- Details
- Hits: 1718
Finitudine ed escatologia nell’era del presente esteso
di Roberto Paura
Un mondo a venire dopo la vita? Le risposte di Bart Ehrman, Brunetto Salvarani e Telmo Pievani
Se dovessimo svolgere un sondaggio su quale sia considerato oggi il modo migliore di morire, scopriremmo che le risposte sono quasi unanimi: all’improvviso, meglio se nel sonno, senza nemmeno accorgersene. Chiudere gli occhi e non svegliarsi più. Eppure, nel passato poche cose avrebbero atterrito più di questa. Morire improvvisamente senza la possibilità di ottenere il conforto dei sacramenti e della remissione dei peccati avrebbe potuto compromettere ogni speranza di salvezza nell’aldilà. Il trapasso, dopotutto, può ben essere doloroso, ma ha una durata limitata; l’eternità, invece, è davvero lunga, e nessuno vorrebbe trascorrerla tra i tormenti. Così scriveva ad esempio il teologo bizantino Giovanni Crisostomo nella sua Omelia sul Vangelo di Giovanni: “Se dovesse accadere (Dio non voglia!) che per una morte improvvisa dovessimo lasciare questa terra non battezzati, anche se saremo ricolmi di ogni virtù, il nostro destino non potrà che essere l’inferno e il verme velenoso e il fuoco inestinguibile e catene indissolubili” (cit. in Ehrman, 2020).
All’apogeo di quella grande costruzione sociale occidentale che fu la Cristianità, nemmeno la morte assicurava la fine di ogni preoccupazione per il “caro estinto”. In virtù della “comunione dei santi” – lo stretto legame che, secondo la teologia cattolica, esiste tra i vivi e i morti – la preghiera per chiedere l’intercessione dei santi a favore delle anime dei defunti, spesso attraverso messe in suffragio, serviva ad abbreviare il periodo di penitenza nel Purgatorio, dove si riteneva che finisse la maggior parte delle anime (i dannati, va da sé, finiscono all’inferno, soprattutto se sono morti senza essersi potuti pentire, da cui la paura di una morte improvvisa; i santi, che finiscono direttamente in paradiso, sono obiettivamente pochi).
- Details
- Hits: 1434
Una teoria della storia come macchina del tempo
di McKenzie Wark
Pubblichiamo un estratto dal nostro prossimo libro, Il capitale è morto. Il peggio deve ancora venire di McKenzie Wark
Non sappiamo più cosa sia il socialismo, o come ottenerlo,
eppure resta il nostro obiettivo.
Deng Xiaoping
Mettiamo che hai una macchina del tempo. Diciamo che la fai viaggiare fino a tornare alla metà degli anni Settanta del secolo scorso. Una volta a destinazione, ne esci fuori e vai alla ricerca delle persone che, a quei tempi, erano importanti. Spieghi loro alcune cose di quanto sta succedendo nel XXI secolo. Alcune delle storie che racconti per alcune di queste persone hanno senso, altre sembrano del tutto folli.
Per esempio, mettiamo che la macchina del tempo ti abbia portato nella Cina della metà degli anni Settanta, e ti trovi a spiegare che, entro la fine del secondo decennio del secolo successivo, il destino dei mercati globali sarà nelle mani del Partito Comunista Cinese. Suonerebbe abbastanza folle. Tra la metà e la fine degli anni Settanta, la Cina ha visto la caduta della Banda dei Quattro, il maoismo all’acqua di rose di Hua Guogeng e, infine, l’ascesa al potere di Deng Xiaoping. Ma persino allora la Cina attuale sarebbe stata inimmaginabile per chiunque – tranne che per Deng Xiaoping.
Se viaggiassi con la macchina del tempo fino all’Unione Sovietica della metà degli anni Settanta, le reazioni sarebbero più diverse. Leonid Brežnev è al potere da più di dieci anni, e sembra che lo sarà per sempre. Le guerre per procura non vanno poi così male, visti i buoni risultati in Angola e la vittoria schiacciante in Vietnam, almeno fino all’invasione sovietica dell’Afganistan nel 1979.
- Details
- Hits: 5843
Recensione a Per un nuovo materialismo di Roberto Finelli
di Nicolò Galasso
Roberto Finelli: Per un nuovo materialismo. Presupposti antropologici ed etico-politici, Rosenberg & Sellier 2018
Il percorso teorico «delle pagine che seguono prova a ricongiungere vita e politica» (p. 9). Così, nella Premessa, Roberto Finelli presenta il suo ultimo lavoro. Il tentativo, tanto ambizioso quanto accurato e rigoroso, è quello di elaborare una nuova antropologia, di orientamento materialista ma non prigioniera del riduzionismo meccanicistico ottocentesco, con cui pensare una nuova forma di politica, coerente con le esigenze dell’oggi e, allo stesso tempo, non immemore della vis emancipativa della migliore tradizione marxista. Vita e politica da non intendere, pertanto, nell’accezione inflazionata di biopolitica, bensì focalizzando l’attenzione sul nesso strutturale che le lega, essendo la seconda la condizione di possibilità e di fioritura della prima: la politica quindi non ridotta a tecnica di funzionamento delle istituzioni, bensì pensata nel suo valore trascendentale di condizione di possibilità sia dell’agone politico sia dell’individuo che vi partecipa. Una volta sgombrato il campo dai possibili equivoci terminologici, risulta chiara la valorizzazione della psicoanalisi di matrice freudiana che Finelli propone come base del suo discorso.
I primi due capitoli del libro sono, infatti, dedicati a Freud. Nel primo si ripercorre, con acribia e singolare sensibilità critica, il percorso intellettuale del medico austriaco da L’interpretazione delle afasie (1891) a il Progetto di una psicologia (1895). L’interesse che questo periodo della ricerca di Freud suscita in Finelli non si giustifica solamente con la costatazione che questi sono gli anni decisivi per la svolta psicoanalitica la quale, infatti, si manifesterà di lì a poco.
- Details
- Hits: 1606
Re-istituire la soggettività. Il Basaglia che rimuoviamo
di Andrea Muni
Quale soggettività restituire? Basaglia e Foucault
Restituire la soggettività significa restituire uno spazio vuoto. Uno spazio fisico, sociale e istituzionale, dove sia finalmente possibile intessere relazioni non alienate e (pre)normate; uno spazio reale dove costruire un’esperienza di sé e degli altri appena un po’ meno progettuale e calcolabile di quella oggi forzosamente inoculata nei corpi umani dalle varie discipline “dolci” del neo-liberalismo. Ma non solo, in un senso più teorico la “soggettività” e la “restituzione” che ci interessano chiamano anche in causa lo spazio, il vuoto, prodotti dall’oscillazione di due operazioni reciproche e fondamentali:
1) Un certo qual masochismo – che Basaglia stesso menziona esplicitamente nelle Conferenze brasiliane – di cui le istituzioni e coloro che le incarnano dovrebbero imparare a riscoprire il gusto. Uno spazio di restituzione della soggettività che interessa quella che potremmo chiamare – con un’espressione a effetto – l’autodistruttività dell’istituizione.
DOMANDA: Io vorrei che lei approfondisse il problema del ruolo dello psichiatra e dello spazio che egli deve dare alla sua autodistruzione, dato che la distruzione della situazione significa rompere con la struttura borghese e con il potere che questa ha sul controllo della salute.
BASAGLIA: Il problema che lei pone mi sembra molto giusto perché il problema della distruzione del manicomio non può avvenire che attraverso gli operatori che lavorano nel campo della salute, e quindi è una situazione effettivamente un po’ masochista, autodistruttrice. […] I movimenti, i partiti e i sindacati che vogliono la trasformazione di una società non possono sopportare che il proletariato e il sottoproletariato siano trattati in questo modo nelle istituzioni dello Stato.
- Details
- Hits: 1402
La classe impossibile secondo Nietzsche – e secondo Marx
di Sebastiano Isaia
La “dignità del lavoro” è uno dei più stolti
vaneggiamenti moderni. È un sogno di schiavi.
E questa necessità sfibrante della vita, che si
chiama lavoro, dovrebbe essere “dignitosa”?
(F. Nietzsche).
La dignità dell’uomo e la dignità del lavoro, sono
i miseri prodotti di una schiavitù che vuole
nascondersi a sé stessa (F. Nietzsche).
L’aforisma 206 di Aurora, il saggio pubblicato da Friedrich Nietzsche nel 1881, ha per titolo La classe impossibile. A quale classe sociale si riferisce l’autore, e perché la considera impossibile? Per avere una prima risposta non dobbiamo fare altro che leggere i suggestivi passi che seguono: «Povero, lieto e indipendente! – queste cose insieme sono possibili; povero, lieto e schiavo! – anche queste sono possibili, – e agli operai, della schiavitù della fabbrica, non saprei dire niente di meglio, posto che essi non avvertano in generale come un’infamia, il venir adoperati in tal modo, ed è quel che accade, come ingranaggi di una macchina e, per così dire, come tappabuchi dell’umana arte dell’invenzione!» (1). La classe impossibile di cui parla Nietzsche è dunque quella operaia, e, per essere ancor più precisi, si tratta della classe operaia del Vecchio Continente: «Gli operai in Europa d’ora innanzi dovrebbero dichiararsi come classe un’impossibilità umana». E come singoliindividui? Il tema non è sviluppato dall’autore e certamente non intende approfondirlo chi scrive, ma semplicemente sfiorarlo. Tra poco vedremo che la specificazione geosociale della nietzschiana “questione operaia” ha un preciso significato – e d’altra parte allora solo l’Europa vantava una forte, moderna e politicamente organizzata classe operaia.
- Details
- Hits: 1081
Sull’universalismo comunista
di Antiper
Anche se per molti versi il comunismo moderno si distingue profondamente dai vari “comunismi” precedenti è pur vero che, per altri versi, ne costituisce lo sviluppo.
Ad esempio, l’abolizione della proprietà privata è certamente un elemento distintivo e permanente di una concezione “comunista” [1]; come si potrebbe infatti pensare una società comunista che preservasse la possibilità della proprietà privata [2]? D’altra parte il modo in cui questa richiesta viene avanzata – ad esempio, “abolizione per tutti” o “abolizione solo per una parte” – cambia, e di molto, la situazione.
Quella che la proprietà privata sia uno straordinario elemento di disarmonia e di conflitto sociale costituisce una delle più geniali intuizioni filosofiche di Platone; un’intuizione geniale e precoce in quanto operata in una società ancora molto primitiva dal punto di vista della proprietà.
“Chi segue la strada in discesa si trova di fronte al compito di mostrare a uomini (antropologicamente?) interessati al denaro e al potere che la giustizia è preferibile all’ingiustizia, e che la filosofia ha una utilità politica, in quanto solo i filosofi – con alcuni accorgimenti istituzionali quali l’abolizione della famiglia e della proprietà privata – possono essere i governanti immuni da conflitto di interessi di cui la città ha bisogno” [3]
- Details
- Hits: 1761
Era digitale, era provinciale
di Eleonora Zeper
La verità è che la verità cambia
Friedrich Nietzsche
Ho sempre deprecato il proliferare del lessico filosofico nel corso dei secoli, mi è sempre sembrato che la storia della filosofia fosse una storia di incomprensioni lessicali: sarebbe dunque onesto dichiarare, all’inizio di ogni nostro discorso, l’inaffidabilità dello strumento di cui ci serviamo.
Nell’ultimo anno molte delle parole e delle categorie che usavamo per definire la nostra realtà sociale hanno perso ogni consistenza. Ce ne sono state offerte prontamente delle altre quali distanziamento sociale, didattica a distanza, assembramento… Chiedo scusa dunque se quest’articolo procede a tentoni: a me mancano ancora le parole per descrivere tutto questo.
*
Un mio collega e amico si è dichiarato favorevole alla chiusura totale nel periodo natalizio: il problema sono gli ospedali e un “paese civile” non può far morire la gente. L’ha detto con convinzione e io, come con lui mi capita spesso, non ho saputo ribattere in alcun modo.
Qualche giorno fa un altro mio caro amico mi ha detto che non sarebbe passato a casa mia per chiacchierare delle nostre rispettive vite e stare un po’ assieme, così come avevamo concordato da qualche giorno. Mi scrive per dirmi che il giorno di Natale intende vedere i suoi genitori e che dunque, nei giorni precedenti, preferisce evitare ogni rischio di contagio e vedersi all’aperto. Ero dispiaciuta e un po’ irritata.
- Details
- Hits: 2159
Prolegomeni a un capitalismo francescano
di Fabio Vighi (Università di Cardiff)
1. Mitologie del Male
La conjuration des imbéciles è il titolo di un breve scritto di Jean Baudrillard pubblicato su Libération il 7 maggio 1997 1. Prendendo spunto dal successo politico conseguito in quegli anni da Le Pen padre, Baudrillard si scaglia contro il moralismo conformistico della sinistra, che vede legato a doppio filo all’ascesa del Front National. Due domande di quello scritto colpiscono al cuore del nostro presente: ‘È possibile oggi proferire anche solo qualcosa d’insolito, d’insolente, di eterodosso o paradossale senza essere automaticamente etichettati di estrema destra? […] Perché tutto ciò che è morale, conforme e conformista, e che era tradizionalmente di destra, è passato oggi a sinistra?’ Baudrillard sostiene che la sinistra, ‘spogliandosi di ogni energia politica’, si è trasformata in ‘una pura giurisdizione morale, incarnazione di valori universali, paladina del regno della Virtù e custode dei valori museali del Bene e del Vero, una giurisdizione che vuole responsabilizzare tutti senza dover rispondere a nessuno.’ In tale contesto, ‘l’energia politica repressa si cristallizza necessariamente altrove – nel campo nemico. E così la sinistra, incarnando il regno della Virtù, che è anche il regno della più grande ipocrisia, non può che alimentare il Male.’
La tesi di Baudrillard può essere utile a tastare il polso di un’epoca, la nostra, che ha sviluppato una vera e propria ossessione ideologica per il Male. Questo perché la mitopoietica del Male serve oggi a consolidare l’illusione della fondatezza morale del capitalismo globalizzato.
- Details
- Hits: 2080
Filosofia prêt à porter
Un pensiero che non vuole più essere inattuale
di Carlo Formenti
«Polemos (la guerra) è il padre di tutte le cose» recitava Eraclito, non a caso fra i filosofi più amati da Marx. Ma mentre Marx inquadrava il detto nella cornice del pensiero dialettico, pensando alla guerra di classe, più che alla guerra in generale, il pensiero ermeneutico ricama su questo frammento presocratico (come su molti altri) per estrarne tutt’altro, dal momento che il conflitto antagonistico è stato espulso dall’orizzonte dei temi “politicamente corretti”. E dal catalogo della correttezza politica è stata espulsa anche la vocazione alla inattualità del pensiero, visto che gli autori inattuali tendono a coltivare visioni utopistiche che oggi vengono automaticamente associate ai campi di sterminio.
In un bell’articolo pubblicato sul sito di Micromega http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/07/30/filosofia-del-ritiro-ritiro-della-filosofia/?fbclid=IwAR2pbt022V8vXY5SxTtSlzWp-zFjTa-qNXfOxvLxhwZAUoPALcNsHxGwN-o Yuri Di Liberto utilizza, per definire questa svolta antipolitica che accomuna larga parte del pensiero contemporaneo, la categoria di "filosofia del ritiro": «non si tratta di un progetto filosofico univoco, ma di una linea di tendenza della filosofia occidentale che, sulla base dell’equazione potere=totalitarismo, ha forgiato una panoplia di concetti che mirano alla reinterpretazione dello scenario del conflitto in termini di un’opposizione manichea tra il potere costituito (il male assoluto) e la relazionalità immanente; o, per usare i termini di Deleuze e Guattari, tra il molare (Stato, paranoia) e il molecolare (il desiderio, lo “schizo”».
- Details
- Hits: 2419
Gaia e Ctonia
di Giorgio Agamben
I.
Nel greco classico, la terra ha due nomi, che corrispondono a due realtà distinte se non opposte: ge (o gaia) e chthon. Contrariamente a una teoria oggi diffusa, gli uomini non abitano soltanto gaia, ma hanno innanzitutto a che fare con chthon, che in alcune narrazioni mitiche assume la forma di una dea, il cui nome è Chthonìe, Ctonia. Così la teologia di Ferecide di Siro elenca all’inizio tre divinità: Zeus, Chronos e Chtonìe e aggiunge che «a Chtonìe toccò il nome di Ge, dopo che Zeus le diede in dono la terra (gen)». Anche se l’identità della dea resta indefinita, Ge è qui rispetto ad essa una figura accessoria, quasi un nome ulteriore di Chtonìe. Non meno significativo è che in Omero gli uomini siano definiti con l’aggettivo epichtonioi (ctonii, che stanno su chthon), mentre l’aggettivo epigaios o epigeios si riferisce solo alle piante e agli animali.
Il fatto è che chton e ge nominano due aspetti della terra per così dire geologicamente antitetici: chton è la faccia esterna del mondo infero, la terra dalla superficie in giù, ge è la terra dalla superficie in su, la faccia che la terra volge verso il cielo. A questa diversità stratigrafica corrisponde la difformità delle prassi e delle funzioni: chthon non è coltivabile né se ne può trarre nutrimento, sfugge all’opposizione città/campagna e non è un bene che possa essere posseduto; ge, per converso, come l’eponimo inno omerico ricorda con enfasi, «nutre tutto ciò che su è chthon» (epi chthoni) e produce i raccolti e i beni che arricchiscono gli uomini: per coloro che ge onora con la sua benevolenza, «i solchi della gleba che danno vita sono carichi di frutti, nei campi prospera il bestiame e la casa si riempie di ricchezze e essi governano con giuste leggi le città dalle belle donne» (v.9-11).
- Details
- Hits: 1347
Colpi preventivi: Marx e Spinoza
di Jason Read
Nell’età postindustriale la critica spinoziana della rappresentazione del potere capitalistico si avvicina alla verità più dell’analisi dell’economia politica.
Antonio Negri
In principio è la pratica
L’incontro tra Spinoza e Marx è probabilmente uno dei più produttivi nella filosofia contemporanea. Esso ha diverse origini e molteplici traiettorie, l’ondata più recente inizia con le opere di Alexandre Matheron, Gilles Deleuze e Louis Althusser, proseguendo in modi differenti, attraverso diverse varianti del marxismo e dello spinozismo. Questo incontro non riguarda, come spesso accade per le forme dominanti della scrittura filosofica e della ricerca, la necessità di distinguere le influenze che derivano dall’una all’altra, o gli argomenti che le dividono. È piuttosto un’articolazione dei loro punti di intersezione fondamentali, punti che non sono semplicemente dati, ma che devono essere prodotti da una pratica filosofica.
Uno di questi punti di articolazione è il loro comune materialismo, inteso come primato dell’azione sul pensiero, dell’ordine dei corpi e dei rapporti sulla coscienza. Ciò forse appare ovvio nel caso di Marx, la cui affermazione «non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza» va intesa come un’articolazione fondamentale del materialismo. È invece meno ovvio nel caso di Spinoza, nonostante la sua affermazione dell’identità dell’ordine e della connessione di pensiero ed estensione, di idee e cose come due espressioni dell’infinita potenza della sostanza.
- Details
- Hits: 986
La politica come esperienza
di Valerio Romitelli
Cosa dice la filosofia di Alain Badiou? E cosa dice riguardo alla politica? Domande ambiziose e impegnative, sul pensiero di uno dei più importanti filosofi contemporanei, eclettico e prolifico, complesso e provocatorio. Attorno a tali questioni si sviluppa l’articolo di Valerio Romitelli, alimentato dal seminario che insieme a Luca Jourdan ha organizzato all’Università di Bologna. Romitelli mette da subito a critica due formule, tanto enfatiche quanto alla fin fine paralizzanti: «tutto è politica» oppure «la politica non conta nulla». Per andare in un’altra direzione, bisogna appunto considerare la politica come esperienza, confrontandosi con alcuni concetti fondamentali: eguaglianza e sottrazione, oggettività e soggettività, evento e comunismo. Dentro questa matassa, oggi quanto mai ingarbugliata, si possono trovare dei fili per pensare e ripensare la politica.
Valerio Romitelli è docente di Storia dei movimenti e dei partiti politici dell’Università di Bologna. Tra i suoi libri recenti ricordiamo L’amore della politica (Mucchi, Modena 2014), La felicità dei partigiani e la nostra (Cronopio, Napoli 2015), L’enigma dell’Ottobre ’17 (Cronopio, Napoli 2017).
* * * *
Sei anni fa, assieme a Luca Jourdan, presso il Corso di laurea magistrale di Antropologia culturale ed etnologia dell’Università di Bologna abbiamo dato avvio a una serie di seminari sul pensiero politico, aperti anche a non iscritti, con uno scopo assai preciso: contrastare il malcostume accademico forse attualmente accentuato dalle accresciute influenze anglofone, che obbligando a sfoggiare le più ampie conoscenze libresche induce ad associare in modo quanto mai eclettico e a volte persino ingenuo riferimenti teorici e filosofici disparati, anche tra loro contrastanti.
- Details
- Hits: 1231
Lukács fra arte e vita
di Lelio La Porta
La vita di György Lukács (1885-1971), turbolenta e tempestosa, è stata una di quelle vite che hanno costretto il pensiero a sottomettersi quasi totalmente alle stesse svolte imposte dall’esistenza storica.
Nato da una ricca famiglia ebrea, laureatosi a Budapest nel 1906, Lukács approfondisce gli studi filosofici a Berlino e Heidelberg dove subisce l’influenza del neocriticismo e dello storicismo tedesco e stringe amicizia con Ernst Bloch. La sua prima raccolta di saggi in tedesco (L’anima e le forme) apparve nel 1911 e, in seguito, un libro sull’estetica (non portato a termine) e uno su Dostoevskij (non pubblicato di cui rimangono gli appunti). Fra il 1914 e il 1915 scrive Teoria del romanzo. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale conduce Lukács a quella che sarà la scelta fondamentale della sua vita: l’adesione al marxismo e l’iscrizione al Partito Comunista Ungherese.
Nel 1919, nella breve esperienza della Repubblica ungherese dei Consigli, fu commissario del popolo all’istruzione e commissario politico della quinta divisione. Conclusasi l’esperienza consiliare, dovette fuggire a Vienna. Vive fra Vienna e Berlino e produce, fra gli altri, una serie di saggi che, rielaborata, comparirà in volume nel 1923 con il titolo Storia e coscienza di classe. Nel 1928 le tesi politiche note come Tesi di Blum gli costarono l’accusa di deviazionismo di destra e l’espulsione dal Comitato Centrale del Partito Comunista Ungherese. All’avvento del nazismo al potere in Germania, si trasferisce a Mosca dove rimarrà fino alla fine della Seconda guerra mondiale studiando e ricercando presso l’Istituto Marx-Engels-Lenin. Finita la guerra, Lukács tornò in Ungheria e fu membro del Parlamento, della direzione dell’Accademia delle Scienze, professore di estetica e di filosofia della cultura all’Università di Budapest.
- Details
- Hits: 2457
È la contraddizione che muove il mondo
di Vladimiro Giacchè
Testo della lectio al convegno Euro, mercati, democrazia e… conformismo EMD 2020, svoltosi a Montesilvano (PE) nei giorni 17 e 18 ottobre 2020
1. Una fine e un inizio
«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri. La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio. Per questo motivo, e per un motivo più importante: perché, come vedremo più avanti, nel suo pensiero la fedeltà alla tradizione filosofica, la continuità rispetto a essa, si unisce a un forte elemento di rottura, nientemeno che rispetto a un principio cardine della tradizione filosofica quale quello di identità.
Il pensiero di Hegel, al pari di quello di tutti i grandi pensatori, fa parte del patrimonio culturale dell’umanità. Allo stesso modo di un monumento storico, di un dipinto, di un brano musicale. In quanto tale, fa parte di una storia. Ma il suo significato non si esaurisce in essa, eccede ogni interpretazione – e proprio per questo è in grado di parlare a generazioni diverse, di divenire alimento di un nuovo pensiero. Il pensiero di Hegel fa parte anche di noi, perché è inserito nella tradizione culturale in cui noi stessi pensiamo. Talvolta ridotto a frammenti, a singoli concetti, a frasi isolate, ma comunque già presente in noi inconsapevolmente anche prima dell’inizio di ogni lavoro interpretativo.
- Details
- Hits: 1702
Respirare il mondo: la rivolta di Donatella
di Marcello Tarì
Che la rivolta sia qualcosa che riunisce in sé esigenze economiche, politiche e soprattutto esistenziali e perciò sia un evento che ha dignità di essere pensato dalla filosofia non è un fatto scontato. È scontato che se ne occupino, per questioni strettamente disciplinari, la storia o la sociologia, ma della rivolta in quanto tale, con tutto il suo portato di urla, di fiamme e di ebbrezza, è davvero raro che filosofi e filosofe se ne occupino, specie alla nostra latitudine. Questo “occuparsene”, ponendola al centro e non ai margini della riflessione filosofica, è di per sé una delle qualità principali del nuovo saggio di Donatella Di Cesare che esce in questi giorni per Bollati Boringhieri, Il tempo della rivolta. È un piccolo libro ma così denso da impedire l’impresa di parlare in un breve articolo di tutto quello che vi è contenuto, bisogna leggerlo e con attenzione insomma.
Negli ultimi anni il tema della rivolta si è fatto sempre maggiore spazio nella cronaca dando vita a molti e inconcludenti dibattiti sui media, ma soprattutto ad alcuni importanti testi fra i quali ricorderei, per la loro incisività, senz’altro L’insurrezione che viene e i seguenti libri dei Comitato Invisibile, editi in Italia lo scorso anno da Nero, e il saggio di Joshua Clover, Riot Strike Riot. The New Era of Uprisings (Verso, 2016), purtroppo mai tradotto in italiano. Se il primo testo del Comitato, apparso nel lontano 2007, si può dire seminale e percorso da una tensione che non si può che definire profetica, quello del marxista Clover interveniva al culmine del ciclo di rivolte che hanno scosso il mondo lo scorso decennio, cioè le rivolte arabe, quelle delle piazze in Europa e di Occupy negli USA.
Page 8 of 36
Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli: Lenin con gli occhi a mandorla: l’asiacentrismo
Emmanuel Todd: «Stiamo assistendo alla caduta finale dell'Occidente»
Carlo Formenti: Antonio Negri, un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulle punte dei piedi
Roberto Luigi Pagani: Sessismo nelle fiabe? Nemmeno per sogno!
Giorgio Agamben: Due notizie (non fra le altre)
Davide Carrozza: Lo strano caso del caso Moro by Report
Agata Iacono: "Il Testimone". Il film russo che in Italia non deve essere visto
Carlo Rovelli: Guerra e pace. Intervista a Carlo Rovelli
Roberto Iannuzzi: Mar Rosso, la sfida a USA e Israele che viene dallo Yemen
Andrea Zhok: Maccartismo. Su un angosciante documento del Parlamento europeo
Leonardo Mazzei: Terza guerra mondiale
Paolo Cortesi: Programmi tv come addestramento di massa alla sottomissione
Emiliano Brancaccio: La «ragione» del capitalismo genera i mostri della guerra
John Mearsheimer: Genocidio a Gaza
Francesco Schettino: Le radici valutarie del conflitto in Ucraina
Leonardo Sinigaglia: Le ragioni più profonde dell'autocolonialismo italiano e come affrontarlo
Raffaele Sciortino: Stati Uniti e Cina allo scontro globale
John Mearsheimer: “La lobby israeliana è potente come sempre”
Jonathan Cook: Siamo noi i cattivi?
Ilan Pappe: È il buio prima dell'alba, ma il colonialismo di insediamento israeliano è alla fine
Piero Pagliani: Raddoppiare gli errori fatali
Paolo Cacciari: Nelle mani sbagliate
Pino Arlacchi: Lo sterminio di Gaza e la vocazione violenta e nichilista dell’Occidente
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Maurizio Ricciardi: Si può ancora dire classe? Appunti per una discussione
Andrea Zhok: Storia di un’involuzione: dalla politica strutturale al moralismo isterico
Silvia Guerini: Chi finanzia il movimento LGBTQ
Nico Maccentelli: Bande musicali quelle dei nazisti, banditen i partigiani
Silvia D'Autilia: Un antidoto contro l’attuale propaganda: il nuovo spettacolo di Marco Travaglio
Marco Travaglio: Abbiamo abolito i neuroni
Emmanuel Goût: L’Italia può diventare protagonista sullo scacchiere mondiale?
Marco Pondrelli: Il ritorno degli imperi. Maurizio Molinari
Claudio Conti - Guido Salerno Aletta: La “magia” del debito statunitense è agli sgoccioli
Fabrizio Poggi: I piani yankee-polacchi per l’Ucraina servono a indebolire la Germania
Leonardo Mazzei: Mortalità in aumento: menzogne di regime
Daniele Luttazzi: I (veri) motivi per cui Cia, Nsa e il Pentagono hanno creato Google
Fabrizio Poggi: Improvvise esercitazioni della Flotta russa del Pacifico
Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli: Lenin con gli occhi a mandorla: l’asiacentrismo
Fabio Mini: La “controffensiva” è un fumetto di sangue
Piccole Note: I droni sul Cremlino. Prove di terza guerra mondiale
Joseph Halevi: L’inflazione è da profitti
Daniele Pagini: Petrolio: fine dell’egemonia nordamericana?
Thierry Meyssan: Guerra, divisione del mondo o fine di un impero?
comidad: L’inefficienza è l'alibi dell'avarizia
Il Chimico Scettico: Gain of function, i biolaboratory e tutto il resto
Andrea Zhok: I quattro indizi che in occidente qualcuno lavora per il "casus belli" nucleare
Wu Ming: Non è «maltempo», è malterritorio. Le colpe del disastro in Emilia-Romagna
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Qui la quarta di copertina
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Qui una presentazione del libro
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto