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manifesto

La mappa che rotola

Marco Dotti

Il secondo tomo delle «Sfere» di Peter Sloterdijk, per Cortina editore. Una disamina dei territori della globalizzazione a partire dal movimento della palla

700sfere«Nes­sun ani­male crea una sfera», solo l’uomo. Nel De Ludo Globi, ter­mi­nato nel 1463, anno che ne pre­cede la morte, Nicolo Cusano mette in scena un dia­logo su un gioco – così afferma — «sco­perto da poco e da tutti compreso».

Non è un gioco qual­siasi, tutt’altro: è ludus globi, il gioco della palla o della sfera. Dise­gnati a terra, nove cer­chi con­cen­trici deli­mi­tano il campo su un piano cir­co­lare. Al cen­tro, la figura di Cri­sto. La palla, lan­ciata dai par­te­ci­panti al gioco, si muo­verà — così Gio­vanni, figlio del duca di Baviera, uno dei dia­lo­ganti che Cusano mette in scena nell’operetta filo­so­fica — «come dalla tene­bra alla luce», per­cor­rendo i nove cer­chi. Dove si fer­merà la sfera? In quello esterno, che è segno di caos e imper­fe­zione? O nel secondo cer­chio, che è quello della virtù ele­men­tare? O nel terzo, che deli­mita la virtù mine­rale, a cui seguono quello della virtù vege­ta­tiva, della virtù sen­si­bile, della virtù imma­gi­na­tiva, della virtù razio­nale? O, invece, arri­verà al cer­chio della virtù dell’intelletto – il più vicino al cen­tro della per­fe­zione e al con­tempo il più distante dal caos esterno? Ogni corona cir­co­lare ha un pun­teg­gio e il pun­teg­gio per la vit­to­ria è fis­sato da Cusano nel numero trentaquattro.

Una palla segna la cir­co­stanza e sus­sume il rischio di fal­lire ma, nella com­plessa rifles­sione di Cusano, è pro­prio in que­sto scarto acci­den­tato, in que­sta ine­vi­ta­bile per­dita di con­trollo del gio­ca­tore sul gioco stesso e sulle cir­co­stanze che qual­cosa accade e il gioco si com­pie. Non è un caso che la palla sia detta, nel latino di Cusano, glo­bus, sfera. Glo­bus è la sfera rimanda alla spe­cu­la­zione sull’ultima sfera dell’universo, mossa da un moto per­pe­tuo dove la sfera stessa rap­pre­senta il cen­tro. Ma la palla del gioco del car­di­nale Cusano non è per­fet­ta­mente sfe­rica. È imper­fetta, segna in tal modo una tra­iet­to­ria ine­vi­ta­bil­mente eccen­trica: da un lato, infatti, è con­cava. Dall’altro, con­vessa. La si direbbe una mezza sfera — ma la per­fe­zione non attiene agli umani se non come aspi­ra­zione — che imprime al movi­mento un anda­mento a spi­rale e, nell’incedere eli­coi­dale con­se­gna il rap­porto tra infi­nito e finito, ossia tra l’irraggiungibile cen­tro del gioco e i cer­chi che vi si avvi­ci­nano, a quell’accadere inin­ten­zio­nale che Cusano chiama non a caso for­tuna.

 

Ordine improv­vi­sato

La natura non fa salti, ma una sfera imper­fetta sì e nel mondo inter­me­dio, tra l’esterno e il cen­tro, il tra­gitto dall’imperfetto al per­fetto è fra­sta­gliato di rischi di matrice onto­lo­gica, prima ancora che fisica. Scrive Cusano che, que­sto, «è un gioco che tutti gio­cano volen­tieri, per­ché offre un diver­ti­mento pro­lun­gato dovuto al pro­ce­dere diverso e mai sicuro della palla, in quanto mai accade che la palla pro­ceda in modo sicuro secondo l’ordine che ci siamo pro­po­sti». La matrice spe­cu­la­tiva del gioco e del rischio di que­sto «mai sicuro» è tipi­ca­mente umana. Nes­sun ani­male «crea una sfera», sostiene infatti Cusano. Ma se nes­sun ani­male può creare una sfera, com­menta Peter Slo­ter­dijk, nel secondo tomo delle sue Sfere, da poco rie­dite da Cor­tina, «men che meno è in grado di gio­care e pren­dere la mira con una sfera». Per il filo­sofo tede­sco la glo­ba­liz­za­zione — che chiama anche «sfe­ro­po­iesi» — avanza come la sfera lan­ciata sul piano dai gio­ca­tori imma­gi­nati da Cusano. La sfe­ro­po­iesi, per il filo­sofo tede­sco, lungi dall’essere un evento segnato dall’epoca e, come tale, con­se­gnato alla fase ter­mi­nale del XX secolo, è piut­to­sto «l’avvenimento fon­dante del pen­siero euro­peo, che da 2500 anni non smette di pro­vo­care scon­vol­gi­menti nelle con­di­zioni di vita e di pen­siero». La glo­ba­liz­za­zione, come nel coup de dés di Mal­larmé get­tato in mare aperto («ogni pen­siero emette un lan­cio di dadi»), con il lan­cio della palla di Cusano, su cui Slo­ter­d­jik ampia­mente si sof­ferma, è una aper­tura in cui si insi­nua il pen­siero.

Come fra il con­cavo e il con­vesso della semi­sfera di Cusano si pro­duce un attrito, nella sfe­ri­cità del monso que­sto attrito tal­volta coin­cide col pen­siero stesso, come più volte riba­dito da quel Max Bense a più riprese citato da Slo­ter­dijk, che ne legge un impor­tante pro­clama gio­va­nile alla stre­gua di un appello all’«etica intel­let­tuale della glo­ba­liz­za­zione».

«Capi­sce la glo­ba­liz­za­zione», osserva l’autore, «solo chi si apre all’idea che la figura del pen­siero della sfera è una que­stione seria dal punto di vista onto­lo­gico e, quindi, anche tec­nico e poli­tico. Pen­sare signi­fica: gio­care un ruolo nella sto­ria di que­sta seris­sima que­stione. Que­sta sto­ria seria è la sto­ria dell’essere». Qui, per Slo­ter­dijk, essere non è in rap­porto a un tempo qual­siasi o al tempo esi­sten­ziale per la morte o in vista della morte. È «il tempo che ci vuole per com­pren­dere che cosa sia lo spa­zio: la sfera più reale di ogni altra cosa».

Con l’irruzione nella vita dell’uomo di ciò che i greci chia­ma­vano sphaira e i latini glo­bus, ter­mina per Slo­ter­dijk il tempo della con­fu­sione e delle sto­rie disperse in fila­menti di tempo. L’uomo che pensa è già nella post-storia. La com­plessa e mag­ma­tica ope­ra­zione di Slo­ter­dijk che a par­tire dal 1998 ha preso corpo nella tri­lo­gia di Sphä­ren (Bolle risale al 1998, Globi al 1999 e Schiume al 2004) si con­fi­gura come una lunga teo­ria sfe­ro­cen­trica che ha al pro­prio cuore un puc­tum dolens non così paci­fico e non così certo: la con­di­zione per cui lo spa­zio ha (o avrebbe) assor­bito il tempo. In que­sto senso, Slo­ter­dijk legge l’intera sto­ria della civiltà occi­den­tale attra­verso stadi di un com­ples­sivo pro­cesso di glo­ba­liz­za­zione che, oggi, è giunto a uno sta­dio o con­di­zione ter­mi­nale: lo sta­dio del denaro, dove in luogo di cara­velle e navi lan­ciate su mari alla ricerca di terre inco­gnite abbiamo il movi­mento del denaro lan­ciato sulla super­fi­cie del globo ter­rac­queo.

 

Tra cosmo e terra

Gli uomini, come «ani­mali che creano e abi­tano la sfera» sono da tempo imme­more chia­mati alla sfida della «geo­me­triz­za­zione dello smi­su­rato». Per que­sto, anche dinanzi alle sfide di uno smi­su­rato che (appa­ren­te­mente?) deforma ogni geo­me­triz­za­zione, la sfida, annota Slo­ter­dijk resta quella di «cogliere il pro­prio spa­zio espri­men­dolo nel con­cetto».

Delle tre forme spe­ci­fi­che della glo­ba­liz­za­zione indi­vi­duate da Slo­ter­dijk, la prima è quella della fisica antica, «l’illuminismo cosmo­lo­gico dei pen­sa­tori greci», che rac­chiude il cosmo in una sfera o in una mol­te­pli­cità di sfere. Si pensi, qui, all’immagine del cele­bre mosaico di Torre Annun­ziata, risa­lente al I secolo a. C. che ritrae sette sapienti in un con­sesso filo­so­fico attorno alla sfera, là dove, attra­verso con­tem­pla­zione e pen­siero, culto e discorso –ed è una delle raris­sime volte in cui que­sta fusione avverrà in forme felici — si fon­dono l’uno con l’altro, senza osta­co­larsi a vicenda. La seconda, coin­cide con la crisi della prima e sfo­cia nella glo­ba­liz­za­zione ter­re­stre del XVI secolo, che Slo­ter­dijk legge anche come crisi del modello aristotelico-platonico e con la crisi di cui, in qual­che modo, pro­prio il De Ludo Globi di Cusano si fa lucido anti­ci­pa­tore. L’età moderna legge così il mondo attra­verso la mappa. Ma, men­tre rilegge il mondo, lo ricon­fi­gura attra­verso dina­mi­che espan­sive di sco­perta, con­qui­sta e potenza che danno luogo a una «grande nar­ra­zione» che si con­cre­tizza nella pas­sio per le Sto­rie universali.

La terza mani­fe­sta­zione del pro­cesso di glo­ba­liz­za­zione si rende evi­dente ai nostri giorni, dove la cir­cum­na­vi­ga­zione del globo, da sem­pre affian­cata dalla cir­co­la­zione del denaro, si trova scal­zata dal denaro stesso nelle sue forme di flusso imma­te­riali e dall’ipercircolazione delle imma­gini. Flussi di denaro e di capi­tale sovra­stano i luo­ghi, li com­pri­mono. La sfera è vuota, la per­fe­zione non è più loca­liz­zata al cen­tro, ma – even­tual­mente – fuori dal tutto.

Dall’Ura­nosKosmos con­tem­plato, come matrice di piena bel­lezza, dei geo­me­tri e dei filo­sofi anti­chi si passa alla glo­ba­liz­za­zione in Età Moderna che uni­fica la terra, attra­verso la nuova per­cor­ri­bi­lità dei mari. Que­sta seconda glo­ba­liz­za­zione sarebbe «cosa da car­to­grafi» e «avven­tura per mari­nai», dive­nendo in seguito mate­ria di pre­oc­cu­pata atten­zione per eco­no­mi­sti, cli­ma­to­logi o «altri esperti in que­stioni acci­den­tate e con­fuse».

Sono loro, non più i meta­fi­sici a dover ridi­se­gnare il pro­filo del mondo. Si arriva così all’inizio di quella che, a torto, con­si­de­re­remmo la «vera» glo­ba­liz­za­zione, ma ne costi­tui­sce caso­mai l’epifenomeno: la glo­ba­liz­za­zione elet­tro­nica avvia­tasi alla fine della Seconda Guerra Mon­diale. Qui non sono più uomini, ma segni e segnali a sol­care il mondo. Il requiem suona, ma non per i media, bensì per il mes­sag­gio. La terra vista dallo spa­zio con­cre­tizza nella dura evi­denza del reale ciò che già Colombo aveva intuito: «nel rotondo spa­zio ter­re­stre tutti i punti hanno lo stesso valore». Ed è qui che, secondo Slo­ter­dijk, il pen­siero spa­ziale della Moder­nità subi­sce una radi­cale e irre­ver­si­bile neu­tra­liz­za­zione. Improv­vi­sa­mente si com­pren­dono le parole di Hei­deg­ger: «il tratto fon­da­men­tale del mondo moderno è la con­qui­sta del mondo risolto in imma­gine». Dove il ter­mine imma­gine signi­fica «con­fi­gu­ra­zione della pro­du­zione rap­pre­sen­tante».

Ciò che alla fine del XX secolo veniva ancora magni­fi­cato o mitiz­zato e, oggi, viene sem­pre più scre­di­tato anche da magni­fi­ca­tori e mitiz­za­tori dell’altro ieri sotto il nome di «glo­ba­liz­za­zione», nella let­tura di Slo­ter­dijk non rap­pre­senta affatto una novità. Caso­mai è «momento tar­divo e con­fuso di eventi la cui vera dimen­sione diverrà visi­bile quando si com­pren­derà l’epoca moderna, in tutte le sue con­se­guenze, come pas­sag­gio dalla medi­ta­tiva spe­cu­la­zione sulla sfera alla prasi del suo rile­va­mento. (…) Che cosa signi­fi­chi dav­vero glo­ba­liz­za­zione ter­re­stre si rende evi­dente se in essa si rico­no­sce la sto­ria di un’alienazione spa­zio­po­li­tica che sem­bra irri­nun­cia­bile per chi vince, insop­por­ta­bile per chi perde e ine­vi­ta­bile per entrambi».

 

Il cen­tro è irra­giun­gi­bile

La sfera, che per i greci era sim­bolo saturo, oggi è segno di un tempo vuoto. Nell’aprile del 1777, rivol­gen­dosi alle gene­ra­zioni future, un gio­vane Goe­the evocò una dop­pia pie­nezza dise­gnando facendo eri­gere per il giar­dino della sua casa, a Wei­mar, un «Altare alla buona for­tuna». Una sfera in pie­tra in equi­li­brio su un cubo – que­sto l’altare di Goe­the — sem­bra rac­chiu­dere, tra due sim­boli di tota­lità, un enigma in costante aper­tura. Se Cusano poteva ancora scri­vere: «ho trac­ciato nel cen­tro del campo il cir­colo nel cui cen­tro è il seg­gio del re, ed il suo regno è il regno della vita», che ne sarà — si chiede Slo­ter­dijk con Goe­the — della sfera in un’epoca senza re? Che cosa ne sarà dei re in un’epoca senza sfera? Su que­sta alie­na­zione spazio-politica il discorso si fa ulte­rior­mente com­plesso. Nella sua avan­zata, infatti, la glo­ba­liz­za­zione ha fatto sal­tare strato per strato tutti gli invo­lu­cri in cui la vita si è rin­chiusa in fun­zione auto­pro­tet­tiva. La glo­ba­liz­za­zione ter­re­stre — segnata dal ritorno a quello che, dopo la prima cir­cum­na­vi­ga­zione, nel 1522, verrà guar­dato come il «Vec­chio Mondo» — ha fatto esplo­dere l’esterno in ogni punto, dando luogo in età moderna a quella che Slo­ter­dijk chiama «cata­strofe delle onto­lo­gie locali»: vil­laggi, città pro­tette da alte mura, intere regioni diven­gono punti sulla super­fi­cie della sfera, da «pae­saggi locali» si tra­sfor­mano in tran­siti di scon­fi­nati traf­fici di capi­tale «che qui com­pie i pas­saggi della sua quin­tu­plice meta­mor­fosi in merce, denaro, testo, imma­gine e noto­rietà». Dalla sfera spe­cu­la­tiva dei filo­sofi greci, «forma di pro­te­zione all’interno», si passa, nel moderno, a un globo che non offre più pro­te­zione né riparo. La sfera è abi­ta­bile solo à l’extérieur.

Non vi è altro che l’aperto, nes­sun Welt­in­ne­raum, nes­suno spa­zio interno del mondo. Solo un fuori. Quel fuori di cui già i gio­ca­tori di Cusano face­vano espe­rienza, pra­ti­cando l’irraggiungibile cen­tro della sfera.

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