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orizzonte48

Toh, il "mercato" impone la decisione politica in €uropa (quindi in Italia)

di Quarantotto

25416377201. Oggi più che mai, di fronte allo "stravagante" stupore mostrato dai media mainstream circa l'influenza del settore privato sulle decisioni politico-economiche, (cioè di livello legislativo), adottate dal settore pubblico, conviene rammentare l'analisi compiuta da Galbraith e riportata in un recente post.

Ve ne faccio una sintesi per linee essenziali che renda conto della istituzionalizzazione di tale influenza, al di là della questione del complesso militare-industriale (particolarmente influente negli USA per ben note ragioni strategiche internazionali):

"Che il settore privato stia conquistando un ruolo predominante rispetto al settore pubblico è evidente. Meglio sarebbe discuterne in modo comprensibile.

Per la verità, parlare del mito della contrapposizione di pubblico e privato non è molto originale dal momento che la prima assai autorevole testimonianza in questo senso risale niente meno che al presidente Dwight D. Eisenhower, con le sue denunce dello strapotere del complesso militare-industriale.

...

Il mito contrappositivo dei due settori e le sue formidabili implicazioni si dissolvono lasciando un senso di urgenza ma non di grande originalità. Nè si tratta di una truffa innocente, in senso politico o sociale.

...

In tempi recenti, l'invasione del cosiddetto settore pubblico da parte di quello che palesemente è il settore privato è diventata quasi normale

E dal momento che il management ha piena autorità nella moderna impresa, è naturale che tale autorità si estenda alla politica e al governo.

Una volta erano i capitalisti a intromettersi nella governo della cosa pubblica: ora sono i vertici delle grandi imprese".

 

2. Potremmo assumere questa sintesi come un'epigrafe da cui muovere per illustrarne una serie di corollari, altrettanto essenziali perché ormai istituzionalizzati.

Il primo, e più eclatante, è che si conferma lo schema della "teoria generale della corruzione"

L'essenza del fenomeno corruttivo, infatti, tende a sfumare elusivamente in un'area quasi insindacabile, rispetto alle ipotesi considerate dalle norme penali, allorché l'influenzamento del settore privato è esercitato, preferenzialmente, sul livello dell'indirizzo politico, cioè potendo controllare il processo normativo ai più alti livelli. 

Questo effetto di controllo del processo normativo, a sua volta, è la conseguenza di un ambiente istituzionale orientato al "mercato" ("che non può essere nè progettato nè discusso razionalmente perchè è esso stesso a produrre la ragione"): cioè orientato a considerare l'attività di impresa, "gli investitori", come principale, se non unico, punto di riferimento dell'azione politica; e, dunque, non l'elettorato, inteso come popolo sovrano che si esprime nei modi previsti dalla Costituzione, i cui interessi dovrebbero essere riflessi nei programmi delle formazioni politiche che ne richiedono il voto.

 

3. Riportiamo lo schema fondamentale della "teoria generale della corruzione":

1) ad un estremo abbiamo uno Stato autoritario, con forte repressione poliziesca e scarsa garanzia processuale delle libertà del cittadino di fronte allo Stato, controllato da una classe politica ben salda di un consenso legittimato da un potere economico legato alla coincidenza tra sfera del pubblico e concentrazione della proprietà (allo stato più puro, il sistema feudale). Il regime (alquanto ancién) è tendenzialmente incentrato su una disciplina delle classi sociali ben gerarchizzata e definita:

- prevale la CONCUSSIONE, cioè il più facile uso di violenza (morale essenzialmente) e minaccia (intimidazione strutturale derivante in sè dal contatto con i poteri pubblici) verso gli strati più deboli (e meno còlti) della popolazione. Esse sono utilizzate da ogni livello di pubblica autorità per appropriarsi di denaro o altra utilità a fronte dell'esercizio di pubbliche funzioni, esercitate nell'interesse generale "formale" (es; dazione per non applicare una sanzione o per accordare un beneficio, che sarebbe spettante ma che viene fatto dipendere da un'ampia discrezionalità "di fatto");

(Semplificando, sul piano storico, ciò descrive, in modo tendenziale, la forma di Stato sia delle monarchie assolute pre-costituzionali, sia la lunga fase di transizione degli Stati liberali censitari, cioè con voto limitato alla parte più ricca della popolazione, di sesso maschile)

2) posizione intermedia caratterizzata da norme sulle pubbliche funzioni più avanzate nel definire l'interesse pubblico in senso democratico: cioè nel porre limiti formali alla discrezionalità che assicurino, in teoria, eguaglianza nell'accesso ai benefici pubblici o nell'atteggiamento sanzionatorio dei pubblici poteri.

In un tale assetto organizzativo, caratterizzato dall'eguaglianza formale, nonchè da un'eguaglianza sostanziale non integralmente effettiva, e perciò coesistente con una (teoricamente) transitoria conservazione di consistenti posizioni sociali di forza economica:

- prevale la CORRUZIONE, cioè l'offerta di denaro o altra utilità al pubblico decidente per violare le norme in modo da garantire, a chi sia in grado di "investire" in questa dazione, la convenienza di una decisione favorevole non dovuta, o più rapida di quella ordinariamente riservata ai normali cittadini, o il "risparmio" della non applicazione di una misura sfavorevole, legalmente dovuta;

(Ciò descrive, tendenzialmente, il fenomeno nelle democrazie costituzionali che enunciano a livello programmatico i diritti sociali ma si fermano, storicamente, a un grado più o meno parziale di loro realizzazione)

3) all'altro estremo, abbiamo la permanenza o instaurazione (successiva al passaggio per una o entrambe le fasi precedenti) di forti posizioni di concentrazione oligarchica della ricchezza, e, pur in presenza di un sistema mediatico a forte diffusione di massa (TV e giornali) e di "formali" elezioni a suffragio universale per la preposizione alle cariche di "governo", il conseguenziale controllo sulla composizione della classe politica elettiva da parte degli appartenenti alla oligarchia.

Ciò determina la "capture" più o meno totale del processo normativo: legislativo (capture delle maggioranze parlamentari) e regolamentare-provvedimentale (capture sugli stessi componenti del governo).

In un assetto socio-economico in cui l'oligarchia abbia il controllo del processo normativo, le norme rifletteranno una concezione di interesse generale creato dal controllo mediatico-oligarchico e - attraverso opportuni standard e meccanismi di linguaggio fortemente "tecnicizzato"- renderanno tendenzialmente legale l'appropriazione delle utilità e beni pubblici da parte delle oligarchie a danno della utilità e della eguaglianza, formale e sostanziale, del corpo elettorale, svuotando di contenuto sia i diritti politici, sia i diritti sociali.

In tale evenienza (realizzabile in diversi gradi):

- prevale L'ASSENZA DI CORRUZIONE (per difetto di fattispecie sanzionatorie applicabili ai meccanismi di appropriazione disparitaria della ricchezza, che vengono simultaneamente legalizzati dalle norme); e la corruzione degrada a fenomeno episodico, visto come eversione di un assetto sociale basato su un'APPARENTE ETICA FORTE, CONNESSA A UN CONCETTO NORMATIVO DI INTERESSE GENERALE SVINCOLATO DAL BENESSERE GENERALE. (Ciò descrive, tendenzialmente, il riaffermarsi del capitalismo "sfrenato", e la sua marcia di neutralizzazione dello Stato redistributivo pluriclasse, sintetizzabile nella tecnocrazia mediatica).

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4. L'attività di decisione politica si trasforma dunque in azione di tutela del mercato, cioè degli interessi di alcuni specifici "operatori privati", la cui selezione è per definizione un dato non trasparente, sebbene proprio la "trasparenza" sia invocata da questo paradigma allorché pone sotto accusa il settore publbico. 

Affidandosi, come vedremo, a una formulazione enfatica  legittimata da un trattato sovranazionale, si tratta poi di un indefinito "mercato", di cui la stessa politica sostiene di conoscere e promuovere i meccanismi: questa conoscenza, a sua volta, è una cosa estremamente aleatoria, visto che la stessa individuazione e definizione di tali meccanismi dipende da ideologie che sono fortemente condizionanti le stesse teorie "tecniche" espresse dalla scienza economica. 

Facendosi coincidere la decisione politica con la promozione di (indefiniti) meccanismi di mercato, diviene naturale quel fenomeno di  "invasione del cosiddetto settore pubblico da parte di quello che palesemente è il settore privato" evidenziato da Galbraith (e non solo): la classe politica, infatti, dovendo assumere per sua funzione divenuta istituzionale, "decisioni sul mercato", deve ricorrere alla cooptazione di operatori economici sia al suo interno sia come "consulenti". 

E quale sia il circuito selettivo di tali operatori economici in funzione decidente dell'indirizzo politico-normativo, è un fenomeno che attende ancora di essere indagato in termini di compatibilità con la Costituzione democratica e le sue regole fondamentali.

 

5. Ma rimane il fatto che tale trasformazione della composizione personale e dell'oggetto decisionale dell'indirizzo politico, non coincidendo con il sistema delineato dalla Costituzione democratica del 1948, è legittimata dall'adesione all'Unione europea, allorchè questa pretende di essere di valore normativo superiore alla stessa Costituzione, ed afferma il principio cardine della "economia sociale di mercato fortemente competitiva": è proprio di questo concetto ordoliberista ammettere l'azione dello Stato, a cominciare da quella del legiferare, in quanto si risolva in una promozione dell'azione del mercato, ipotizzato come ordinato sulla piena concorrenza.

Che quest'ultima si realizzi o meno nella realtà (ovvero che si sia mai realizzata) non è oggetto di rendiconto all'elettorato, dato che il principio supernormativo dell'economia di mercato (del "sociale" sappiamo il vero significato secondo Hayek e Roepke, p.7), assume il valore di obiettivo essenziale e permanente, il cui perseguimento consiste in una serie pressocché infinita di postulati tecnici, affidati alla formulazione di istituzioni sovranazionali che reclamano l'insindacabilità totale del proprio giudizio e della propria azione politica.

 

6. Basti soggiungere quanto detto in tema di effetti inevitabili dell'integrazione economica promossa mediante trattati liberoscambisti:

"..secondo Keynes, tale apertura (delle economie) e la regolazione tesa alla complementare "integrazione", pur potendo spaziare in una certa variabile intensità di effetti degradanti del tessuto economico e sociale del paese più debole che si "apre" e si "integra" (e il colonialismo che diviene intrinsecamente razzista ne è l'espressione al limite massimo), presenta un effetto negativo invariabile, che, a ben vedere, discende dalla stessa tendenza, presupposta, del capitalismo liberoscambista a fondarsi sulla ipocrisia della libera concorrenza senza "frontiere" (come appunto si vuole nel Manifesto di Ventotene).

Ma tale libera concorrenza, in realtà, null'altro è che, (proprio nel  liberoscambismo così macroscopicamente incarnato dall'Unione politica e monetaria europea), l'esaltazione delle tendenze mercantiliste degli oligopoli dei paesi più forti economicamente".

 

7. Al termine di questi chiarimenti, possiamo tornare all'affermazione iniziale: risulta evidente che, una volta realizzatosi in larga parte un tale sistema istituzionale, lo stupore sulla influenza politico-decisionale del settore privato (id est: economico in senso oligopolista su mercati internazionalizzati) appaia "stravagante".

Come potrebbe essere diversamente da così?

La legislazione dello Stato si assoggetta integralmente, e in modo praticamente incondizionato, a un trattato di intervento economico mercatista, che predetermina un processo decisionale, supremo e tecnocratico, in cui l'oggetto della tutela affidata al settore pubblico diviene l'offerta; l'offerta è, sua volta, caratterizzata dalla presenza e dal rafforzamento degli oligopoli propri di ciascun settore di mercato.

Ora, i meccanismi tecnici di "buon" funzionamento dell'offerta sono reclamati come conoscenza propria di un, ovviamente, ristretto numero di operatori; questo ristretto numero di operatori, perciò, tende naturalmente a divenire il dominus della decisione politica, proprio per l'identità dei propri interessi con quelli imposti all'azione pubblica, e per la naturale capacità degli interessi divenuti gerarchicamente prevalenti sul piano istituzionale, a organizzarsi per divenire governance: cioè per avere, anzitutto, il potere di fatto, ma conforme ai principi informatori dei trattati, di designare o comporre, direttamente e senza mediazioni, la classe decidente anche a livello politico.

Il fenomeno stravagante è così che si rilevi un episodio, piuttosto che un altro, di questo assetto politico-decisionale, e che si indaghi in un modo che, - nel complesso della produzione normativa che, anzitutto, risale alle direttive e alle soluzioni normative €uropee, tutte aventi gli stessi omogenei effetti di tutela dell'offerta-,  appare avulso da un sistema così generalizzato e pervasivo.

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