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Contro il Parlamento Europeo

di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli

Su Open Democracy un tema che rischia di diventare di forte attualità prossimamente: man mano che l’euroscetticismo avanza, una risposta apparente è quella di colmare quello che viene definito il “deficit democratico” della UE, rafforzando la legittimazione democratica percepita delle sue istituzioni. In realtà nessuna di queste proposte apparentemente illuminate affronta il tema principale, che è quello della “cattura oligarchica” delle istituzioni UE, anche di quelle elettorali rappresentative. Il tema è approfondito dai due autori in questo studio

parlamentoeuropeoAlle elezioni del Parlamento europeo del maggio 2014, i partiti euroscettici hanno guadagnato terreno a spese dei partiti pro-europei. Questo vale sia per i partiti euroscettici di destra che per quelli di sinistra. In generale, la reazione delle elite pro-UE è stata sufficiente e paternalistica. Alcuni tra gli appartenenti all’elite pro-UE hanno suggerito che il voto euroscettico è stato un voto di protesta non contro le istituzioni dell’Unione europea, ma contro i governi nazionali, che hanno fallito nella gestione della crisi economica, finanziaria e del debito sovrano. Alcuni hanno suggerito che l’ondata euroscettica è arrivata principalmente da persone appartenenti ai segmenti più poveri della popolazione: quelli più colpiti dalla crisi, ma anche quelli che, a causa del nesso esistente tra povertà e bassi livelli di istruzione, sono meno capaci di capire le cause della crisi e quale potrebbe essere la possibile soluzione. I contributi dei trattati, dei patti, delle politiche, dei vincoli e obiettivi della UE agli alti tassi di disoccupazione e agli ampi tagli alla spesa pubblica in molti Stati membri, sono stati misconosciuti e minimizzati.

Le élite filo-UE sono costituite da politici, intellettuali, accademici e commentatori pro-UE.  Alcuni membri delle élite pro-UE ammettono che gli elettori euroscettici hanno motivi legittimi per essere scontenti del modo in cui l’Unione europea e la zona euro funzionano, e per essere insoddisfatti delle istituzioni comunitarie. Ma queste ammissioni sono spesso seguite dalla pretesa che gli euroscettici siano degli illusi. Sono illusi perché pensano che la soluzione ai loro problemi possa venire dai partiti populisti anti-europei. Il termine ‘populismo’ viene impiegato dalle élite pro-UE in modo dispregiativo, in riferimento a qualsiasi movimento euroscettico. Le soluzioni ai problemi della gente, dal loro punto di vista, non possono arrivare dall’euroscetticismo, ma dalla stessa élite pro-UE – proprio quella stessa élite che ha ricoperto incarichi di responsabilità nell’Unione europea sino ad ora.

Secondo le élite pro-UE, la crescente ondata di euroscetticismo non può e non dovrebbe essere presa sul serio. L’euroscetticismo non è l’espressione di una vera e propria preferenza o di un vero e proprio giudizio su ciò che le élite pro-UE hanno ottenuto finora, ma piuttosto una patologia che deve essere curata. Il modo per curarla è ‘più Europa': una maggiore integrazione politica europea, una maggiore condivisione della sovranità a livello di Unione europea, e più trasferimenti di potere dai governi nazionali alle istituzioni UE. Questo è proprio esattamente l’opposto di quanto gli elettori euroscettici sembrano chiedere. Le élite filo-europee pensano secondo lo schema seguente: se solo i votanti euroscettici dei partiti populisti potessero vedere chiaramente le cose come stanno, così chiaramente come noi le vediamo, si renderebbero conto che una maggiore integrazione politica, e non il contrario, è la soluzione ai loro problemi.

 

Cattura oligarchica

L’argomento principale per ulteriori trasferimenti di sovranità alle istituzioni europee è che una migliore integrazione politica consentirà un’azione coordinata più efficiente. Tale azione coordinata è considerata cruciale per la prosperità e la rilevanza politica dell’Europa, e più in generale per il successo del processo decisionale politico in un mondo globalizzato. Una maggiore integrazione, si sostiene, creerebbe delle istituzioni europee più forti. Vale a dire: le istituzioni dell’UE sarebbero meglio in grado di risolvere i problemi che sono all’origine della frustrazione degli elettori euroscettici. Tuttavia, una questione che le élite pro-UE sistematicamente mancano di affrontare è il rischio di “cattura” da parte dell’oligarchia. Le oligarchie economiche – persone fisiche o giuridiche che possiedono o controllano risorse economiche e finanziarie enormi – possono facilmente avere un’influenza sproporzionata sul processo decisionale. Questa influenza spinge la politica in direzioni che promuovono gli interessi delle oligarchie, che sono spesso in conflitto con gli interessi della gente comune. Questa influenza si esercita anche sulle istituzioni politiche elettorali-rappresentative dei paesi a suffragio universale e con libere elezioni.

Probabilmente, l’influenza dell’oligarchia sui responsabili politici della UE è uno dei fattori responsabili dell’aumento dell’euroscetticismo. E’ opinione diffusa tra i cittadini europei che i responsabili politici europei non rispondano ai loro interessi, e che siano invece più interessati a proteggere gli interessi di una minoranza privilegiata. Questo porta ad una sensazione di impotenza, che può trovare espressione in un voto ai partiti euroscettici. La interpretazione ufficiale avanzata dalla élite pro-UE è che il potere limitato delle istituzioni UE spiega perché tali istituzioni non abbiano avuto tanto successo nell’affrontare la crisi. Una versione alternativa, e più precisa, sostiene che la cattiva gestione della crisi sia dovuta, almeno in parte, al fatto che i politici dell’Unione hanno dato priorità alla protezione degli interessi delle oligarchie – ad esempio delle istituzioni finanziarie – piuttosto che a quelli della gente comune. La prova non è difficile da trovare. Dall’inizio della crisi, nel 2008, le disuguaglianze all’interno della UE sono aumentate, soprattutto a vantaggio degli ultra-ricchi. In Europa, tra il 2007 e il 2014, la quota di ricchezza del decile superiore e del percentile superiore è aumentata.

Mentre la questione della cattura oligarchica delle istituzioni europee è stata solo raramente affrontata dalle elite pro-UE, si è invece discusso della grande componente tecnocratica presente tra i decisori politici dell’UE. Molto potere decisionale nella UE non è nelle mani di politici eletti, ma piuttosto nelle mani di funzionari non eletti, come i supervisori, burocrati, amministratori ed esperti. Alcuni membri delle élite pro-UE vedono questo come un problema. Lo chiamano ‘il deficit democratico’ e sostengono che c’è un problema di legittimazione democratica nel processo decisionale dell’Unione europea, o almeno di legittimazione percepita, a causa della sua natura tecnocratica.

La tecnocrazia certamente ha svolto un ruolo nella crescita dell’euroscetticismo. Sapere che dei funzionari non eletti decidono sulle politiche che influenzano la libertà e il benessere dei cittadini può rafforzare la convinzione che le istituzioni europee non rispondono alle esigenze del popolo. Un linguaggio anti-tecnocratico è comune nei movimenti euroscettici. Ma sebbene non se ne parli molto, la questione della cattura oligarchica è estremamente importante in questo contesto. Le elite tecnocratiche possono proteggere e promuovere in modo più efficace i propri interessi, servendo gli interessi dei super-potenti. Per questo motivo, le élite tecnocratiche e le istituzioni guidate da esperti sono particolarmente vulnerabili alla cattura oligarchica e possono facilmente non rispondere più alle esigenze dei comuni cittadini, almeno se paragonate a quelle istituzioni sulle quali i cittadini possono esercitare forme meno indirette di controllo. Le cosiddette porte girevoli sono solo un aspetto di primo piano di questo processo di cattura: molti regolatori ed esperti lavorano, o hanno lavorato, o desiderano lavorare, e finiscono per lavorare, per potenti corporation e società finanziarie.

I membri delle élite pro-UE che parlano dell’esistenza di un deficit democratico, spesso affermano con entusiasmo che il processo di integrazione deve essere accompagnato da una maggiore democratizzazione. Le loro proposte si concentrano su come accrescere la legittimazione percepita del processo decisionale dell’UE riducendo le sue componenti tecnocratiche e burocratiche e rafforzando la componente elettorale rappresentativa. Questo è ciò che normalmente s’intende per democratizzazione delle istituzioni europee. Ma il problema della cattura non è mai stato affontato. Più in generale, la questione del controllo popolare sulle istituzioni comunitarie non viene mai preso correttamente in considerazione. Se gli oligarchi o qualche altra minoranza privilegiata sono in grado di catturare le istituzioni politiche, allora il controllo popolare su tali istituzioni non è possibile. Al contrario, il controllo popolare sulle istituzioni politiche significa che il potere politico – la capacità di influenzare e indirizzare le decisioni politiche – è più o meno equamente distribuito tra le persone, nel senso che tale potere non è concentrato nelle mani di una oligarchia o di una minoranza privilegiata. La cattura delle istituzioni politiche da parte di una minoranza e il controllo popolare sulle istituzioni politiche sono incompatibili. La cattura oligarchica è la forma più pericolosa e robusta di cattura di una minoranza.

Il modo migliore di interpretare e articolare il successo dei partiti euroscettici è in termini di controllo popolare. Prima del trasferimento di sovranità alle istituzioni comunitarie, il controllo popolare negli stati membri nazionali non era necessariamente molto forte o efficace. Ma questi trasferimenti di potere non hanno rafforzato il controllo popolare. L’hanno invece reso più debole. L’indebolimento del controllo popolare – l’evaporazione della democrazia – è un fenomeno generale, con molte cause diverse. Una di queste è l’internazionalizzazione della politica. Il voto euroscettico si comprende meglio come un grido di disperazione contro l’indebolimento del controllo popolare sulle decisioni politiche, decisioni che hanno un grande impatto sulla libertà e il benessere della gente comune. E’ un grido di disperazione che esprime malcontento sia per l’indebolimento del controllo popolare generato dai precedenti trasferimenti di sovranità che per l’indebolimento del controllo popolare che, se il passato ci permette di prevedere il futuro, può derivare da un’ulteriore integrazione. Questo è, a nostro avviso, il cuore democratico dell’euroscetticismo.

Non è sorprendente che la disperazione sia maggiore nelle persone appartenenti ai segmenti più poveri della popolazione. Essi sono i più impotenti, e i più duramente colpiti da un sistema che tutela gli interessi della élite privilegiata. La rabbia generata dall’esclusione politica ed economica può esprimersi pubblicamente in una varietà di modi, alcuni meno desiderabili di altri. Può trovare espressione in atteggiamenti e punti di vista xenofobi e discriminatori, che danneggiano gli individui e le comunità e possono portare a pericolosi conflitti all’interno e nei rapporti tra i diversi paesi. In alternativa, può anche trovare espressione in una posizione forte contro il potere politico delle oligarchie economiche e delle tecnocrazie burocratiche. Il metodo migliore per scoraggiare le espressioni negative della disperazione sta nel perseguire e ripristinare il controllo popolare. Il disconoscimento di questa domanda di trasferimento di potere al popolo non è una soluzione. Qello che le élite filo-UE spregiativamente chiamano populismo, contiene in sé una richiesta legittima di trasferimento di potere al popolo. I sentimenti populisti possono essere sfruttati da coloro che, per fini politici, vogliono fomentare la xenofobia. Alcuni politici stanno facendo proprio questo. Ma i sentimenti populisti possono anche essere uno strumento di democratizzazione. Tutto dipende da come si delinea il panorama sociale e politico.

Il rafforzamento del controllo popolare, e l’opposizione a quei processi che stanno erodendo il controllo popolare in paesi dove, almeno in una certa misura, questo controllo esisteva, dovrebbe essere l’obiettivo di coloro che apprezzano e che lottano per la democratizzazione della società, in Europa e altrove. Ma anche le proposte più ambiziose di riforma delle istituzioni europee, come quelle presentate dai membri delle élite pro-UE che parlano del deficit democratico, non riescono ad affrontare i problemi connessi al trasferimento del potere al popolo e alla cattura oligarchica. Più Europa e una maggiore integrazione europea, anche se accompagnate da un rafforzamento della componente elettorale rappresentativa della UE, non necessariamente equivalgono a un maggior controllo popolare. In realtà, possono portare facilmente ad un ulteriore indebolimento del controllo popolare.

Sembra esserci una generale mancanza di apprezzamento di questi argomenti da parte delle élite filo-UE. Alcuni parlano della necessità di iniziare a condividere la sovranità in aree che in questo momento sono ancora, almeno in linea di principio, di competenza dei governi nazionali, come vari aspetti di politica economica e fiscale. L’argomento è che se non si portano tali aree “sotto la disciplina comune dell’unione” non sarà possibile produrre politiche efficaci e di successo, come quelle necessarie ad evitare il crollo dell’unione monetaria.

Mario Draghi, l’attuale presidente della Banca centrale europea (BCE) ed ex Vice Presidente per l’Europa di Goldman Sachs International – una delle più potenti organizzazioni oligarchiche del mondo – è tra i più importanti sostenitori di questa argomentazione. Da quando è entrato in carica, la condivisione della sovranità è stato un tema ricorrente dei suoi discorsi ufficiali. Chiedendo ulteriori trasferimenti di sovranità dalle istituzioni nazionali alle istituzioni europee, Draghi sta chiedendo di attribuire poteri decisionali rafforzati a delle persone che stanno in posizioni come la sua. La BCE manca dei poteri di cui dispongono istituzioni analoghe, come la Federal Reserve degli Stati Uniti. La frustrazione di Draghi, che sia giustificata o meno, non è sorprendente. Ma è importante notare che, ogni volta che Draghi parla della necessità di un’ulteriore integrazione, non discute di come questa maggiore integrazione possa essere realizzata per essere compatibile con la democrazia.

In un recente discorso, Draghi ha dichiarato che “in un’epoca in cui gli Stati nazionali sono strettamente interconnessi, condividere la sovranità significa guadagnare sovranità”. Ma egli ha illustrato questo concetto facendo riferimento al fatto che, poiché la Lituania è diventata un membro della zona euro, il Presidente del Consiglio di Amministrazione della Banca di Lituania sarebbe diventato un membro del Consiglio direttivo della BCE. Il presidente della BCE e tutti i membri del Consiglio direttivo della BCE sono funzionari non eletti. Così come il Presidente della Banca di Lituania. Si tratta di istituzioni tecnocratiche, le cui decisioni non sono direttamente sotto il controllo delle istituzioni politiche, proprio come molte altre banche centrali di tutto il mondo. L’indipendenza politica delle banche centrali, e il loro mandato che si presume non essere politico, è una concezione consolidata tra le élite di governo. Questo potrebbe spiegare perché Draghi non senta il bisogno di menzionare la democrazia quando parla del trasferimento di sovranità. Lo spiega, ma non lo giustifica.

A differenza di Draghi, alcuni membri delle élite pro-UE parlano esplicitamente della necessità di garantire la legittimazione democratica del processo decisionale dell’Unione europea. Essi sostengono che questo obiettivo può essere raggiunto limitando la portata del processo decisionale tecnocratico e rafforzando le componenti elettorali rappresentative dell’UE. Ad esempio, Karl Lamers (il portavoce di politica estera della Cdu tedesca) e Wolfgang Schäuble (il ministro delle finanze tedesco) http://www.ft.com/cms/s/0/5565f134-2d48-11e4-8105-00144feabdc0.html?siteedition=uk&siteedition=uk&_i_referer=#axzz3LIDri9T2" target="_top">hanno dichiarato di recente di essere “favorevoli a un ‘parlamento della zona euro’ che comprenda i deputati dei Paesi dell’Eurozona per rafforzare la legittimazione democratica delle decisioni che incidono sull’unione monetaria.” Essi hanno sostenuto che, su molti problemi, è necessaria un’azione a livello UE. In particolare, essi pensano che vi sia la necessità di un commissario del bilancio europeo con il potere di interferire con, e in alcuni casi determinare, e le politiche economiche e fiscali dei singoli Stati membri. Il loro suggerimento è che, perché questo trasferimento di autorità dai governi nazionali al nuovo commissario sia legittimata democraticamente, i poteri esecutivi del commissario potrebbero essere controbilanciati da un parlamento della zona euro con più poteri rispetto a quelli che il Parlamento Europeo ha attualmente. Rafforzare la componente elettorale rappresentativa della UE sarebbe un modo per legittimare il rafforzamento dei poteri degli organi esecutivi europei.

Una simile proposta di rafforzamento sia dei poteri esecutivi che dei poteri del parlamento, almeno per la zona euro, http://www.ft.com/cms/s/0/5565f134-2d48-11e4-8105-00144feabdc0.html?siteedition=uk&siteedition=uk&_i_referer=#axzz3LIDri9T2" target="_top">è stata avanzata dal Glienicker Gruppe nell’ottobre 2013: “Abbiamo finalmente bisogno di un esecutivo europeo che possa negoziare pacchetti di riforme con i paesi in crisi, decidere la chiusura delle banche e garantire la fornitura dei beni pubblici. L’Unione monetaria ha bisogno di un governo economico capace di agire … L’Euro-governo deve essere scelto e controllato da un Euro-Parlamento.”  Nella gestione della crisi della zona euro, dei pacchetti di riforme sono stati imposti ad alcuni paesi – come Grecia e l’Irlanda – dalla cosiddetta Troika, cioè dai rappresentanti del Fondo monetario internazionale, della Banca centrale europea, e della Commissione europea . Il Glienicker Gruppe suggerisce che interferenze e imposizioni di questo tipo siano necessarie nella zona euro perché funzioni in maniera corretta e al fine di evitare un crollo della moneta unica. Ma pensano anche che, a differenza di quanto accaduto con la Troika, sia necessaria una supervisione democratica che legittimi  queste interferenze e imposizioni. Essi assumono, senza motivo, che una versione migliorata del parlamento UE, limitata inizialmente alla sola zona euro, sarebbe sufficiente per un adeguato controllo democratico su decisioni di questo tipo.

 

Un manifesto per l’Europa?

Anche le proposte socialdemocratiche che combinano le riforme istituzionali con una redistribuzione fiscale a livello UE non prestano la dovuta attenzione a ciò che un efficace controllo popolare richiede. Il Manifesto per l’Europa di Thomas Piketty, Rosanvallon, e colleghi ne è un esempio. Questo gruppo francese sostiene che per affrontare i problemi della zona euro è necessario un esecutivo Ue rafforzato, e che questo rafforzamento si può avere solo con un aumento della capacità di bilancio della UE. Per realizzare questo, suggeriscono l’istituzione di una imposta UE sul reddito delle società (Corporate Income Tax, o CIT). Ciò permetterebbe di avere un bilancio sovranazionale più grande, che potrebbe essere utilizzato per finanziare programmi di investimento e pacchetti di stimolo in aree e Stati membri in crisi. Essi poi sostengono che “per approvare la base imponibile della CIT, e più in generale per discutere e approvare con metodo democratico i provvedimenti fiscali e finanziari e le decisioni politiche su ciò che in futuro dovrà essere condiviso, dobbiamo istituire una camera parlamentare per la zona euro “.

Anche se i dettagli sono diversi, il loro suggerimento è simile a quello del Glienicker Gruppe: è necessario un esecutivo forte, con il potere di usare e spostare risorse all’interno della zona euro, e si può dare legittimità a questo esecutivo forte, rafforzando la componente parlamentare del processo decisionale dell’UE. Riprendendo un’idea di Joschka Fischer, essi hanno proposto la creazione di un parlamento dell’eurozona, che comprenda un certo numero di membri dei parlamenti nazionali dei paesi dell’euro, perché, come dicono loro, “non è possibile privare del tutto i parlamenti nazionali del loro potere di imposizione fiscale.” Essi suggeriscono che avere come membri di questa camera parlamentare supplementare dei deputati nazionali invece che dei deputati del parlamento europeo sarebbe un modo per preservare il potere impositivo dei parlamenti nazionali, piuttosto che semplicemente, e più plausibilmente, un modo per rendere meno problematico il trasferimento di sovranità.

A loro avviso, questa Eurocamera dovrebbe dotare il governo della UE di un mandato politico, cosa che “finalmente permetterà di superare l’inerzia attuale” e “l’impotenza politica del nostro continente.” Secondo loro, solo un’integrazione politica più profonda può emendare e risolvere i difetti strutturali dell’euro, che attualmente è una moneta senza Stato. Molta sovranità è già stata trasferita dagli stati membri alle istituzioni dell’UE, esplicitamente o implicitamente, sia con i vari trattati che con l’introduzione della moneta comune. Piketty e colleghi, insieme a molti altri membri delle élite pro-UE, pensano che questo trasferimento è incompleto e che questa incompletezza rende l’Unione europea e la zona euro in particolare drammaticamente inefficienti. Ma è una strana idea quella che gli europei abbiano bisogno di un parlamento dell’eurozona al fine di ottenere un governo dell’eurozona che possa salvare una unione monetaria difettosa. Anche se si volesse ritenere che gli errori del passato non possano essere annullati e che sia necessario portare avanti un’ulteriore integrazione, la questione del se e del come una componente parlamentare rafforzata potrebbe tradursi in un rafforzamento del controllo popolare sulle decisioni politiche europee, è una questione che dovrebbe essere esplicitamente discussa. Questa è la questione più importante per qualsiasi tentativo di riformare democraticamente la zona euro. Ma il Manifesto per l’Europa di Piketty non ne fa nemmeno cenno.

Tra i più autorevoli sostenitori dell’idea che la componente elettorale rappresentativa della politica UE debba essere ampliata, vi è Jürgen Habermas. Il filosofo tedesco è stato a lungo un feroce critico delle forme tecnocratiche di governo, e ha sostenuto che solo un parlamento UE dotato di maggiori poteri può dare legittimità alla politica a livello UE. Anche se i dettagli sono diversi, e Habermas argomenta molto più in profondità, l’idea principale è la stessa delle proposte discusse prima, per le quali gli scritti di Habermas possono essere una delle fonti. Ecco di nuovo lo stesso argomento: un’Europa può avere economicamente e politicamente successo in un mondo globalizzato solo se arriva a una piena integrazione, cioè solo se la sovranità è esercitata collettivamente e non dai singoli Stati membri; l’esercizio collettivo della sovranità richiede un forte potere esecutivo a livello UE, compreso il potere di prendere decisioni che riguardano l’imposizione fiscale e le politiche economiche degli Stati membri, e il potere di redistribuire le risorse da alcuni Stati membri ad alcuni altri; un forte potere esecutivo a livello comunitario può essere legittimato democraticamente solo se questo potere è controllato da un Parlamento Europeo più forte; in particolare, dei trasferimenti fiscali a livello europeo possono essere legittimati democraticamente solo se sono autorizzati da un parlamento UE che disponga di poteri che l’attuale parlamento UE non ha.

Habermas esprime preoccupazione per la necessità di ampliare la legittimazione delle istituzioni europee. Secondo lui, il processo decisionale tecnocratico manca di legittimazione democratica ed è vulnerabile alle pressioni generate dai mercati finanziari. Anche se egli non prevede esplicitamente che il processo decisionale politico possa essere catturato dalle oligarchie economiche, sua critica della tecnocrazia e la sua avversione per la democrazia ‘marktkonform’ dimostrano una certa sensibilità verso questi problemi. Ma Habermas non affronta il problema di se e come un parlamento UE dotato di maggiori poteri di quello attuale rafforzerebbe, o almeno non diminuirebbe, il controllo popolare sulle politiche a livello UE.

 

La questione del controllo popolare

Il controllo popolare risulta aumentato quando aumentano l’ambito e la portata delle decisioni prese da rappresentanti eletti? Definiamo questo problema come ‘la questione del controllo popolare’. Il ‘momento costituzionale europeo’ necessita di essere affrontato in profondità. Ma il problema del controllo popolare normalmente è passato sotto silenzio ed è rimasto senza risposta, come se la risposta fosse ovvia. Il presupposto è che dei rappresentanti eletti dotati di maggiori poteri ovviamente sarebbero più sensibili – e sarebbero più in grado di trovare delle buone soluzioni – verso i problemi dei cittadini europei, compresi quelli che hanno votato per i partiti euroscettici. La risposta delle élite pro-UE alle richieste di una maggiore responsabilità e di un più forte controllo popolare, è un’assemblea parlamentare UE più potente, che avrebbe la funzione di controllare, limitare e dirigere un governo UE con più poteri rispetto a quelli della attuale Commissione europea.

La risposta al problema del controllo popolare non è così evidente come le élite pro-UE fanno intendere. La cattura oligarchica non riguarda solo gli organismi di regolamentazione e i funzionari non eletti. Colpisce anche i rappresentanti eletti. Aumentare i poteri dei funzionari eletti che sono vulnerabili alla cattura oligarchica significa aumentare il potere delle oligarchie economiche. Significa indebolire il controllo popolare. I Parlamenti nazionali elettivi e i governi sono strumenti altamente imperfetti per conseguire il controllo popolare sulle decisioni che riguardano la libertà e il benessere delle persone. In questo senso, parlamenti e governi sovranazionali sono ancora più inefficienti.

Il fatto che i parlamenti elettivi e i governi siano strumenti inefficienti per quel che riguarda il controllo popolare sulle decisioni politiche è dimostrato dal drammatico aumento delle disuguaglianze economiche nei paesi a suffragio universale e libere elezioni, come gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale nel corso degli ultimi 35 anni. Queste disuguaglianze sono principalmente andate a vantaggio dell’1% più ricco, e in alcuni casi solo di una piccola parte del percentile. Esse sono andate a beneficio delle oligarchie economiche. Se gli organi elettivi e i funzionari avessero tentato di essere uno strumento per l’esercizio del controllo popolare, allora non avrebbero avuto particolarmente successo in questo. Tuttavia, i governi nazionali non hanno quasi mai nemmeno tentato di essere strumenti per l’esercizio del controllo popolare. In generale, l’aumento delle disuguaglianze negli ultimi tre decenni non è stato messo in discussione dai funzionari e organi elettivi. Al contrario, in molti casi i funzionari elettivi hanno promosso delle leggi volte a consentire o a portare avanti questo aumento delle disuguaglianze.

Spesso i funzionari elettivi hanno lavorato per tutelare e promuovere gli interessi di una minoranza di super-ricchi privilegiati, piuttosto che quelli della gente comune. Dall’inizio della crisi finanziaria nel 2008, questo fenomeno si è accelerato. I salvataggi bancari e le conseguenti politiche di austerità, compresi i tagli alle spese pubbliche, che hanno influenzato negativamente i segmenti più poveri della popolazione, come anche quella che una volta era la classe media, ne sono l’esempio più lampante.

I tre decenni successivi alla seconda guerra mondiale sono a volte indicati come i ‘trenta gloriosi’. Si parla di anni gloriosi per la maggior parte dell’Europa occidentale e per gli Stati Uniti in quanto sono stati anni di crescita economica sostenuta e livelli relativamente bassi di disuguaglianza. I diritti dei lavoratori erano più tutelati, si sono registrati aumenti significativi dei salari (in termini reali), e lo stato sociale è stato ampliato. E’ stato tutto dovuto al fatto che in quel periodo i parlamenti elettivi e i governi erano strumenti efficaci di controllo popolare? L’analisi di Piketty, nel suo libro sul capitale e le tendenze a lungo termine delle disuguaglianza, suggerisce che la gloria dei dovuta alla enorme distruzione di ricchezza causata dalle due guerre mondiali.

Se in quel periodo i parlamenti e i governi elettivi sono stati in qualche misura strumenti di controllo popolare, questo è stato solo a causa della temporanea debolezza delle oligarchie, che ha permesso ai comuni cittadini – tramite i sindacati e i partiti popolari – di avere un certo impatto sulla politica. Negli anni ’70 e ’80, quando le oligarchie hanno ripreso forza, è cominciato un attacco allo stato sociale, ai diritti dei lavoratori, e più in generale a tutti quei meccanismi e modalità che mettevano dei vincoli al potere oligarchico e al profitto. Questo attacco è stato lanciato con la collaborazione dei governi e dei parlamenti elettivi, che sono stati nuovamente catturati dalle oligarchie. Come risultato, le disuguaglianze hanno ricominciato a crescere.

Visti i suoi stessi dati, Piketty dovrebbe ben sapere che gli organi elettivi non sono, in generale, uno strumento particolarmente efficiente per curare e rispondere agli interessi della gente comune, anche se naturalmente possono funzionare meglio in questo senso quando gli avversari del controllo popolare sono deboli. Dopo tutto, è a causa delle pressioni delle oligarchie economiche, e non dei comuni cittadini, che, fin dalle origini dell’Unione europea e sempre di più negli ultimi decenni, i governi elettivi dei paesi europei hanno volontariamente trasferito parti della sovranità dalle istituzioni nazionali alle istituzioni dell’UE. Questo di per sé suggerisce che tali trasferimenti non fossero e non siano tuttora finalizzati ad arrecare vantaggi alla gente comune e a dare loro un maggiore controllo sul processo decisionale politico. Negli ultimi decenni, all’interno dei partiti mainstream (sia di destra che di sinistra) non c’è stata praticamente nessuna opposizione a tali trasferimenti di sovranità.

 

Vulnerabilità Sovranazionale

Gli organi elettivi sono stati spesso utili strumenti del dominio oligarchico. L’affermazione che il suffragio universale e le libere elezioni dei rappresentanti siano uno strumento efficace per l’esercizio del controllo popolare – che siano sufficienti per la democrazia – serve gli interessi delle oligarchie e delle élites intellettuali e politiche che le oligarchie riescono a catturare. I meccanismi attraverso i quali le oligarchie catturano i funzionari elettivi sono molteplici. La semplice corruzione è uno di questi, naturalmente, ma è quello meno interessante. Al giorno d’oggi, le attività di lobbying dei gruppi oligarchici sono diventate sempre più aggressive e sofisticate.

Ci sono porte girevoli non solo tra le grandi imprese e gli organismi di vigilanza, ma anche tra le grandi imprese e le cariche elettive. A causa delle risorse necessarie per una campagna elettorale, gli individui che perseguono dei progetti politici a danno delle oligarchie economiche è difficile che vengano eletti. A parte la mancanza di mezzi finanziari, i membri dei segmenti più poveri della popolazione è difficile che posano candidarsi per delle cariche pubbliche a causa di una serie di barriere di altro tipo, come il fatto che non hanno facile accesso a livelli più elevati di istruzione, il fatto che non hanno rapporti con le persone di potere, il fatto che gli organi di informazione e di intrattenimento sono sotto il controllo dei gruppi oligarchici, e così via. Il più delle volte, la gente comune manca non solo di adeguati capitali finanziari, ma anche del giusto tipo di capitale sociale, per essere eletta.

A livello sovranazionale questi problemi risultano ancora più gravi. E’ per questo motivo che, in generale, il trasferimento di sovranità a centri di decisione politica internazionali contribuisce all’indebolimento del controllo popolare. I centri di decisione internazionali sono in genere fisicamente, psicologicamente e linguisticamente più lontani dalla gente comune rispetto a quelli nazionali. Questa distanza comporta un maggiore spazio per la cattura oligarchica. I centri internazionali di decisione politica sono progettati in modo tale da rendere estremamente difficoltoso per i comuni cittadini capire come vengono prese le decisioni ed essere in grado di influenzare e contestare tali decisioni in modo efficace. Questo migliora l’efficacia dei meccanismi di cattura oligarchica.

Una volta i partiti politici funzionavano da cerniere di collegamento tra la gente comune e i rappresentanti eletti, contribuendo così in qualche modo al controllo popolare sulle decisioni politiche. Al giorno d’oggi, questa funzione dei partiti è stata quasi completamente persa a livello nazionale, ed è completamente inesistente a livello sovranazionale. L’analogo europeo del partito nazionale – cioè, i gruppi parlamentari UE – sono gruppi eterogenei, praticamente senza significato per gli elettori. Per la grandi maggioranza dei cittadini europei comuni, le barriere linguistiche e le differenze culturali compromettono la possibilità di una partecipazione politica a livello sovranazionale. Ancora più importante, costituiscono un ostacolo alla organizzazione politica, alla possibilità di unire le forze tra persone di diversi paesi al fine di sfidare il potere delle oligarchie economiche. La dimensione continentale si adatta meglio alle esigenze e alle capacità delle lobby.

L’importanza del capitale finanziario e sociale per essere eletti come rappresentanti in una più potente assemblea parlamentare europea sarebbe ancora maggiore di quanto già non sia, e sarebbe così anche per l’impatto delle porte girevoli. Quando i membri degli organi eletti, prima ancora di essere eletti, fanno parte di una élite privilegiata (frequentano scuole diverse, si candidano per lavori diversi, vivono in aree diverse, e così via), senza alcuna conoscenza di prima mano delle esigenze e degli interessi dei cittadini ordinari, non è sorprendente che non siano sensibili a queste esigenze e questi interessi. Se, una volta eletti, finiscono per passare una gran parte del loro tempo a parlare e andare a cena con lobbisti, non c’è da sorprendersi se diventano ancor meno sensibili a tali esigenze e interessi.

La democrazia elettorale-rappresentativa è vulnerabile alla cattura oligarchica, e questa vulnerabilità è amplificata al livello sovranazionale. Alcuni dei movimenti che le élite pro-UE etichettano come populisti, come il Movimento 5 Stelle italiano o lo spagnolo Podemos, riconoscono che la democrazia elettorale rappresentativa è diventata uno strumento di dominio oligarchico invece che di controllo popolare. Essi si rendono anche conto che questo vale a livello nazionale e ancora di più a livello europeo. Molte delle rivendicazioni e delle linee di azione di tali movimenti possono essere comprese meglio se viste come derivanti da un’istanza radicale anti-rappresentativa, un ideale di democrazia anti-rappresentativa. Secondo questa posizione, le strutture elettorali rappresentative comuni ai regimi democratici contemporanei sono incompatibili con la vera democrazia, se la vera democrazia è concepita come un controllo popolare forte e condiviso sulle decisioni politiche. Le organizzazioni elettorali-rappresentative stanno diventando sempre più, e in una certa misura sono sempre state, degli strumenti di dominio oligarchico. Queste organizzazioni sono spesso utilizzate per allontanare il potere politico dalla gente comune, e il trasferimento di queste organizzazioni a livello sovranazionale è un ulteriore passo avanti in questa direzione.

 

Democrazia Schumpeteriana

Le élite pro-UE non non sembrano ritenere necessario per un governo democratico che ci sia un controllo popolare forte e condiviso sulle decisioni politiche. Molti di loro probabilmente non lo ammetterebbero mai pubblicamente, ma la loro concezione della democrazia è fondamentalmente schumpeteriana. Joseph Schumpeter sosteneva che un forte controllo popolare sulle decisioni politiche non è desiderabile perché la maggior parte della gente non ha le capacità cognitive e motivazionali necessarie. Dal suo punto di vista, le persone non sono idonee per il governo, ma questo non significa che bisogna rinunciare alla democrazia. Per Schumpeter, la democrazia dovrebbe consistere nel permettere al popolo di scegliere a quale tra le diverse élite concorrenti affidare il governo. i shoulds competere competizione élite. Anche se le persone comune, dati i loro limiti cognitivi e motivazionali, non sono particolarmente brave nella scelta tra le élite, dovrebbe comunque essere loro permesso di di prendere questa decisione. La ragione di questo è che, essendogli consentito di selezionare una classe dirigente, il popolo sarà più propenso ad accettare di essere governato dalla élite vincente. Di conseguenza, il sistema sarà più stabile ed efficiente.

Schumpeter sbagliava a ritenere che la democrazia sia compatibile con le influenze deboli e volubili che, a quanto gli risulta, le persone possono avere ed è giusto che abbiano sul processo decisionale politico. Ma aveva ragione nel pensare che le democrazie elettorali rappresentative spesso funzionano nel modo da lui descritto. Quelli dell’élite pro-UE che parlano di democratizzazione della UE e di conferire una maggiore legittimazione democratica alle istituzioni della UE, e pensano che questo possa essere fatto rafforzando la dimensione elettorale rappresentativa dell’Unione europea, seguono una linea di pensiero schumpeteriana: lasciate che le persone decidano attraverso elezioni libere quale elite debba governare, e questo sarà sufficiente a garantire la legittimazione democratica. Non vedono come un problema il fatto che le élite in competizione spesso perseguano dei progetti politici quasi identici. E nemmeno vedono come un problema il fatto che le élite in competizione non rispondano alle esigenze e agli interessi della gente comune.

La nomina di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione europea indica che le élite pro-UE sono più schumpeteriane di Schumpeter stesso, perché Schumpeter non ha mai suggerito che non importa che la gente sappia quale élite sta scegliendo. Juncker era lo ‘Spitzenkandidat’ del gruppo parlamentare europeo del PPE (Partito popolare europeo), che ha vinto alle elezioni europee del maggio 2014 con una ristretta maggioranza. Coloro che sostenevano Juncker per la nomina a presidente pretendevano che il suo incarico fosse legittimata democraticamente dal fatto che egli era il candidato del gruppo parlamentare con il maggior numero di deputati. Habermas e altri autorevoli intellettuali si sono espressi a favore della nomina di Juncker suggerendo che i cittadini europei hanno il diritto di scegliere chi deve guidare la Commissione Europea e che risultati delle elezioni avevano mostrato che Juncker era la scelta del popolo. Ma la maggior parte di coloro che hanno votato per i partiti nazionali membri del PPE neppure sapevano cosa fosse il PPE o chi era Juncker.

Habermas other e sostenitori della democrazia elettorale rappresentativa spesso affermano che affinché le istituzioni elettorali rappresentative funzionino correttamente la sfera pubblica, i media, la società civile, o altri organismi equivalenti devono avere alcune caratteristiche, caratteristiche che attualmente non hanno, ma che potrebbero avere, almeno in un mondo ideale. Ma nel nostro mondo non-ideale la democrazia elettorale rappresentativa sta diventando sempre più uno strumento di dominio oligarchico, e piuttosto che aggrapparci ad essa dovremmo cercare di sostituirla o almeno integrarla con delle forme migliori di controllo popolare. Cioè, dovremmo cercare di sostituirla o integrarla con forme di democrazia non rappresentativa.

Degli strumenti anti-rappresentativi che valorizzano il controllo popolare comprendono: 1) frequenti referendum – abrogativi, confermativi, e propositivi – attraverso i quali i cittadini possano decidere direttamente su questioni di politica. Questi dovrebbero essere accompagnati da meccanismi che consentano a gruppi sufficientemente grandi di cittadini, piuttosto che ad organi eletti, di decidere se e quando tenere un referendum su una questione specifica. 2) L’abolizione del libero mandato per i funzionari elettivi e l’introduzione di meccanismi solidi e facilmente accessibili per la revoca dei funzionari. Ciò ridurrebbe il potere delle lobby e delle corporazioni, rendendo più difficile per i funzionari elettivi ignorare gli interessi dei comuni cittadini. 3) La nomina ad alcune cariche politiche per sorteggio (a sorte) invece che per elezione, come succedeva nella democrazia ateniese. Questo renderebbe possibile alla gente comune, senza collegamenti con le classi dirigenti (compresi i disoccupati e i membri dei segmenti più poveri della società) di avere accesso alle istituzioni politiche. Aristotele classificava le elezioni come un sistema di nomina non democratico, e il sorteggio come un sistema di nomina democratico. Nell’antichità il suo punto di vista in proposito era molto diffuso. 4) L’introduzione di meccanismi aggiuntivi di contestazione popolare. Questi dovrebbero responsabilizzare politicamente i cittadini consentendo loro di bloccare, revocare, e modificare le decisioni degli organi elettivi. Tali meccanismi dovrebbero essere robusti e facili da usare, molto più robusti e facili da usare di quelli esistenti.

Ci sono anche dei metodi elettorali-rappresentativi per accrescere il controllo popolare. Uno è la creazione di uffici politici limitati a particolari fasce di popolazione (ad esempio, i disoccupati, quelli a basso reddito, e così via). La restrizione deve essere sia in termini di eleggibilità all’ufficio che in termini di elettorato attivo. Sarebbe un meccanismo simile a quello dei Tribuni della Plebe, che ha giocato un ruolo importante nella costituzione mista della Repubblica Romana, dove ha funzionato come un meccanismo di contrappeso al potere politico dei super-ricchi.

Tutti questi meccanismi sono progettati per ridurre il rischio di cattura da parte di una minoranza e per controbilanciare il potere politico delle oligarchie economiche e delle élite burocratiche, tecnocratiche, politiche e intellettuali che spesso portano avanti i loro interessi servendo gli interessi delle oligarchie economiche. Tutti questi meccanismi potrebbero e dovrebbero essere attuati a livello nazionale. Ma è più che mai importante usarli a livello europeo, dove le opportunità di esercitare il controllo popolare sono ancora più deboli che a livello nazionale.

 

L’Integrazione Guidata dal Popolo

Vi è un urgente bisogno di democratizzare la politica europea. L’esigenza è ancora più urgente se è vero, come le élite pro-UE continuano a ripetere, che la storia e la globalizzazione inevitabilmente spingeranno le nazioni UE verso una maggiore integrazione. Questa ulteriore integrazione, se deve accadere, deve accadere democraticamente. Deve essere un’integrazione fatta dal popolo europeo e per il popolo europeo, invece che un’integrazione fatta dalle élite europee e per le élite europee. Una maggiore integrazione potrebbe essere auspicabile se, quando, e nella misura in cui sia accompagnata dalla valorizzazione del controllo popolare a livello locale, nazionale e sovranazionale. Non è auspicabile se viene utilizzata per indebolire il controllo popolare. Dopo tutto, l’integrazione, compresa l’integrazione monetaria, non è un bene intrinseco. Potrebbe essere vero che, in un mondo globalizzato e super-connesso, proteggere e promuovere gli interessi della gente comune richieda alcune forme di integrazione. Scopo solo un’integrazione guidata dal popolo ha qualche possibilità di servire i suoi interessi. Gli attuali processi di integrazione guidati dall’oligarchia devono essere contrastati, deve essere fatta opposizione, devono essere rivisti, e in alcuni casi rovesciati.

Un’integrazione europea da parte del popolo europeo e per il popolo europeo sarebbe probabilmente un’integrazione che abbandonerebbe o modificherebbe radicalmente il sistema della moneta unica. Cioè, sarebbe un’integrazione senza l’euro. Il sistema della moneta unica, compresi i vari meccanismi che sono stati introdotti per disciplinare l’unione monetaria, hanno danneggiato gli interessi dei comuni cittadini e protetto gli interessi del capitale finanziario. In particolare, i politici tedeschi – l’economia più grande e più forte nella zona euro – hanno usato il sistema della moneta unica e dei suoi vincoli per portare a tagli salariali deflazionistici. Attualmentel a disoccupazione in Germania è bassa, ma milioni di lavoratori tedeschi hanno accesso soltanto ai posti di lavoro in quello che Gerhard Schröder una volta ha orgogliosamente chiamato il “settore a basso salario”. Il divario di competitività di lunga data tra la Germania e i cosiddetti paesi della periferia dell’eurozona (Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia) sono stati esacerbati da queste politiche tedesche e dalle altre decisioni politiche relative alla creazione dell’Unione monetaria . Queste asimmetrie nella competitività hanno contribuito ad un alto tasso di disoccupazione e ad alti rapporti debito-PIL nei Paesi periferici.

Al giorno d’oggi questi paesi, Impossibilitati a utilizzare il deprezzamento della moneta per proteggere le loro economie e i loro sistemi di welfare, sono costretti a perseguire le stesse politiche di svalutazione interna perseguite dalla Germania, e sono costretti a implementarle in modo ancora più aggressivo e violento della Germania. I lavoratori sono gravemente ‘spremuti’ e, attraverso una serie di tagli alla spesa, il welfare e le norme della sicurezza sociale vengono smantellati. Un resoconto completo degli eventi menzionerebbe anche altri fattori, compreso il modo in cui i meccanismi messi in atto per affrontare la crisi finanziaria hanno fornito protezione alle banche (soprattutto quelle tedesche e quelle degli altri paesi del centro), ma non hanno fornito protezione ai paesi periferici, né alle piccole imprese dei paesi periferici, né ai lavoratori, sia nei paesi del centro che nei paesi periferici. Tutti questi fatori indicano che il sistema della moneta unica è costruito in modo da disciplinare il costo del lavoro e proteggere gli interessi oligarchici. Rafforzare la componente elettorale-rappresentativa dell’UE, al fine di preservare il sistema della moneta unica – come Schäuble, Piketty, e il Glienecker Gruppe raccomandano – vorrebbe quindi dire dare più potere ai gruppi oligarchici al fine di preservare un sistema, la moneta unica, che serve gli interessi delle oligarchie.

A differenza di alcuni movimenti euroscettici, le élite pro-UE non sembrano prendere sul serio la democratizzazione. Il rafforzamento della componente elettorale rappresentativa dell’Unione europea lungo le linee suggerite dalle élite pro-UE peggiorerebbe solo le cose dal punto di vista di chi sta cercando di rafforzare il controllo popolare. Senza dubbio, alcune tra le élite pro-UE sostengono tali riforme elettorali rappresentative perché, come Schumpeter, non vogliono riforme che rafforzino il controllo popolare. Non le vogliono anche perché paternalisticamente pensano che il controllo popolare sia incompatibile con un governo efficiente che promuova il bene comune, o semplicemente perché vogliono conservare la libertà di promuovere i loro interessi governando indisturbati, o entrambe le cose.

Per fare progressi, è necessario sviluppare delle versioni inclusiviste degli ideali classici della democrazia, dove la democrazia è intesa come una forma di controllo popolare che permette alle persone comuni di vivere in libertà e di contrastare, per dirla con Machiavelli, gli appetiti dei ‘Grandi’. La democratizzazione richiede di rafforzare il controllo popolare. La legittimazione schumpeteriana non è sufficiente. E’ semplicemente uno strumento per nascondere la mancanza del controllo popolare. Il rifiuto paternalistico o egoista della domanda per un vero controllo popolare avrà conseguenze disastrose….

(Si ringraziano per il sostegno alla traduzione : Cristina Capra, Dino Trapasso, Ugo Sirtori, Simone Santini)

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