetaria con una sola valuta avrebbe generato un rapidissimo aumento dei flussi commerciali tra gli stati membri. Questa aspettativa deriva da studi teorici ed empirici, in particolare da quelli di Andrew K. Rose[1]. Questi scritti, basati su un gravity model [2], attribuivano grande importanza alla vicinanza geografica degli aderenti. Dando luogo a quello che è stato battezzato come l’”effetto Rose” e a una letteratura estremamente favorevole all’unione monetaria, questi studi consideravano le valute nazionali come un “ostacolo” al commercio internazionale [3]. L’integrazione monetaria doveva consentire una migliore interazione tra i cicli economici dei paesi aderenti [4]. Avrebbe anche dovuto portare a un accumulo di conoscenze, consentendo un forte incremento di produzione e di potenziali scambi [5].
In un certo senso, l’Unione Monetaria avrebbe creato le condizioni adatte al successo di un’”Area Valutaria Ottimale” [6], seguendo dinamiche che sembravano essere endogene [7]. Da cui le famose dichiarazioni di molti politici riguardo al fatto che, con la sua sola esistenza, l’Euro avrebbe portato una forte crescita tra gli stati membri.
Addirittura, Jacques Delors e Romano Prodi sostennero che l’Euro avrebbe incrementato la crescita europea dell’1-1,5%[8].
Dopo questi lavori, ne vennero prodotti degli altri, che affinavano le ipotesi di Rose, e riscontravano una considerevole riduzione nella dimensione degli effetti positivi dell’Unione Monetaria [9]; questi effetti rimanevano comunque significativi, con un aumento degli scambi economici tra gli stati membri dell’eurozona stimato tra il 20 e il 40% [10]. Non c’era quindi alcun dubbio, nelle menti di questi esperti, che l’introduzione dell’Euro avrebbe avuto effetti estremamente positivi sulle economie dei paesi membri.
Dubbi e critiche
Eppure questi lavori sono stati sottoposti a dure critiche per i metodi econometrici utilizzati [11]. In particolare, i modelli di stima dell’incremento del commercio internazionale tramite il cosiddetto gravity model, se si prestano bene al commercio bilaterale, non sembrano adeguati ad analizzare un contesto multi paese. Inoltre, e questa è una critica ancor più fondamentale, questi modelli sembrano non tenere in considerazione la persistenza del commercio internazionale [12], che può essere spiegata con vari fenomeni, inclusa l’asimmetria dell’informazione. Ma soprattutto, questi modelli negano l’esistenza di fattori endogeni nello sviluppo del commercio, che non sono condizionati dall’esistenza - o non esistenza - di un’Unione Monetaria.
Questi diversi elementi hanno portato ad una fondamentale revisione dei risultati ottenuti dallo studio iniziale di A.K. Rose. Basandosi su quasi 20 anni di ricerca sul commercio internazionale e sui gravity model [13], Harry Kelejian (con G. Tavlas e P. Petroulas) ha riconsiderato la stima degli effetti di un'unione monetaria sul commercio internazionale dei paesi membri [14]. Con risultati devastanti.
L’impatto dell’Unione Economica e Monetaria sul commercio dei suoi paesi membri viene ora stimato in una crescita tra il 4,7 e il 6,3%, valori molto distanti perfino dalle valutazioni più pessimistiche, che avevano previsto effetti minimi del 20%, e questo senza considerare nemmeno le prime previsioni di Rose, che stimavano questi effetti tra il 200% e il 300%. In soli 10 anni, abbiamo dunque assistito a un ridimensionamento prima dell’ordine di 10 a 1 (dal 200% al 20% [15]), e poi ancora a un altro calo, che ha ridotto il livello di questi effetti dal 20% a una media del 5% (un fattore di 4 a 1) [16]. L’effetto di persistenza nel commercio sembra essere stato molto sottostimato e, al contrario, gli effetti positivi dell’unione monetaria altrettanto grandemente sovrastimati, probabilmente per ragioni squisitamente politiche. Non si può fare a meno di notare che i più stravaganti annunci riguardo gli effetti positivi dell’Unione Economica e Monetaria (con stime di un incremento del 200% del commercio tra paesi aderenti) sono stati fatti proprio nello stesso momento in cui l’Euro veniva introdotto. La bugia era davvero molto grossa…
Queste dichiarazioni servivano evidentemente da giustificazione per le politiche e i politici di quel tempo. Gli stessi argomenti vengono oggi utilizzati per dare consistenza all’idea che una dissoluzione dell’area Euro porterebbe a una catastrofe, con gli stessi numeri che vengono usati ancora una volta a fini di propaganda, di “Funkpropaganda”, ma questa volta nella maniera opposta, ossia per “predire” un collasso degli scambi internazionali dei paesi coinvolti, e quindi un crollo del PIL nel caso di un’uscita dall’Euro. Tuttavia, se gli effetti sul commercio internazionale creati da un’unione monetaria sono stati deboli, si può dedurre che al contrario gli effetti sui prezzi (quella che è chiamata “competitività di costo”) sono significativamente al di sopra di quanto considerato dalla vulgata dominante. [17]. Questo ridà tutta la sua importanza agli effetti di una svalutazione nel ripristinare la competitività di alcuni paesi. Benjamin Disraeli è noto per aver detto “ci sono delle bugie, delle maledette bugie, e le statistiche”. Possiamo allora aggiungere “e c’è anche l’econometria…”.
Ritorno al reale
Nella realtà, da quando è stata introdotta la moneta unica, la crescita nell'Eurozona è stata inferiore a quella dei suoi partners.
Tabella 1
Tasso di crescita del PIL a prezzi costanti. Media del periodo
Fonti : Database OECD.
(http://www.oecd.org/eco/sources-and-methods ).
[...]
Si nota che, rispetto alla media OCSE, la zona euro ha registrato una crescita inferiore dallo 0,5% allo 0,7%. Questo potrebbe essere il risultato dell'introduzione della moneta unica, che ha agito come un enorme freno per l'attività economica degli Stati membri [18]. Da questo punto di vista, si è colpiti dal fatto che, dopo l'introduzione dell'euro, il ruolo dell'Europa sulla scena economica internazionale non ha smesso di diminuire.
Va anche sottolineato che l'impatto delle politiche economiche nazionali attuate nei paesi della zona proprio in risposta all'introduzione della moneta unica ha avuto una notevole importanza sulle traiettorie individuali seguite da questi paesi. Per esempio, l'aumento del debito pubblico in Francia è stato in gran parte legato alla compensazione degli effetti negativi dell'euro sulla crescita. Così, l'impatto dell'euro non si manifesta solo sulla crescita, ma sulla totalità degli indicatori, tra cui gli indicatori di bilancio e del debito pubblico. Da questo punto di vista, lungi dal provocare la convergenza delle dinamiche economiche e del "ciclo economico", l'introduzione dell'euro è stata segnata da una crescente divergenza all'interno della zona stessa.
Tabella 2
Tasso di crescita interno all'Eurozona
Source : Database of Economic Perspectives of the OECD, no 88.
Nel caso della Francia, i successivi governi hanno scelto di sostenere una politica di bilancio fortemente espansiva, al fine di compensare l'impatto dell'euro sulla crescita. Ciò ha consentito alla Francia di non soffrire troppo dell'introduzione dell'euro, ma con la conseguenza di un debito pubblico alle stelle. Se si prendono in considerazione tutti gli aspetti della politica economica, diventa chiaro che l'euro ha avuto per circa 15 anni ormai un effetto estremamente negativo sulle economie dei paesi membri. L'introduzione della moneta unica è stata davvero un tragico esperimento, il cui prezzo i paesi membri non hanno ancora finito di pagare.
Traduzione di Malachia Paperoga
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