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linterferenza

La cavalcata populista verso l’Eliseo di Marine Le Pen

e lo sfondamento a sinistra del Front National: un’analisi

Matteo Luca Andriola

marine-le-penCon quasi il 24,8% Marine Le Pen fa tremare i palazzi di Parigi e quelli della trojka, mandando a Bruxelles 25 deputati, seguita dai gollisti dell’Ump col 20,8%. La Francia, inutile dirlo, è ormai schierata a destra, molto a destra. La leader del Front infatti, non perde tempo e la sera stessa del suo trionfo manda l’avviso di sfratto a Hollande: «Non vedo come il Presidente della Repubblica non possa non prendere la decisione che si impone per rendere l’Assemblea nazionale rappresentativa. E questo esige evidentemente una modifica delle modalità del voto», dice raggiante il leader del partito populista francese. «Ed è solo il primo passo» ha commentato la Le Pen, arrivando all’Elysee Lounge, un ristorante molto chic a pochi metri dall’Eliseo, scelto dal Front national per festeggiare la valanga di voti che lo hanno incoronato primo partito dell’Esagono, ora proiettato all’Eliseo: «Hollande adesso deve indire elezioni politiche anticipate. Oggi l’assemblea nazionale non è più nazionale. Cos’altro può fare il presidente della Repubblica – continua Marine – se non sciogliere le Camere dopo un fallimento così grande come quello che abbiamo appena visto?». Insomma, la tenuta dell’Unione europea potrebbe passare anche dalla tenuta del governo socialista, ridotto ai minimi termini col 14% dei consensi. Più di un elettore su quattro infatti, in uno dei pilastri dell’Unione europea, entità a trazione franco-tedesca, ha votato un partito xenofobo. Ma Hollande, inutile dirlo, non vuole dimettersi: «Ci vuole tempo e io chiedo tempo», ha detto il primo ministro Manuel Valls, intervistato dalla radio Rtl.

«C’e’ un itinerario che e’ stato tracciato e io non voglio cambiarlo. Bisogna che il quinquennato arrivi alla sua scadenza», sorvolando ovviamente la déblâcle del suo partito, che ha colpito buona parte della sinistra riformista d’Europa – a eccezione del Pd: ma qui si esce dalla sinistra e si entra nella categoria del “neocentrismo” – e tutti coloro che sono favorevoli all’euro e all’austerity.

L’evento è preoccupante. “Preoccupante” per vari motivi: il voto alla Le Pen e ai vari populisti di destra dimostra che il progetto europeista fa acqua. L’unica valvola di sfogo con una sinistra assente o indebolita – il caso greco non conta: è l’eccezione che fa la differenza, dato che i greci hanno preferito il postcomunista Alexis Tsipras ai nazisti di Alba Dorata – è un’euroscetticismo di destra. Il terrore dei tecnocrati di Bruxelles è che il cuore storico dell’Europa, propulsore della Cee e poi dell’Ue poi, finisca fuori controllo, facendo deragliare per sempre il progetto europeista, già estremamente mobile, dal centro del Vecchio Continente alla periferia. Il Front, grazie ad una strategia politica di lungo respiro, sta penetrando negli ambienti operai ergendosi come alfiere dei lavoratori dipendenti vessati dal lassismo dei socialisti di Hollande, dipinti dalla propaganda frontista come corrotti radical-chic preoccupati esclusivamente a concedere diritti alle minoranze sessuali (si veda la legge Taubira, che ha introdotto il matrimonio omosessuale nell’ordinamento giuridico francese provocando le Manif pour Tous, aggregando la destra francese, Front national e Ump in testa), a far entrare in patria “masse oceaniche d’immigrati”, disinteressandosi delle sorti del loro elettorato, il “popolo”, vessato dalle politiche di austerity della trojka ai vertici dell’Unione europea. Per capire meglio la strategia di Marine, un tank che avanza e miete vittime facendo tremare i palazzi francesi, bisogna partire dall’inizio, dal piccolo comune di Hénin-Beaumont.

La cittadina, abitata da circa 20.000 abitanti e situata nell’ex bacino minerario della regione del Nord Pas-de-Calais, vicinissimo al confine col Belgio, è un tipico esempio della strategia frontista per espandersi a scapito delle sinistre, cavalcando gli effetti della crisi e le contraddizioni del sistema euro. La cittadina – situata in un bacino minerario –, era storicamente uno storico feudo del Parti communiste française (Pcf), e la stragrande maggioranza dei lavoratori era iscritto al sindacato “rosso”, la Confédération générale du travail (Cgt). Qui la crisi economica è molto sentita, dato che è precedente a quella odierna, e ha portato la chiusura delle miniere e delle fabbriche, seguita da una vergognosa politica di delocalizzazione dei vari stabilimenti verso l’Europa dell’Est. Alla disoccupazione a Hénin-Beaumont si è aggiunta anche l’impossibilità di emigrare: dove andare se la crisi ora, essendo globale, è ovunque? E qui Marine Le Pen, ha fatto di Hénin-Beaumont la base per la sua scalata politica. Le dinamiche ricordano quelle dell’ascesa di Jörg Haider in Austria, che non puntò subito a Vienna, ma usò la regione alpina della Carinzia come laboratorio privilegiato per le sue politiche etnocentriche e antislovene, affiancandosi di consiglieri come il dott. Andreas Mölzer, amico di Mario Borghezio, intellettuale identitarista formatosi nella Nuova destra, ritiratosi alle ultime elezioni dopo le dichiarazioni xenofobe e la sua affermazione che l’Europa era un “Negerkonglomerat”, suscitando scandalo e costringendo il segretario Heinz-Christian Strache a chiedergli di farsi da parte dopo esser stato capolista. A Hénin-Beaumont Marine è stata eletta al consiglio comunale e poi al parlamento regionale, e nel maggio 2012, in vista delle elezioni presidenziali, è qui, nel vecchio feudo del Pcf, che la Le Pen ha preso percentuali altissime: perché se la media del Front national nell’Esagono si aggirava al 18-20%, nel comune era votato dal 35% dei cittadini. Nei comuni limitrofi, tutti di salda tradizione operaia, i risultati sono molto simili, sopra al 30%. Certo, la tradizione centralista francese non permetterebbe a un sindaco frontista di strafare, ma l’obiettivo non è tanto l’ente locale, che comunque può esser gestito con metodi discriminatori e clientelari, ma l’Eliseo. E, cosa preoccupante, nessuno scorda le origini neofasciste del Front national di Jean-Marie Le Pen. Come fa, quindi, un partito di questo tipo a prendere percentuali così alte, specie in un classico feudo comunista? Grazie a un radicale make-up, un cambio “di trucco” che comporta un mutamento dei tradizionali referenti ideologici ed elettorali. E da partito liberista votato dai bottegai stufi dell’ingerenza dello Stato che “ruba” e che non porta la legge e l’ordine, ora il nuovo Front national sta dalla parte del popolo e del welfare, ovviamente e solo per chi è un “vero francese”. Se dai noi il motto grillino e dei leghisti è il «Dagli alla casta!», quello dei frontisti è simile, e parla alla pancia della gente: «Stasera il popolo – proclama una Marine trionfante dopo aver appreso i risultati delle presidenziali del 2012 – si è invitato alla tavola delle élite. Siamo la sola opposizione alla sinistra ultraliberale. Niente sarà più come prima», scopiazzando il motto sessantottino «Ce n’est qu’ un début», la generazione accusata dalla destra di aver privilegiato i diritti ai doveri e di aver svenduto la grandeur del paese all’Unione europea.

 

La segreteria di Marine e il restyling del Front national

La destra francese – dai populisti del Front fino alle frange più radicali, una galassia composta da partitini nazionalisti-rivoluzionari, gruppi identitari-federalisti, bande neonaziste e congreghe di integralisti cattolici – è un’anima in subbuglio, in netta trasformazione, così com’è in trasformazione tutta la destra continentale. La crisi, sotto questo aspetto, è servita a qualcosa. In Francia inoltre, in base a quello che viene detto dalla Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme, dal 2000 sono aumentati in maniera esponenziale gli episodi violenti razziale. Nel 2009 i casi segnalati sono stati 1841, oltre il doppio di qualche anno prima. Internet è il serbatoio privilegiato di nuovi gruppi e laboratori di idee, molti dei quali senza capacità organizzative né finanziarie. La data che cambia radicalmente la destra francese è il 15 gennaio 2011. Quel giorno l’avvocatessa Marine Le Pen viene eletta ai vertici del Front national, battendo il tradizionalista cattolico Bruno Gollnisch. Di tutta risposta Carl Lang, ai vertici del Front, abbandona il partito, animando il piccolo Parti de la France, che si aggregherà coi federalisti della Nouvelle droite populaire e col Mouvement national républicain di Bruno Mégret, ex pupillo lepenista, nell’Union de la droite nationale (Udn). Voce di questa destra nazional-rivoluzionaria è «Rivarol», periodico antisemita e complottista. Non capiscono che l’innovazione è donna e ha un nome: Marine. Quest’ultima eredita dal padre un partito che, in maniera speculare all’ex Msi, per quasi quarant’anni ha funzionato da “ombrello” per una miriade di gruppi e associazioni estreme e radicali, molti dei quali vedono nell’Italia un esempio: blog e siti internet francesi, come Zentropa, diffondono le attività di CasaPound, e il suo intellettuale di punta, Gabriele Adinolfi, è uno dei loro mentori in Francia, i suoi libri sono pubblicati, tradotti e discussi dai militanti nazional-rivoluzionari francesi. Il loro punto di ritrovo è Le Local, nel XV arrondissement – simile al Cutty Surk di Roma di Gianluca Iannone – e fa capo a Serge Ayoub, ex naziskin e leader di Troisiéme voie, rinato nel 2010 e gemellato con CasaPound, con una sola differenza: Parigi non è amministrata da Gianni Alemanno e l’Ump non è né il Pdl né Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale.

Il tentativo frontista di ergersi ad alfiere dei deboli non nasce con Marine, ma caratterizza tutto il percorso sociale del padre, che getta alle ortiche il populismo reaganiano e poujadista degli anni ’70-’80 schierandosi nel 1990-1991 con Saddam Hussein, opponendosi all’intervento militare, una battaglia antiamericana che sembrerebbe “di sinistra”, anche se dietro tali proposte, non a caso, vi erano ex esponenti del Grece di Alain de Benoist ed ex militanti del Club de l’Horloge, un think tank neoliberista collaterale fino al 1979-1980 alla Nouvelle droite, ponte fra frontismo, i settori più reazionari del gollismo e l’estrema destra, nato nel 1974 col presupposto di dare a tali ambienti nuove strategie politiche. Tutti questi ambienti – a cui sommano gli ex Troisiéme voie transitati nel Front, che uniscono le idee di Terza posizione con le suggestioni antimondialiste del filosofo Guillaume Faye, ex grecista divenuto islamofobo –, influenzeranno l’operato politico e culturale del partito lepenista di lì in poi, scrostandolo dal nostalgismo, un’area che abbandonerà Le Pen nel 1998, animando il Mouvance identitaire e gruppi come Terre et Peuple, vicino ai filoleghisti di Terra Insubre dell’ex rautiano varesotto Andrea Mascetti, importante per la genesi del Bloc Identitaire.

Partiamo dal presupposto che Alain de Benoist ha più volte evidenziato la distanza ideologica col Front national per le tesi sociali, nonostante il partito populista abbia preso certe posizioni proprio da lì, vista la presenza di ex grecisti nelle sue file. Lo studioso Jean-Yves Camus sostiene infatti che

«La Nouvelle droite ha avuto […] due influenze maggiori sul Fn. Dapprima ha riabilitato tra gli anni Settanta e Ottanta temi che erano stati completamente abbandonati dalla destra classica, vale a dire soprattutto le tesi sull’“ineguaglianza degli individui” e sull’importanza da assegnare alle “radici identitarie”, sia francesi che europee. Poi ha proposto un’idea della politica non più ancorata all’asse destra/sinistra, aprendo la strada ad un movimento come quello di Le Pen che oggi [nel 1997] ha come slogan, ve lo ricordo, “né destra, né sinistra, solo francesi”. Questo malgrado sia evidente che il Front national si situa a destra della destra tradizionale nello scacchiere politico».

Dopo il cambio ai vertici del partito, il maître à penser della Nouvelle droite, pur criticando l’antiregionalismo e l’islamofobia di Marine (visto che per il Grece il «male assoluto» è l’americanizzazione), ha espresso parole di apprezzamento per il suo operato, evidenziandone la carica «positiva» e il desiderio di rottura col passato, specie per quanto riguarda l’antiliberismo e il protezionismo. In un’intervista il filosofo ha ammesso che

«Le posizioni del Fn hanno subito molte variazioni nel corso della sua storia, cosa particolarmente evidente in ambito economico. […] Trent’anni fa si definivano liberali e reaganiani. Al giorno d’oggi, dopo che Marine Le Pen è succeduta a suo padre, lo stesso movimento milita contro il libero scambio, reclama l’introduzione di un certo protezionismo, e denuncia con vigore la deregulation economica. […] Sono opinioni che spiegano, d’altronde, come una grande parte dell’elettorato frontista provenga, ormai, dalla classe operaia. Resto invece in disaccordo con il «giacobinismo» repubblicano del Front nazional, con la sua ostilità di principio verso il regionalismo e le «comunità», e col suo laicismo islamofobo». Però «[…] va riconosciuto a Marine Le Pen il merito di aver  ‘dediabolizzato’ il partito, per mezzo di una vasta ‘operazione di pulizia’ che sta innegabilmente avendo i suoi frutti. Ci sono categorie che il Front national, prima della svolta ‘marinista’, non riusciva a sedurre», dice de Benoist. «Oggi, quelle stesse categorie sono le prime a sostenerlo: le donne, i giovani nella fascia compresa tra i 18 e i 24 anni, e soprattutto gli insegnanti. La nascita del Collectif Racine – associazione di insegnanti nazionalisti nata con l’intento di combattere, accanto al Rassemblement Blue Marine, per il redressement della scuola francese, ndrne è la prova tangibile».

Un de Benoist frontista? Affatto! Il filosofo normanno non si abbasserebbe a diventare organico al frontismo e ad alcun populismo – nonostante non abbia problemi a dialogarci –, ma ha capito che la crisi culturale della sinistra non può che influenzarne l’andamento elettorale, lui che ha fatto della battaglia metapolitica e filosofica il perno del suo agire dal 1968 a oggi.

Il Front di Marine, cavalcando la crisi dei socialisti e del Front de la gauche, coniuga senza alcun problema nazionalismo e “socialità”, una fortissima attenzione alle problematiche sociali e al mondo del lavoro (in chiave ovviamente interclassista) e una critica al mondialismo, che genera squilibri come l’odierna crisi e l’immigrazione, ha iniziato a puntare tutto, come la Nuovelle droite, su un nuovo approccio alla definizione di se stessi con slogan «Ni droite, ni gauche, Français!», complementare a quello del Grece del «e destra, e sinistra», cioè l’approccio et-et, la nuova sintesi. Il Front, da quando è stata eletta Marine, ha apportato dei cambiamenti d’immagine non indifferenti, mandando in soffitta i vecchi reazionari neofascisti, impresentabili (in un certo senso la rottura col Mouvement de la France gli ha giovato, visto che erano cattolico-integralisti e vandeani), denunciando tutti coloro che le danno dell’estremista di destra e della fascista e aprendosi ad intellettuali “non conformi” utili a quest’operazione di restyling. Uno di questi è Laurent Ozon. Questi, amico e collaboratore di Charles Champetier, il giovane presidente del Grece e pupilo di de Benoist, è il leader della corrente antiliberale ed eco-localista detta “Nouvelle Écologie”, che cerca di coniugare la difesa dell’ambiente (concepita come bioregione) con quella delle identità regionali etno-culturali. La Francia – e l’Europa – costituita dalla somma di più identità regionali, va preservata da ogni elemento estraneo che può annichilirne la valenza identitaria, sia che provenga dall’America o altrove. L’intellettuale collabora simultaneamente alla stampa neodestrista, a quella ecologista e a quella populista, compresa quella italiana (da «Diorama letterario» a «La Padania»), proponendo un’economia ruralista (non dimentichiamo l’interesse per la decrescita da parte degli intellettuali della Nuova destra) e un modello politico-sociale capace di rompere col progressismo dei Verdi e col produttivismo. Tali idee non rimangono solo ed esclusivamente sulla carta. Ozon passa infatti dalla metapolitica alla politica, animando nel 2007 la lista civica ecolocalista «Vivre et travailler à Vendôme», intervenendo addirittura alla riunione costitutiva dell’ambientalista Europe Écologie–Les Verts (promossa dal leader dei Verdi Daniel Cohn-Bendit e da José Bové, leader noglobal della Confédération paysanne), dato che destra e sinistra vanno ormai superate. Anima successivamente Maison Commune, un circolo intellettuale di stampo eco-localista, avvicinandosi prima ai giovani populisti del Bloc Identitaire, collaborando alle loro Convention Identitaire, animate da Terre et Peuple, venendo poi cooptato nel 2010 ai vertici del Front National, divenendo consigliere politico di Marine Le Pen (appare sempre al fianco del leader frontista durante i comizi), occupandosi di ecologia, della preservazione delle comunità e delle identità locali, temi fino a quel momento snobbati dal Front, desideroso di sfondare a sinistra.

 

Quando il rosso si colora di “bruno frontista”: Egualité & Réconciliation e Alain Soral

Un altro intellettuale utile al restyling frontista, fautore dello sfondamento a sinistra del Front, è Alain Soral. Nato nella regione di Rhone Alpes il 2 ottobre 1958, Alain cresce in periferia con la famiglia, di umili condizioni. Dopo aver vissuto come un emarginato a Grenoble, si sposta a Parigi nel 1976, dove svolge lavori precari. L’ambizione e le capacità lo portano però ad entrare all’Università di Scienze Sociali di Parigi (EHESS), dove studia sociologia. La dura infanzia lo porta ad interessarsi alla politica, a studiare Marx e i testi della scuola filosofica marx-engelsiano-leninista e a praticare la boxe. Nel 1990 si iscrive al Pcf, ma viene allontanato perché, in seno al “Collettivo comunista dei lavoratori dei media”, collabora alla pubblicazione de «La Lettre écarlate» (La lettera scarlatta), foglio dal tono ufficiosamente antisionista ma esplicitamente antisemita. Lui sosterrà, invece, di essersene allontanato di sua spontanea volontà perché il partito aveva perso ogni vena rivoluzionaria divenendo riformista. Si dedicherà allo studio dell’influenza e alla manipolazione statunitense sulla Francia, sull’Europa e sul mondo. Si farà notare dopo l’11 settembre 2001 per le sue posizioni lo porta a professare un filo-islamismo che distingue il “beur”, il neofrancese di origini maghrebine detestato in quanto prototipo di una società americanizzata e senza identità, dal “musulmano”, che incarna radici e valori tradizionali, col quale i nazionalisti locali possono intendersi perché «la cultura musulmana non produce delinquenti drogati ed aspiranti suicidi, ma uomini dai valori educati ai valori. Valori di dignità e rispetto che assomigliano molto, in fondo, a quelli che si inculcavano agli uomini in Francia, prima dell’ondata di “neo-matriarcato” all’americana importato dal maggio del ’68». Dietro questo discorso non c’è solo la denuncia del neofemminismo radical-chic, ma una subliminale opposizione fra islam ed ebraismo, che incarnerebbero il principio “maschile” contrapposto a quello “femminile”. Il dualismo ebreo/musulmano assume nel discorso di Soral tratti di uno scontro metafisico tra una società femminilizzata e mercantile contro una società patriarcale e produttiva. Si assiste, spiega Soral, ad un «piano mondiale di caccia al topo, diviso in zone e sessi, nel quale Madame Fitoussi di Elle si vede incaricata della missione particolare di salvare le ragazze considerate “né puttane né sottomesse”, per meglio stigmatizzare i ragazzi. In effetti questi giovani maschi franco-maghrebini di origine arabo-musulmana potrebbero – se scampano alla trappola del rap e del business, come alla collera popolare eccitata da un piano premeditato – costituire domani la comunità di cittadini francesi più ostile al dominio della comunità che gli è di fronte, qui come in Palestina», concludendo che «mentre gli ebrei si sentono a loro agio, e a casa loro, in una società neo-matriarcale, neo-capitalista all’americana, nella quale essi occupano, in modo sempre più evidente, i vertici gerarchici, i maghrebini detti “islamisti”, invece, non si sentono a loro agio e se ne vogliono allontanare». Nel 2007 Soral aderirà al Front national, all’epoca diretto da Jean-Marie Le Pen: come mai? Perché secondo lui il Front sarebbe diventato il partito più a sinistra di tutti in materia economica, l’unico partito che difenderebbe “il socialismo”, gli interessi dei francesi, la dignità e la cultura del Paese. Viene incaricato dal partito di occuparsi del fenomeno delle banlieu, le periferie francesi, in quel periodo in subbuglio. È in quell’anno che fonda Egualité & Réconciliation (E&R), organizzazione che rivendica la paternità di un «nazionalismo di sinistra» e di una Gauche du travail et droite des vouloir («sinistra del lavoro e destra dei valori»), come viene detto sull’homepage del sito web dell’organizzazione, dove compaiono sul lato sinistro dello schermo le immagini di Chàvez, di Che Guevara, di Gheddafi, di Lumumba, di Castro, di Ahmadinejad assieme a quella del premier russo Putin, mentre sulla sinistra quella di Giovanna D’Arco, simbolo del patriottismo francese. «Confusione rosso-bruna» l’ha definita nell’ottobre del 2013 Le Monde diplomatique, dato che unisce suggestioni sociali di sinistra – di «sovranità popolare» ne ha parlato anche il Front de la gauche, che propone, come E&R e il Grece e i vari partiti di destra, la nazionalizzazione delle banche, un sistema di credito socializzato, il rifiuto di pagare il debito contratto con l’Ue e il ritorno a forme di protezionismo economico – con suggestioni patriottiche di destra. Romperà anche col Front – ma momentaneamente – e nel 2009 animerà per le europee, assieme al comico Dieudonné, la Lista antisionista. È un fiasco che lo farà riavvicinare alla rampante Marine. In quella fase inizia un interessante avvicinamento al giornalista Arnaud Guyot-Jeannin, membro del Grece e un viaggio con questi in Iran, dove elogerà la femminilità locale contrapposta alla decadenza occidentale, e inizierà a postare su YouTube centinaia di interventi su ogni argomento d’attualità (arrivando a 15 milioni di contatti con ben 382 video), a dialogare con intellettuali “non conformi” di destra, come con Fabrice Robert del Bloc Identitaire sull’espulsione degli immigrati irregolari o con Robert Steukers, ex grecista e fondatore di Synergies européennes, con Aleksandr Dugin (Soral si definisce dughiniano) o con Gabriele Adinolfi, e a organizzare le idee della sua organizzazione. Bisogna combattere – è questo il nemico numero uno di Soral – contro il «globalismo», un «progetto ideologico che mira a instaurare un governo mondiale e di conseguenza a dissolvere le nazioni, con il pretesto della pace universale» tramite «la mercificazione integrale dell’umanità», come viene esposto in Comprendre l’Empire, creatore del Nuovo Ordine Mondiale, un progetto oligarchico che si oppone al nazionalismo che raggruppa l’alta finanza, la massoneria, la borghesia, il protestantesimo, Israele, gli Stati Uniti, tutti fautori del globalismo e di un neoliberismo che si insinua col sionismo e il politically correct di sinistra, giustificando l’intervento dell’Impero in difesa dei diritti civili. Tali ideologie annichilirebbero la sovranità popolare alimentandosi col mito del mercato. Tutelare i diritti alle «minoranze oppresse» (sessuali e/o razziali) viene inevitabilmente a sostituirsi alle conquiste sociali collettive, favorendo la balcanizzazione della comunità nazionale.

La sinistra – e l’operato di Hollande con la legge Taubira e il successivo responso elettorale sembrerebbero dar ragione a Soral – sostituisce le «tematiche societali» alle questioni della «disuguaglianza sociale» e dello «sfruttamento di classe» (video, maggio-giugno 2013) in nome dei diritti umani. La soluzione per risolvere tali problemi fermando l’Impero è di tipo sovranista, e cioè «uscire dall’Unione europea, uscire dalla nato e riprendere il controllo della propria moneta […] per restituire alla Francia la sovranità e alla democrazia un po’ di senso», introducendo il protezionismo. Soral, come nota la giornalista Evelyne Pieiller, nonostante voglia farsi passare per «marxista», auspica tutt’al più ad un mondo multipolare e alla fine legittima dell’unipolarismo statunitense, ed

«evoca ben poco i movimenti sociali, la socializzazione dei mezzi di produzione…, […] In effetti la sua vera ossessione, più che la giustizia sociale, è il salvataggio della Francia […] e quello che secondo lui rappresenta. In altri termini, la politica gli importa meno della morale, e la rivoluzione meno della nazione. La morale per il senso che può dare alla vita personale; la nazione per il senso che può dare alla vita collettiva».

L’analisi di classe che fa Soral, infatti, è povera di contenuti marxiani: il sociologo si sofferma sugli effetti che il liberalismo e l’individualismo hanno sulla comunità, che rendono l’uomo un mero consumatore, e non sulla classe. Ben più per lo sfruttamento sul mondo del lavoro e per lo sviluppo della precarietà il neoliberismo viene condannato da Egualité & Réconciliation perché produce «una società schiava delle sue pulsioni» (video, maggio 2013) che mina il senso della collettività, della coscienza politica, determinando l’individualismo, l’egoismo, la competizione e l’edonismo. Tutte analisi condivisibili, ma la soluzione a questa atomizzazione è il riflusso verso la grandeur della nazione, che è «in grado di proteggere i popoli dai profitti cosmopoliti che non hanno patria né morale» (Ibid.). Di che nazione si tratta? Dato che deve ergersi a baluardo contro i «profitti cosmopoliti» [riferimento agli ebrei, che Soral vede ovunque], la patria predicata dal cosiddetto frontista “rosso-bruno” dovrà contrastare l’egoismo, ergo, ciò «presuppone che la nazione abbia un’essenza particolare, un genio proprio e una particolare cultura», e che incarna quindi dei valori mistici capaci di conglomerare attorno al tricolore francese «un fronte del lavoro, patriottico e sociale, contro tutte le reti della finanza e dell’ultraliberalismo globalizzato», capace di costruire una «Comunità nazionale fraterna, cosciente della sua storia e della sua cultura» dove si ritrovano «quelli che vogliono una più giusta ripartizione del lavoro e della ricchezza» e chi vuole «conservare quello che c’era di buono, di misurato e umano nella tradizione», ritrovando quella spiritualità che permetterà a tutti i francesi di sentirsi individui parte di un’insieme più grande: la Patria. Una «sinistra sociale» integrata e riconciliata al senso di trascendenza insita nei valori della nazione. Dove sta – oltre a questi disorientamenti ideologici, che vedono nella nazione un fine ultimo, e non un semplice mezzo – l’ulteriore prova che dimostra che il discorso soraliano è funzionale al sistema capitalista – come lo è la Le Pen, Salvini, Strache, ecc.? Il consueto discorso sull’obsolescenza della diade dicotomica destra/sinistra, che se per Alain de Benoist rientrano nell’ambito del discorso filosofico, qui – e la cosa è evidente dagli slogan frontisti «Ni droite, ni gauche, Français!» – vertono sul concreto, sul politico, perché nella “rivoluzione” ideata da Soral l’attore primo non è il semplice lavoratore salariato, ma la piccola borghesia e le medie imprese. Tutti insieme, operai, precari, disoccupati, contadini, piccoli imprenditori per creare un’interclassista «società mutualista di piccoli produttori cittadini», dato che per ciascuno «la responsabilità economica e sociale – dunque politica – deriva dalla proprietà dei mezzi di produzione», fondendo un po’ di Pierre-Joseph Proudhon, un po’ di qualunquismo interclassista alla Pierre Poujade ma molto, molto poco Marx, sostenendo che per creare la Gauche du travail et droite des vouloir bisogna unirsi alla «destra morale che, a ben riflettere, è alleata della sinistra economica e sociale».

Queste riflessioni – che hanno permesso al Front national di sfondare negli ambienti tradizionalmente di sinistra –, presenti un po’ dappertutto nei populismi europei che hanno stravinto a questa tornata elettorale europea, favoriscono la nascita di un nuovo tipo di soggetto politico che, disarticolato dalle precedenti categorie politiche novecentesche, sostiene di rappresentare tutta la comunità nazionale, a prescindere dall’appartenenza sociale. L’«anticapitalismo» di costoro – un semplice progetto neokeynesiano – critica lo strapotere delle banche e l’eurodittatura, ma, anche se tali analisi possono esser parzialmente condivisibili – il sistema su cui si regge l’Ue ha effettivamente espropriato gli stati della propria sovranità – «dimentica» che il sistema produttivo vigente tout court è fondato sul libero mercato e sul sistema capitalista e quindi sul profitto, ed è superando tale modello che si uscirà dalla crisi, non replicandolo in forma ridotta dentro gli steccati dello stato nazionale, autarchico verso l’esterno ma altrettanto produttivista verso l’interno in una realtà in cui comunque si perpetra lo sfruttamento del lavoratore, dove le classi finirebbero collaborare, riconciliate attorno al comune interesse della patria, discorso funzionale al mantenimento di una gerarchia sociale – dato che gli interessi fra tali classi tenderebbero a cessare per via dei rapporti di produzione – e dell’ordine vigente delle cose, solo teoricamente più equo visto il ritorno alla sovranità nazionale/monetaria. Ergo, la risposta all’euroentusiasmo delle sinistre ormai prone al capitale e all’economia di mercato non è senz’altro l’euroscetticismo autarchico e interclassista sbandierato da persone come Marine Le Pen e da “marxisti” come Alain Soral.

2. Cfr. http://www.crise.blog.lemonde.fr
3. Cfr. B. Luverà, Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea, Torino, Einaudi, 2000.
4. Il prof. Jean-Yves Camus, riguardo agli enti locali in Francia spiega: «Per gli impieghi municipali c’è in Francia un controllo specifico che è esercitato dai prefetti proprio perché un comune non faccia quello che vuole. Così, oggi, se un comune diretto dal Fn cerca di applicare la “preferenza nazionale” sia per reclutare dei giovani, sia per assegnare degli alloggi popolari, o degli aiuti sociali, lo Stato interviene per dire che tutto ciò è illegale e per impedirlo. […] Questo non significa che ci possano essere delle misure discriminatorie nascoste, che non si possa scoraggiare dei giovani che non sono francesi ad installarsi a Vitrolles o a Marignane, o a richiedere l’assegnazione di una casa popolare. Detto questo, va anche notato come nel settore privato in effetti la “preferenza nazionale” esiste già di fatto in un buon numero di imprese e di luoghi di lavoro. Perché il tasso di disoccupazione dei francesi di origine straniera o degli stranieri che vivono in Francia è così elevato, se non a causa delle discriminazioni delle assunzioni?». J.-Y. Camus, conversazione con G. Caldiron, ottobre 1997, ora in G. Caldiron, La destra plurale. Dalla preferenza nazionale alla tolleranza zero, Roma, Manifestolibri, 2001, p. 138.
5. www.lepoint.fr/politique/election-presidentielle-2012/avec-20-des-voix-marine-le-pen-a-gagne-son-pari-22-04-2012-1454106_324.php.
6. J.-Y. Camus, intervista rilasciata a G. Caldiron, in «il manifesto», 17 ottobre 1997.
7. A. de Benoist, intervista rilasciata il 25 aprile 2013 a B. Giurato in http://www.lettera43.it/politica/perche-la-vera-decrescita-oggi-e-politica-non-economica_4367592591.htm.

8. Cfr. inoltre http://droites-extremes.blog.lemonde.fr/2011/01/26/alain-de-benoist-en-soutien-critique-a-marine-le-pen/.

9. Marine Le Pen in un’intervista rilasciata a «L’Express» del 1º ottobre 2013 s’indigna all’uso dell’etichetta di «estremista di destra»: «Mi ribello ad essere definita di estrema destra con quel termine si finisce per mettere nello stesso sacco Breivik, Alba dorata e noi che non c’entriamo niente con tutto ciò». Concetto rilanciato pochi giorni dopo dai microfoni di Bfmtv: «Sto pensando di rivolgermi ai tribunali perché venga sancito che questo termine è peggiorativo e viene utilizzato con intenti politici per denigrare il Fn. In questo modo si conduce una guerra semantica contro il nostro partito». G. Caldiron, Diversamente frontisti, in «Europa», 8 ottobre 2013.
10. Soral mostra la propria di xenofobia nel suo primo saggio “Jusqu’ou va-t-on descendre?” in cui descrive la Francia, come «una nazione di anglosassoni nevrotici invasa da magrebini ostili».
11. Intervista rilasciata da A. Soral al sito Oumma.com, aprile 2004.
12. Intervista rilasciata da A. Soral all’Osservatorio del comunitarismo, settembre 2003.
13. A. Mestre – C. Monnot, Alain Soral et son association font les yeux doux à Poutine, blog Droite(s) extrême(s) dei giornalsti di «Le Monde», pubblicato su sito il 26 novembre 2009.
14. «Le donne [dell’Iran] incominciano anch’esse ad americanizzarsi, esibendo un foulard corto e colorato, un maquillage grossolano e abiti aderenti. Eppure, fatto bizzarro, hanno uno sguardo freddo. Le donne più tradizionali che indossano un foulard, un velo o uno chador più austero, hanno lo sguardo più espressivo. Non è raro osservarle parlare, sorridere e ridere con una bella vivacità». A. Soral, dichiarazioni rilasciate a «Flash», n. 13, 7 maggio 2009.
15. Dialogue entre Égalité & Réconciliation et les Identitaires, in http://archives-fr.novopress.info/9432/dialogue-entre-egualitereconciliation-et-les-identitaires-2/ e M. Abramowicz, Le dirigeant du Front national français Alain Soral à Bruxelles ce vendredi, in http://www.resistances.be/soral01.html. Cfr. S. François, L’œuvre de Douguine au sein de la droite radicale française, in http://www.voxnr.com/cc/d_douguine/EFZlkpApluFkfamDmR.shtml, 22 settembre 2008 e A. Soral, prefazione ad A. Dughin, La Quatrième théorie politique, Ars Magna, 2012.

16. A. Soral, Comprendre l’Empire. Demain la gouvernance globale ou la révolte des Nations?, Paris, Blanche, 2011.

17. Ibidem.
18. E. Pieller, Francia, confusione rosso-bruna, in Le Monde diplomatique (ed. it.), a. XX, n. 10, ottobre 2013, p. 24.
19. Ibidem.
20. Carta di Égalité & Réconciliation, in www.egaliteetreconciliation.fr.

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