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Sciame/interruzione

di Franco Berardi "Bifo"

“L’io sta perdendo il suo significato usuale di un sovrano che compie atti di governo”
Robert Musil

Governance è la parola chiave della costruzione europea. Pura funzionalità senza significato. Automazione del pensiero e sostituzione della volontà con automatismi tecno-linguistici. Inserimento di connessioni astratte nel rapporto tra organismi viventi. Assoggettamento tecnico della scelta a concatenazioni logiche. Ricombinazione di frammenti (frattali) compatibilizzati.

Fin dal suo inizio l’entità europea è stata concepita come possibilità di superare la passione: passione nazionale, ideologica, culturale, pericolosi segni di appartenenza. Anche l’estetica europea è contrassegnata da un’intenzionale frigidità che si può leggere come distanziamento dall’impronta romantica della modernità europea. Da questo punto di vista l’Europa è una costruzione perfettamente postmoderna. Studiando l’Unione europea studiamo il potere nella sua operatività post-politica.

Non avendo un’identità culturale, Europa ha fondato la sua identità sulla ricchezza. Finora la prosperità è stato il segno marcante di questa unione eterogenea. L’entità europea si è identificata con la tranquilla immagine dei banchieri, non con passioni politiche o grandi visioni ideologiche o leader carismatici. Finora ha funzionato. Fin tanto che il capitalismo ha garantito un livello crescente di ricchezza e la regola monetarista ha permesso all’economia di crescere, l’Europa ha prosperato. E adesso? Che succederà se Europa dovesse perdere il suo status di ricchezza e di crescita? Si ripete ansiosamente una domanda: sopravviverà l’Europa al collasso finanziario e allo sconvolgimento che segue, dal momento che il suo unico sostegno è stata l’architettura finanziaria?

L’Unione europea non è una democrazia: è governata da un organismo autocratico, la Banca centrale europea, e da una classe finanziaria che non risponde ai cittadini o al Parlamento.

Nella primavera del 2010 il fallimento dello stato greco ha dato agli eurocrati l’opportunità di creare un direttorio del terrore finanziario. In nome delle regole di Maastricht, puri e semplici congegni amministrativi trasformati in dogmi irrinunciabili, la società dei paesi europei è sottoposta a una logica ferocemente neoliberale di riduzione del costo del lavoro e di riduzione della spesa pubblica. L’unità politica che molti intellettuali e commentatori hanno reclamato durante gli ultimi anni è finalmente emersa, e per la prima volta l’entità europea agisce in maniera coordinata. Sfortunatamente, però, l’oggetto della volontà comune è soltanto un’applicazione più rigida delle regole monetariste che già guidano la società europea. La politica prende il posto di comando, ma per affermare con più forza che solo il capitale finanziario sta al posto di comando.

Questo è il significato della parola governance: sostituzione della volontà politica con un sistema di automatismi tecnici che costringono la realtà in un quadro logico precostituito che non può essere messo in questione.

La stabilità finanziaria, la competitività, la riduzione del costo del lavoro, l’aumento della produttività: l’architettura sistemica dell’Unione europea è fondata su queste basi dogmatiche che non possono essere attaccate o discusse, perché sono incorporate nel funzionamento tecnico dei sottosistemi amministrativi. Nessuna enunciazione o azione è operativa se non è compatibile con le regole incorporate nei dispositivi tecnolinguistici della vita quotidiana.

Governance è la gestione di un sistema che è troppo complesso per poter essere governato. Governo significa comprensione (riduzione a un modello di razionalità) del mondo sociale, e significa capacità della volontà umana (dispotica o democratica non importa) di controllare un flusso di informazione sufficiente per il controllo di una parte rilevante dell’insieme sociale.

Quando questa riduzione diviene impossibile, quando il controllo volontario diviene aleatorio, incerto, impossibile, allora il potere adotta il modello della governance, le cui caratteristiche si possono sintetizzare cosi: concatenazione astratta di funzioni tecniche invece che elaborazione cosciente di un flusso informativo che è la forma del governo politico; connessione di segmenti a-significanti invece della elaborazione dialogica di un ordine della congiunzione; adattamento automatico invece del consenso intorno a un significato condiviso che risulti dal dialogo e dai conflitti; gestione delle interruzioni invece che previsione e pianificazione; compatibilizzazione degli agenti che entrano nel gioco sociale, invece della mediazione politica degli interessi confliggenti e dei diversi progetti; retorica della complessità sistemica invece che retorica della dialettica storica.

 
Complessità, caos, significato
 

“Il mondo da noi creato è divenuto talmente complesso che dobbiamo rivolgerci al mondo del vivente per comprendere come possiamo gestirlo”
Kevin Kelly,
Out of control

 
Dal punto di vista epistemologico la nozione di complessità è un truismo. Lo stesso Edgar Morin diceva in un testo del 1985: “la complessità appare piuttosto una difficoltà e una incertezza, non una precisa risposta”. Ciononostante, la nozione di complessità acquista un rilievo significativo se non pensiamo in termini epistemologici ma in termini di informazione e di relazione tra il flusso semiotico (il mondo inteso come flusso di stimoli informativi ricevuti dal cervello) e la mente come ricevente e come decodificatore.

Nella concatenazione tra cervello e mondo appare il caos, dato che la interferenza tra livelli differenti di velocità rende impossibile per qualsiasi intelligenza umana governare la proliferazione di flussi semiotici. Con la parola caos intendiamo allora un ambiente che è troppo complesso per essere decodificato dalle griglie esplicative disponibili, un ambiente in cui circolano flussi troppo rapidi perché la nostra mente possa elaborarli nel tempo. Il concetto di caos denota allora una complessità troppo densa, troppo intensa e troppo veloce perché il nostro cervello possa decifrarla.

Nella scienza come nella vita talvolta una sequenza di eventi può raggiungere un tale livello di complessità che una piccola perturbazione potrà avere effetti imprevedibili ed enormi. Parliamo di caos quando questo tipo di indeterminazione si mette a diffondersi ovunque. Il processo di matematizzazione del mondo, che è il nucleo essenziale della metodologia scientifica moderna, è anche un atto di commensurabilizzazione dell’ambiente (nel senso di comparazione e riduzione a una misura comune). La stessa parola Ragione, nel suo etimo latino rinvia a questa possibilità di misura. Questo processo non può verificarsi senza una riduzione che ritagli l’estensione di quel che è rilevante dall’insieme del flusso infinito di segni del mondo. Il problema della rilevanza è cruciale nel passaggio dal caos all’ordine e pertanto nel processo di civilizzazione.

La mente scientifica non può produrre conoscenza senza porre dei limiti. Similmente la mente politica non può decidere senza porre limiti. Solo quel che è rilevante dal punto di vista della conoscenza, e solo quel che è rilevante dal punto di vista del governo, è effettivamente elaborato dalla mente moderna. Si deve dimenticare l’irrazionale, la mitologia, la follia, il delirio. Tutte queste multiple sfaccettature oscure della mente saranno rinchiuse nella casa dei pazzi costruita dalla scienza psichiatria.

Machiavelli distingue tra sfera della Fortuna e sfera della Volontà. Il principe è la persona (maschile) che sottomette la Fortuna (femminile) alla volontà, alla misura, all’ordine prevedibile. Ma la fortuna è Caos sempre nascosto nelle pieghe della possibilità umana. Se il principe vuole governare deve preventivamente tagliare fuori la stretta striscia di eventi nella infinità della Fortuna. L’infinità oscura di un caos irriducibile giace al limite dell’Ordine stabilito.

Il Ritmo è la chiave che rende possibile la sincronizzazione tra Fortuna e Volontà, realtà e ragione. Ma solo una piccola parte della sfera reale può essere sincronizzata con la ragione, e solo una piccola parte della fortuna può essere sincronizzata con la volontà politica. Questa piccola parte viene chiamata “rilevante” dall’intelletto regolatore dell’Ordine. La pretesa di governo è sempre un’illusione perché la molteplicità degli eventi del mondo è ingovernabile. Ma questa illusione può funzionare quando l’Infosfera è sottile e tenta di proteggere questo spazio (lo spazio civilizzato) dall’oceano circostante della materia non governabile.

Il regno della civilizzazione è oggi in crisi. L’accelerazione del flusso mediatico (accelerazione del flusso di segni che colpisce il cervello collettivo) sta rompendo la struttura ritmica che abbiamo ereditato dall’età moderna. Il Caos riemerge quando il ritornello della teoria meccanica e della volontà politica diventa troppo lenta per l’elaborazione del flusso globale di informazione digitale. Il recinto di protezione si rompe, perché non possiamo più distinguere tra quel che è rilevante e quel che non lo è nel flusso elettronico che invade lo schermo della nostra attenzione.

Il significato può essere considerato come una riduzione della realtà a una concatenazione enunciativa finita. Quando l’Infosfera è abbastanza lenta da poter essere analizzata e registrata dalla mente, possiamo estrarne significato e possiamo trovare un ritmo comune, un’armonia che nel linguaggiO di Guattari si chiama ritornello. Quando l’Infosfera satura il nostro tempo di attenzione, quando il flusso semiotico va troppo veloce perché la nostra mente possa elaborarlo in maniera razionale, allora parliamo di complessità.

Entro certe condizioni di velocità – quando il flusso è abbastanza lento – un modello razionale (una macchina algoritmica) può controllare l’info-flusso. Ma quando l’Infosfera supera in velocità il ritmo di elaborazione, allora la Psicosfera ne è colpita e il significato non può essere costruito né condiviso. Allora il significato non si può più afferrare come spiegazione finita e come strumento utilizzabile per l’interazione e la comprensione sociale.

Da un punto di vista diverso possiamo parlare di significato in un altro modo, come processo infinito di creazione: il significato infinto è l’ironia. L’ironia sfugge al potere e non può essere formalizzata in termini operazionali.

 
Swarm/connettività

Moltitudine è una pluralità di esseri coscienti e sensibili, che non condividono alcuna intenzionalità e non rivelano alcun modello di comportamento. La folla si muove nella città verso innumerevoli direzioni, con motivazioni innumerevoli. Ciascuno va per la sua strada e l’intersecarsi di tutti questi spostamenti fa una folla. Talvolta la folla si muove in maniera coordinata: la gente corre verso la stazione perché si sa che il treno parte fra poco, la gente si ferma insieme al semaforo. Ciascuno si muove seguendo la sua volontà, entro i limiti della interdipendenza sociale. Nonostante la attuale fortuna critica della nozione di moltitudine in ambienti neo-spinoziani, io non credo che questo concetto spieghi granché della soggettività sociale contemporanea. Se vogliamo comprendere qualcosa di questo problema, ci aiutano molto di più le parole network e sciame.

Il network è una pluralità di esseri (organici e artifi ciali), di umani e di macchine che compiono azioni comuni grazie alle procedure che rendono possibile la loro connessione e interoperatività. Chi non si adatta a queste procedure, chi non segue le regole tecniche del gioco, non sta giocando il gioco. Chi non reagisce a certi stimoli nel modo programmato, non fa parte del network. Il comportamento delle persone che fanno parte di un network non è aleatorio come i movimenti di una folla, perché il network implica e predispone percorsi prestabiliti per il networker.

Sciame è una pluralità di esseri viventi il cui comportamento segue (o pare seguire) regole incorporate nel loro sistema neurale. I biologi chiamano sciame un certo numero di animali di forma e dimensione simile che si muovono insieme nella stessa direzione e compiono azioni in maniera coordinata (come le api che costruiscono un alveare o si muovono verso una pianta in cui possono trovare quel che gli occorre per fare il miele).

In condizioni di iper-complessità sociale, gli esseri umani tendono ad agire come sciame. Quando l’Infosfera è troppo densa e troppo veloce per una elaborazione cosciente dell’informazione, la gente tende a conformarsi a un comportamento condiviso. Questo è il significato della frase che Bill Gates scrisse in una lettera al linguista Thomas Seboek: “il potere consiste nel rendere le cose semplici”. In un ambiente iper-complesso – che non può essere compreso e governato in maniera adeguata dalla mente individuale, come quello prodotto dalla programmazione informatica – gli utenti seguiranno dei percorsi di semplificazione e useranno interfacce di riduzione della complessità.

Questa è la ragione per cui oggi il comportamento sociale sembra essere intrappolato in modelli regolari di interazione dai quali è impossibile liberarsi. Procedure tecno-linguistiche, vincoli finanziari, necessità sociali e invasione psico-mediatica: tutto questo macchinario capillarmente diffuso limita e definisce il campo del possibile e incorpora nel corredo cognitivo degli attori sociali dei modelli omologati di comportamento. Per questo possiamo dire che la vita sociale nella sfera del Semiocapitale tende a modellarsi come sciame.

In uno sciame non è impossibile dire di no, ma è semplicemente irrilevante. Qualcuno può esprimere il suo rifiuto, la sua ribellione e il suo non allineamento, ma questo non cambia la direzione in cui lo sciame si muove, e non modifica la maniera in cui il cervello dello sciame elabora l’informazione.

Morton Wheeler definisce lo sciame come un super-organismo che emerge dalla massa degli organismi individuali, degli insetti. E riferendosi agli studi di Wheeler, Kevin Kelly scrive nel suo libro Out of control: “l’alveare possiede molte cose che le sue parti non possiedono. Il cervello di un’ape opera con una memoria di sei giorni; l’alveare come insieme opera con una memoria di tre mesi, due volte di più della vita media di un’ape”.

Dal suo punto di vista di biologo che studia tanto i sistemi informativi quanto i sistemi sociali, Kelly è giunto alle seguenti conclusioni:

“La mente globale è l’unione di computer e natura, di telefoni e cervelli umani e molto altro. Si tratta di una immensa complessità di forma indefinita governata da una mano invisibile di tipo particolare. Noi esseri umani saremo sempre inconsapevoli di quel che la mente globale sta elaborando. Non perché non siamo abbastanza intelligenti, ma perché il disegno di una mente non permette alle parti di comprendere l’insieme. I pensieri particolari della mente globale e le sue azioni conseguenti, così, saranno fuori dal nostro controllo e al di là della nostra comprensione”.


Questa è una buona spiegazione di quel che abbiamo vissuto durante gli ultimi decenni quando i sistemi sociali, incorporando strati di info-macchine e bio-macchine, sono divenuti sempre più complessi, fino al punto di divenire troppo complessi perché l’intelligenza umana potesse comprenderli e la volontà umana potesse governarli. L’aspetto inquietante di questo processo sta nel fatto che gli esseri umani non possono più fermare il meccanismo che essi stessi hanno creato e non possono più correggere le regole incorporate di ordine sintattico e di compatibilità semantica. Atti linguistici che non rispettano le regole di compatibilità sono semplicemente scartati: il super-organismo bio-informatico legge il linguaggio umano e lo scarta come rumore.

In un testo intitolato Networks, swarms, multitudes il biologo Eugene Thacker studia le analogie e le differenze tra collettività e connettività, e sottolinea il fatto che la collettività implica un certo grado di connessione, mentre non è vero il contrario: la connettività non comporta necessariamente l’esistenza di un collettivo. Parlando dello sciame, Thacker scrive:

“Uno sciame è un’organizzazione di molteplici unità individuali che hanno una certa relazione una con l’altra. Ovvero lo sciame è un tipo particolare di collettività o gruppo di fenomeni che possono dipendere da una condizione di connettività. Uno sciame è una collettività definita dalla relazione. Questo appartiene sia al livello dell’unità individuale che all’organizzazione complessiva dello sciame. La relazione è la regola dello sciame. Uno sciame è un fenomeno dinamico che segue la sua relazionalità. Questo differenzia lo sciame dal concetto di network, che ha le sue radici in modelli spaziali matematici per comprendere le cose (nodi) e le relazioni (o punti di incontro). Sempre uno sciame esiste nel tempo e, come tale, agisce interagisce e si trasforma. A qualche livello network, viventi e sciami si sovrappongono”.


E ancora:

“studi nel campo della scienza dei network, intelligenza di sciame e biocomplessità definiscono l’autorganizzazione come emergenza di un modello globale da interazioni localizzate. Questa definizione paradossale è quel che rende interessante lo sciame – dal punto di vista politico, tecnologico e biologico – perché esso imputa un’intenzionalità senza intenzione, un atto senza attore e una totalità eterogenea. Negli sciami non c’è un comando centrale, non c’è unità o agente che sia capace di sorvegliare, governare e controllare l’intero sciame. Eppure le azioni dello sciame sono dirette, il movimento è motivato e il modello ha una funzione”.


Per Thacker è questo il “paradosso” degli sciami. In quanto entità politiche e biologiche gli sciami contengono una tensione interna: quella tra modello e finalità. Secondo lui, infatti,

“l’organizzazione non implica necessariamente una ragione della sua esistenza, a meno che l’organizzazione stessa sia la sua ragione. Da una parte è una collettività altamente diretta, motivata, come una folla di dimostranti (la cui intenzione può essere bloccare le strade cittadine e ottenere visibilità), oppure in termini puramente biologici, uno sciame di formiche (il cui scopo è cercare risorse di cibo). Queste collettività possono chiamarsi sciami, nel senso che rispettano due componenti essenziali degli sciami: esibiscono modelli globali emergenti da interazioni locali, e una forza direttiva con intenzione che è priva di controllo centralizzato”.


Da un’altra parte troviamo

“collettività che pur essendo altamente ordinate e organizzate dinamicamente, non mostrano nessuno scopo o finalità esplicita se non quella di mantenersi in vita. Esempi possono essere una folla in un concerto, o a livello biologico uno stormo di uccelli. Mentre i ricercatori interpretano questi esempi come guidati da una necessità evolutiva (e perciò dominata dalla finalità della sopravvivenza), il tipo di teleologia che questa tipologia manifesta è remota, indiretta, e in fin dei conti si fonda sulla capacità esplicativa della teoria evolutiva”.


In questo senso

“vi sono allora due diversi assi, due tipi diversi di tensione e due insiemi concettuali. Su un asse vi è la tensione tra collettività e connettività. Mentre la connettività può essere un pre-requisito per la collettività, la collettività non è necessariamente un prerequisito della connettività in quanto tale”.


Thacker mostra bene che

“le complicazioni nascono quando una combinazione di euforia tecnologica e le nuove pratiche sociali conducono a una visione ottimistica della connettività come se questa implicasse necessariamente una collettività. Al punto estremo del determinismo tecnologico le forme politiche come la democrazia sono considerate come inerenti sia alla natura che alla tecnologia”.


La connettività non implica collettività; la collettività in effetti è una relazione tra corpi che condividono forme di comprensione analogica, che negoziano continuamente sul rilievo semantico del loro scambio linguistico, sul signifi cato dell’interazione, in una condizione di inclusione affettiva. La collettività si manifesta in condizione di congiunzione, mentre gli sciami sono corpi connettivi privi di congiunzione, privi di collettività affettiva e cosciente. La congiunzione emerge da una attrazione immotivata, non necessaria e priva di scopo. La congiunzione non ha nulla a che fare con l’appartenenza. Mentre l’appartenenza comporta una necessaria implicazione e stabilisce la fissazione di un’identità, al contrario il desiderio che anima un collettivo non trova il suo modo di funzionamento come un dato pre-esistente e incorporato nella sua esistenza biologica, ma lo crea.

Nella congiunzione collettiva la conoscenza è creazione, non riconoscimento. Nei sistemi connettivi non vi è conoscenza, ma puro e semplice riconoscimento sintattico. La congiunzione è un processo che possiamo definire come divenire altro. Al contrario, nella connessione ogni elemento rimane distinto e interagisce solo funzionalmente. Le singolarità cambiano quando si congiungono e divengono qualcosa di differente da quello che erano prima della loro congiunzione. L’amore cambia l’amante e la congiunzione di segni a-significanti dà origine all’emergenza di un significato che non esisteva precedentemente alla congiunzione stessa.

La connessione implica un semplice effetto di funzionalità macchinica, non una fusione di corpi o di gesti significanti. In condizioni connettive la comunicazione è implicita nella modellazione funzionale che le prepara all’interfacciamento e all’interoperabilità.

Perché una connessione diventi possibile, occorre che i segmenti siano linguisticamente compatibili. In effetti la rete digitale si estende attraverso la riduzione progressiva di un numero crescente di elementi a un formato, uno standard o codice che rende compatibili i differenti elementi. Il network penetra il corpo sociale e lo converte in sciame.

Lo scambio tra organismi coscienti cambia la sua natura nel tempo storico in cui viviamo, perché sta passando dal modo congiuntivo al modo connettivo. Il fattore dominante di questo scambio è l’inserimento dell’elettronico nell’organico, la proliferazione di congegni artificiali nell’universo organico, nel corpo nella comunicazione e nella società. Ma l’effetto di questo cambiamento è una trasformazione della relazione tra coscienza e sensibilità e la desingolarizzazione crescente nello scambio di segni.

La congiunzione è l’incontro e la fusione di forme rotonde e irregolari che scavano continuamente la loro strada senza precisione, ripetizione o perfezione, in maniera analogica e approssimativa. Connessione è l’interazione puntuale e ripetibile di funzioni algoritmiche, linee diritte e punti che si sovrappongono in maniera perfetta, e che si inseriscono secondo modelli discreti di interazione che rendono le parti differenti compatibili secondo uno standard predefinito. Il passaggio dalla congiunzione alla connessione come modello predominante dell’interazione tra organismi coscienti è una conseguenza della graduale digitalizzazione dei segni e della crescente mediatizzazione delle relazioni. La congiunzione comporta un criterio semantico di interpretazione.

L’altro, che entra in congiunzione con te, manda segnali di cui devi interpretare il significato, rintracciando se necessario l’intenzione, il contesto, l’ombra, il non detto. La connessione richiede un criterio di interpretazione che è puramente sintattico. L’interprete deve riconoscere una sequenza e deve essere in grado di sviluppare l’interazione che è prevista dalla sintassi generale (o sistema operativo): non ci possono essere margini di ambiguità nello scambio di messaggi e non si può manifestare l’intenzione attraverso sfumature. La traslazione graduale delle differenze semantiche in differenze sintattiche è il processo che ha condotto dal razionalismo scientifico moderno alla cibernetica, e in seguito ha reso possibile la creazione di una rete digitale.

La collettività prende forma nella sfera della congiunzione, quando organismi sensibili e coscienti entrano in una relazione reciproca che cambia, è negoziata e rinnovata e anche interrotta e contraddetta, rimossa e abbandonata. La connettività invece è una interdipendenza automatica, una implicazione logica incorporata nelle interfacce bio-informatiche del tecno-linguaggio. Non dipende dall’affettività dalla sensibilità o dalla volontà cosciente.


Rottura/Interruzione/Consolidamento


Il centro della nostra attenzione a questo punto è la morfogenesi sociale, cioè la creazione di nuove forme del sistema sociale. Nel mondo politico moderno il collasso di un sistema era considerato un’opportunità di cambiamento radicale. Il concetto di Rivoluzione è sempre stato ingannevole perché era fondato sull’illusione di un controllo totale della realtà sociale da parte della volontà razionale e di un progetto lineare di trasformazione.

Ciononostante nell’epoca passata della modernità questa illusione funzionava. La rivoluzione era destinata a dar vita a sistemi violenti e totalitari, ma era efficace. Non realizzava le sue utopie ma volgeva il collasso sociale in cambiamento sistemico radicale, in spostamento del potere politico e in creazione di nuove forme di stile economico e sociale.

Il Neoliberismo è stato l’ultima rivoluzione efficace nella storia umana. Ha trasformato le turbolenze sociali e l’evoluzione tecnologica in un cambiamento di sistema radicale; ha creato un sistema politico totalitario abolendo la democrazia borghese moderna e sostituendola con la dittatura della classe capitalista finanziaria. Ma ha anche accresciuto la complessità sociale fino a un punto di irreversibilità e ha prodotto un effetto di frammentazione dell’economia, una de-soggettivazione del potere politico e una mutazione del corpo sociale che è il sigillo della irreversibilità.

Più un sistema sociale diviene complesso più è soggetto alle interruzioni del flusso. Al tempo stesso più un sistema diviene complesso, meno è suscettibile di controllo volontario, e quindi al cambiamento consapevole e intenzionale. Nel 1917, quando il sistema politico e militare russo era sul limite del collasso, Lenin fece appello a una trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Come sappiamo il suo appello fu efficace, seguì la rivoluzione sovietica e la morfogenesi sociale prese forma di una dittatura comunista.

Oggi il collasso prende la forma dell’interruzione del flusso, ma questo non dà vita alla rivoluzione; piuttosto sembra aprire la strada al consolidamento del sistema esistente. La morfostasi segue a questo tipo di rottura e non sappiamo più come rendere possibile la morfogenesi,

Complessità, come abbiamo detto precedentemente, è una relazione tra tempo e informazione. Un sistema è complesso quando la densità dell’Infosfera satura la recettività della Psicosfera e la velocità della circolazione informativa supera la capacità umana di elaborare i segni in tempo. Quando l’Infosfera è satura e diviene troppo densa e troppo veloce per la coscienza degli esseri umani, la società ha bisogno di interpreti automatici che possiamo chiamare riduttori automatici di complessità. Una interruzione è prodotta dalla irruzione di un evento imprevedibile che interrompe una catena o un flusso. Nel 1973 la guerra dello Yom Kippur provocò una interruzione nella catena di forniture di petrolio e diffuse i suoi effetti in tutto il mondo. Ma nella sfera della connettività le interruzioni tendono a proliferare perché il sovraccarico dell’Infosfera rende gli attori umani incapaci di governare la complessità sistemica delle strutture sociali e tecnologiche.

Le interruzioni possono verificarsi a causa della interferenza imprevedibile della Natura nella tecnosfera, come nel caso della nube di cenere prodotta dal Vulcano islandese che ha bloccato il traffico aereo europeo nella primavera del 2010. Oppure si possono verificare a causa dei limiti del controllo tecnologico, come nel caso di Chernobyl nel 1986 e nel caso del Golfo del Messico, nella tarda primavera del 2010. Interruzioni si possono verificare anche a causa della interferenza della psiche sociale nel campo del flusso automatico di informazione, come nel caso del panico che ha fatto collassare il circuito finanziario nel 2008 e l’Europa nel 2010.

Nell’epoca passata di governo politico e di lenta circolazione dell’informazione, le interruzioni erano considerate come fattori di morfogenesi sociale. In un’interruzione il potere si indeboliva, le forze sociali si mobilitavano e questa era un’opportunità per le rivoluzioni. In condizioni di bassa complessità (situazioni in cui la velocità dell’informazione che circolava nel circuito sociale era abbastanza lenta da poter essere elaborata dalla volontà umana) la Ragione Politica era capace di cambiare l’organizzazione sociale in maniera tale da permettere l’emergenza di un nuovo modello sociale. Ma nelle condizioni attuali, quando la densità e la velocità dell’informazione è troppo alta per poter essere elaborata in maniera cosciente, l’interruzione tende a divenire morfostatica ed a rinforzare il modello che ha prodotto la stessa interruzione.

Perché? Come mai i sistemi divengono più resistenti quando la loro complessità cresce? Commentando le varie interruzioni che si sono verificate nel 2010 (il collasso finanziario greco, la nube islandese nei cieli europei e la gigantesca perdita di petrolio nel Golfo del Messico) Ross Douthat scrive, in un articolo intitolato The great Consolidation pubblicato dal New York Times:

“La crisi sta producendo un consolidamento piuttosto che una rivoluzione, un rafforzamento dell’autorità piuttosto che una sua diffusione e la concentrazione del potere nelle mani della stessa élite che ha provocato il disastro”.


E ancora:

“il panico del 2008 si verificò in parte perché l’interesse pubblico si era troppo intrecciato con gli interessi privati, per poter permettere che questi ultimi potessero fallire. Ma ogni cosa che facciamo per fermare il panico, e tutte le leggi che abbiamo fatto, hanno solo rafforzato questa simbiosi”.


E soprattutto Douthat sottolinea come

“diciotto mesi dopo la crisi finanziaria, gli interessi dei finanzieri americani, dei dirigenti bancari, dei burocrati e dei politici sono collegati tra di loro come mai prima. Questa è la logica perversa della meritocrazia”.


Anche se gli errori di questi nuovi ottimati sono platealmente sotto gli occhi di tutti,

“una volta che un sistema diviene abbastanza complesso non ha importanza quanto sbagliano coloro che consideriamo i più brillanti e capaci. Ogni crisi aumenta la loro autorità, perché sembrano essere gli unici che capiscono il sistema abbastanza bene da poterlo riparare. Ma le loro riparazioni tendono a rendere il sistema ancora più complesso e centralizzato, e più vulnerabile alla prossima sorpresa per la sicurezza nazionale, per il prossimo disastro nazionale, per la prossima crisi economica”.


In maniera assai lucida Douthat aggiungeva che “questa è la ragione per cui, a dispetto di tutte le promesse che vengono da Washington, non siamo giunti alla fine dei colossi che sono troppo grandi per poter fallire”. Tutt’altro, terminava: “al contrario siamo all’inizio di questa era”.

 
Post Scriptum. Oltre lo sciame. Diario politico

Austerità in Europa


L’Unione europea fu concepita dopo la seconda guerra mondiale per superare il nazionalismo e creare una forma politica non identitaria fondata sui principi di umanesimo, illuminismo e giustizia sociale. Cosa resta del progetto originario, dopo il recente collasso finanziario? Fin dall’inizio il profilo costituzionale dell’entità europea è stato definito in maniera debole così che la prosperità e gli obblighi finanziari di ispirazione monetarista hanno finito per prendere il posto di una costituzione. Negli anni ’90 il Trattato di Maastricht ha segnato il punto di svolta di questo processo e ha sancito la costituzionalizzazione della regola monetarista e delle sue implicazioni economiche: una riduzione delle spese sociali, tagli nei costi del lavoro e un aumento della competizione e della produttività. Ma gli effetti di questa applicazione stretta delle regole di Maastricht sono divenuti evidenti nel 2010: la crisi finanziaria che ha sommerso Grecia e Irlanda e messo in pericolo altri paesi ha mostrato le contraddizioni tra desiderio di crescita economica, stabilità sociale e rigidità monetarista. In questa situazione le regole di Maastricht hanno mostrato di essere pericolose e l’intera concezione dell’Unione europea, fondata sulla centralità della competizione economica, sta mostrando la sua fragilità.

Se vogliamo competere con economie emergenti in cui i costi del lavoro sono più bassi di quelli europei dobbiamo abbassare i salari europei. Per competere con economie in cui la giornata di lavoro non finisce mai e in cui le condizioni di lavoro sono prive di regole, dobbiamo abolire i limiti sulla settimana lavorativa, rendere obbligatorio lo straordinario e rinunciare alla sicurezza del lavoro anche in Europa. Così l’evoluzione del capitalismo richiede non solo l’abrogazione di principi che derivano dal socialismo ma anche la revoca della tradizione illuminista e dell’eredità umanistica e l’abolizione della democrazia, ammesso che questa parola significhi qualcosa.

È questa l’Europa che vogliamo? E’ questa l’immagine di sé che l’Europa ha deciso di darsi? Ovviamente non abbiamo a che fare con dei principi ma con delle relazioni di forza. Negli ultimi anni la classe finanziaria, gruppo dominante del governo economico del mondo, ha usato poteri tecnici di globalizzazione per aumentare enormemente la ricchezza che finisce nelle tasche di una minoranza in forma di rendita finanziaria. La classe operaia e il polimorfo lavoro cognitivo non poté resistere all’attacco che seguì alla globalizzazione. Questa distribuzione della ricchezza è però in conflitto con ogni sviluppo ulteriore del capitalismo, perché la riduzione del salario globale è destinato a ridurre la domanda. Il risultato sarà un impoverimento che renderà la società più fragile e aggressiva, ma anche una deflazione che renderà impossibile il rilancio della crescita.

La classe di governo europea sembra pensare che se la deregulation ha provocato il collasso sistemico cui la crescita deve oggi confrontarsi, abbiamo bisogno di più deregulation. Se un abbassamento della tassazione sugli alti redditi ha provocato una caduta della domanda, allora abbassiamo ulteriormente le tasse per i ricchi. Se il supersfruttamento ha prodotto un effetto di sovrapproduzione di automobili invendute, aumentiamo la produzione di automobili. Sono forse pazzi costoro? Non credo, penso che siano incapaci di pensare in termini di futuro: sono nel panico e, spaventati dalla loro stessa impotenza, stanno cercando di riaffermare e rafforzare misure che già sono fallite.

Chi è la classe di governo in Europa oggi? La generazione di leader politici attuali ha bisogno dell’appoggio della classe finanziaria, se vuole essere rieletta, e la classe finanziaria si fonde sempre più con la classe criminale che nei decenni passati ha profittato delle bolle artificiali che hanno poi devastato l’economia. Oggi è diffi cile cogliere un progetto organico nell’agire convulso della classe dominante. Una cultura No future si è impossessata del cervello capitalista. L’origine di un simile nichilismo capitalista va ricercata negli effetti della deterritorializzazione insita nel capitalismo finanziario globale. La relazione tra capitale e società è deterritorializzata nella misura in cui il potere economico non è più fondato sulla proprietà delle cose fisiche. La borghesia è morta e la nuova classe finanziaria ha un’esistenza virtuale: frammentata, dispersa, impersonale.

La borghesia che dominava la scena economica dell’Europa moderna era una classe fortemente territorializzata, legata a proprietà materiali, e non poteva sopravvivere senza una relazione con il territorio e con la comunità. La classe finanziaria che ha assunto la guida della macchina politica europea non ha attaccamento né al territorio né alla produzione materiale. Il suo potere e la sua ricchezza sono fondati sulla perfetta astrazione della finanza digitale. L’iper-astrazione digital-finanziaria sta devastando il corpo vivente del pianeta e il corpo sociale della comunità dei lavoratori.

Può durare una cosa del genere? Il direttorato emerso dopo la crisi greca ha stabilito senza alcuna consultazione dell’opinione pubblica il suo monopolio sulle decisioni delle economie dei diversi paesi e ha così sostituito la democrazia europea con un esecutivo di affari guidato dalle grandi banche. Potrà il direttorato Merkel-Trichet-Sarkozy imporre un sistema di automatismi che garantisca la compatibilità dei membri europei con il processo di riduzione del salario, di licenziamento degli insegnanti e dei lavoratori pubblici e così via? Questo scenario può persistere soltanto in uno scenario in cui l’intelligenza collettiva sia privata del suo corpo sociale, e in cui il corpo sociale sia completamento soggiogato e depresso.

Commentando il piano di austerità di George Osborne, che è l’equivalente britannico delle misure economiche europee, scrive Philip Stephens: “La ricetta prevede tagli sulla spesa pubblica più consistenti di qualsiasi altra misura dopo la seconda guerra. Lo scopo? Eliminare un deficit del dieci per cento del reddito nazionale. Le tasse salgono e i livelli di vita sono destinati a diminuire. Si perderanno cinquecentomila posti di lavoro, i salari saranno congelati e le pensioni ridotte. L’investimento nel tessuto fisico della nazione, strade e ferrovie scuole ospedali e case, è stato tagliato. La Gran Bretagna non è sola in questo conservatorismo fiscale. I governi europei hanno paura dei mercati finanziari. I banchieri che hanno ignorato i segni di avvertimento durante gli anni del boom adesso difendono l’austerità. Comincia a delinearsi una corsa verso la deflazione. Pensavamo che il casino economico fosse dovuto alle banche, e invece adesso ci viene spiegato che la strada verso la rovina è stata la spesa statale. Come potrà reagire la società europea a queste misure e alla deflazione e depressione che seguirà? Difficile immaginarlo. La composizione sociale è cambiata durante gli ultimi decenni al punto che è difficile prevedere come risponderà il lavoro e come la società difenderà le sue forme di vita. Il lavoro è stato reso più vulnerabile, e la migrazione dall’Europa orientale e dall’Africa ha trasformato radicalmente l’organizzazione del lavoro e la composizione sociale. La precarietà è diventata il principale argomento della discussione europea, dal momento che l’introduzione di tecnologia ricombinante ha trasformato il lavoro e l’energia cognitiva è divenuta la principale fonte di valore economico. La precarietà é la condizione in cui il lavoro è  subordinato a una forma di sfruttamento flessibile senza regole, soggetto alle fluttuazioni quotidiane del mercato e costretto a subire il ricatto di un salario che può scomparire ogni giorno. Il lavoratore precario non è dipendente sul piano formale, ma la sua vita non è libera, perché la relazione salariale è discontinua e occasionale, il che genera costante ansia e debolezza politica. Negli anni ’70 e ‘80 le condizioni precarie di lavoro apparivano un fenomeno marginale e provvisorio che colpiva soprattutto i giovani operai che entravano nel mercato del lavoro. Oggi è chiaro che la debolezza del lavoro non è una condizione marginale ma il cuore nero del processo di produzione capitalistica. La precarietà è conseguenza della deterritoralizzazione di tutti gli aspetti della produzione. Non c’è continuità nell’esperienza di lavoro: non si va ogni giorno nella stessa fabbrica, non si fanno gli stessi percorsi quotidiani, non si incontrano le stesse persone. Perciò sembra divenuto impossibile inventare nuove forme di azione e organizzazione.

Come potremo resistere alla dittatura della classe finanziaria?

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