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orizzonte48

Hayek, Monnet, Robbins: le ragioni incomprese di un successo e la (non) modificabilità dei trattati

di Quarantotto

hayek von mises1. Mi è capitato di constatare, confrontandomi con interlocutori di varie appartenenze politiche, che l'approfondimento storico-economico e storico-istituzionale circa le ragioni e le finalità del federalismo europeo, pur in un momento così drammatico, che appare di "transizione" forzata verso...qualcos'altro, sia tutt'ora trascurato: e ciò in favore di una vulgata semplificata che, più o meno, si incentra sull'esigenza di "tornare alle origini", allo "spirito" iniziale, della costruzione europea che sarebbe stata caratterizzata non solo da alti ideali - la pace e la prosperità dei popoli - ma da una solidarietà e da una volontà di democrazia condivisa che oggi sarebbero andate perse. E che, perciò, andrebbero recuperate. (Ecco il più recente esempio:

«Tutti nel M5S si sentono europei, noi non siamo mai stati una forza che voleva uscire dall' Unione europea pur criticandola molto duramente». D' altra parte l' Europa ha smesso di essere comunità, in nome dell' austerità ha penalizzato i più deboli. Questa Europa della moneta unica, del centralismo burocratico ha tradito i suoi valori fondativi e deve cambiare». Tante citazioni di Jean Monnet, di don Sturzo. Nessuna dell' euroscettico Nigel Farage con cui i 5Stelle hanno avuto un certo feeling.)

In realtà ci siamo già occupati di questa presunta precedente presenza di alti ideali democratici e di solidarietà, mostrando come, nel corso del processo normativo dei trattati, non ve ne sia traccia, né nella fase fondativa, né nella fase evolutiva e tantomeno in quella culminata in Maastricht e sue successive modifiche.

 

2. Ma sostenere una riformabilità dell'€uropa, cioè una rivedibilità dei trattati, nelle condizioni attuali, per ovviare ad una sua "crisi" (cioè alla radicale avversione e diffusissima impopolarità), significa ignorarne la coerenza costante, solo mitigata dalla progressiva gradualità di cui parlano esponenti eccellenti della costruzione europea come Jean Monnet e, più tardi con parole quasi identiche, Giuliano Amato.

jean monnet 65 21 57

Questa coerenza risale alle stesse origini dell'idea di federalismo sovranazionale, quale concepita da von Hayek, e di cui abbiamo tentato una ricostruzione, a suo tempo, che è stata poi trasposta in "Euro e(o?) democrazia costituzionale".

Al tempo di tale prima ricostruzione, nata da una curiosa polemica, generata a sua volta da un approccio alle teorie economiche avulso da una prospettiva storica e istituzionalistica estesa oltre gli ultimi 20 anni, avevo prescelto un metodo confutativo diretto, al fine di evidenziare la contrarietà, alla Costituzione italiana, della visione restaurativa del capitalismo anteriore alla crisi del 1929, sostenuta in nome del federalismo neo-liberista europeo e, possibilmente, mondiale.

Con la "Costituzione nella palude", ho preferito abbandonare questa dialettica immediata, lasciando spazio a fonti che riflettano una diretta espressione di questa visione che ha caratterizzato, appunto in modo totalmente coerente e dall'inizio, la costruzione europea. In ogni ricostruzione fattuale, la migliore fedeltà si ottiene acquisendo la "ammissione" dei fatti da parte di chi ne è protagonista mediante intenzioni enunciate, e conseguenti azioni ed omissioni...

 

3. Per una ricostruzione del pensiero di Hayek in tema di federazione europea, con le sue connessioni antecedenti alla visione del "maestro" Mises, del "funzionalista" Monnet, consiglio quindi di andare a questa ulteriore fonte diretta, cioè proveniente dalla stessa corrente di pensiero che ha costantemente alimentato, con successo - è importantissimo capire che, aderendo a questo punto di vista ideologico, si tratti di un successo da difendere, non certo di un fallimento che richieda radicali aggiustamenti-, il disegno che ha condotto all'attuale assetto dei trattati.  

Di quest'ultima fonte - significativamente intitolata "La riflessione federalista in Friedrich von Hayek"- non farò un commento per brani selezionati, semplicemente perchè tutta l'esposizione risulta integralmente significativa e riassuntiva dei momenti e dei concetti salienti della visione hayekiana, che tanto hanno influenzato la costruzione europea, direttamente nella sua fase fondativa, indirettamente attraverso l'alimentazione di un pensiero che ha sempre trovato chi lo evolvesse e lo adattasse ai vari svolgimenti storici (specialmente alla situazione del venir meno della contrapposizione, in Europa, del blocco Nato al blocco "sovietico", nelle forme durate all'incirca fino agli anni '80). 

E questa esauriente significatività della fonte citata, include anche la questione della moneta così come già esposta in questa sede, in tutte le sue varie e tormentate articolazioni, sia parlando dell'influenza di Hayek in generale, sia ricostruendo come, attraverso l'Unione bancaria, questi abbia avuto, in definitiva, una sua rivincita rispetto alle ragioni per cui considerava troppo "compromissoria" (e quindi moderata rispetto alle esigenze dell'ordine sovranazionale dei mercati), la stessa moneta unica.

 

4. Senza pretesa di aver esaurito un argomento così diramato e profondamente penetrato nella "cultura" delle classi di governo oggi, e da almeno 30 anni, al potere in €uropa, al riassunto tratteggiato finora dobbiamo aggiungere altre due fonti.

La prima, come spesso capita, ci viene fornita da Arturo in questa citazione di un passaggio tratto da un libro di Streeck, coevo a "Euro e(o') democrazia costituzionale":  

Dato che i problemi di legittimazione del capitalismo democratico presso il capitale divennero problemi di accumulazione, fu necessaria la liberazione dell'economia capitalistica dall'intervento democratico quale condizione per la loro risoluzione. In questo modo si trasferì dalla politica al mercato il luogo dove assicurare una base di massa a sostegno del moderno capitalismo nelle sue motivazioni più profonde, generate dall'avidità e dalla paura (greed and fear), nel contesto del processo di immunizzazione avanzata dell'economia rispetto alla democrazia di massa. Descriverò questo sviluppo come il passaggio da un sistema di istituzioni politiche ed economiche di orientamento keynesiano, tipico della fase fondativa del capitalismo postbellico, a un regime economico neo-hayekiano.”

A "greed and fear" c’è una nota: ”Greed and fear, avidità e paura sono, secondo l'autodescrizione del capitalismo finanziario fornita dall’economia finanziaria, spinte decisive al funzionamento dei mercati azionari e dell'economia capitalistica in generale (Shefrin 2002).” (W. Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, Milano, 2013, pagg. 25 e 221).

La seconda fonte aggiuntiva, riguarda invece un recente libro scritto da uno storico dell'economia americano, Angus Burgin, che ci piace citare sia perché, fin dal titolo, preannuncia il carattere di rigido controllo dell'informazione e della cultura che ha assunto l'opera restaurativa dell'ordine dei mercati (neo-liberista), come forma di governo oligarchica e sovranazionale, predicata da Hayek; sempre nell'ottica della restaurazione del paradigma economico anteriore alla crisi del 1929. 

Infatti, il libro di Burgin  si intitola proprio "The Great Persuasion - Reinventing Free Markets since the Depression" (da leggere le recensioni sintetiche riportate nel link, che confermano come ben presenti, all'interno della cultura statunitense, le acquisizioni che tre anni fa avevamo anticipato in questa sede).

 

5. A chiosa finale di questa rassegna di fonti, consideriamo importante ri-citare due passi che possono apparire in contrasto con l'idea "libertaria" di Hayek (sempre da assumere nei suoi termini istituzionali effettivi, cioè di concreta gerarchia delle fonti normative che egli propugna, una volta che si guardi alle soluzioni che discendono dal senso concreto delle sue enunciazioni di principio). 

Tuttavia, nel primo passo che citiamo, questo contrasto è in realtà apparente, dato che il suo autore, Lionel Robbins, non solo ebbe un'influenza non minore di Hayek sul federalismo "reale" attuato in €uropa, in particolare sulla stessa redazione del "Manifesto di Ventotene", ma la sua visione, notoriamente, è caratterizzata da una pragmatica esplicitazione che discende dall'appartenenza alla cultura britannica, ove la indicazione di soluzioni "nette", non postula la complessità della serie di antecedenti teorici e di giustificazioni "tradizionaliste" che caratterizza Hayek: 

«La scelta – scriveva Robbins non è fra un piano o l’assenza di piano, ma fra differenti tipi di piano». Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o nazionale.  «La ‘pianificazione’, nel suo significato moderno, comporta il controllo pubblico della produzione in una forma o in un’altra. L’intento del piano liberale era quello di creare un insieme di istituzioni in cui i piani dei privati potessero armonizzarsi. Lo scopo della moderna (pianificazione) è quello di sostituire i piani privati con quello pubblico – o in ogni caso di relegarli in una posizione di subordinazione».

Su questa base, Robbins fu allora in grado di denunciare il difetto della posizione liberale (e socialista) al livello internazionale.  I liberali classici avevano sostenuto la necessità di introdurre una serie di istituzioni, come la moneta, la regolamentazione degli scambi e della proprietà, ecc. al fine di consentire il funzionamento del mercato: la mano invisibile è in verità, scriveva Robbins, la mano del legislatore Ma gli economisti classici, mentre ritenevano indispensabili queste misure di governo all’interno dello Stato, avevano ingenuamente creduto che potesse spontaneamente crearsi un mercato ben ordinato e funzionante anche al livello internazionale, in una situazione di anarchia politica."

5.1. La seconda citazione di "chiosa", invece, riguarda il maestro von Mises, e segna non tanto un (inconscio) maggior pragmatismo di quest'ultimo (dato che, pur paludata da altisonanti enunciazioni "filosofiche", la vena pragmatica di Hayek fu non minore, nei tempi successivi alla seconda guerra mondiale e, segnatamente, riguardo alla dittatura cilena), quanto una maggior "intransigenza" ed esplicitazione delle enunciazioni di Mises, rispetto a un contesto storico, quello dell'era dei fascismi, in cui i protagonisti del "Colloque Lippmann", e poi dell'associazione di "Mont Pelerin" (di cui abbiamo parlato estesamente ne "La Costituzione della palude", e secondo un tracciato ben ricostruito nel libro di Burgin), mantennero invece un atteggiamento molto più cauto e neutrale. Ecco la citazione di Mises:

«Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.» 

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