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I disaccordi tra le classi dirigenti dell’eurozona sono un’opportunità per la lotta di classe

Angie Gago

L’aggravamento della crisi in Irlanda dimostra tre elementi importanti. Primo, che i salvataggi delle banche uniti ai tagli sociali e occupazionali non rappresentano affatto l’‘unica soluzione possibile’ alla crisi -come continua a predicare la classe dirigente mondiale- al contrario la peggiorano. Quando è scoppiata la crisi, tre anni fa, il governo irlandese ha garantito tutti i depositi bancari, aumentando così il debito pubblico e creando tra gli investitori internazionali la convinzione che la solvenza dello Stato irlandese era intimamente legata a quella delle sue banche private. Quando le banche coinvolte cominciarono a perdere importanti clienti, tutto affondò, aprendo così una nuova crisi politica. Il governo di Dublino fece ‘i compiti’ che gli chiedevano gli organismi neoliberisti internazionali, tagliando molti miliardi della sua spesa pubblica. Ma servì a poco per frenare la caduta; rappresentarono al contrario un disincentivo economico.

Il ‘salvataggio’ dell’Irlanda da parte dell’UE e del FMI dimostra che la crisi internazionale continua ad avanzare, con lo Stato spagnolo nell’occhio del ciclone.

Gli sviluppi irlandesi hanno mostrato la disunione che esiste nel seno dell’Unione Europea su come reagire alla crisi. La Germania, con l’economia più  sana e forte di tutta l’UE, ha esitato ad accettare il salvataggio e ci sono stati disaccordi tra questo Paese e la Francia, da un lato, e Dublino dall’altro, sulle condizioni applicate all’operazione. La Germania ha insistito sulla partecipazione del FMI al salvataggio e ha voluto che si eliminassero le bassissime imposte per le società che esistevano in Irlanda -non perché è ingiusto che le molte multinazionali stabilitesi in Irlanda paghino poche imposte, ma perché la Germania e la Francia preferiscono che queste vadano nei loro Paesi. L’Irlanda resiste, perché la sua politica di benevolenza verso le grandi imprese è stata la chiave per la sua  crescita economica nell’ultimo decennio, e la considera necessaria per uscire dalla crisi. Molti economisti hanno criticato la posizione della Germania di creare difficoltà al salvataggio,  “preoccupare i mercati” ed estendere la crisi ad altri Paesi europei ‘periferici’.

La crisi economica attuale continua a mostrare le limitazioni di un’unione incompleta sul terreno politico e con carenze importanti di coordinamento sul piano economico. Il disaccordo sull’Irlanda non è il primo di questo tipo, come vedremo di seguito.


L’Irlanda non è l’unica


La scorsa primavera la crisi economica in Grecia scatenò scontri di tutti i tipi tra gli stati europei, dopo l’opposizione della Germania a salvare il Paese ellenico. Fu un grosso problema per Angela Merkel spiegare il salvataggio di altri Paesi considerati “spreconi” dall’opinione pubblica tedesca. La situazione era così disperata, e le banche tedesche avevano prestato così tanto alla Grecia esponendosi a una nuova crisi bancaria, che la Merkel dovette cedere al salvataggio, ma pretendendo in cambio dure misure di austerità per i Paesi indebitati. Inoltre, la Germania sta premendo per ottenere una modifica del Patto Europeo di Stabilità e Crescita, per arrivare anche a una maggiore omogeneizzazione delle politiche fiscali. Cosa che darebbe un maggior potere al governo dell’UE.

Da parte loro i Paesi della periferia, i cosiddetti “PIIGS” (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Stato spagnolo), si trovano di fronte a gravi problemi nell’applicazione delle riforme pretese dall’UE. La messa in atto dei piani di austerità ha dato luogo a un’ondata di scioperi e mobilitazioni da parte della classe lavoratrice di questi Paesi, come lo sciopero generale in Portogallo.

I governi dei PIIGS attraversano una crisi politica che in alcuni casi si manifesta in continui rimpasti di governo, e in altri si aggrava al punto che non si arriva all’accordo per approvare il bilancio.

A questo si aggiunge il ruolo che gioca l’UE nell’ambito internazionale e le conseguenze che avrà la cosiddetta “guerra delle valute”. La minaccia degli Stati Uniti di svalutare il dollaro per aumentare la sua competitività nelle esportazioni ha dato luogo a una rivolta all’interno dei confini europei. La Germania, seconda esportatrice del mondo, sperava che la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro stimolasse le esportazioni, ma l’annuncio USA va contro questi piani.


Come siamo arrivati a questo punto?


Subito dopo la II Guerra Mondiale furono create molte delle basi che permettono di capire come funziona la UE oggi. Uno dei patti non scritti fu quello di stabilire che la Francia avrebbe avuto la leadership politica, mentre la Germania sarebbe stato il motore economico più potente. L’urgenza di ricostruire l’economia europea, soprattutto quella della Germania occidentale, veniva dalla necessità di avere una forte opposizione al blocco stalinista. Ma per questo c’era bisogno di qualche forma di cooperazione tra Germania e Francia, che erano stati rivali storiche.

Questo fu il criterio iniziale che dette origine alla costruzione dell’UE, culminata nel 1957 con il Trattato di Roma, che creava la Comunità Economica Europea (CEE). Tra Francia e Germania vi sono state delle divergenze sulla forma e il contenuto dell’UE fin dall’inizio, creando due tendenze contraddittorie. Da una parte capivano che si doveva creare un blocco economico forte per competere a livello internazionale, soprattutto con gli USA. Dall’altra entrambi gli Stati nel corso della storia hanno lottato per imporre i propri interessi nazionali. Questo perché, nonostante tutte le fusioni di imprese a livello europeo negli ultimi anni, il capitale europeo -compresi quello francese e tedesco- continua ad essere organizzato principalmente a livello statale. Questo risulta evidente nel modo in cui, di fronte alla crisi finanziaria, i diversi Stati  hanno difeso tanto fermamente le ‘proprie banche’.

Le diverse identità economiche comportano diverse posizioni geopolitiche. Dall’inizio, la Francia ha preferito un’unione tra Stati solo sul piano economico ma l’indipendenza sul politico, e non la creazione di una federazione sovranazionale con un potere politico centralizzato. Questa contraddizione tra un blocco economico di libero commercio ma senza potere politico rimane anche oggi.

Nel 1970 l’economia mondiale entrò in una crisi che pose fine al sistema di cambio basato sul valore del dollaro -Bretton Woods- e vide risposte scoordinate da parte dei Paesi europei. La necessità di creare meccanismi congiunti per lottare contro la crisi dette luogo a un avanzamento nella costruzione dell’UE. Nel 1979 viene creato il Sistema Monetario Europeo, basato su un tipo di cambio europeo fisso, per proteggere il marco tedesco da una rivalutazione di fronte alla svalutazione del dollaro. Questa situazione è simile a quella che stiamo vivendo oggi, per cui non sorprende la pressione della Germania per una maggior coordinazione nella regolazione dell’euro.

La svalutazione del dollaro e l’uso di questo come unica moneta di riserva internazionale è un’arma economica molto potente che utilizzano gli USA per mantenere la loro supremazia economica. La conseguenza che questo ha avuto in Europa è stata una continua deflazione nell’economia, contribuendo nel caso tedesco a sopprimere la domanda interna.

La creazione del Sistema Economico Europeo non è stata sufficiente per stabilizzare il mercato della zona. La CEE necessitava di una maggior convergenza economica, determinata dalle politiche economiche della Germania. Questo si realizzò a partire dal 1983, quando la Francia fece una svolta per accettare una maggior centralizzazione dell’economia europea. Questa svolta si concluse con il Trattato di Maastricht del 1991 e la creazione del Patto di Stabilità e Crescita nel 1997. Per la sua creazione, la Germania impose varie misure di austerità ad altri Paesi europei. Inoltre questo fu l’inizio del processo di creazione dell’euro e di un accordo per creare un bilancio europeo.

L’applicazione dei piani di austerità allora dette luogo a una crescita dello scetticismo dei cittadini verso l’UE e di un aumento della lotta di classe, che sfociò nel rifiuto della Costituzione europea nel 2005 sia in Francia che nei Paesi Bassi. Ciò nonostante, non si è riusciti a frenare la convergenza economica europea sulla creazione dell’euro e della Banca Centrale Europea (BCE).


Le carenze dell’euro


La creazione dell’euro ha evidenziato ancora di più le divergenze in seno all’UE. L’euro e i suoi meccanismi di regolazione sono stati creati con l’economia tedesca come guida. Per esempio, dopo la recessione del 1992 il governo tedesco ha imposto una strategia di ‘contenimento della spesa’ in Europa per livellare l’inflazione con gli indici tedeschi. La classe capitalista di altri Paesi, soprattutto quella francese, alla quale piace sentirsi politicamente indipendente, non dipendeva tanto dalle esportazioni e dal controllo dei prezzi, e non era soddisfatta di questa politica.

Questo tipo di scontri sulle divergenze nelle politiche monetarie è stato ciò che ha obbligato a creare la moneta unica. Tuttavia la Germania aveva detto chiaramente che non avrebbe abbandonato il marco se non fosse stata sicura che la nuova moneta sarebbe stata ugualmente stabile. Inoltre, lottò per l’indipendenza della BCE e per il mantenimento delle condizioni del Trattato di Maastricht. Ma la Francia ebbe paura che questa idea le togliesse potere, e per questo sostenne una posizione più flessibile sui bilanci in deficit che permettesse l’entrata nell’euro degli Stati ‘periferici’’ -tra questi lo Stato spagnolo. Questi erano in evidente ritardo nello sviluppo economico, soprattutto in relazione alla competitività, il debito e l’inflazione.

Il Trattato di Maastricht ha una carenza che è fondamentale per capire quello che sta succedendo attualmente: l’assenza di una politica fiscale comune. Così l’UE non può regolare le imposte, la spesa  pubblica o i crediti. Non è stato neanche creato alcun fondo o agenzia per aiutare gli Stati in debito. È stato proibito alla Banca Centrale Europea di dare crediti o comprare debito pubblico.

L’adozione finale dell’euro ha comportato una concorrenza per il dollaro, ma non fino al punto di convertirsi in valuta di riserva internazionale. Il governo tedesco è riuscito ad essere più competitivo dei suoi alleati europei e ad avere degli attivi nella bilancia commerciale, diventando creditore del resto dei Paesi europei, perché questi possano comprare le esportazioni tedesche.


La crisi attuale e la risposta dell’UE


La caduta dei profitti correlati agli investimenti produttivi in Stati come quello spagnolo, combinata con la deregulation del sistema finanziario e con i grandi investimenti finanziari prodotto in gran parte dell’attivo tedesco, ha portato alla creazione di grandi ‘bolle’ (principalmente immobiliarie) in Stai come quello spagnolo e l’Irlanda. Si è così creata una situazione di disuguaglianza economica che è rimasta mimetizzata finché esistevano le bolle. Quando, in conseguenza della paralisi finanziaria mondiale del 2008, la spesa  privata si è ridotta drasticamente, il deficit fiscale è esploso –risultato soprattutto delle basse imposte e dell’aumento della spesa sociale che ha provocato la recessione- lasciando gli Stati con un livello di debito molto elevato. La loro appartenenza all’euro si è dimostrata una debolezza, dato che non esiste la possibilità di una svalutazione della moneta ‘nazionale’ per rianimare le esportazioni e la spesa, ma essendo un’unione incompleta non esistono nemmeno meccanismi europei per alleviare le cadute economiche. È così che la crisi ha messo in rilievo la debolezza dell’unione monetaria europea.

Quando è scoppiata la crisi in Grecia, causando un deprezzamento dell’euro, le divergenze tra Francia e Germania sono emerse di nuovo. Mentre la prima ha difeso il salvataggio dell’UE, la seconda faceva resistenza ad aiutare la Grecia. Alla fine la Germania ha ceduto, pretendendo però, tra l’altro, condizioni più rigide per il rispetto dei piani di austerità. Inoltre la BCE ha annunciato che avrebbe cominciato a comprare debito pubblico, una decisione che va contro il Trattato di Maastricht.

Questi cambiamenti hanno dato luogo a una revisione del coordinamento economico europeo, avanzando verso un modello più federalista. Ciò nonostante, tutte le misure prese per gli attuali salvataggi sono provvisorie, e anche la partecipazione del FMI (dominata da Washington) ai salvataggi mostra i limiti del processo di ‘europeizzazione’. Il disaccordo tra Francia e Germania continua a presentarsi. Mentre la Francia desidera più coordinamento fiscale, la Germania chiede più sanzioni per i Paesi indebitati, e lo scontro tra i due è andato ancora oltre, dato che la Francia ha messo in dubbio che le politiche economiche della Germania siano adeguate anche all’eurozona oltre che ai suoi interessi nazionali.

Un altro punto molto importante in questo disaccordo si trova nelle grandi difficoltà cha sta incontrando Sarkozy per peggiorare le condizioni di vita della classe lavoratrice francese. Le classi popolari francesi sono generalmente euroscettiche, dato che mettono in relazione l’UE con gli attacchi contro le loro condizioni di vita.

Lo scontro nella classe dirigente europea sta anche influendo negativamente sulla crisi economica, dato che fa diminuire la fiducia nell’eurozona e frena gli investimenti. Tutto questo ha dato luogo a un dibattito molto frequente: la scomparsa dell’euro. Tra alcuni analisti si comincia a parlare di una crisi nell’UE che possa far terminare l’unione monetaria. Tuttavia questa opzione appare ancora improbabile, dato che questo mostrerebbe ancora più debolezza nei mercati.


Europa al salvataggio


Ciò che è chiaro è che qualsiasi soluzione alla crisi che venga dalle classi dirigenti implica enormi tagli ai diritti dei lavoratori e lavoratrici. I piani di austerità comportano licenziamenti di massa nel settore pubblico, tagli nel sostegno alla disoccupazione, avanzamenti dell’età pensionabile, rialzo delle imposte per le classi popolari, ecc. Queste misure non risolveranno realmente la crisi, come dimostra il caso irlandese. Soddisfano le esigenze della classe capitalista di stabilizzare momentaneamente l’economia, ma non ne provocheranno lo sviluppo.

I tassi di interesse che si impongono alle economie salvate della Grecia e dell’Irlanda raggiungono il 5-7%, e le condizioni per ricevere il denaro sono soggette a molteplici esami, tramite i quali questi Paesi devono dimostrare che stanno mettendo in atto le misure di austerità. Nei prossimi mesi, le mobilitazioni della classe lavoratrice saranno decisive per spostare la bilancia dall’una o dall’altra parte. Gli Stati periferici sembrano una corda sempre più tesa, dove da un lato tirano le esigenze della Germania e della classe dirigente mondiale di imporre tagli, e dall’altro le mobilitazioni operaie per fermarli. Ma i tagli vengono applicati anche nei Paesi più ricchi dell’UE provocando lo scoppio di proteste, come in Gran Bretagna.

La crisi economica ha dato luogo a una profonda crisi politica a causa del disaccordo tra le classi capitaliste nazionali dell’eurozona, e questo apre molte possibilità per la lotta di classe. La battaglia è servita, e bisogna vincerla.


Angie Gago è attivista di En lluita.

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Traduzione Andrea Grillo

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