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marx xxi

Haussmanizzazione monetaria e lotte di barricate

di Pasquale Cicalese

“Il 6 febbraio lasciai Monaco, mi trattenni dieci giorni negli archivi dell’Italia settentrionale e arrivai a Roma sotto una pioggia torrenziale. L’haussmanizzazione della città aveva fatto grossi passi avanti”. H. von Petersdoff, citato da W. Benjamin in Passages de Paris.

La pratica imperiale dell’haussmanizzazione nella Parigi post Comune del 1871 consisteva nello sventramento dei quartieri proletari finalizzato ad impedire un qualsiasi ritorno di lotte di barricate. Partendo dal concetto urbanistico e storico-sociale si può trovare un’analogia dal lato monetario. Le due date sono il 1971 e il 1972. Con la prima Nixon suggella lo sganciamento del dollaro dall’oro e l’inaugurazione della “fiat money”, la moneta fiduciaria, con la Federal Reserve impegnata nella dollarizzazione del mondo e nella ultraquarantennale pratica di asset inflation, vale a dire gonfiamento del valori dei titoli di carta, che siano azioni, bond o bolle edilizie. Nessuno ferma questa pratica, né la crisi borsistica del 1987, né il crollo della new economy del 2000, né il grande crack del 2007. Imperterrita, la Riserva Federale continua a dollarizzare il pianeta e a gonfiare corsi azionari, posticipando il momento del redde rationem ma provocando una forte inflazione degli asset, temperata dalla deflazione salariale a cui segue la pratica del ricorso a debito.

Nel 1972, invece, interviene in Europa un’altra haussmanizzazione: la deflazione reale. Ufficialmente per contrastare l’asset inflation statunitense, in realtà avendo una logica di dominio, nonché una logica di sterminio, dell’apparato finanziario tedesco. Tale logica si espleta solo nel 1986 con l’Atto Unico Europeo, timidamente, e con sfacciata durezza nel 1991, all’indomani del crollo dell’Urss, con il Trattato di Maastricht, seguito dai trattati di Amsterdam del 1997 e di Lisbona del 2000. La deflazione reale implica un abbassamento generalizzato dei salari reali ed un impoverimento della classe lavoratrice europea, resa feroce nelle zone periferiche dell’Est prima e del Sud poi. La tesi che il Piano Werner, appunto del 1972, fosse la logica conseguenza della dollarizzazione del mondo del Nixon del 1971 cozza con la realtà dei fatti, tant’è che anche in Europa si assiste all’asset inflation e al gonfiamento dei titoli di carta con eguale immane distruzione di ricchezza al pari di quella statunitense.

Le due banche centrali americane ed europee vanno, distintamente, all’unisono avente come obiettivo la difesa dei “mercati finanziari” azionari ed obbligazionari. Con la crisi del 2007 le due filosofie monetarie trovano la massima espressione che si traduce in Europa con la logica di sterminio tedesco, in Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia. Le condizioni di vita di queste popolazioni subiscono tremendi arretramenti simili a periodi di guerra e sono suggellati da “documenti” o “lettere” (famosa in Italia quella del 5 agosto del 2011, giusto due anni fa) che costituiscono una dichiarazione di guerra, da parte della Trojka, alle popolazioni interessate. E’ il cosiddetto austromonetarismo. Contrapposto a quest’ultimo e all’asset inflation statunitense, interviene a partire dal 2008 la pratica della “lotta di barricata” da parte della People’s Bank of China che consiste in una politica monetaria restrittiva accompagnata da una politica fiscale fortemente espansiva che si traduce in una reflazione salariale generalizzata tale da parare i colpi della crisi irreversibile dell’Occidente. La lotta di barricata cinese è resa possibile dalla non convertibilità della moneta e da un forte controllo dei capitali, a cui si accompagna una timida politica interna di liberalizzazione finanziaria tale da attrarre capitali esteri. Inoltre essa viene fortificata da un’aggressiva politica di internazionalizzazione della divisa attraverso accordi di swap con importanti partner commerciali tale da far diminuire il ricorso al dollaro e così sfuggire all’inondazione della divisa americana nel mondo. La lotta di barricata della People’s Bank of China si contrappone alla deflazione salariale europea e americana e all’asset inflation di entrambi le banche centrali.

Chi sta vincendo? Ai lettori la scelta: quel che si può dire è che la dirigenza cinese ha messo in conto una diminuzione del pil reale del loro Paese pur di contrastare l’asset inflation occidentale, un lusso che né Bernanke né Draghi si possono permettere. A loro è data la possibilità di pontificare mensilmente nelle loro riunioni, Zhou Xiachuan parla pochissimo e quando parla dice in tutto tre righe. Basta e avanza, lo sproloquio autoreferenziale di Washington e Francoforte si rivela per tutta la sua inutilità. Il guaio è che questa inutilità la pagano i proletari dell’Occidente. A meno che interviene una cosa antica che desta scandalo: la lotta di classe. Ma in Occidente, al momento, è l’unico scandalo non tollerato….

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