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orizzonte48

Il trilemma di "Non è l'euro il problema, ma l'austerità". E il differenziale mediatico

di Quarantotto

57631 goebbels propaganda quotes1. Per chi dice che l'euro non è il problema ma che lo sono (solo) l'austerità e il fiscal compact.

Inutile precisare che chi, a questo punto, non è in grado di comprendere il senso dei grafici che vedremo più sotto non dovrebbe più intervenire a cuor leggero nel dibattito mediatico e, ancor più, politico.

Questo perché, sull'euro-che-non-è-il-problema-senza-austerità-brutta, basta vedere i dati più significativi,  e confermativi delle dinamiche INEVITABILI illustrate dal rapporto Werner - e che Carli, dico Carli, ben comprendeva

2. Questi dati illustrano come funziona(va) l'Unione monetaria con il mero "valore di riferimento" del disavanzo pubblico al 3% e in assenza di una disoccupazione strutturale indotta in via fiscale, che debba attestarsi a livelli, (come tali irreversibili), tali da consentire un'intensa svalutazione interna. 

Cioè indicano quali sono gli inevitabili problemi di a/simmetrie che discendono da una disciplina della moneta unica che, in assenza dei vietatissimi (dai trattati) trasferimenti federali, non si doti di criteri automatici di correzione improntati alla logica del gold standard (tanti euro-oro escono, tanti vanno recuperati e, se non lo si è fatto, occorre che il pareggio di bilancio fiscale dreni liquidità in modo da non consentire l'accumulo ulteriore di debito commerciale con l'estero via spesa privata, limitando le importazioni e sperando, in un secondo tempo, che la conseguente deflazione porti a una miglior competitività di prezzo relativo, ottenuta riducendo il costo del lavoro).

 

E, naturalmente, tutto ciò vale in presenza del dato istituzionale, fondamentale: una banca centrale indipendente "pura" che non solo non può svolgere funzioni di tesoreria, e quindi rifornire di liquidità l'economia reale - cioè l'ente politico generale "Stato"- in funzione anticiclica, ma a cui è vietato anche di svolgere politiche monetarie differenziate per aree che presentano diversi saldi dei conti esteri con il resto dell'UE (e del mondo).

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3. E dunque.

Questo è stato il saldo della BdP col tetto del 3% e in assenza di incentivazione (per via legislativa di "riforme strutturali") alla disoccupazione, in funzione svalutativa e correttiva degli squilibri commerciali:

italia CA pil 1990 2013 piccola

 

Una situazione che ha anche questa implicazione sugli "enormi vantaggi" in termini di reciproca apertura delle economie nell'eurozona.

 

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3.1. Questo è il correlato andamento della disoccupazione e dell'inflazione, prima e dopo lo shock esterno del 2008, a seguito delle inevitabili politiche correttive imposte dalla semplice, e insufficiente, adozione del tetto del 3%, (dunque) in assenza della imposizione normativa (internazionalistica) delle riforme strutturali e fiscali di accelerazione deflattiva e, quindi, delle loro conseguenze sociali (cioè quello che è il "Fogno" della pace, da vendere agli italiani, ancora oggi, come cosa bella e irreversibile). 

E' evidente che, vigente il tetto al 3%, sia stato un errore imperdonabile (cioè "avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità" e quindi "FATE PRESTO"), non forzare il livello della disoccupazione - e quindi della deflazione- verso il bench mark medio dell'eurozona. Poi abbiamo provveduto ma solo perché era condizione priva di alternative per mantenere l'euro-che-non-è-il-problema.

 

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3.11

 

4. Ma...un momento: tutte queste cose le avete sentite fino allo sfinimento. Vi, e mi, chiederete: che ce le dici a fare?

In realtà, assunta una "realtà parallela" composta da una comunità di persone "informate sui fatti", e non sul "sogno", avreste completamente ragione.

Ma il punto è che tale comunità non è massa critica. Potremmo discutere a lungo di quello che ciò significhi in termini scientifico-sociali; ma tale assunto rimane veritiero.

Il riscontro è facilmente acquisibile: i media italiani stanno addirittura intensificando la campagna di censura (della) e di narrazione del tutto opposta alla realtà macroeconomica; che è invece sempre più evidente sul piano scientifico internazionale (ma anche nell'immediato post-shock del 2011 la letteratura economica non "scherzava" nell'evidenziare i problemi delle a/simmetrie sistemiche dell'eurozona, richiamando, a sua volta, illustri precedenti di "avvertimento" che le cose sarebbero andate così come sono andate: non ci sarebbe stato alcun dividendo o "enorme vantaggio" della moneta unica). 

 

5. Potreste, altrettanto brillantemente, replicarmi: ma si sa che il problema dell'euro è sempre stato "politico" (e ce lo hai tante volte evidenziato). 

Sì, infatti: perché nessuno si è messo a parlare (alle "genti", alle "masse", oggettivamente umiliate e disprezzate), del problema del "moltiplicatore fiscale", - neppure in "pareggio di bilancio"-, come di un fattore con cui fare i conti quando si svolgono politiche correttive degli squilibri esterni in ottica gold-standard, nonché della conseguente impossibilità di politiche fiscali espansive, dentro la moneta unica, che non tengano conto del balance of payment constraint.

Ma dire che il problema non è l'euro bensì l'austerità, vecchio cavallo di battaglia, misura la distanza tra la realtà dei dati economici e delle loro correlazioni e quella dell'orchestrazione mediatica, (o grancassa),  relativa alla narrazione delle cause della interminabile crisi italiana. Nel secondo frame, questa posizione potrebbe persino passare per coraggiosa.

 

6. Solo che non lo è: essa implica la premessa che sia scontato un trilemma. Non quello stranoto, e ormai abusato, di Rodrik. Piuttosto quello che, avevamo segnalato, di Bibow, o qualcosa che gli assomigli in termini più ampiamente sistemici (di neo-macroeconomia classica, in gran parte neo-keynesiana, laddove convenga così qualificarla in termini...di comunicazione sedativa della destabilizzazione sociale). 

Il trilemma di Bibow riguarda la Germania e la impraticabilità di avere simultaneamente, all'interno della moneta unica, un surplus enorme della partite correnti, il divieto nei trattati dei trasferimenti e una banca centrale indipendente "pura": ma non avrebbe senso fermarsi al punto di vista tedesco, una volta che si affermi che "il problema non è l'euro ma l'austerità".

Questa è una fortissima scelta politica che, appunto, presuppone, la precisazione del trilemma in termini più generali: siccome il mantenimento dell'euro implica la correzione via svalutazione interna da parte dei paesi debitori "commerciali" (essenzialmente verso la Germania), non si possono avere contemporaneamente l'euro stesso, una disoccupazione inferiore a quella strutturale ritenuta "competitiva" dalle formule del fiscal compact e una politica fiscale espansiva.

Ovvero: non si possono avere contemporaneamente l'euro, politiche fiscali espansive in misura tale da ridurre la disoccupazione verso l'equilibrio keynesiano (che esclude la logica della domanda interna piegata all'equilibrio esterno in condizioni di assenza di flessibilità del cambio), e una banca centrale indipendente unica e vincolata a politiche monetarie che escludono trattamenti differenziati tra Stati aderenti all'UEM e vietano le funzioni di tesoreria, cioè di rifornimento di liquidità all'economia reale.

 

7. L'euro non è un problema solo se si accetta dunque che sia irreversibile il mercato del lavoro-merce, cioè la totalitaria (e apparentemente multiforme, dal punto di vista contrattuale e "offertista") precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, con conseguente stabilizzazione della riduzione dei salari reali e di sacrificio della domanda interna a favore della competitività esterna.  

L'euro non è un problema, in altri termini, se accetto la istituzionalizzazione della disoccupazione strutturale (al momento, per l'Italia, in un target di "piena occupazione" neo-liberista del 10,5%), la riduzione permanente della domanda interna rispetto al pieno impiego dei fattori (ovvero un grado di deindustrializzazione inevitabilmente crescente, come ben evidenziava Nuti sopra citato), e politiche espansive nei limiti, ristrettissimi, di quanto mi consente, transitoriamente, l'utilizzo dei margini di surplus delle partite correnti realizzato pro-tempore

Ma un surplus destinato a scomparire non appena avrò forzato, attraverso politiche fiscali di moderato aumento del deficit, - divergenti dal fiscal compact, beninteso-, le maglie dell'equilibrio esterno possibile in situazione di fissità dei cambi.

Intanto, all'interno di questo paradigma, non avrò necessariamente potuto realizzare un sufficiente ciclo di crescita tale da correggere il simultaneo problema della insolvenza di famiglie, soggette a indebitamenti che non possono più restituire a causa di disoccupazione diffusa e perdita di salario reale, e imprese, che non possono più contare, e in misura divenuta strutturale (come la disoccupazione e la deflazione salariale), su una crescita affidabile e consistente della domanda interna. 

 

8. Perché l'euro non è "solo" l'euro e (cioè "più") il fiscal compact, che abbiamo visto non essere separabili all'interno del paradigma economico che sostiene l'euro. E questo fin dal rapporto Werner e da Einaudi e...Hayek-Roepke: e non si comprende perché non si sappia affrontare questa minima operazione di ricostruzione storico-economica, così agevole e utile da compiere.

L'euro è anche l'Unione bancaria. E intanto che si discute, (candidamente?) della pleonastica "stupidità" del fiscal compact, la realtà normativa dell'Unione bancaria continua ad agire.

Il problema non sarebbe dunque l'euro solo se fingessimo, in base a una magica e "irenica" concezione del mondo senza capitalismo oligopolistico nazionale, che non esistono più i rispettivi saldi delle partite correnti di ciascun Stato aderente e che, più sistemicamente, i saldi settoriali non siano più rilevati su base nazionale

Ma la Germania, e per la verità l'elite italiana che invoca oggi, con ancor più convinzione, il "vincolo esterno", non hanno alcuna intenzione di ricorrere, nella linea politica implacabile che impongono alle politiche €uropee e nazionali, al "pensiero magico".

Quest'ultimo, il "pensiero magico", così come la serena visione irenica dell'euro, appartengono solo alla propaganda politica. Oligarchica (o delle elites, visto che oggi va di moda chiamarle così).

Ma sempre di propaganda si tratta.

Comments

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Claudio
Wednesday, 28 September 2016 15:27
L’autore dello scritto ha proprio ragione, solo lui e pochissimi intimi che la pensano allo stesso modo e che ‘sanno interpretare il senso dei grafici’, dovrebbero avere licenza di poter comunicare sul web, presentandoci scritti di illustri specialisti che fin dai tempi remoti, quando cioè la situazione era un cicinin diversa dall’attuale, dal momento che si era in piena fase di boom economico ed il debito pubblico assommava ad una frazione di quello odierno, sostenevano identiche tesi. Se fossero soltanto loro ad illuminarci eviteremmo i fastidi di quelli che cercano di farci presente anche le contrarietà ed i costi di un’eventuale uscita dall’euro, in termini di svalutazione di salari e pensioni, di maggiori costi a cui s’andrebbe incontro per via della conseguente forte svalutazione della moneta nazionale e, quindi, dell’aumento dei prezzi dei prodotti energetici e delle altre merci e servizi importati, pertanto di tutti gl’altri. In tal modo eviteremmo altresì d’esser turbati dal rammento degli assai più elevati tassi d’interessi che avremmo dovuto pagare e che pagheremmo sull’insignificante debito pubblico, che ammontava soltanto a 2.248,8 miliardi al giugno scorso, e che tali tassi graverebbero ancor più su investimenti e mutui, tutte cosucce insignificanti di cui non vale proprio la pena di discuterne, dal momento che avrebbero fatto aumentare tale debito pubblico di poco più di un centinaio di miliardi l’anno, e magari ci avrebbe anche regalato un salutare default, come più d’un solerte e dotto sostenitore delle posizioni antieuro ha sostenuto su queste stesse colonna qualche mese fa. So bene che tutto sommato, questo debituccio è una cosa insignificante, infatti si vuol uscire dall’euro soprattutto per poterlo aumentare, secondo gli stessi illustri teorici, così da poterlo lascare orgogliosamente in eredità a figli e nipoti, che grazie a tale uscita avranno lavori ben più fluenti e sicuri, lautamente retribuiti in lirette, e quindi pensioni tanto elevate da non saper come spenderle.
Mi sembra giustissimo ed oltremodo doveroso citare, come pezze d’appoggio alle proprie tesi, chi, tra i tanti economisti, ha sostenuto posizioni in qualche modo assomiglianti alle proprie, anche perché si tratta di una categoria di specialisti che, con sommo rispetto parlando, ha sempre sostenuto identiche tesi, una categoria la quale ha tenuto in buona parte un atteggiamento di quasi riverenza verso il neoliberismo e la cosiddetta finanza creativa che emanava dalle università americane, che ha saputo prevedere con millimetrica precisione la crisi in arrivo in ogni suo dettaglio, ed è stata anche capace di elargirci la ricetta per superarla in tempo reale.
Anch’io che sono un signor nessuno capisco che le politiche monetarie comuni e i regolamenti europei stanno creando non pochi problemi. Nonostante ciò mi trovo in una posizione polare rispetto a quella dell’autore del presente scritto, ma non tanto per via delle contrapposte posizioni sull’euro, il cui abbandono l’autore dello scritto me i suoi simili considerano una panacea, mentre al contrario ritengo che possa creare molti più guai di quelli che potrebbe eventualmente risolvere, e nemmeno per il fatto che un eventuale ritorno a forme di organizzazione statuale di tipo nazionalistico, dopo tutti gli orrori che esse ci hanno dato il secolo scorso, dovrebbe quantomeno farci alzare le antenne, e neanche per il fatto che come amministrazione della cosa pubblica come paese non è che abbiamo dato dei fulgidi esempi di sobrietà, ma per il semplice fatto che dal momento che il sistema capitalistico di produzione si basa sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ritengo che vada superato al più presto, anche perché credo che nel bene da tempo abbia dato tutto quello che poteva dare, mentre ora sta creando innumerevoli guasti di incommensurabile maggiore entità rispetto a quelli dell’euro.
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