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orizzonte48

Le "due crisi" e il nodo della sovranità

Draghi al telefono con Merkel

Quarantotto

Draghi-Merkel"Il Cancelliere tedesco Angela Merkel avrebbe chiesto chiarimenti al presidente della Bce, lamentando il fatto che Draghi avrebbe posto maggior accento sull’opportunità di riforme strutturali piuttosto che sulla necessità di mantenere l’austerità di bilancio, per rafforzare la crescita in Europa. Lo rivela il Der Spiegel. Ma la Bce smentisce: «È inesatto il fatto che la Merkel abbia chiamato Draghi per contestare le frasi dette a Jackson Hole», afferma il portavoce della Bce, senza fornire i dettagli ma confermando implicitamente che ci sia stata la telefonata. «Il contenuto della conversazione - aggiunge il portavoce - non lo commentiamo e non lo riveliamo».

Senza citare fonti, la testata tedesca ha riferito che sia la Merkel sia il Ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble avrebbero telefonato al numero uno dell’Eurotower, la scorsa settimana, per chiedergli chiarimenti riguardo il suo intervento fatto a Jackson Hole la scorsa settimana.

In quell’occasione Draghi aveva sostenuto che sarebbe «utile» che la politica monetaria della Bce fosse fiancheggiata anche da «un ruolo maggiore della politica fiscale» nel quadro di importanti riforme strutturali. In particolare, Draghi aveva detto: «Nessuna quantità di aggiustamenti fiscali o monetari può sostituire le necessarie riforme strutturali: la disoccupazione strutturale era già molto alta nella zona euro prima della crisi e le riforme strutturali nazionali per affrontare questo problema non possono più essere ritardate».

Secondo il Der Spiegel, la Merkel avrebbe chiesto a Draghi se avesse cambiato idea riguardo alla necessità di mantenere l’austerità nella gestione del bilancio pubblico. Da parte sua, rivela sempre Der Spiegel, Draghi avrebbe difeso la sua posizione spiegando che la Bce, dopo aver tagliato i tassi di interesse ai minimi storici e iniettato denaro nell’economia per sostenere la ripresa, ritiene che misure di stimolo in quadro di riforme strutturali possano essere un modo per dare forza alla crescita." Da LaStampa.it
Da questo scambio (presunto) di chiarimenti tra ordoliberisti, più o meno convinti e più o meno autoproclamati, emergerebbe un contrasto - tra BCE e governo tedesco-, se non altro nelle dichiarazioni pubbliche, relativo al ruolo delle politiche fiscali.
Semplificando (nei limiti del possibile), nel quadro intrecciato delle posizioni teoriche che potremo definire contraddistinte dall'ostilità al modello keynesiano (che le accomuna tutte), e di cui l'ordoliberismo finisce per essere un contenitore strategico tipicamente europeo, fissiamo alcuni punti:
1. Draghi pare dire, a debita distanza di un anno, una cosa "simile" a quella che Bernanke, pur in un contesto molto più sensato con riguardo alle politiche di deficit USA post crisi (inizialmente...anche se si trattava di welfare bancario), aveva anticipato circa un anno fa: ma lo fa alla sua maniera, cioè, predicando una ricetta esattamente opposta, nella sostanza, a quella implicata da Bernanke (in quel momento al suo quasi-addio). 
E cioè, mentre per Bernanke, ragionevolmente, le politiche monetarie sono vanificate da politiche fiscali contrastanti (cioè pro-cicliche, rispetto in particolare all'occupazione), e quindi le seconde risultano poi (almeno altrettanto) decisive per rilanciare la domanda, per Draghi, sia politiche fiscali che monetarie non avrebbero efficacia risolutiva se non accompagnate dalle riforme strutturali
Tradotto dal metalinguaggio €urocratico, significa: sia politiche monetarie che fiscali, risultano inefficaci senza la piena flessibilizzazione dei salari (ottenuta attraverso la totale flessibilità in uscita del lavoro e, quindi, attraverso l'agire dell'originaria curva di Philllips). 
Nondimeno, Draghi parrebbe prendere atto che le politiche di pareggio di bilancio no matter what, quali insistitamente ribadite da Schauble e Merkel, possono risultare, persino nei suoi stessi rationalia, in parte inappropriate, almeno non ignorando una fase di continuativa debolezza di investimenti e consumi e di aumento della disoccupazione che provocano una incombente deflazione;
2. la differenza tra Draghi e Bernanke- e poi la Yellen: ma attenzione: negli USA la flessibilità in uscita è la regola già vigente da lungo tempo- in linea teorica, è plateale: è evidente che la cornice teorica dell'affermazione di Bernanke era quasi post-keynesiana, mentre Draghi è altrettanto palesemente attestato sulla macroeconomia neo-classica
Tra l'altro, rispetto al momento della dichiarazione di Bernanke, comunque gli USA hanno ricondotto il tasso di inflazione quasi al target del 2%, partendo da circa l'1%, mentre in UEM è accaduto il fenomeno opposto. E i rispettivi dati della disoccupazione lo confermano (insieme con il funzionamento della curva di Phillips originaria, senza troppe "deduzioni traslative" sugli effetti di breve periodo e sulla mitizzata influenza delle aspettative razionali sull'inflazione).
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Ovviamente in USA, scende la disoccupazione, almeno ufficiale, ma, come evidenziato da Stiglitz e Krugman,non salgono i redditi e l'occupazione "vera", cioè non precaria o part-time, (il che conferma sempre...Phillips, nella nuova forma che assume l'esercito di riserva dei disoccupati post-moderno), e questo crea una crescita "a debito" (privato) che pone i loro fondamentali economici sempre sull'orlo di una bolla. 
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Ma questo discorso, denuncia semmai la differenziabilità delle politiche economiche - che rimangono pur sempre neo-classiche (e/o neo-keynesiane), cioè fondate sulla perfetta flessibilità salariale verso il basso-, laddove non si abbia la camicia di forza della moneta unica, col suo risvolto di mercantilismo instaurato, com'era inevitabile, dal paese commercialmente dominante che estende e rafforza, per via di un trattato internazionale, la sua sovranità a scapito di quella degli altri.
3. Tornando alla "versione di Draghi vs autoconservazione mercantilista tedesca" (perchè di questo alla fine si tratta), questo grosso modo, è il sistema cui si riallaccia il presidente BCE, pur cercando la conciliazione tra un allineamento, appunto strutturale, con il sistema USA e l'ingombrante dominanza tedesca, che, in effetti, si basa sul fatto che, ESSI, i tedeschi, i trattati se li sono fatti, et pour cause, a propria immagine e somiglianza; ragion per cui l'ordoliberismo a matrice tedesca si legittima in UEM in modo che diverge dall'idea di Draghi di mondo liberoscambista, angloconformato, "senza (con)fine" (la sistematicità e coerenza teorica sarebbero da assumere con beneficio d'inventario, avendo ogni economista che agisce a quel livello, di necessaria e concreta decisione politica, un suo personale percorso pragmatico e assiomatico che non consente una "classificazione" univoca dal punto di vista accademico):
"La Nuova Macroeconomia Classica (NMC), si pone l’obiettivo di dimostrare PER ALTRA VIA il naufragio della sintesi neoclassica, in modo però da recuperarla sia sotto il profilo teorico, sia dal punto di vista delle conseguenze in termini di politica economica.
La base di riferimento è ancora quella del monetarismo di Friedman, ma i contributi di R. Lucas e di altri autori rivolti a mettere in discussione anche la curva di Phillips aumentata per le aspettative, tendono a negare qualsiasi ruolo per le politiche fiscali e monetarie.
Per poter attaccare così profondamente le tesi keynesiane, la NMC ha però bisogno di ripristinare alcune assunzioni proprie della teoria classica e di modificarne alcune già presenti nel monetarismo di Friedman. In particolare:
a) tutti i prezzi, compresi i salari, devono risultare perfettamente flessibili sia verso il basso sia verso l’alto e il modello è di tipo walrasiano
b) l’ipotesi di aspettative adattive considerata da Friedman viene rimpiazzata da quella di “aspettative razionali”...
La conseguenza fondamentale del ragionamento di Lucas è quindi che politiche pubbliche anticipate non possono influenzare la produzione reale e l’occupazione, ma solo le variabili nominali. 
Osservata da un altro punto di vista, la conseguenza è che solo politiche imprevedibili o shock inattesi possono determinare variazioni delle variabili reali e portare temporaneamente il sistema in squilibrio, con la produzione e l’occupazione al di sopra dei loro valori naturali. Dovrebbe però essere chiaro che ciò esclude qualsiasi ruolo per le politiche di intervento pubblico a fini di stabilizzazione.
 
In particolare, la sintesi neoclassica individua tre casi principali a cui si può ricondurre la validità della tesi keynesiana:
a) se gli investimenti sono poco sensibili al tasso di interesse, cioè nel caso di IS particolarmente rigida;
b) se esiste una trappola della liquidità, nel senso sopra osservato;
c) se i salari monetari sono rigidi verso il basso, cioè se il processo classico di aggiustamento, in presenza di disoccupazione, fosse bloccato nella sua fase  iniziale.
Per la sintesi neoclassica sono questi gli unici elementi in grado di interrompere i nessi causali di aggiustamento sostenuti dalla teoria classica e quindi in grado di spiegare l’esistenza di un equilibrio non di piena occupazione.
 
Poiché per la sintesi neoclassica la validità della tesi keynesiana (attivisti della politica fiscale) è da ricondursi ai tre casi speciali sopra evidenziati, i neo-macroeconomisti classici, (dichiaratisi  non attivisti rispetto all’intervento pubblico), sulle inclinazioni delle curve IS e LM, hanno versioni opposte a quelle assunte come enunciato keynesiano.
Essi, infatti, ritengono che la IS sia alquanto piatta (ELASTICA) e la LM piuttosto rigida; il primo caso segnala un elevato valore della elasticità degli investimenti al tasso di interesse; il secondo, invece, riflette la scarsa elasticità della domanda di moneta al tasso di interesse.
In tale contesto la politica monetaria risulta più efficace di quella fiscale, dal momento che l’elevata elasticità della IS rispetto a  i, combinata con una LM rigida, amplificherebbe l’effetto di spiazzamento e ridurrebbe l’effetto globale di una manovra di bilancio espansiva; mentre la ridotta elasticità della LM rispetto a  i, combinata con la elasticità della IS, è in grado di amplificare l’effetto su Y di una variazione dell’offerta di moneta (il che spiega perchè si tenda correntemente a trascurare il moltiplicatore fiscale e ad avere fiducia illimitata nella...BCE, ndr.).
 
Il culmine della sintesi neoclassica, ma per certi versi anche il suo superamento, si raggiunge dopo la pubblicazione, nel 1956, di un fondamentale contributo di D. Patinkin e l’elaborazione teorica del concetto di “effetto saldi reali” (real balance effect).
L’effetto saldi reali è, nella concezione di Patinkin, l’effetto potenziale che sulla domanda aggregata potrebbe essere esercitato dall’accrescimento delle disponibilità monetarie reali detenute dagli individui a seguito di una caduta del livello dei prezzi, a partire da una situazione di pieno impiego. Maggiori disponibilità monetarie reali, afferma Patinkin, potrebbero generare un aumento della domanda aggregata e un conseguente aumento della produzione e dell’occupazione, sino a che l’equilibrio di pieno impiego non sia ristabilito.
...Il contributo di Patinkin tende a riaffermare la neutralità della moneta, cioè l’assenza di effetti reali a seguito di modificazioni delle variabili monetarie. In secondo luogo, l’utilità della politica fiscale sembrerebbe venire meno: con le ipotesi di Patinkin e la capacità dell’effetto saldi reali di far fronte a due dei tre casi speciali identificati dalla sintesi neoclassica, la necessità di politiche fiscali espansive sarebbe limitata ai casi di rigidità dei salari, cioè alla rimozione di una delle ipotesi sulle quali si regge lo schema di Patinkin.
Tuttavia, lo stesso Patinkin afferma che l’effetto saldi reali potrebbe essere in realtà troppo debole per garantire il raggiungimento di una situazione di pieno impiego; ne consegue che le politiche keynesiane potrebbero mantenere un ruolo importante nella misura in cui possano accelerare il naturale manifestarsi dell’effetto saldi reali o supplire al loro mancato verificarsi."

4. Quanto abbiamo appena visto, sia o meno l'aperto e cosciente riferimento teorico di Draghi, ci fornisce abbastanza indizi per ipotizzare una ricostruzione di come la "vede"

- Draghi prende atto, a quanto pare, della prolungata caduta e mancata ripresa degli investimenti in UEM, nonostante i tassi ufficiali ai minimi storici, e che dunque la curva IS si sta rivelando, diffusamente, piuttosto rigidina;
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- nell'ottica predominante delle aspettative razionali (che guidino o meno gli "esiti" della curva di Phillips), continua ad attribuire questa rigidità alla insufficiente flessibilità salariale verso il basso nei paesi "debitori" (per la Germania, obiettivamente, l'andamento salariale rispetto alla produttività non consente analogo rimprovero, anzi, semmai, un auspicio nella direzione opposta, cui avrebbe di recente aderito anche Weidman; v.sotto);

- al contempo, sicuramente senza temerla eccessivamente, deve cercare di fronteggiare una prospettiva di deflazione: cioè il calo dei prezzi, come nell'ipotesi di Patinkin (e di certi economisti mainstream italiani) viene visto come una cosa generalmente positiva, ma purchè poi ne segua la fiducia degli investitori, ostacolata invece dalle eccessive pretese salariali e dal livello della spesa pubblica.

- Solo che, appunto, in attesa che effettivamente sia rimosso l'ostacolo della rigidità salariale, e dunque in presenza di curva degli investimenti IS rigida (l'abusato "cavallo non beve"), è consapevole che la politica monetaria da lui concepita da ultimo (un QE inclusivo di acquisto di titoli pubbliici e privati, fuori tempo massimo), rischia di risultare scarsamente efficace. Per questo, parla infatti, a Jackson Hole; di "investimenti pubblici", nell'ambito di una ovvia politica sul lato dell'offerta, che renderebbe lecito un qualche allentamento delle politiche del pareggio di bilancio;

- il che riporta in auge, a doppio titolo, - cioè sia la condizione neoclassica di accettabilità delle teorie keynesiane espansive costituita dalla rigidità della curva IS, sia per l'insufficienza dell'effetto saldi reali rispetto alla (ancora) eccessiva rigidità salariale verso il basso di paesi come la Francia e soprattutto l'Italia-  l'esigenza di una, ancorchè transitoria, mitigazione del consolidamento fiscale;

- in sostanza, con una certa fantasia nel perpetuare le aspettative razionali di cui è propugnatore, vuole rompere il circolo vizioso per cui il non verificato "spiazzamento" determinato dalla rigidità della curva IS, che vanificherebbe la stessa riduzione della spesa pubblica (già in atto in termini assoluti e considerati arretramento e diminuzione del PIL) si accoppia alla caduta dei consumi e degli scambi intraUEM, determinando l'effetto collaterale della deflazione;

- notare che, implicito in questo discorso, è che la crisi non sia da domanda ma strutturale: cioè Draghi legge la situazione come sostanzialmente svincolata dall'andamento del PIL (UEM o di singole nazioni), considerato un problema  "aggiustabile" nell'ambito della ristrutturazione da sempre auspicata. Cioè, con la sola lente dell'obiettivo di preservare la moneta unica, in quanto strumento che "vincola", cioè rende ineludibile rimuovere gli ostacoli al pieno ripristino del mercato del lavoro(-merce) che viene considerato essenziale per il funzionamento dell'effetto saldi reali, ovvero dello stesso spiazzamento espansivo verso gli investimenti privati.

- insomma, la chiave di tutto, come sempre è il mercato del lavoro, la cui flessibilizzazione, viene presumibilmente vista come la precondizione per la praticabilità e l'efficacia delle stesse politiche di taglio della spesa pubblica: finchè la prima non viene pienamente realizzata, le seconde rischiano di provocare un problema di deflazione e di non poter sbloccare la rigidità della curva degli investimenti.

5. Su questi punti la Germania non sembra volerlo seguire seguirlo: torniamo alle ben note implicazioni mercantilistiche congegnate nei trattati. Alla fine, QE insieme con riforme (definitive) flessibilizzanti del lavoro applicate per "POI arrivare al" e, quindi, "prima del" taglio intensivo della spesa pubblica, ai tedeschi non interessano
E non perchè non abbiano in effetti già raggiunto in gran parte questi obiettivi, cioè pareggio di bilancio e flessibilità dei salari, anzi. Ma perchè a loro dell'effetto spiazzamento realizzabile dagli altri partner UEM non interessa nulla; semplicemente perchè operano in una situazione di vantaggio da surplus commerciale che gli consente di accumulare risparmio che non si traduce, come risulta dai dati, in una corrispondente  elasticità degli investimenti, di cui non sono certo dei campioni

6. Ai tedeschi interessa essenzialmente, che gli altri partner, non importa con quali esiti, realizzino simultaneamente tutti gli aggiustamenti, riducendo così le rispettive posizioni debitorie target2, cioè facendoli rientrare dei loro crediti privati attraverso la violenta correzione dei propri deficit commerciali, e che, allo stesso tempo, le politiche monetarie espansive non solo non ritardino la correzione salariale (modello "di successo" greco e irlandese), ma non li mettano con le spalle al muro provocando una bolla speculativa degli assets sui quali investono il loro enorme risparmio-surplus.

Inoltre, il richiamo di Draghi alla flessibilità dei vincoli fiscali UEM si proietta nei confronti dei tedeschi in modo opposto a quanto vale per gli altri paesi (e sempre specialmente per Germania e Francia): per loro cioè implica una esortazione, vagamente fondata sullo "spirito dei trattati" - applicato finora solo ad usum delphini, e che, nel consolidarsi della prassi applicativa dei trattati, risulta giuridicamente molto debole-, a rilanciare la propria domanda interna con tanto di crescita salariale adeguatrice alla produttività da essi accumulata.
Questo spiega perchè Weidman, molto più realistico e pratico del re (della regina Merkel e del primo cavaliere Schauble) predichi, subito contrastato, aumenti salariali sopra l'attuale tasso di inflazione pur di scongiurare gli acquisti di ABS e il QE "pieno" BCE, che riverserebbero ulteriori fondi su quegli stessi assets di investimento, immobiliare e finanziario, tedeschi, rischiando di far emergere le voragini da sempre nascoste nel sistema bancario tedesco.

Insomma, Draghi, come evidenzia Francesco Lenzi, ha ribadito la strategia che mira può essere così riassunta:

"Tener insieme i cocci degli squilibri di competitività tra Stati e cercare attraverso la politica monetaria espansiva, di gonfiare il livello dei prezzi delle attività finanziarie e reali tedesche, creare cioè quell’effetto ricchezza che si trasferisce sui consumi, e con questo intervenire sul saldo estero della Germania. Preservando l’eurozona.

In sostanza, riproporre, 3 anni dopo, quella che era la strategia americana per risolvere i problemi di competitività intra-eurozona, ma che adesso danneggiano direttamente anche la loro economia.

Il dubbio però che rimane è quello di sempre: l’ortodossia della Bundesbank sarà tanto assopita da accettare tutto questo, oppure, fatti due conti, verrà fatto capire alla cancelleria che è arrivato il momento di alzarsi dal tavolo?"

7. Intanto quel che è chiaro è che ci sono due crisi intrecciate:

a) una è quella dell'euro come meccanismo monetario pretesamente cooperativo, provocata, ma in fondo "predisposta", dal mercantilismo tedesco (detto in modo brutalmente semplificato), che ha a che vedere col quadro istituzionale "reale" dei trattati. Se non altro perchè, giustamente, i tedeschi possono reclamare che se i trattati non fossero stati strutturati così, non avrebbero aderito all'UEM!;

b) l'altra, pilotata e controllata strategicamente, - e che poco si cura sia degli effetti recessivi-depressivi,  sia del livello della disoccupazione, sia della stessa deflazione,  considerati un mero effetto collaterale necessario e transitorio (wishful thinking)-, che mira a realizzare il pieno disegno dell'euro e che, prescinde dai trattati "reali".

Anzi: riafferma e consolida la piena libertà creativa, e massimamente (neo)sovrana, dei poteri tecnocratici finanziari e sovranazionali, legibus soluti, che governano l'€uropa.

8. Siccome invece, (non certo per amore del benessere dei propri cittadini), i tedeschi alla loro sovranità ci tengono e molto, concependola come un presupposto irrinunciabile della loro partecipazione all'euro, e ritenendo semmai moralmente e giuridicamente abrogabile (disperdibile) solo quella altrui, al netto delle vicende russo-ucraine (che potrebbero semmai accelerare gli sviluppi che si preannunciano), il dissidio tra poteri sovranazionali liberoscambisti e sovranità sta giungendo alla fase critica del suo drammatico confronto.

E chissà che i tedeschi  alla fine, certamente senza volerlo, non ci facciano un indiretto "piacere": allora si vedrà se quel poco che è rimasto in piedi in Italia è sorretto ancora da qualche traccia di "risorsa culturale"...Pallide speranze di un risveglio...

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