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Moneta e finanziarizzazione

Intervista a Stefano Lucarelli

Nella sedicesima trasmissione di CommonRadio abbiamo discusso di “Moneta e Finanziarizzazione” con Stefano Lucarelli, a partire da un suo scritto “Sentieri interrotti” (in C. Bermani, a cura di, “La Rivista Primo Maggio 1973 – 1989”, DeriveApprodi 2010) in cui l'economista passa lucidamente in rassegna la storia del gruppo sulla moneta della rivista “Primo Maggio”. Di seguito la trascrizione dei tratti salienti della discussione, a nostro avviso particolarmente interessanti, ancora oggi, per tutti coloro i quali si occupano di decifrare le dimensioni economico-politiche dell'attuale crisi finanziaria.

L’inconvertibilità del dollaro con l'oro, è stata descritta come una “rivoluzione dall’alto”. Sul giornale “Potere Operaio” (Mensile, agosto 1971) Toni Negri definiva tale operazione statunitense di portata epocale. Negli stessi anni Sergio Bologna scriveva “Moneta e Crisi. Marx corrispondente della New York Daily Tribune” (in S. Bologna, P. Carpignano, A. Negri (a cura di), Crisi e organizzazione operaia, Feltrinelli 1974. Ora in S. Bologna, Banche e crisi. Dal petrolio al container, DeriveApprodi 2013). Vuoi sottolineare la peculiarità del lavoro di Bologna e la centralità che questo ha assunto nella fase capitalistica che si attraversava?

La lettura del lavoro di Sergio Bologna, come il dibattito in seno alla rivista “Primo Maggio”, è un po’ ostico, visto che le categorie teoriche utilizzate sono date per scontate, in quanto il linguaggio utilizzato negli anni ’70 era una sorta di patrimonio collettivo che oggi si è un po’ perso. I due concetti su cui Sergio Bologna articola la sua riflessione sono: “comando monetario” e “composizione di classe”. L'oggetto del suo saggio sono gli scritti che Marx compone come redattore della New York Daily Tribune. La cosa interessante è che questi articoli definiscono la “rivoluzione dall’alto” come cambiamento istituzionale che coinvolge innanzitutto le istituzioni creditizie messe in campo in Francia da Napoleone III negli anni ’50 dell’800. È un periodo storico particolare, perché nel 1848 c’erano state le rivolte della classe operaia francese e Napoleone III vuole evitare una nuova rivoluzione. Occorre ricordare che Napoleone III era stato eletto Presidente della Seconda Repubblica francese nel dicembre del 1848. Il 2 dicembre 1851 Napoleone III pose fine alla Repubblica e l’anno dopo assunse il titolo di Imperatore.

Sergio Bologna, con Marx, evidenzia il fatto che siamo di fronte ad un tentativo di controllo della classe operaia attraverso la costruzione o la ridefinizione di quelle istituzioni che regolano l’emissione monetaria (l’offerta di moneta). In particolar modo quello che avviene fu la costruzione di una banca pubblica peculiare, il Crédit Mobilier, istituita per promuovere l’industria e i servizi pubblici. Attraverso questa struttura Napoleone III tentò di controllare l’insieme dell’industria francese, da un lato, e dall’altro tentò di far rientrare nella redistribuzione delle ricchezze promesse dal Credit la stessa classe operaia. Si fa avanti, in altri termini, l’idea che è possibile estrarre plusvalore dalla forza lavoro non esclusivamente tramite l’organizzazione dei mezzi di produzione all’interno della fabbrica, ma anche attraverso le politiche creditizie e monetarie. Comincia ad essere chiaro che è possibile domare i comportamenti rivoluzionari non solo con la ristrutturazione nei luoghi di lavoro, ma anche tramite politiche esterne alla fabbrica che impattano nella società nel suo insieme.


Per questo motivo si discusse di “cooptazione” della classe operaia?

Esattamente per questo. Nel linguaggio degli operaisti che lavorarono all’esperimento della rivista “Primo Maggio”, nel primo numero della quale appare il saggio di Sergio Bologna, cooptazione vuol dire comando monetario sulla composizione di classe. Nel senso che è il cambiamento dell’istituzione monetaria a tentare di determinare dei cambiamenti nei comportamenti della classe operaia, frammentandola per poi riaggregarla in modo diverso, in modo che venga neutralizzata la sua composizione politica, le spinte sovversive contro la società capitalistica.


Perché è stato importante questo schema teorico?

A partire da questo schema teorico, inedito rispetto al dibattito marxista degli anni ’70 in Italia (che per lo più teneva distinta la sfera della circolazione monetaria dalla sfera della produzione, e che quindi non considerava il denaro come un momento fondamentale del rapporto capitalistico), si pongono le basi per andare ad analizzare un'altra rivoluzione dall’alto, quella determinata dalla dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro del 1971. Quest’ultima può essere definita come il trionfo della “moneta segno”, una moneta che non è più ancorata ad una merce che ne rispecchia il valore, dal momento che questo valore può essere rintracciato solo nella struttura della produzione.

Il “gruppo sulla moneta” della rivista “Primo Maggio” (che nacque su iniziativa di Sergio Bologna e che raccoglieva tra gli altri Lapo Berti, Marcello Messori, Franco Gori e Christian Marazzi) riuscì a verificare che le politiche monetarie e creditizie messe in campo dalla Banca d’Italia rispondevano alle esigenze statunitensi. Riuscì altresì a mostrare come le manovre di politica monetaria della Banca d’Italia erano funzionali alla ristrutturazione produttiva, da una parte ed alla ridefinizione della composizione di classe dall'altra.

I termini rivoluzione dall’alto, comando monetario e composizione di classe che si ritrovano nell’articolo di Sergio Bologna, fanno parte della produzione teorica del gruppo, il quale non si è limitato ad una riflessione collettiva a tavolino, ma ha cercato la conferma di questo schema teorico sul campo, attraverso l’inchiesta in fabbriche occupate, in sciopero, in fabbriche teatro di ristrutturazioni produttive.


Hai citato Lapo Berti, il quale fa esplicito riferimento alla categoria marxiana del denaro come capitale...

“Denaro come capitale” è firmato da Lapo Berti ma è frutto di un lavoro collettivo dal titolo Moneta crisi e stato capitalistico (Collettivo Primo Maggio, Feltrinelli, Opuscoli marxisti 1971). La chiave interpretativa di Lapo Berti è quella di mostrare come il processo di valorizzazione capitalistica sia condizionato dall’unità di misura che viene definita a monte del ciclo Denaro – Merce – Denaro (D-M-D'); nel senso che c’è un rapporto precario tra il valore del lavoro, che tradizionalmente può essere misurato in tempo impiegato nei luoghi di produzione, e il valore dei profitti attesi, in qualche modo definiti nel momento stesso in cui il prestito iniziale concesso dalle istituzioni creditizie viene gestito dagli imprenditori. Si badi, questo denaro iniziale non ha ancora un suo contraltare in ricchezza reale, eppure già svolge la funzione di ricchezza stessa, in quanto promessa che il capitalista fa a se stesso sulla ricchezza da realizzare in quel dato processo produttivo. Attraverso la lettura di Lapo Berti si trova una conferma, a mio modo di vedere molto precisa, del concetto di crisi della legge del valore anticipato da Toni Negri più o meno nello stesso periodo, come si diceva all'inizio nell'agosto del 1971.

Parlare di crisi della legge del valore fece scandalo, perché nella tradizione culturale marxista non era concepibile mettere in discussione il fatto che il valore si fonda in modo oggettivo sul tempo di lavoro erogato nei processi di produzione. Mettere in discussione questo aspetto ha significato rompere con la dottrina che ha caratterizzato le scuole quadro dei partiti comunisti in Italia ed altrove. Bisogna aggiungere che la teoria del valore lavoro, storicamente, è stata una conquista del movimento operaio, perché ha permesso di misurare precisamente il rapporto di sfruttamento capitalista e, con esso, ha favorito il suo sabotaggio. Però, nel momento in cui il capitalista può rimettere in discussione quell’unità di misura attraverso una rivoluzione dall’alto, la questione cambia e, con essa, vanno ridefiniti i luoghi e le forme del conflitto.

In altre parole, il concetto di valore del lavoro ancorato al tempo di lavoro viene di fatto messo in discussione dal modo in cui il denaro viene indirizzato verso la struttura produttiva. Ciò favorisce la crisi della legge del valore perché fa comprendere che questa può essere messa in crisi non solo dalla conflittualità operaia ma anche dall’organizzazione capitalistica, da come quest’ultima reagisce allo spiazzamento esercitato dal lavoro vivo all’interno della produzione.

Queste “novità” analitiche e interpretative orientarono lo sguardo verso tutto ciò che è fuori dalla fabbrica. Per riorganizzare il conflitto, così come per riorganizzare le prospettive della produzione, l'orizzonte di riferimento diventa quello della cosiddetta “fabbrica diffusa”.
Su quest’aspetto, ma anche discutendo sul concetto di operaio sociale – avanzato ancora da Toni Negri, che di “Primo Maggio” non faceva parte, e indirettamente accolto dall’elaborazione di alcune frange del movimento studentesco – il gruppo sulla moneta si spacca (si veda il dibattito pubblicato negli opuscoli Feltrinelli, Collettivo di “Primo Maggio”, La tribù delle talpe, 1978).


Un altro elemento centrale nella riflessione del gruppo sulla moneta riguarda il ruolo dello stato...

Sì. Il gruppo sulla moneta si occupò anche del ruolo che lo stato, o meglio il sistema dei partiti, svolse in Italia per legittimare il processo di ristrutturazione produttiva, che si realizzò con una specifica politica monetaria della Banca d’Italia. Il discorso, sul piano teorico, si sviluppò anche grazie alle critiche di una fine economista francese, Suzanne de Brunhoff, che dedicò grande attenzione all’elaborazione del gruppo sulla moneta (Cfr. “Punti di vista marxisti sulla crisi monetaria”, in “Primo Maggio”, n. 6, 1975-1976; Editori Riuniti aveva pubblicato nel 1973 un libro importante della stessa de Brunhoff, La moneta in Marx). Secondo quest’ultima comunque le posizioni sulla crisi della legge del valore andavano attenuate, perché restava centrale il ruolo del denaro come “equivalente generale”, cioè il fatto che la moneta deve poter misurare qualcosa che risponde alla ricchezza reale, che ancora una volta può essere misurata tramite il tempo di lavoro necessario a produrre merci. La crisi della legge del valore, così come definita dal pensiero operaista, in tal senso – secondo de Brunhoff – produrrebbe confusione per l’uso politico del marxismo stesso. Suzanne de Brunhoff rimase un interlocutrice preziosa anche nei primi anni ‘90, quando parte del gruppo “Primo Maggio” confluì nella rivista “Altre Ragioni”, all'interno della quale si aprì un dibattito sul ruolo politico che stava assumendo l’allora nascente Unione Monetaria Europea.

Sul versante degli economisti italiani, Claudio Napoleoni fu quello che riservò molta attenzione alle elaborazioni del gruppo sulla moneta. A mio modo di vedere, soprattutto sul finire degli anni ‘70, anche se non utilizzò l’espressione crisi della legge del valore, Napoleoni ebbe un punto di contatto con l’idea che la teoria del valore lavoro entra in crisi, anche se per Napoleoni si tratta di una crisi prima teorica e poi politica (si vedano i saggi raccolti in Dalla Scienza all’Utopia pubblicati da Bollati Boringhieri a cura di Gianluigi Vaccarino, 1992). Mentre, nel gruppo di “Primo Maggio” è presente un connubio tra politico e teorico. Il connubio è presente perché, ripeto, all’interno della teoria economica che può condurre alla ridefinizione della struttura economica reale vi sono dei gradi di libertà politica esercitabili dalla classe operaia attraverso la conflittualità sui luoghi di lavoro, ma anche esercitabili dai capitalisti attraverso la gestione dell’offerta di moneta. Questa cosa diventa sempre più chiara nella storia del capitalismo. Man mano che il processo di finanziarizzazione avanza sono i mercati finanziari che acquisiscono un ruolo predominante nel senso del comando monetario. Come è stato messo in luce nel dibattito recente, i mercati finanziari trasmettono determinati input alle politiche monetarie delle banche centrali, input dei quali queste ultime devono tener conto: la liquidità presente nel sistema viene tarata sulle aspettative di redditività che si fissano sui mercati finanziari. Questi ultimi costituiscono una struttura istituzionale altamente instabile, del tutto precaria. Questa è una scoperta , per cosi dire, che io credo si debba al lavoro teorico del gruppo della moneta della rivista “Primo Maggio”. Non è un caso che uno dei più intelligenti esponenti del pensiero neo operaista contemporaneo – che è in grado di leggere in modo mirabile le attuali dinamiche monetarie – sia Christian Marazzi, che all’interno di quel gruppo ha ricoperto un ruolo fondamentale. Per restare su questo autore, negli ultimi numeri di “Primo Maggio”, Marazzi chiarisce il ruolo che ha il sistema dei partiti all’interno del circuito monetario, in una prospettiva molto simile a quella immaginata da Napoleone III e descritta nel saggio di Sergio Bologna di cui abbiamo detto. Tale analogia regge perché il sistema dei partiti politici in Italia, alla fine degli anni ‘70, ha cercato di sedurre una parte della classe operaia nel processo di ristrutturazione che è stato imposto alle imprese, attraverso l’uso politico della cassa integrazione, come modalità per annichilire forme di riorganizzazione del conflitto operaio. Come il Crédit Mobilier di Napoleone III doveva servire a cooptare parte della classe operaia tramite la promessa di una redistribuzione delle ricchezze, così la cassa integrazione in Italia nel corso degli anni ’70 viene utilizzata per frammentare la classe operaia. In entrambi i casi siamo di fronte ad un comando monetario dall’alto che accompagna anche una ristrutturazione produttiva che produce un’evoluzione sociale mirata ad indebolire la conflittualità esprimibile dai lavoratori.

Per restare alle analisi di Marazzi di quel periodo, egli riesce anche ad individuare le contraddizioni del circuito monetario statunitense che già comincia a creare le condizioni di indebitamento crescente della classe operaia. Siamo nel 1977 e Christian Marazzi parla di indebitamento della classe operaia, un fatto che anticipa la logica del così detto keynesismo finanziario al centro dell’odierna crisi scoppiata nel 2007.

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