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L’Europa chiusa in gabbia

Marco Bascetta

Derive continentali. Sullo spazio pubblico europeo incombono minacciose le ipotesi di ristrutturazione della governance. Proposte che puntano a consolidare il potere della finanza, attraverso una controriforma delle costituzioni nazionali. Alcune considerazioni a partire da un libro di Slavoj Zizek e Srecko Horvat pubblicato da ombre corte

Nella pre­fa­zione a una rac­colta di arti­coli di Sla­voj Zizek e Srecko Hor­vat (Cosa vuole l’Europa?, Ombre corte, pp. 153, euro 14) scrive Ale­xis Tsi­pras: «l’economia è come una mucca. Si nutre di erba e pro­duce latte. È impos­si­bile ridurre la sua razione di erba di tre quarti e pre­ten­dere che pro­duca quat­tro volte più latte. Essa ne mori­rebbe sem­pli­ce­mente». È una imma­gine sem­plice e inci­siva quella cui fa ricorso il lea­der di Syriza per descri­vere le pre­tese che la Troika avanza nei con­fronti della Gre­cia e i loro deva­stanti effetti. Fatto sta che il sug­ge­stivo esem­pio scelto da Tsi­pras è veri­tiero solo fino a un certo punto. La dot­trina e la pra­tica del neo­li­be­ri­smo hanno tro­vato da un pezzo il modo di mun­gere anche la più sche­le­trica delle muc­che, pur rin­vian­done costan­te­mente il decesso. A par­tire dalla sepa­ra­zione netta e indi­scussa tra l’obbligo di pagare gli inte­ressi del debito e la neces­sità della cre­scita eco­no­mica. Lad­dove il primo rap­pre­senta un impe­ra­tivo oltre che indi­pen­dente gerar­chi­ca­mente sovraor­di­nato alla seconda. La ren­dita finan­zia­ria si garan­ti­sce, insomma, non sulla base di una espan­sione pro­dut­tiva, ma sulla base di un potere di ricatto spu­do­ra­ta­mente tra­ve­stito da prin­ci­pio etico.


Stran­go­lati e risanati


Per restare nella meta­fora bovina, la nostra mucca non avrà biso­gno di pro­durre quat­tro volte più latte, ma di river­sare gran parte del poco che pro­duce nella cisterna dei cre­di­tori.

Sol­venza e soprav­vi­venza diven­tano così sino­nimi in un assetto euro­peo che a parole perora la causa della cre­scita, ma che nei fatti dimo­stra di saperne, o volerne, fare a meno. Può durare all’infinito? Ragio­ne­vol­mente si dovrebbe rispon­dere di no. Ma è dif­fi­cile pre­ve­dere il mar­gine di regres­sione sociale, eco­no­mica e cul­tu­rale che le oli­gar­chie finan­zia­rie pos­sono ancora imporre alla popo­la­zione dei paesi debi­tori e delle eco­no­mie più deboli, quanto del benes­sere e dei diritti acqui­siti e quanto a lungo potrà con­ti­nuare a essere sacri­fi­cato sull’altare del fiscal com­pact. In que­sto senso è asso­lu­ta­mente lam­pante che la «tera­pia di risa­na­mento» impo­sta alla Gre­cia da Ber­lino, Bru­xel­les e il Fondo mone­ta­rio, fun­ziona come un labo­ra­to­rio nel quale si spe­ri­menta cini­ca­mente un modello di disci­pli­na­mento appli­ca­bile a diversi altri paesi europei.

È il governo della crisi, nella per­pe­tua­zione dei mec­ca­ni­smi che la hanno pro­dotta, quello che si sta spe­ri­men­tando nei paesi dell’Europa medi­ter­ra­nea. Su que­sto punto Zizek e Hor­vat, a par­tire dai loro spe­ci­fici punti di osser­va­zione, rispet­ti­va­mente la Slo­ve­nia e la Croa­zia, due paesi che non si pos­sono certo con­si­de­rare al riparo dai ricatti dell’ «Europa ger­ma­nica», ritor­nano insistentemente.

Que­sto destino da «cavia» toc­cato alla Gre­cia e la deter­mi­na­zione poli­tica di rifiu­tarlo, tenen­dosi però alla larga da ogni ten­ta­zione nazio­na­li­sta e anti­eu­ro­pea, è tra le ragioni che hanno con­fe­rito a Syriza e al suo lea­der Ale­xis Tsi­pras un signi­fi­cato sovra­na­zio­nale nello scac­chiere con­ti­nen­tale, ovvero la scelta del ter­reno euro­peo come il solo ade­guato a con­tra­stare la teo­ria e la pra­tica del libe­ri­smo. Le sim­pa­tie che il gio­vane lea­der greco sta rac­co­gliendo in tutto il con­ti­nente stanno ad indi­care che que­sto punto di vista, quello degli «euro­pei­sti insu­bor­di­nati», come li chiama Bar­bara Spi­nelli, si sta ampia­mente dif­fon­dendo e non solo in vista della sca­denza elet­to­rale di mag­gio. Nella con­sa­pe­vo­lezza che le social­de­mo­cra­zie euro­pee, per non par­lare di ancor più mode­rati cen­tro­si­ni­stra, non sono in grado di spin­gersi oltre mode­sti cor­ret­tivi delle ricette liberiste.


La reli­gione del debito


Il caso greco non è solo quello più dram­ma­tico, ma anche quello che più niti­da­mente ha messo in luce l’ipocrisia delle oli­gar­chie euro­pee e la sfac­cia­tag­gine con cui sol­le­ti­cano l’opinione pub­blica dei più com­pe­ti­tivi paesi del nord. Al momento dell’esplosione del debito greco, i governi che si erano suc­ce­duti ad Atene furono accu­sati delle peg­giori nefan­dezze: di avere truc­cato e mani­po­lato i conti, di avere dila­pi­dato enormi risorse per man­te­nere le pro­prie clien­tele e per acqui­stare con­senso elet­to­rale, in poche parole di avere cor­rotto l’intero paese. Ma quando, con le ele­zioni del 2012, Syriza, un par­tito che annun­ciava di ribel­larsi alle regole det­tate dalla Troika, minac­ciò di vin­cere le ele­zioni, da Ber­lino a Fran­co­forte a Lon­dra, con il con­tri­buto di gran parte dei media filo­go­ver­na­tivi, piov­vero gli inviti, più o meno minac­ciosi, rivolti agli elet­tori greci per­ché votas­sero pro­prio per quei par­titi, il mori­bondo Pasok e «Nuova demo­cra­zia», che di quei governi cor­rotti e cor­rut­tori erano stati i pro­ta­go­ni­sti indi­scussi, ma che ora si ren­de­vano dispo­ni­bili a tar­tas­sare la popo­la­zione in nome dei sacri diritti della ren­dita finan­zia­ria. Non potrebbe esservi un esem­pio più chiaro di que­sto dell’interazione tra oli­gar­chie nazio­nali e sovra­na­zio­nali, né indi­ca­tore più pre­ciso di quanto insen­sata e regres­siva sia la via del ritorno alle sovra­nità nazionali.

Il governo tec­no­cra­tico dell’Unione euro­pea e i governi nazio­nali, che ne con­di­zio­nano pesan­te­mente il senso di mar­cia, con­di­vi­dono e si riman­dano, in un con­ti­nuo gioco di spec­chi, carat­teri sem­pre più mar­ca­ta­mente post­de­mo­cra­tici. Ciò che a livello nazio­nale (come dimo­stra anche la poco appas­sio­nante disputa sulla legge elet­to­rale in Ita­lia) rap­pre­senta l’ossessione della cosid­detta «gover­na­bi­lità», che dovrebbe met­tere i gover­nanti al riparo dall’insoddisfazione dei gover­nati, cor­ri­sponde pie­na­mente, sul piano euro­peo, a quella rigi­dità della gover­nance che sacri­fica i diritti e i livelli di vita dei cit­ta­dini alla sta­bi­lità della ren­dita. Cosic­ché gli stessi prin­cipi, più o meno vin­co­lanti, enun­ciati dai trat­tati pos­sono essere sospesi o con­ge­lati quando quest’ultima si ritenga minacciata.


Gover­na­bi­lità postdemocratica


Fatta nau­fra­gare la Costi­tu­zione euro­pea, si prov­vede, quindi, ad adat­tare le Costi­tu­zioni nazio­nali al governo oli­gar­chico della crisi. Costi­tu­zioni, fra l’altro, cui non è rico­no­sciuto affatto il mede­simo peso, con­tando, per esem­pio, assai di più quella tede­sca di quella greca, slo­vena o ita­liana. Non è stata forse costretta l’intera Europa a pen­dere dalle lab­bra della corte costi­tu­zio­nale tede­sca di Karl­sruhe e subirne i tempi di decisione?

Se la Costi­tu­zione poli­tica euro­pea è stata lasciata alle­gra­mente boc­ciare dagli elet­tori fran­cesi e olan­desi, non appena si accenni a sot­to­porre una qual­che misura dra­co­niana di governo della crisi a un pro­nun­cia­mento demo­cra­tico, scat­tano il veto e la minac­cia, la demo­niz­za­zione di qual­siasi alter­na­tiva. Così fu quando Papan­dreu pro­pose di sot­to­porre a refe­ren­dum il piano di «risa­na­mento» impo­sto alla Gre­cia, per subito rinun­ciarvi con una pre­ci­pi­tosa e inde­co­rosa mar­cia indie­tro di fronte alle rea­zioni indi­gnate di Bruxelles.

Zizek ricorda un epi­so­dio forse ancora più grave del dicem­bre 2012 quando la corte costi­tu­zio­nale slo­vena negò legit­ti­mità al risul­tato di un refe­ren­dum popo­lare che respin­geva una ope­ra­zione di sal­va­tag­gio delle ban­che a carico dello stato e dun­que dei con­tri­buenti. Secondo la corte l’adempimento di quel refe­ren­dum, pur costi­tu­zio­nale, avrebbe messo a repen­ta­glio altri valori costi­tu­zio­nali che nel con­te­sto della crisi dove­vano essere rite­nuti prio­ri­tari. «Per dirla bru­tal­mente – com­menta Zizek – poi­ché sod­di­sfare i diktat\aspettative è la con­di­zione per man­te­nere l’ordine costi­tu­zio­nale, quei dik­tat e quelle aspet­ta­tive hanno la prio­rità sulla costituzione».

L’aborto della Costi­tu­zione euro­pea e la crisi delle Costi­tu­zioni nazio­nali deli­mi­tano oggi il campo di quella gover­na­bi­lità post­de­mo­cra­tica in cui gli inte­ressi domi­nanti nazio­nali e sovra­na­zio­nali si intrec­ciano e si sosten­gono reci­pro­ca­mente, sospen­dendo diritti e dirot­tando risorse dal wel­fare e dai red­diti verso la ren­dita finan­zia­ria. Non dovrebbe più essere un mistero per nes­suno che nel con­te­sto della finan­zia­riz­za­zione la fisca­lità ha cam­biato pro­fon­da­mente di natura, desti­tuendo radi­cal­mente la reto­rica «soli­da­ri­stica» di cui ancora si ammanta.


Veleni tec­no­cra­tici


Natu­ral­mente oltre la via post­de­mo­cra­tica ne esi­ste un’altra per così dire pre­de­mo­cra­tica: quella del ritorno alla sacra­lità delle sovra­nità nazio­nali pro­pu­gnata da un arco di forze che si estende dai popu­li­smi più o meno ple­bi­sci­tari fino all’estrema destra aper­ta­mente fasci­sta, come quella di «Alba dorata», vele­noso sot­to­pro­dotto del labo­ra­to­rio greco. Qui si affian­cano alla tra­di­zio­nale xeno­fo­bia la nuova mito­lo­gia di una pre­sunta guerra tra nord e sud, vaneg­gia­menti autar­chici e ideo­lo­gie nostal­gi­che. Per quanto se ne possa pre­ve­dere un certo suc­cesso è assai dif­fi­cile che il nazio­na­li­smo di ritorno rie­sca a pre­va­lere. Più pro­ba­bil­mente con­tri­buirà, in una misura che è ancora dif­fi­cile pre­ve­dere, a osta­co­lare un tra­sfor­ma­zione demo­cra­tica dell’Unione europea.

Cosa vuole l’Europa? La domanda che da il titolo al libro non ha rispo­sta. O meglio, la rispo­sta è che non vuole nulla. Non esi­ste infatti alcuna entità, costi­tuita o costi­tuente, isti­tu­zio­nale o sociale, in cui risieda una volontà poli­tica euro­pea, una auto­no­mia di pen­siero e di pro­getto che sap­pia disco­starsi signi­fi­ca­ti­va­mente dalla pra­tica e dall’ideologia della glo­ba­liz­za­zione libe­ri­sta. Que­sta auto­no­mia è ancora tutta da costruire sull’unica scala che lo può ren­dere pos­si­bile: quella dell’intera Europa. Per il momento sono altre volontà a muo­vere la mac­china comu­ni­ta­ria e a sta­bi­lire il fun­zio­na­mento dei suoi ingra­naggi, quelle inte­res­sate all’accumulazione del capi­tale e pronte a rea­gire vio­len­te­mente di fronte ad ogni suo blocco. Sono que­ste volontà che det­tano gerar­chie ed equi­li­bri e che impon­gono la com­pe­ti­zione su un ter­reno che dovrebbe essere comune.

Il sur­plus della Ger­ma­nia, cui cor­ri­sponde il defi­cit di altri paesi, non finirà nelle tasche dei lavo­ra­tori tede­schi o nelle casse del wel­fare di quel paese, ma nell’accrescimento dei patri­moni finanziari.

Il prezzo spa­ven­toso che il governo della crisi ha mostrato di com­por­tare è da un pezzo visi­bile ai più, ma la costru­zione di un movi­mento sovra­na­zio­nale capace di aggre­dirne il modello è solo ai primi passi. Anche l’avventura di Ale­xis Tsi­pras può essere con­si­de­rata, almeno su un piano sim­bo­lico, uno di que­sti. Non qual­cosa che si sosti­tui­sca a un pro­gramma costruito nelle lotte, ma una delle espres­sioni della sua necessità.

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