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L’euro che divide: lotte nazionali e solidarietà internazionale

di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli

Due accademici italiani, Del Savio e Mameli, denunciano su Truthout mistificazioni e pericoli del cosiddetto progetto di integrazione europea: l’unione monetaria è stata innanzitutto lo strumento per favorire l’unione degli oppressori (le élite finanziarie e industriali) contro gli oppressi (le classi lavoratrici), nonché il catalizzatore di quegli squilibri di finanza privata che si vorrebbero ora risolvere scaricandone il peso sui contribuenti e sollevando un popolo contro l’altro. È tempo di ritrovare una solidarietà tra gli oppressi, a cominciare però da quella dimensione che già Marx e Mazzini nell’Ottocento dicevano essere quella fondamentale: la dimensione nazionale, entro cui bisogna ricondurre scelte e sovranità. (La citazione di Bagnai a metà articolo sembra giustamente dare credito a chi in Italia — e anche in Europa — ha avviato questo discorso)

euro moneta che affonda acqua euro concetto di crisi 30021193L’euro, così come le politiche e le istituzioni che lo mantengono, hanno avuto un impatto che ha creato profonde divisioni ed è stato distruttivo sull’Europa. Ciò è in forte contrasto con la retorica spesso usata dall’élite politica dell’Unione Europea (UE), secondo la quale la moneta unica sarebbe necessaria per promuovere e migliorare la cooperazione pacifica in Europa.

L’impatto divisivo dell’euro si è manifestato in una quantità di modi diversi. Sottraendo la politica monetaria agli stati nazionali, irrigidendo il sistema dei cambi, e adottando delle politiche che hanno avvantaggiato soprattutto l’economia e i settori finanziari dei paesi economicamente più forti, la moneta unica ha ampliato il divario tra i paesi più deboli (come la Grecia e la Spagna) e i paesi più forti (specialmente la Germania). Ciò ha comportato nei paesi più deboli la distruzione di potenzialità industriali ed economiche, e livelli molto elevati di disoccupazione, rendendoli così ancora più deboli.

Gli accordi all’interno dell’eurozona hanno avvantaggiato soprattutto le élite finanziarie e industriali dei paesi più forti. Specialmente prima della crisi del 2008, queste élite hanno potuto trarre profitti prestando denaro alle banche dei paesi più deboli, finanziando in questo modo il consumo di beni che venivano prodotti dalle loro stesse imprese. Queste élite hanno potuto attingere al vasto bacino di lavoratori qualificati, ma disoccupati, dei paesi economicamente più deboli. Hanno anche potuto acquistare a basso prezzo alcune delle più pregiate attività industriali di tali paesi.

La crisi del 2008 ha messo a nudo alcuni dei problemi di questo modello che crea così profonde divisioni, e ha fornito l’occasione per smantellarlo. Tuttavia, la reazione di fronte alla crisi è stata ancora più divisiva. Quando la crisi finanziaria ha iniziato a manifestarsi, la Banca Centrale Europea (BCE) e altre istituzioni UE hanno intrapreso una serie di misure finalizzate a salvare il sistema bancario europeo e la moneta unica. Queste misure hanno trasformato quello che essenzialmente era un problema delle banche e delle imprese finanziarie dei paesi economicamente più forti – i quali, nella ricerca di maggiori profitti, avevano corso dei rischi eccessivi prestando enormi somme di denaro a bassi tassi d’interesse a banche, governi e consumatori dei paesi economicamente più deboli – in un problema dei contribuenti europei, mettendo i cittadini di diversi paesi gli uni contro gli altri.

Il caso greco è particolarmente estremo e drammatico: nel 2010 lo Stato greco fu costretto a prendere denaro in prestito dalla BCE, e dunque dai contribuenti degli altri paesi dell’eurozona, principalmente per salvare le banche greche. Il crollo di queste banche avrebbe causato un crollo di quelle banche (specialmente del nord Europa) che avevano incautamente prestato denaro alle banche greche, il che a sua volta avrebbe causato il crollo della moneta unica. Il risultato di tutto ciò è che ora i contribuenti greci hanno un debito verso i contribuenti di altri paesi europei, debiti che non avevano prima che la crisi iniziasse. Per salvare l’eurozona, la Grecia è stata trasformata in una colonia del debito, e all’interno dell’attuale quadro politico europeo non ha essenzialmente alcuno spazio per contrastare la servitù del debito che le è stata imposta. Questa servitù del debito sta distruggendo la sua economia e, più in generale, la sua società. Se non si fa qualcosa, è facile che vada avanti così per generazioni.

Salvare il sistema bancario europeo potrebbe anche essere giustificabile, ma il modo in cui lo si è fatto, la retorica usata per difendere quel che è stato fatto, questo non è giustificabile. Le istituzioni europee hanno presentato il salvataggio come un’azione necessaria per risolvere il problema causato dal fatto che la gente comune nei paesi deboli avrebbe “vissuto al di sopra dei propri mezzi”. Ciò significa nascondere i meccanismi attraverso i quali il credito a basso costo offerto a governi e consumatori di tali paesi ha avvantaggiato le economie dei paesi più forti. Significa anche nascondere i modi in cui i salvataggi hanno tutelato gli interessi delle istituzioni finanziarie (e gli ultra-ricchi) e danneggiato gli interessi della gente comune di tutta l’Europa.

L’impatto divisivo dell’euro non ha solo un aspetto economico. Ha anche un aspetto sociale e culturale. I sentimenti anti-greci si sono ora ampiamente diffusi in Germania e in altri paesi dell’eurozona. Le élite UE hanno alimentato questi sentimenti per nascondere il fatto che il salvataggio greco è stato necessario per salvare le banche dei paesi economicamente più forti, e per nascondere il fatto che i prestiti fatti dalle banche del nord verso i paesi del sud hanno avvantaggiato l’economia tedesca.

Le élite dell’UE hanno incolpato lo Stato greco per la crisi dell’eurozona, per quella che essi vedono come inefficienza e corruzione, e in generale per i difetti dei sistemi economici dell’Europa del sud. Non è una sorpresa che questo tipo di retorica abbia dato origine, nel dibattito pubblico del nord Europa, ad un riemergere di vecchi stereotipi secondo i quali gli europei dei sud, e i greci in particolare, sarebbero pigri, inclini alla corruzione e antropologicamente inferiori. La scioccante campagna che ha rappresentato i greci come “avidi” sulla prima pagina del Bild, il giornale tedesco a maggior tiratura, è solo uno degli ultimi sintomi del modo in cui l’euro è riuscito a far rivivere vecchie e pericolose divisioni.

Lo scopo di questa campagna era quello di opporsi al rinnovo del programma di salvataggio greco, un rinnovo che il nuovo governo greco è stato costretto ad accettare, dato che la BCE ha minacciato di lasciar collassare il sistema bancario greco. Questo rinnovo ha fatto sì che Syriza, il partito di governo in Grecia, abbia dovuto ripudiare o posticipare molte delle promesse contenute nel suo manifesto elettorale, tra cui la richiesta di una Conferenza Europea sul debito, l’immediata sospensione delle politiche di austerità – che nel caso greco significa accumulare dei surplus primari, economicamente devastanti, per ripagare i debiti – e il rovesciamento delle cosiddette “riforme strutturali”, che portano avanti gli interessi delle grandi aziende.

Nonostante quella che da molti è stata vista come una resa da parte di Syriza nei confronti degli interessi tedeschi, il Bild e molti dei suoi lettori hanno visto l’accordo come un atto di ingiustificata generosità verso dei greci moralmente corrotti, che non la meritavano. Le élite dell’UE hanno la responsabilità di queste nuove forme di razzismo che stanno emergendo. In questo modo hanno forse evocato delle forze distruttive che potrebbero poi rivelarsi difficili da tenere a bada.

Micheal Pettis ha recentemente affermato che “i nazionalisti europei sono riusciti a convincere la gente, contro ogni logica, che la crisi europea sia un conflitto tra le nazioni, e non tra settori dell’economia”. Certo, egli ha ragione nel dire che la crisi dell’euro è il campo di battaglia di un conflitto di classe, ma non sono i nazionalisti europei che stanno cercando di ingannarci per farci credere che l’attuale conflitto sia un conflitto tra stati nazionali. Sono piuttosto le élite europee che, cercando di nascondere il conflitto di classe, stanno irresponsabilmente trasformando la crisi in un conflitto tra nazioni.

L’euro è stato usato per portare avanti politiche che vanno contro gli interessi delle persone comuni in tutti i paesi dell’eurozona, Germania inclusa. Negli ultimi decenni la classe dirigente tedesca (sia di centrosinistra che di centrodestra, e senza particolare opposizione da parte dei sindacati) è riuscita a far passare leggi contro il lavoro, causando una stagnazione dei salari. Per di più, attraverso le rigidità causate dalla moneta unica, è riuscita a esportare in altri paesi le proprie politiche basate sulla strategia del “beggar-thy-neighbor”. Nei paesi economicamente più deboli, le élite locali hanno tratto vantaggio dal “vincolo esterno” (il vincolo esterno generato dalle politiche tedesche e da una politica monetaria europea dominata dalla Germania) per “spremere” lavoratori e piccole imprese nei propri rispettivi paesi.

Per questa ragione, la grande maggioranza della gente in tutti i paesi dell’eurozona ha in comune qualcosa di importante: è infatti loro comune interesse opporsi al sistema oppressivo che sta preservando l’euro. E di conseguenza c’è un bisogno urgente e disperato di solidarietà europea tra la gente comune, in opposizione alle élite politiche europee e ai poteri finanziari di cui finora hanno curato gli interessi.

Alcuni commentatori hanno sostenuto che la crisi dell’eurozona può essere risolta con dei trasferimenti fiscali dai paesi che hanno beneficiato della moneta unica verso quei paesi che non ne hanno beneficiato. Questo è quello che intendono per solidarietà europea. Ma la situazione, in Germania e negli altri paesi creditori, dimostra che trasferimenti fiscali di questo genere non sarebbero al momento politicamente fattibili, perché gli elettorati li rifiuterebbero. Per di più, anche se fossero politicamente fattibili, non è chiaro se questi trasferimenti potrebbero davvero fermare la distruzione economica e sociale che sta avvenendo in Grecia e negli altri paesi debitori, come conseguenza delle politiche legate alla moneta unica.

Questo non è il tipo di solidarietà di cui gli europei hanno bisogno. La solidarietà di cui hanno bisogno è la solidarietà degli oppressi contro gli oppressori o, in questo caso, la solidarietà delle vittime dell’eurozona contro le élite europee e coloro i cui interessi vengono tutelati da queste élite. Comunque parlare di solidarietà europea in termini astratti non è molto utile. La solidarietà deve essere costruita concretamente, tra le persone, su un terreno di lotta. Al momento il terreno europeo di lotta è un terreno che l’élite politica europea è riuscita a tenere separato, almeno in parte, lungo i confini nazionali. Per questa ragione, in questa fase della lotta, la solidarietà locale e nazionale è uno strumento molto importante. L’esempio greco è, anche stavolta, istruttivo.

Negli ultimi anni in Grecia sono emerse molte iniziative spontanee di solidarietà. Per esempio, ci sono state molte iniziative di solidarietà che hanno cercato di affrontare il crollo del sistema sanitario, altre hanno tentato di gestire la distribuzione di generi alimentari tra quelle fasce di popolazione che non hanno abbastanza da mangiare, e così via. Queste iniziative sono state solitamente costruite dal basso, in contrapposizione agli interventi dall’alto, come gli invasivi programmi del governo o le iniziative di beneficienza delle organizzazioni non-governative. Inoltre, queste iniziative hanno spesso una dimensione politica e sociale, in quanto cercano di fornire degli spazi per ricostruire dei legami sociali e per delle discussioni collettive su come gestire la situazione attuale. Prendendo ispirazione da queste iniziative, e forse anche aiutati dai sentimenti anti-greci espressi quotidianamente dai media dei paesi economicamente più forti, gli attivisti e i leader di Syriza hanno iniziato a fare discorsi patriottici e nazional-popolari, come ha notato Stathis Kouvelakis, che ha contrapposto il discorso nazional-popolare a quello nazionalistico-preclusivo. È curioso che la bandiera greca si veda ogni volta che alle assemblee pubbliche la folla protesta contro le élite europee.

Alcuni critici delle politiche europee sono preoccupati per questi discorsi di solidarietà nazionale e all’idea che la Grecia e altri paesi dell’Europa del sud possano uscire dall’eurozona e riguadagnare la sovranità nazionale sulle materie economiche, fiscali e monetarie. I critici vedono gli strumenti della sovranità nazionale come pericolosi, o quantomeno inutili, strumenti che non potrebbero mai essere utilizzati in favore degli oppressi. Essi talvolta paragonano i discorsi nazional-popolari e patriottici al nazionalismo del peggior genere, e al razzismo che lo accompagna. Ma, se si vuole giungere a una liberazione, è importante opporsi a questa equazione.

Alberto Bagnai, un importante economista italiano anti-euro, ama ripetere che “dovremmo lasciare l’internazionalismo a quelli che se lo possono permettere. In un certo senso, ha assolutamente ragione. La dimensione transnazionale del controllo politico è molto apprezzata dalle multinazionali e dalle élite politiche che tutelano i loro interessi. Il motivo è che questa è una dimensione che le multinazionali e le élite possono facilmente gestire e utilizzare a proprio vantaggio. All’opposto, coloro che non appartengono alle élite hanno difficoltà ad accedere a questa dimensione e possono avere un impatto su di essa solo tramite degli intermediari poco affidabili, per lo più legislatori e rappresentanti eletti che possono facilmente essere “catturati” dalle élite economiche. Come dice il magnate Warren Buffett, “c’è stata una lotta di classe negli ultimi vent’anni, e la mia classe l’ha vinta“. La classe è quella degli ultra-ricchi, che abitano molto comodamente la dimensione internazionale, la dimensione nella quale i membri delle élite economiche e politiche sono solidali gli uni con gli altri a discapito delle richieste e degli interessi della gente comune.

Karl Marx una volta disse: “L’unificazione e la fratellanza tra le nazioni è una frase che oggi sta sulle labbra di tutti i partiti, specialmente di quelli della borghesia liberoscambista. È certo che esista un particolare tipo di fratellanza tra le classi borghesi di tutte le nazioni. È una fratellanza degli oppressori contro gli oppressi, degli sfruttatori contro gli sfruttati“. Ciò che Marx diceva delle “classi borghesi” nel diciannovesimo secolo è vero tuttora per quanto riguarda le élite economiche e le élite politiche e burocratiche che tutelano i loro interessi. Gli ideali internazionalisti di pace e di cooperazione sono stati usati ingannevolmente dai politici pro-UE per dare una credibilità morale a quella particolare versione del progetto di integrazione europea che piace a loro, e per nascondere l’oppressione e i rischi di divisione che quel progetto ha sempre portato con sé. Questo non è certo il tipo di internazionalismo che la gente comune può permettersi, e non lo dovrebbe accettare.

Molti greci probabilmente percepiscono che la solidarietà locale e nazionale è tra i pochi strumenti che essi hanno per proteggersi contro l’azione delle élite europee e dei creditori. Questa percezione è giustificata.Ma per essere davvero emancipatorio, il discorso patriottico, così come l’idea stessa di solidarietà locale e nazionale, deve articolarsi in termini non-esclusivisti e pertanto non razzisti. Deve essere articolato in modi compatibili con un uso corretto degli ideali internazionalisti di solidarietà tra gli oppressi. Deve articolarsi sulla base di una visione inclusiva delle persone, che non sia ostile verso gli immigrati o le minoranze in generale.

Il contesto nazionale – se usato in modi non-esclusivisti – è attualmente un importante terreno di lotta per combattere contro le brutali e oppressive politiche dell’UE. Queste politiche stanno stanno colpendo negativamente non solo i comuni cittadini in Grecia, e non solo i comuni cittadini negli altri paesi dell’Europa del sud, ma anche i lavoratori tedeschi, i cui salari sono rimasti stagnanti per decenni. Comunque, per parafrasare Friedrich Engels, sembra che la liberazione dei lavoratori tedeschi non possa avvenire senza la liberazione della Grecia – e degli altri paesi della “periferia” dell’eurozona – dall’oppressione delle élite politiche europee e tedesche.

Ancora più ottimista di Marx ed Engels sulla potenzialità di emancipazione delle lotte di liberazione nazionale, fu il loro contemporaneo Giuseppe Mazzini – il rivoluzionario italiano che sosteneva che usare il terreno della lotta nazionale non porta necessariamente al nazionalismo preclusivo e bellicoso, ma anzi è in realtà un passo importante e necessario verso il perseguimento della solidarietà internazionale. Alcune delle idee di Mazzini furono poi usate da Benito Mussolini per giustificare misure oppressive contro il lavoro e una visione autoritaria e totalitaria della società.

Ciò illustra chiaramente le potenziali ambiguità di ogni forma di appello alla solidarietà nazionale, e i rischi che porta con sé. Si tratta, tuttavia, di un’ambiguità condivisa anche con altri tipi di appelli alla solidarietà: dopotutto, le élite europee hanno fatto appello alla cooperazione pacifica in Europa per dare legittimità ad un sistema oppressivo e divisivo. Gli appelli alla solidarietà nazionale possono essere emancipatori e inclusivi, e oppure possono essere oppressivi, preclusivi e razzisti. Dipende da come vengono articolati e usati – o abusati. Lo stesso è vero anche per gli appelli all’unità europea, come ben mostrato dal modo in cui il progetto di integrazione europea è stato portato avanti.

Il linguaggio preclusivo e nazionalista viene spesso usato da alcuni membri e attivisti dei partiti anti-UE di destra. Ciò non sorprende, data la natura divisiva delle politiche delle élite europee. Ma questa non giustifica che i partiti e gli attivisti di sinistra rifiutino sdegnosamente qualsiasi genere di appello patriottico alla solidarietà nazionale. Piuttosto, è una forte ragione per chiunque voglia cercare di articolare questi appelli, e altri simili appelli di solidarietà, in termini inclusivi. Confondere il discorso nazional-popolare con quello esclusivista va solo a vantaggio dell’internazionalismo anti-democratico e anti-lavoro delle élite europee, come anche a vantaggio delle varie forze razziste, autoritarie e guerrafondaie che sono presenti in Europa e in giro per il mondo. Questa confusione deve essere risolta.

Anche se le visioni eccessivamente ottimistiche di Mazzini sulla possibilità e la necessità politica di un “nazionalismo buono” fossero in definitiva da respingere, si può sostenere che oggi il terreno nazionale in Europa può – quantomento nell’immediato – essere utile per sviluppare dei legami di solidarietà tra gli oppressi, e in questo modo può aiutare i veri ideali internazionalisti a riemergere. Bisogna riconoscere che può essere difficile articolare un discorso nazional-popolare in modi non-esclusivisti e assicurarsi che un tale discorso non venga sequestrato dai razzisti. Qualsiasi genere di lotta di emancipazione comporta dei rischi e può ritorcersi contro.

Le lotte nazionali non hanno alcun vantaggio intrinseco rispetto ad altre forme di lotta di emancipazione, né le identità nazionali hanno alcuna priorità rispetto ad altre identità che ci si attribuisce, per quanto riguarda la legittimazione politica delle persone. Ma per una serie di motivi il terreno nazionale offre delle opportunità di emancipazione che non possono essere trascurate.

Questi motivi comprendono la condivisione della stessa lingua  e della stessa cultura, che rende più semplice la creazione di legami di solidarietà e di organizzazione della lotta, ma includono anche la possibilità potenziale di riconoscere di avere un interesse comune a combattere contro i propri oppressori. Oggi è più semplice, per un disoccupato greco, convincere altri cittadini greci che è necessario liberarsi dalle catene dell’eurozona, che per lo stesso disoccupato greco convincere i lavoratori tedeschi che anche loro avrebbero bisogno di liberarsene. L’appello alla solidarietà nazionale deve essere considerato alla luce dei particolari del contesto attuale, e alla luce dell’attuale equilibrio di potere economico e ideologico all’interno dell’Europa.

È della massima importanza assicurarsi che gli errori commessi dall’Europa nella prima metà del ventesimo secolo non si ripetano. Al tempo stesso, è importante anche riuscire a fare appello alla solidarietà locale, nazionale e internazionale degli oppressi contro gli oppressori, per combattere quelle politiche che stanno causando una devastazione economica e sociale in tutta Europa.

Come mostrano gli eventi più recenti, la Grecia è estremamente vulnerabile, sia politicamente che economicamente, ed è pertanto improbabile che riesca da sola a spezzare le catene oppressive dell’eurozona. Se i popoli dell’Europa del sud e altri paesi “periferici” (come l’Irlanda) unissero le forze contro la versione attuale del progetto di integrazione europea, questo euro divisivo potrebbe essere (o almeno cominciare ad essere) smantellato. Tuttavia, fino a che la rabbia anti-austerità sarà mediata da forze e partiti favorevoli all’euro, che pensano che l’eurozona possa essere riformata “dall’interno”, non potrà accadere nulla di tutto ciò. Nella misura in cui si articolano in modi solidaristici, non-razzisti e più in generali non-esclusivisti, i discorsi e le mobilitazioni nazional-popolari contro l’UE in Spagna, Francia e Italia – paesi che sono molto meno vulnerabili di quanto lo sia la Grecia – possono essere delle risorse fondamentali per spezzare le catene dell’eurozona e sottrarre la vera solidarietà europea e internazionalista dalle azioni e dai progetti divisivi delle élite europee.

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