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chefare

La trasformazione silenziosa: il pensiero occidentale e quello cinese

di François Jullien*

Pubblichiamo in collaborazione con Feltrinelli editore un estratto da Essere o vivere di François Jullien

Schermata del 2021 09 02 14 36 19Chiamerò trasformazione silenziosa una trasformazione che avviene senza rumore, della quale dunque non si parla. Silenziosa in due sensi: avviene senza preavviso, non si pensa nemmeno di parlarne. La sua impercettibilità non rientra nell’ordine dell’invisibile, al contrario si produce in modo manifesto, sotto i nostri occhi, a poco a poco. Però non si nota, per due ragioni connesse: perché è contemporaneamente globale e continua, non si distingue mai a sufficienza, in un punto o in un altro, o da un momento all’altro, per poter introdurre una rottura che possa fissare la nostra attenzione.

Oserei dire che non si distingue mai abbastanza per poterla distinguere. Visto che tutto vi si trova coinvolto e che essa si produce nella durata, non c’è nulla che assuma un rilievo sufficiente per farla emergere. Quando infine emerge, la si coglie e se ne parla come di un risultato.

Perciò questa trasformazione sarà definita non invisibile, ma “silenziosa”: non è isolabile, non è localizzabile e si confonde con il suo svolgimento. La vista è il senso del discontinuo e del locale: le palpebre si aprono e si chiudono come una tenda che si alza e si abbassa; l’udito è il senso della continuità. Si dice “tapparsi le orecchie”, ma non si può chiudere un orecchio: non si ascolta più, ma si intende ancora. Analogamente, si guarda necessariamente da una parte e dall’altra, si guarda un aspetto o un altro, sempre parzialmente e localmente, ma si ascolta globalmente; mentre la vista, proiettandosi al di fuori, si porta momentaneamente su un punto o su un altro, l’orecchio è quell’imbuto o cornetta che raccoglie costantemente da tutte le parti.

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sinistra

Sul privilegio

Note critiche su Agamben-Cacciari

di Roberto Finelli e Tania Toffanin

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Abbiamo inteso di scrivere qualche riflessione insieme su quanto Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno pubblicato il 26 luglio sul sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (A proposito del decreto sul “green pass”), perché ci sembra utile fare un poco di chiarezza sullo spirito del tempo, sul Zeitgeist, di cui i due autori citati ci appaiono essere solo l’epifenomeno più vistoso e accreditato.

Vogliamo provare brevemente a comprendere cosa ci sia dietro una tale rivendicazione di libertà individuale, sottratta ad ogni condizionamento e mediazione con la libertà collettiva, in un richiedere verosimilmente assai dimentico della definizione data, ormai tempo addietro, da Franco Fortini, secondo cui “la mia libertà inizia, non dove finisce, ma dove inizia la libertà dell’altro”. E dunque comprendere perché il nostro tempo, storico e culturale, si sia connotato, sempre più, per una moltiplicazione e ipertrofia dei diritti individuali del singolo, di contro ai diritti comuni e sociali.

Il dibattito che l’obbligatorietà della certificazione verde ha aperto si situa, peraltro, all’interno di uno scenario internazionale che impone alcune riflessioni. Pensiamo infatti che tale dibattito sia fondamentalmente centrato sui diritti individuali, all’interno di un contesto nel quale le libertà individuali sono pienamente garantite. Per contro, quanto sta succedendo in Afghanistan ci impone di riflettere, a partire proprio dalle libertà individuali, in termini meno eurocentrici. Sforzo questo che pensiamo sia necessario per uscire dal provincialismo del dibattito italiano ed europeo in tema di diritti fondamentali e libertà personali.

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perunsocialismodelXXI

Glosse al "Principio Speranza" di Ernst Bloch

di Carlo Formenti

27280 bloch 1Con questo post completo la trilogia iniziata con le Glosse all'ontologia dell'essere sociale di Gyorgy Lukacs e proseguita con la recensione alla "Filosofia imperfetta" di Costanzo Preve. Si tratta di tre testi che rappresentano la prima stesura di un libro di prossima pubblicazione il cui tema principale sarà la distinzione fra i tre regimi discorsivi che convivono nell'opera di Marx - grande-narrativo, deterministico-naturalistico e ontologico-sociale - e la necessità di liberarsi dell'eredità (storicamente datata) dei primi due e rivendicare l'assoluta attualità del terzo nella prospettiva di una rinnovata progettualità di trasformazione socialista del mondo.

 

1. Sogno, desiderio, speranza. Una ontologia del non ancora.

Lukacs, pone il lavoro al centro della sua Ontologia(1) ponendolo come modello di ogni prassi sociale, e definendolo “l’unico punto in cui è ontologicamente dimostrabile la presenza di un vero porre teleologico come momento reale della realtà materiale”. Nel primo volume del Principio speranza Ernst Bloch sembrerebbe incamminarsi nella stessa direzione. Cita il passaggio del primo libro del Capitale in cui Marx afferma che a distinguere il peggior architetto dalla miglior ape è il fatto che nella mente del primo il risultato dell’opera è già presente prima della sua esecuzione, commentando che “l’animale si riferisce allo scopo nei modi delle sue successive brame, l’uomo invece oltre a ciò se lo raffigura” (vol. I, p. 56). Indica nel lavoro il modello di quelle attività finalistiche che plasmano la realtà in quanto storia del soddisfacimento dei bisogni umani.

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Come interrompere una dialettica

Benjamin, Jesi e la rivolta contro il tempo

di James Martel - Emanuele E. Pelilli

Introduzione

emanu.001La categoria di dialettica è allo stesso tempo quasi invisibile e profondamente pervasiva[1]. Mentre comunemente viene considerata come proveniente da sinistra, essendo associata alla teoria dell’hegelismo di sinistra e poi al marxismo, allo stesso modo è stata utilizzata anche dall’hegelismo di destra e conservatore. La teoria dialettica è soprattutto una modalità di abitare il tempo, una specie di struttura costruita per il progresso del tempo che, pur non portando sempre a istanze teleologiche (a seconda di come viene concettualizzata), permette attraverso un certo grado di presupposizione, di influenzare ciò che viene dopo. È, in un certo senso, un modo di proiettare il presente, o almeno parte del presente, nel futuro (o a volte anche nel passato), un modo di spiegare il futuro con termini che sono attualmente disponibili e di costruire, soprattutto, una forte relazione tra causa ed effetto che in un certo senso garantisce che almeno alcuni aspetti del presente saranno conservati nei – e attraverso – i processi distruttivi che il pensiero dialettico tende a concettualizzare e produrre.

Ci sono svariate ragioni per apprezzare il pensiero dialettico per il modo in cui funziona da narrazione del tempo più ricca e profonda di un vuoto progressismo liberale, che afferma semplicemente che il passaggio omogeneo del tempo stesso è tutto ciò che è necessario perché la storia proceda. La teoria dialettica riconosce cioè la natura antagonista del tempo storico. È anche in sintonia con il modo in cui la materialità e l’oggettività – almeno in certa versione, particolarmente quella marxista – gioca un ruolo in questo antagonismo, aggiungendo un elemento che non dipende interamente dagli attori umani che sono coinvolti nei suoi ritmi.

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Lo stratega contro

L’attualità antagonista di Guy Debord

di Gabriele Fadini

0e99dc d157657ff58a4e848838da8434a70463mv2A chi lo definiva un filosofo, Guy Debord rispondeva di essere uno stratega. Per comprendere appieno ciò che egli intendeva Gabriele Fadini comincia dal momento in cui nell’opera di Debord la strategia non è solo riscontrabile tra le righe come una modalità di azione, ma in cui diviene il tema stesso di un’opera: Il gioco della guerra, ovvero il resoconto di una partita a un gioco di strategia, ideato dallo stesso fondatore dell’Internazionale Situazionista. A partire da qui, Fadini può approfondire alcuni aspetti del pensiero teorico-politico di Debord, confrontandosi anche con le interpretazioni di Agamben, Freccero e Bifo. 

* * * *

Come mostrano ancora queste ultime riflessioni sulla violenza, non ci saranno per me né ritorno, né riconciliazione. La saggezza non verrà mai [i]

Iniziare un testo dedicato a Guy Debord citando le ultime parole della sceneggiatura del suo ultimo film In girum imus nocte et consumimur igni non significa solo installarci in quel «gioco» secondo cui la massima fedeltà ad un autore consiste nella massima infedeltà, quanto più riflettere sulle regole del particolare gioco che è quello debordiano e ancor di più sull’utilità di questo gioco per un pensiero che si voglia antagonista. Il nostro intento, infatti, è quello di dimostrare come il gioco fornisca un accesso peculiare, originale ma soprattutto fortemente attuale, alla riflessione dello stratega francese. 

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quadernidaltritempi

L’egemonia della Tecnica e la speranza della Magia

di Roberto Paura

Federico Campagna: Magia e tecnica. La ricostruzione della realtàEdizioni Tlon, Roma, 2021, pp. 337, € 18,00

in rilievo letture magia tecnica 05“Un altro mondo è possibile” fu lo slogan che il movimento no-global adottò in occasione delle drammatiche contestazioni del G8 di Genova, nel 2001, di cui in questi giorni ricorre il ventennale. Un’aspirazione ambiziosa, perché sosteneva – e sostiene ancora oggi – la possibilità di pensare un mondo unito, ma non secondo le logiche del mercato. La sconfitta di quel movimento, che coincise con la più grande vittoria del there is no alternative con cui il neoliberismo si è imposto negli ultimi quarant’anni, non ha tuttavia sopito le speranze che un altro mondo sia davvero possibile: un discorso tornato in auge fin degli inizi del 2020, quando la pandemia di Covid-19 ha mostrato tutte le contraddizioni di un sistema da lungo tempo in crisi e reso urgente la necessità di un ripensamento complessivo.

Quanto sia complessa l’operazione ce lo mostra il filosofo Federico Campagna, italiano trapiantato a Londra, in un libro giunto da noi in un momento quanto mai opportuno rispetto all’originale uscita inglese nel 2018: Magia e tecnica. La ricostruzione della realtà non è un manuale per il “dopo”, un ricettario per business coach, uno di quegli innumerevoli instant-book con cui guru improvvisati cercano di motivare una società terribilmente provata dagli ultimi avvenimenti, quanto piuttosto – scrive Campagna nell’introduzione – “un libro per chi giace sconfitto dalla storia e dal presente”.

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lafionda

Agamben, il green pass e il ruolo della filosofia

di Gabriele Guzzi

ergwergerger“Negli anni a venire ci saranno solo monaci e delinquenti. E, tuttavia, non è possibile farsi semplicemente da parte, credere di potersi trar fuori dalle macerie del mondo che ci è crollato intorno. Perché il crollo ci riguarda e ci apostrofa, siamo anche noi soltanto una di quelle macerie.[i]

Ci sono epoche della storia in cui il bivio che ci contraddistingue come umani si radicalizza, i tempi impongono una demarcazione netta, delle soglie antropologiche, che costringono la storia umana ad una scelta, ad una vocazione, ad una svolta. Il libro di Giorgio Agamben, “La casa che brucia”, parla di questo. Negli anni futuri ci saranno solo monaci e delinquenti, poeti e assassini; le terze vie, i compromessi, le zone di confine saranno sempre meno abitabili, si imporranno delle decisioni ultime, degli scatti, su cui o saremo di qua o di là. E questa, tutto sommato, è una buona notizia.

Agamben non parla della pandemia, delle giuste misure di prevenzione, delle risposte sanitarie. Il punto è proprio imparare a decostruire il discorso monolitico che i principali media e partiti politici impongono, per comprendere da dentro le contraddizioni, le assurdità, le derive irragionevoli e perciò sospette. Si tratta di discernere il grano dalla gramigna, senza estremismi, senza complottismi, ma neanche con l’ingenuità subdola che ogni potere auspica sempre di poter suscitare nel popolo e nei suoi rappresentanti.

Il bivio si radicalizza proprio in questo: le derive antidemocratiche non prendono le forme classiche dei totalitarismi. I rischi per le nostre democrazie non stanno, come in realtà molti avevano ingenuamente pensato, (tanto) nei ritorni di potenziali fascismi o razzismi (che esistono ma come fenomeni minoritari), ma nell’applicazione pratica di principi giusti, su cui nessuno potrebbe dissentire, come la prevenzione della salute dei cittadini.

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Habermas: anche una storia della filosofia

di Leonardo Ceppa

Habermas1. Una possibile idea di filosofia

Nella Prefazione dell’ultima opera (Auch eine Geschichte der Philosophie, Suhrkamp 2019) si nasconde il sale della gigantesca impresa. Che idea ha oggi Habermas della filosofia? Che compito vuole assegnarle? Nella cultura contemporanea è domanda grandiosa. Di fronte a questo libro ci chiediamo: si tratta del dettagliato racconto di uno sviluppo storico (che perlustra gli stadi secolari attraverso i quali si è formata la proposta di una filosofia postmetafisica) oppure di un’intuizione teorica proiettata all’indietro, che per un verso organizza a posteriori il passato e per l’altro verso si presenta ora (a fine carriera) in tutta la sua potenza come dichiarazione esistenziale, rivoluzione antipositivistica, battaglia argomentativa? Non vogliamo banalizzare la questione al vecchio circolo, tra filosofia e storia della filosofia, di cui prende coscienza ogni matricola studentesca. Come tutti sanno, a differenza delle altre materie scientifiche, della filosofia non si può raccontare la storia senza prima disporne di una implicita idea teorica, ma di tale idea non ci si impadronisce, senza prima averla trafugata (magari senza saperlo) ai materiali di una venerabile storia istituzionale.

Soggettivamente, Habermas si trova impigliato in una trappola. Si vergogna del sollievo (eigentlich unseriös) di non dover daccapo consultare la dilagante letteratura secondaria, di non dover ripetere dimostrazioni più volte sviluppate nei decenni precedenti.

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sinistra

Derealizzazione, circo mediatico e verità

di Salvatore Bravo

743987gisLa reificazione e l’atomocrazia nel capitalismo assoluto si struttura con un diffuso scollamento tra realtà storica e vita del soggetto, la condizione schizoide è la normalità dello stato presente. Tali processi sono consustanziali alla sostituzione della verità con il paradigma dell’utile. Le filosofie scettiche fungono da sovrastruttura al dominio globale del mercato. In tale contesto i soggetti “addomesticati” al solo conteggio del PIL non possono che ritirarsi dalla storia e rinunciare alla comprensione dell’orizzonte in cui sono “gettati”. La verità non è che “un mito” del passato, pertanto si rinuncia a capire “il proprio tempo nel pensiero” e la verità della natura umana, senza di essi è improbabile la partecipazione alla prassi. Il cittadino diviene suddito globale, si rifugia nella realtà virtuale (tecnologie e realtà aumentata) limitandosi all’uso delle stesse e specialmente sostituisce la verità con il calcolo dell’utile. Gradualmente la realtà diviene estranea e straniera, si vive in una contingenza a cui ci si adatta, ma non si comprende. Si precipita in un irrazionalismo insidioso, si scambia il virtuale e l’ideologia annessa per realtà, e dunque, la scissione tra pensiero e realtà consolida il capitalismo assoluto, fino a rendere gli esseri umani “accidenti” che appaiono nella storia come elementi complementari del sistema. Costanzo Preve con l’ontologia dell’essere sociale ha l’obiettivo di fondare la comunità e la politica su un principio veritativo capace di veicolare il discernimento tra vero e falso. Per uscire dalla caverna della derealizzazione Costanzo Preve utilizza l’ontologia dell’essere sociale e la deduzione sociale delle categorie.

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exagere

È lucida quella vita che sa rifiutare la sua artificializzazione via rete

Federica Biolzi si confronta con Paolo Bartolini e Lelio Demichelis

Paolo Bartolini, Lelio Demichelis: La Vita Lucida, Un dialogo su potere, pandemia e liberazione - Jaca Book Edizioni, 2021

Foto 18una vitaPaolo Bartolini, analista filosofo, formatore e saggista e Lelio Demichelis, che insegna Sociologia economica all’Università degli Studi dell’Insubria, ci propongono con La Vita Lucida, Un dialogo su potere, pandemia e liberazione (Edizioni Jaca Book), un’interessante e approfondita analisi sulla lungi-miranza, passione e poesia che dovrebbero guidarci per far fronte a questi momenti di difficoltà dovuti, non ultimo, alla pandemia. Per la nostra rivista, ne è nato uno stimolante confronto che vi proponiamo.

* * * *

Il vostro è un libro che fa riflettere. Di fronte all’accelerata impressa dalla pandemia a problematiche già presenti è un invito a restare lucidi. Cosa significa esattamente?

L.D.: Una vita lucida è quella capace di ragione (che non è la razionalità strumentale che riduce tutto a calcolo e a profitto in cui viviamo) e di responsabilità e di cura (verso gli altri e verso l’Altro, verso la biosfera e le future generazioni, oltre che verso se stessi come esseri molteplici e complessi); lucida perché capace di immaginazione e di progettazione e – per quanto possibile – di lungi-miranza, e poi di passione e di poesia, di saggezza e di gentilezza – tutto il contrario di ciò che ci impone il tecno-capitalismo. Lucida è quella vita che è consapevole delle scelte che vuole compiere e che non segue conformisticamente la massa, oggi digitale.

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coku

L’obbedienza alla ragione è un invito alla rivolta. La proto-Grammatologia di Hamann

di Leo Essen

images037hdrNel 1756 Johann Georg Hamann, concittadino e amico di Kant, si reca a Londra per una missione segreta. La ditta Berens (Isaiah Berlin, Il mago del Nord) gli affida una missione la cui esatta natura è a tutt’oggi un mistero. Il compito di Hamann sarebbe stato quello di proporre agli inglesi un eventuale distacco dell’area baltica «tedesca» dall’Impero russo e la nascita di uno Stato autonomo o semiautonomo. La missione si conclude con un nulla di fatto.

A Londra Hamann abita in casa di un insegnante di musica, inizia a suonare il liuto e si vota a una vita di terribile dissipazione. Dopo solo 10 mesi accumula debiti per 300 sterline, versa in uno stato di prostrazione, miseria e solitudine. Poi lascia la casa del musicista e si trasferisce in una modesta pensione, dove, da buon pietista, il 13 marzo 1758 inizia a rileggere le Bibbia. Annota i suoi progressi spirituali giorno per giorno.

Tornato in Germania rifiuta l’invito di Kant di scrivere un manuale di fisica a quattro mani, e nel 1767 accetta un posto di funzionario all’Amministrazione generale delle imposte e dei dazi.

Nel Settecento, la Prussia di Federico il Grande, è, tra tutte le provincie tedesche, la più progressista. La burocrazia di Berlino deve raggiungere il livello di quella francese. Esperti stranieri, soprattutto francesi, vengono invitati alla corte di Potsdam e messi al lavoro. La lingua della corte è il francese.

Ai francesi (Voltaire, Maupertuis e La Mettrie, solo per citare i più famosi), dice Berlin, vengono assegnati gli incarichi intellettuali di maggior prestigio. Sono messi a capo degli uffici amministrativi dello Stato, con grave onta di tutti i veri prussiani (specie nella zona orientale del paese, roccaforte del tradizionalismo), che brontolano, ma obbediscono.

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gyorgylukacs

L’irrazionalismo come fenomeno internazionale nel periodo dell’imperialismo

Prefazione a La distruzione della ragione

di György Lukács

e1e1314be581632fc40af1dcb702ec73 XLQuesto libro non pretende affatto di essere una storia della filosofia reazionaria o addirittura un trattato sul suo sviluppo. L’autore sa bene che l’irrazionalismo, di cui viene qui presentato l’affermarsi e l’estendersi a indirizzo dominante della filosofia borghese, è solo una delle tendenze importanti nella filosofia reazionaria borghese. Benché non vi sia praticamente filosofia reazionaria che non celi un determinato elemento irrazionalistico, il campo della filosofia reazionaria borghese è molto più ampio di quanto non sia quello della filosofia irrazionalistica, nel senso proprio e rigoroso del termine.

Ma neppure questa limitazione basta a circoscrivere il nostro compito. Anche in quest’ambito più ristretto, non si tratta di fare una storia vasta e particolareggiata dell’irrazionalismo, che aspiri alla completezza, bensì di tracciare la linea principale del suo sviluppo, di analizzare le tappe e i rappresentanti più importanti e più tipici. Questa linea principale va presentata come la risposta più significativa e grave di conseguenze data dalla reazione ai grandi problemi degli ultimi centocinquanta anni.

La storia della filosofia, alla stessa maniera della storia dell’arte e della storia della letteratura, non è mai, come pensano i suoi storici borghesi, semplice storia di idee filosofiche o magari di personalità. I problemi e i modi di risolverli vengono stabiliti per la filosofia dallo sviluppo delle forze produttive, dall’evoluzione sociale, dallo svolgersi delle lotte di classe.

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perunsocialismodelXXI

Sulla filosofia imperfetta di Costanzo Preve

Ovvero: come valorizzare le intuizioni di un marxista eretico, riconoscendone i limiti ma anche andando al di là delle scomuniche di cui fu vittima

di Carlo Formenti

Dopo il post su Bordiga, proseguo la riflessione su alcuni autori che, pur avendo portato un contributo significativo alla teoria marxista, sono stati messi all’indice e rimossi dalla sinistra a causa delle loro tesi “eretiche” e politicamente “scorrette”. Questa seconda puntata è dedicata al pensiero di Costanzo Preve

preveIn uno dei miei ultimi lavori (1) ho dedicato un paragrafo al “caso Preve”, nel quale osservavo come il contributo di questo autore controverso e geniale alla teoria marxista sia stato oggetto di una rimozione radicale, se non di un vero e proprio linciaggio ideologico, sia per le sue critiche feroci a una sinistra in via di autodissoluzione (formulate in tempi in cui ciò era ancora considerato intollerabile), sia perché la scomunica di cui fu vittima a causa di tale “colpa”, contribuì ad esacerbarne il carattere ombroso, innescando certi suoi atteggiamenti provocatori che gli costarono un isolamento pressoché totale. In questo scritto proverò a spiegare i motivi per cui ritengo importante – tanto sul piano teorico quanto sul piano politico – rivisitarne certe intuizioni che meritano di essere approfondite cercando, al tempo stesso, di evidenziarne limiti e contraddizioni. A tale scopo prenderò in esame due testi distanziati da un quarto di secolo: La filosofia imperfetta (1984) e Finalmente! L’atteso ritorno del nemico principale (2009) (2). La parte dedicata a quest’ultimo testo anticipa alcuni dei temi che affronto nella Prefazione che ho scritto per una nuova edizione, prevista per il prossimo settembre.

 

1) La filosofia imperfetta

Il libro del 1984 si articola in cinque parti dedicate, rispettivamente, 1) ai tre “discorsi” che, secondo Preve, sostanziano il corpus teorico marxiano; 2) ad alcune delle principali correnti marxiste del Novecento; 3) al pensiero di Heidegger, indicato come la vetta più elevata del pensiero borghese novecentesco; 4) all’utopia concreta di Ernst Bloch; 5) all’ontologia dell’essere sociale di Gyorgy Lukacs.

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materialismostorico

I fondamenti filosofici della società virale

Nietzsche e Hayek dal neoliberalismo al Covid-19

di Paolo Ercolani (Università di Urbino)

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0

images04fusoL’emergenza sanitaria, seguita alla comparsa del virus denominato Covid- 19, ha prodotto due effetti sostanziali: il primo concerne l’esperienza traumatica, fondamentalmente a livello psicologico, di un fenomeno che ha scardinato le sicurezze dell’uomo odierno rispetto alla sua capacità di padroneggiare (o perlomeno controllare) quell’ecosistema biologico di cui è ospite e non padrone; il secondo riguarda la vera e propria crisi sociale che, in più contesti, ha rivelato fino in fondo le storture del modello neoliberista, ormai dominante nello scenario internazionale almeno a partire dalla data simbolica del 1989.

Nel primo caso, per esprimersi in termini freudiani, possiamo parlare dell’ennesima «ferita narcisistica» subìta da un soggetto, l’uomo, soventemente invaso da un irrealistico delirio di onnipotenza, che in questa situazione di emergenza sanitaria si è tradotto nell’individuazione di «verità» alternative e nella negazione dell’emergenza stessa, a fronte dell’individuazione «paranoica» di complotti e trame segrete1. Nel secondo caso, che poi è quello che qui ci interessa specificamente, possiamo cogliere l’occasione per ricostruire e al tempo stesso mettere in discussione i fondamenti filosofici su cui si fonda il liberismo. Ossia quella teoria che ha plasmato il sistema sociale e valoriale del nostro tempo, imponendo un «ordine» in cui l’umano e il fisiologico sono ridotti a strumento al servizio di scopi che non possono deragliare dal profitto economico e dal progresso tecnologico.

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micromega

Ritorno a Francoforte

di Giorgio Fazio

È recentemente uscito per Castelvecchi “Ritorno a Francoforte. Le avventure della nuova teoria critica”. Ne pubblichiamo qui l’introduzione per gentile concessione dell’autore e dell’editore, che ringraziamo

Schermata del 2021 05 07 14 08 46La teoria critica della Scuola di Francoforte è oggi al centro di una nuova attenzione. In un passaggio storico che vede il moltiplicarsi di crisi che vanificano aspettative di benessere, provocano sentimenti di disorientamento e di impotenza, generano bisogni di sicurezza che alimentano pulsioni identitarie e autoritarie, si torna a leggere i testi di questa corrente di pensiero novecentesca, trovandovi strumenti per capire la nostra contemporaneità. Si ha l’impressione, anzi, che alcune diagnosi “francofortesi” siano diventate più vere oggi rispetto a qualche decennio fa, quando ancora sembrava potessero perpetuarsi gli equilibri sociali del capitalismo democratico del dopoguerra, prima che prendesse avvio la stagione del neoliberismo.

Quando si parla di teoria critica della Scuola di Francoforte si fa riferimento innanzitutto al gruppo di ricerca interdisciplinare raccoltosi attorno alla figura di Max Horkheimer nei primi anni Trenta del XX secolo. La sede istituzionale di questo circolo fu l’Istituto per la ricerca sociale, l’organo in cui vennero pubblicati i risultati delle sue ricerche la Zeitschrift für Sozialforschung. Entrambi furono luoghi di indagini innovative sulla società, a cui presero parte, in modo diverso, figure del calibro di Theodor Wiesegrund Adorno, Walter Benjamin, Erich Fromm, Otto Kirchheimer, Leo Löwenthal, Herbert Marcuse, Franz Neumann, Friedrich Pollock e altri.